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Tutto è relazione: Un'introduzione al counseling umanistico e transpersonale
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E-book273 pagine3 ore

Tutto è relazione: Un'introduzione al counseling umanistico e transpersonale

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Info su questo ebook

Questo libro è una guida completa per Counselor ed Operatori olistici, scritta per essere accessibile a tutti. Il Counseling si occupa di favorire lo sviluppo delle potenzialità dell’individuo, aiutandolo a superare i conflitti interiori che gli impediscono di esprimersi pienamente e liberamente nella sua vita. Esaminando le radici storiche di questa disciplina, l’autore ci accompagna in un viaggio che ci riporta alle origini dell’umanità e alla sorgente della vita.

Il counseling, infatti, ha a che fare con la vita di ognuno di noi, con le relazioni che stabiliamo con noi stessi e con gli altri, con i nostri ‘problemi’ e le nostre aspirazioni, con ciò che ci emoziona ci dà speranza. Ha a che fare con la natura, il pianeta, l’inquinamento, l’ecologia e l’utilizzo delle risorse naturali. Ha a che fare con il modo in cui nutriamo noi stessi, con il ritmo della nostra vita ed il nostro senso di alienazione.

Nessuno di noi è un’isola: non possiamo crescere e prosperare come individui, se non ci rendiamo conto che ciascuno di noi è il nodo di un’immensa rete di rapporti e che siamo forti e sani tanto quanto lo sono le relazioni che intratteniamo con gli altri e con il pianeta.
LinguaItaliano
Data di uscita8 lug 2020
ISBN9788871835556
Tutto è relazione: Un'introduzione al counseling umanistico e transpersonale

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    Anteprima del libro

    Tutto è relazione - Fabrizio Rossi

    INTRODUZIONE

    "C’era una volta un Giardino, il quale conteneva molte centinaia di specie (era forse nella zona subtropicale) che vivevano in grande fecondità ed equilibrio, con abbondanza di humus, e così via. In quel giardino c’erano due antropoidi, più intelligenti degli altri animali.

    Su uno degli alberi c’era un frutto, molto in alto, che le due scimmie non erano capaci di raggiungere. Esse cominciarono allora a pensare. Questo fu lo sbaglio: cominciarono a pensare per raggiungere un fine.

    Dopo un po’ la scimmia maschio, che si chiamava Adamo, andò a prendere una cassa vuota, che mise sotto l’albero; vi montò sopra, ma ancora non riusciva a raggiungere il frutto. Allora andò a prendere un’altra cassa, e la mise sopra la prima; si arrampicò sopra le due casse e finalmente raggiunse la mela.

    Adamo ed Eva erano ebbri di eccitazione. Così si doveva fare: si escogita un piano, ABC, e si ottiene D.

    Cominciarono allora a esercitarsi a fare le cose secondo un piano. Di fatto essi estromisero dal Giardino il concetto della sua natura sistemica globale e della loro stessa natura sistemica globale.

    Dopo aver estromesso Dio dal Giardino, essi si misero a lavorare seriamente in questo modo finalizzato, e ben presto l’humus scomparve; in seguito a ciò parecchie specie di piante divennero ‘malerbe’ e alcuni animali divennero ‘flagelli’; e Adamo si accorse che il giardinaggio era un lavoro molto più duro. Dovette guadagnarsi il pane col sudore della fronte, e disse: ‘È un Dio vendicativo; non avrei mai dovuto mangiare quella mela’".¹

    Dove nasce l’esigenza di scrivere un libro da parte di chi non è uno scrittore di professione? Me lo sono chiesto parecchie volte prima di imbarcarmi in questo viaggio. Non so se ho trovato la risposta, ma alcune risposte sì. Probabilmente, dopo oltre venticinque anni di ricerca ed esperienza nell’ambito dell’olismo e della relazione d’aiuto, ho sentito il bisogno di condividere ciò che ho incontrato e compreso durante il viaggio. Si tratta dello stesso bisogno che ho sentito nel 2004 di aprire una scuola di counseling e pratiche olistiche. L’esistenza di questa scuola, che ha nel tempo acquisito una sua identità ben precisa, rappresenta uno degli altri motivi. A questo, aggiungo il piacere di raccontare storie.

    Il mio desiderio è che questo libro possa incontrare persone diverse e, per quanto ne sono stato capace, ho cercato di renderlo possibile. La prima impressione scorrendo l’indice è quella di un saggio. Sebbene, come dicevo, spero non sia solo questo, è chiaro che è anche questo. Come saggio ha sicuramente tentato di rispondere all’esigenza della scuola di counseling e pratiche olistiche di avere un libro di studio che potesse fornire un’identità, una struttura e un approfondimento ai suoi studenti. Anche gli allievi e i professionisti formatisi in altre scuole potranno trovare qui un’opportunità, credo sufficientemente strutturata e completa, di approfondire diversi temi che sono stati toccati nella loro formazione ma sui quali può non esserci stato il dovuto approfondimento. Questo indipendentemente dalla tecnica olistica oggetto di formazione ed anche indipendentemente dall’indirizzo di counseling scelto, in quanto parleremo principalmente del paradigma olistico-relazionale-sistemico che contiene entrambe le discipline. Ho cercato più che ho potuto di mettere nelle condizioni di poter arrivare ad una comprensione anche tutti i curiosi che per la prima volta si accostano a questo mondo, spiegando i termini o i concetti non di uso comune. Poi ho immaginato un’ulteriore categoria di potenziali lettori, ovvero quelli che desiderano sentir raccontare una storia che li riguarda. Mi piace pensare che anche loro possano trovare quello che cercano. Nel raccontare, ho tentato di dialogare con il lettore in modo che potesse respirare una relazione umana durante la lettura. A qualsiasi categoria il lettore si senta di appartenere, l’invito che gli rivolgo è di lasciar risuonare quanto legge e di lasciarselo passare attraverso. Questo rappresenta il miglior modo per esserci ed uscire dalla relazione arricchito.

    "Così come per un fiore, ci sono (almeno) due modi per accostare l’opera di uno studioso. Uno viene dal pensarla di fronte a noi: essa ci parla di sé, e niente più. L’altro dal pensarla in relazione a noi: essa ci dice allora qualcosa di più: parla anche di noi."²

    La citazione con cui ho aperto quest’introduzione racconta di un mondo anticamente unito che nel corso del tempo si è separato, per poi tornare verso una ri-unificazione. Essa, nonché il libro stesso, è fortemente rappresentativa di ciò di cui ci occuperemo. Il primo capitolo parte da antiche culture che ancora vedevano e si relazionavano al mondo in modo olistico. Ne ho scelte due. Una più antica, con un tributo alla cultura aborigena, e una più vicina a noi, quella greca. Ho poi cercato di analizzare quel movimento che ha portato alla separazione, al meccanicismo, al riduzionismo e alla coscienza finalizzata, visioni ancor oggi estremamente radicate. L’ho fatto parlando del modo di guardare il mondo della scienza e della psicologia. Ho poi osservato un movimento di riavvicinamento, nell’umanesimo, con il suo rimettere al centro l’essere umano come soggetto, per arrivare alla sua trascendenza, nel transpersonale. Un invito ad abbracciare l’Unità di tutte le cose; trasformazioni nel modo in cui ci relazioniamo con ciò che sta dentro e fuori di noi, che ancora una volta hanno interessato anche scienza e psicologia. Nel fare questo ho contestualizzato e parlato delle materie di cui mi occupo, il counseling umanistico, le tecniche olistiche e il counseling transpersonale.

    Il libro espone tante diverse materie come la storia di antiche culture tribali, la filosofia, la scienza, la fisica, la psicologia, la mitologia, gli stati di coscienza, le tecniche olistiche, il counseling e tanti altri riferimenti. Ciò che le unisce è una medesima modalità di affrontarle. Ho osservato i movimenti simbolici al di là delle forme. Uno sguardo filosofico che, attraverso il logos, riflette su ciò che contempla cercando di non perdersi nel cosa ma sempre interrogandosi sul come, sulla relazione. Ho pertanto cercato di limitare gli aspetti tecnici di ogni materia, citando solo quelli funzionali alla narrazione dei movimenti relazionali. Il lettore che, avendo uno sguardo diverso dal mio, volesse approfondirli troverà ampie citazioni con riferimenti bibliografici.

    Un viaggio di ricerca che riporta alle radici del mondo, alla sorgente della vita. Questa storia ha a che fare, infatti, con la vita di ognuno di noi, la relazione con noi stessi, gli altri, i nostri problemi e le nostre aspirazioni, con ciò che ci emoziona e ciò che ci dà speranza. Ha a che fare con la natura, il pianeta, l’inquinamento, l’ecologia e l’utilizzo delle risorse naturali. Ha a che fare con il modo in cui nutriamo noi stessi, con il ritmo della nostra vita ed il nostro senso di alienazione.

    Buon viaggio!

    1.Bateson, G., Verso un’ecologia della mente, pp. 449-450.

    2.Manghi, S., Attraverso Bateson, p. 5.

    1

    IN PRINCIPIO TUTTO ERA UNO

    In principio la Terra era una pianura sconfinata e tenebrosa, separata dal cielo e dal grigio mare salato, avvolta in un crepuscolo indistinto. […] Il Sole squarciò improvvisamente la superficie e inondò la Terra di luce dorata, riscaldando le buche in cui dormiva ogni Antenato. […] Il fango si staccò dalle loro cosce, come la placenta da un neonato. Poi, come fosse il primo vagito, ogni Antenato aprì la bocca e gridò: ‘Io sono!’. […] Gli Uomini del Tempo Antico percorsero tutto il mondo cantando; cantarono i fiumi e le catene di montagne, le saline e le dune di sabbia. Andarono a caccia, mangiarono, fecero l’amore, danzarono, uccisero: in ogni punto delle loro piste lasciarono una scia di musica. Avvolsero il mondo intero in una rete di canto.¹

    LA CULTURA ABORIGENA

    Ho scelto di iniziare questo viaggio con un piccolo tributo alla cultura aborigena che è, probabilmente, la più antica cultura olistico-relazionale del nostro pianeta. Gli antropologi riconoscono negli aborigeni caratteri che li accomunano all’uomo di Neanderthal di quarantamila anni fa.

    Si ipotizza che i primi ominidi non avessero un linguaggio articolato. È probabile che usassero la telepatia o forme di comunicazione simili a quelle dei branchi di animali. Nel

    tempo, con l’evoluzione della comunicazione verbale, parte di queste facoltà sono andate perdute ma sono parzialmente presenti ancora oggi. Per loro, prima della creazione del mondo, vi era il Tempo del Sogno. Durante questo periodo primordiale, il mondo era indifferenziato. Era abitato da esseri metafisici, totemici, generalmente rappresentati come creature gigantesche con forme animali.

    I miti aborigeni sulla creazione narrano di leggendarie creature totemiche che nel Tempo del Sogno avevano percorso in lungo e in largo il continente cantando il nome di ogni cosa in cui si imbattevano – uccelli, animali, piante, rocce, pozzi – e col loro canto avevano fatto esistere il mondo.² […] Si credeva che ogni antenato totemico, nel suo viaggio per tutto il paese, avesse sparso sulle proprie orme una scia di parole e di note musicali, e che queste Piste del Sogno fossero rimaste sulla terra come vie di comunicazione fra le tribù più lontane.³

    La cultura aborigena conferisce sacralità a ogni luogo della terra e stabilisce una rete di relazioni originarie fra gli esseri viventi e i luoghi che abitano. Non a caso, lo stile di vita degli aborigeni è mirato a non modificare nulla dell’ambiente naturale. L’Antenato, per usare il lessico degli studiosi, è una figura totemica, archetipica.⁴ Ognuno dei leggendari capostipiti tracciò una Via del Canto – o Pista del Sogno – e sulle proprie orme sparse una scia di parole e di note musicali. I suoi discendenti dovranno, in seguito, saper attingere a questa eredità di ‘vibrazioni’, per orientarsi correttamente e percorrere il loro cammino. Le partiture musicali dei viaggi degli Antenati rimasero incise sui tjuringa, delle piastre ovali custodite in segreto e visibili, come per i simboli del reiki, ai soli iniziati. Questi ‘supporti’ permettono nuovamente di cantare tali partiture, atto che nella visione aborigena corrispondeva ad una vera e propria ri-creazione del mondo.

    Questi miti sono connotati da una concezione estranea a quella moderna. Non si tratta di spostarsi per fondare un impero economico o per migliorare le proprie condizioni materiali. Nemmeno di distrarsi ‘cambiando aria’, nell’inconsapevolezza di ciò che si lascia e altrettanto di ciò che si andrà a ‘visitare’. Ben diversamente, lo scopo del viaggio era poietico, creativo. L’Antenato camminando per il deserto primordiale, portava alla luce, con il suo canto, l’immanifesto. Il ripetersi ciclico dei canti archetipici ad opera degli iniziati era, come detto, una ri-creazione rituale del mondo, ovvero la conservazione del mondo attraverso il rito, fondato nel mito. Seguendo la medesima logica, l’inversione del canto avrebbe avuto un effetto distruttivo, ovvero, in termini iniziatici, un riassorbimento della manifestazione allo stato di pura possibilità.

    Il Tempo del Sogno, non è però relegato nel passato storico del mondo. Nella visione aborigena è contemporaneamente un ‘tempo’, ma anche quella che gli occidentali chiamerebbero una ‘dimensione’. Questi esseri primordiali hanno grande ‘potere’. La loro vibrazione è diversa dalla nostra ma essi esistono, per gli aborigeni, in un mondo separato dal nostro ma compresente, anche se in un ‘Altro Tempo’, il ‘Tempo delle origini’, una realtà ultraterrena, chiamata ‘il Mondo del Sogno’. Questo mondo rimane accessibile agli aborigeni attraverso il sogno, strumento fondamentale per comunicare con gli spiriti, decifrare il significato dei presagi o comprendere le cause di malattie e avversità. Gli anziani di ogni gruppo svolgono il ruolo di custodi dei racconti delle origini e devono tramandarli alle nuove generazioni, nei modi e nei tempi previsti dalla tradizione. La tradizione aborigena, prevede anche che determinati racconti, particolarmente importanti, siano da tenere segreti. Possono essere rivelati solo ad alcuni gruppi o individui. L’importanza di tale segretezza è condivisa anche da altre tradizioni come l’esoterismo e l’ermetismo.

    Lo sciamano aborigeno utilizza il sogno lucido⁵ e vede con il terzo occhio⁶, l’occhio della chiaroveggenza. Non a caso il significato della parola sciamano è ‘colui che vede al buio’. Questo apre in lui facoltà sconosciute, come la possibilità di vedere all’interno dei corpi, della terra o conoscere cose che avvengono lontano. I dipinti nelle caverne australiane rappresentano spesso visioni generate durante la trance, si vedono animali o uomini entro cui sono tracciate linee simili ai meridiani cinesi, linee di scorrimento dell’energia, confermando una visione del mondo in cui ogni cosa è collegata. Queste pitture parlano del peccato originale, di un paradiso terrestre da cui l’umanità venne cacciata per una violazione della legge che interruppe il contatto con gli spiriti superiori. Possiamo chiaramente riconoscere in questa descrizione, quella del giardino dell’Eden perduto di cui parla la Bibbia⁷.

    Gli aborigeni si consideravano tutti fratelli, il loro concetto di fratellanza era universale, una spiritualità orizzontale condivisa anche dai nativi americani. Credevano ad un piano dove tutte le cose esistono sotto forma di essenze, forme eterne di tutto ciò che esiste, origine del mondo. Una visione simile la troveremo successivamente nell’Iperuranio di Platone. Per entrare in contatto con questo mondo, utilizzavano ancora una volta il sogno lucido, una trance vigile.

    Gli aborigeni parlano tuttora di caverne fatte interamente di cristalli di quarzo, in grado di modificare lo stato di coscienza dello sciamano. I cristalli di rocca, sono elementi importantissimi nello sciamanesimo australiano, come in quello di tutto il mondo. Hanno molte caratteristiche in comune con l’essere umano. Vengono concepiti nel grembo della Madre Terra e lì rimangono fino a maturazione formandosi in ‘famiglie’, druse dalla base comune. Alla base sono più torbidi, per diventare via via più trasparenti, simboleggiando l’opportunità di evoluzione personale insita anche nell’essere umano. Come quest’ultimo, possiedono la capacità di far vibrare tutte le frequenze cromatiche presenti. Tali caratteristiche portavano a considerare non solo persone e animali ma anche i cristalli come ‘fratelli’. Potenti strumenti nel lavoro energetico e sciamanico, essi creano un grande effetto di risonanza e facilitano così, la modificazione dello stato di coscienza e l’attivazione di facoltà non presenti nella dimensione ordinaria.

    Uluru è una montagna sacra per gli aborigeni ed un luogo di potere. Essi ritenevano, infatti, che le sue vibrazioni accrescessero i poteri psichici ed anche la fertilità. Nelle sue grotte si trovano diversi dipinti, che testimoniano le esperienze fatte in quei luoghi, utilizzati sia per la sepoltura che per esperienze mistiche. La medesima cosa accadeva nelle piramidi dell’antico Egitto. Sia nel caso delle grotte che in quello delle piramidi, gli esploratori, vittime del loro filtro percettivo culturale, si concentrarono più sul primo aspetto non agevolando la comprensione del secondo. Ci appare chiaro, infatti, esplorando la cultura di questi antichi popoli che da un lato, troviamo tante similitudini con altre culture tribali molto più vicine, dall’altro una grande distanza rispetto al nostro odierno modo di guardare il mondo. Molto altro ci sarebbe da dire su questa antica cultura, ma ritengo di potermi fermare qui. Ciò che mi piacerebbe il lettore portasse con sé, è una visione di tutte le ‘cose’ come collegate tra loro, in inscindibile relazione, senza alcuna separazione, parti di un’unica Unità. Il nostro viaggio parte da qui, un luogo così lontano nel tempo e nello spazio, da una visione dell’essere umano, del mondo e della realtà che, sebbene, possiamo percepire così distante, in realtà la stessa scienza sta rivalutando. Cercheremo, passo dopo passo, di comprendere quanto questa visione sia stata vicina a noi, quanto e come ce ne siamo allontanati, quali sono le sue varie sfaccettature e come possiamo riavvicinarci ad essa.

    I FILOSOFI ILOZOISTI

    Compiamo un salto di alcune decine di migliaia di anni, per approdare a circa duemilaseicento anni fa in Europa, nella Grecia antica. I primi passi della filosofia, sono stati compiuti nelle colonie della Ionia, come Mileto ed Efeso. Le città del continente restarono probabilmente chiuse all’interno dei loro orizzonti religiosi tradizionali. Le città coloniali di confine erano, invece, caratterizzate da un maggiore dinamismo e contatto con culture diverse. Questo pose in primo piano i problemi dell’identità e della convivenza nella diversità, che culmineranno nella ricerca di ciò che rende il mondo, nonostante la varietà dei suoi aspetti, una totalità unitaria. Questi scambi portarono alcuni ricercatori a sostenere che la filosofia greca, trae ispirazione dal pensiero orientale. Per molti altri, invece, le fonti a sostegno di questa teoria non sarebbero attendibili. Certo è, che l’approccio della filosofia greca al mondo e alla verità, è unico nel suo genere. Se, infatti, l’approccio orientale è mitico-religioso, quello occidentale è puramente razionale. La sua indagine non poggia su una verità manifesta o rivelata, ma soltanto sulla forza della ragione.

    La prima scuola, considerata filosofica, fu quella jonica. La sua sfera d’interesse fu principalmente cosmologica. L’uomo era, per loro, solo un elemento della natura. La loro ricerca si orienterà nel rintracciare, al di là delle apparenze molteplici e mutevoli della natura, l’unità che fa della natura stessa un mondo: l’unica sostanza che costituisce il suo essere, l’unica legge che regola il suo divenire. Intendendo per sostanza, sia la materia di cui sono composte le cose, sia la forza che spiega la loro composizione, la nascita e la morte ed il loro perenne mutamento. Da qui, nascerà l’ilozoismo della scuola jonica, ovvero la convinzione implicita che la materia stessa, e quindi la sostanza primordiale corporea, abbia in sé una forza che la fa muovere e vivere, senza alcun intervento di principi animatori esterni. Ma se da un lato l’interesse dei primi filosofi si rivolge al mondo fisico, essi indirettamente si interessano anche all’uomo. L’uomo, infatti, non può ricercare oggettivamente e razionalmente l’unità di tutti i fenomeni esterni, senza chiarirsi rispetto alla propria soggettività. Il riconoscimento del mondo come altro da sé è legato al riconoscimento di sé come io. Tale implicazione sarà, successivamente, esplicita in Eraclito che ci terrà a precisare: Io ho indagato me stesso. La ‘confusione’ tra uomo e natura del misticismo antico è rotta. Il filosofo è un uomo che realizza la propria capacità di astrarsi dalla natura, per ragionare su di essa, pur continuando a sentirsi in relazione. Il modo di vedere il mondo diventa dinamico, in quanto non più dato dal mito, dagli dèi, ma dal pensiero che, in quanto tale, supera continuamente se stesso trovando sempre nuovi argomenti. Argomenti che mettono in crisi le sue vecchie ipotesi, per crearne di nuove sempre più adatte a spiegare la realtà.

    Il fondatore della scuola jonica fu Talete di Mileto. Con lui cominciano a farsi sentire i primi cenni di astrazione, pur essendo ancora molto legati al mondo concreto. Talete individuò, infatti, il principio di tutte le cose nell’acqua. Probabilmente, tale intuizione gli venne notando le variazioni possibili dell’elemento acqua (il ghiaccio, il vapore, l’umidità, ecc.) e il fatto che il nutrimento di ogni cosa è umido ed anche che il caldo si genera e vive nell’umido. Dunque, per lui, ciò da cui tutto si genera è il principio di tutto. Tale principio delle cose per questa filosofia precede, continua ad esistere, pur nel variare della forma, e segue tutte le cose. Questo lo portò ad affermare che nulla si crea e nulla si distrugge, in quanto la sostanza si conserva sempre. Tale concetto verrà ripreso successivamente da Einstein, nel secolo scorso, nella sua teoria della relatività. Einstein dimostrò, inoltre, che il principio di conservazione coinvolge la materia-energia considerate come un’unica entità, in quanto la massa è una forma di energia.

    Se volessimo adottare una visione che considera come viva ogni cosa che vibra di energia, potremmo considerare anche Einstein un ilozoista. Non è tanto il risultato che qui interessa, ma il diverso modo di spiegare le cose. Nel mito attraverso il racconto primordiale, mentre

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