La conversione
Di Fabio Laiso
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Info su questo ebook
Fabio Laiso
Fabio Laiso si laurea cum laude nel ’94 in Lingue e letterature straniere moderne all’ Orientale di Napoli. Filosofo privatdenker , traduttore e studioso di temi di carattere filologico, è autore de La dottrina della libertà. Dialogo tra Fichte e Sartre (Il Prato, Padova 2021). Attualmente vive e lavora a Napoli.
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Anteprima del libro
La conversione - Fabio Laiso
I
Oggi papà è rinato. No, è stato ieri. Ho ricevuto un telegramma dall’hotel Beau Rivage: «Papà è rinato. Il matrimonio domani a l’ église Saint-Jacques. Cari saluti». Questo dice tutto: non importa se è stato oggi oppure ieri.
L’hotel Beau Rivage è a Nizza, a quaranta chilometri da Ventimiglia. Noleggerò un auto in mattinata e arriverò sempre in mattinata. Così potrò partecipare al matrimonio e essere di ritorno per la sera. Ho chiesto un permesso al principale che mi ha prima detto di no, adducendo che i permessi si richiedono solo per malattia. Poi ha accettato, a malincuore. Gli ho detto che era colpa di mio padre, ma lui non mi ha risposto. Allora ho pensato di aver fatto bene a dirglielo perché avrei potuto scusarmi di tutto ma non di questo. Lui, piuttosto, avrebbe dovuto farmi gli auguri per mio padre, invece non lo ha fatto. Adesso mi sembra come se mio padre fosse ancora insieme alla mamma; dopo il matrimonio tutto sarà compiuto e il pensiero di questo nuovo legame certamente mi sarà più familiare.
Ho preso la macchina alle nove: faceva molto freddo. Prima ho fatto colazione da Josef, come al solito. Erano tutti molto eccitati per me e Josef mi ha detto: «Di famiglie ce n’è sempre più d’una». Quando me ne sono andato, sono venuti fino alla macchina. Ero su di giri, Renato mi aveva prestato il suo papillon e un fazzoletto da taschino. Lui si è sposato qualche settimana fa. Viaggiavo piano, mi godevo l’odore del mare e il riverbero di un sole pallido, ero talmente desto che non mi perdevo neppure un particolare del panorama. Solo non parlare con nessuno mi dispiaceva.
La chiesa era proprio in centro. Ho parcheggiato la macchina sul lungomare e ho fatto un po’ di strada a piedi. Volevo vedere subito la sposa, ma il sacrestano mi ha detto che dovevo prima andare dal parroco. Il prete mi ha ricevuto in sacrestia. Era un giovane uomo, vestito da civile, con un piccolo crocifisso appuntato sul bavero della giacca. I suoi occhi scuri evitavano il mio sguardo, poi mi ha stretto la mano e l’ha ritirata subito come se scottasse. Ha aperto un registro e mi ha detto: «Il signor Hilbert ha deciso di sposarsi tre giorni fa. Ci teneva molto che lei partecipasse». Ho creduto che fosse meravigliato di questo fatto e ho cominciato a spiegargli il carattere di papà. Ma lui mi ha interrotto: «Conosco bene suo padre, aveva bisogno di una moglie. Le sue sostanze sono sufficienti per garantire una vita felice ad un’altra persona. Ma non voleva fare infelice lei». Ho detto: «Sì, padre». Lui ha soggiunto: «Capirà, non aveva veri amici, non divideva i suoi interessi con nessuno. Solo con lei non si sarebbe annoiato».
Aveva torto. Quando era a casa, papà passava il tempo a ciarlare delle sue avventure e io lo seguivo con lo sguardo. Quando è andato via, era felice. Solo l’abitudine lo teneva con me. Dopo qualche mese, avrebbe sofferto se l’avessi rivoluto a casa. Odiava l’abitudine. È per questo che non l’ho più cercato, anch’io ero diventato un’abitudine per lui. Il parroco non ha più parlato, e io non sapevo che dire. Allora lui ha ripreso: «Immagino che vorrà vedere la sposa». Ho risposto di sì e mi sono avviato verso la porta. Uscendo dalla canonica, mi ha spiegato: «L’abbiamo fatta aspettare in una saletta per non impensierire gli altri, visto che suo padre non è ancora arrivato».
Abbiamo attraversato un corridoio stretto dove c’erano delle vecchie beghine che pregavano a piccoli gruppi. Al nostro passaggio, hanno continuato a pregare. E dietro di noi, hanno smesso di farlo. Un silenzio molesto ha avvolto l’ambiente. Davanti alla porta della stanza, il parroco mi ha salutato: «Vi lascio, signor Hilbert. Sono in canonica, il matrimonio si svolgerà non appena arriva suo padre. Un’ultima cosa: suo padre ha fortemente desiderato di essere sposato religiosamente. Era giusto che lo sapesse». L’ho ringraziato. Papà, senza essere ateo, non aveva mai pensato alla religione in vita sua.
Sono entrato. Era una stanza scura, dalle pareti opache e senza finestre. I mobili erano seggiole e inginocchiatoi. Su uno di questi, in fondo, stava chinata una donna con in testa un fazzoletto bianco. In quel momento, dietro di me, è entrato il sacrestano. Col fiato rotto per la corsa, mi ha detto trafelato: «Vostro padre è arrivato». Mi stavo avvicinando alla donna, ma lui mi ha fermato: «Non volete prima parlare con vostro padre?». Ho risposto: «Sì». Poi mi sono pentito, perché sentivo che la donna ne era rimasta delusa. L’uomo mi ha guardato, aveva due occhi felini e una barba rada, mi ha invitato con una mano senza guardarmi: «Per di qua». La donna si è alzata e si è messa a sedere un po’ dietro di me. Mentre uscivo, il sacrestano mi ha sussurrato: «Ha un cancro». Siccome non capivo, ho guardato meglio la donna e ho visto una benda intorno alla testa. Non si vedeva bene il viso, ma solo la benda di garza che pareva un velo e andava da un orecchio all’altro.
Quando siamo usciti, il sacrestano mi ha detto: «Vi lascerò soli, più tardi». Ho detto al sacrestano: «È molto tempo che siete qui?». Mi ha risposto: «Cinque mesi», come se non si aspettasse quella domanda. Si è mosso dall’uscio, indicandomi con un cenno la strada. Ho ripercorso il corridoio in senso inverso. L’euforia iniziale era svanita, ora sentivo salire la stanchezza. Il sacrestano parlava. Sembrava reggere il ruolo alla perfezione, come se non fosse nato che per fare il sacrestano in una chiesa di Nizza e portare ambasciate ai suoi frequentatori. Aveva quarantasei anni ed era della Loira. Mi disse che aveva vissuto in Italia e che non se ne era dimenticato. In Italia c’è più vita nelle chiese ma si è più composti. L’abitudine al sacro è di casa e anche fare il sacrestano dà più soddisfazioni. Ad un certo punto ci ha raggiunti la moglie che aveva ascoltato in silenzio: «Sta zitto, ti pare che il signore si interessi a questi discorsi?». L’uomo voleva proseguire. Io ero intervenuto per dire: «Ma sì, ma sì, continuate pure». Ma quello che raccontava non mi importava per niente.
Mentre andavamo, mi ha spiegato che era entrato in chiesa come oblato, e ricambiava l’ospitalità con piccoli lavoretti. Gli ho fatto notare che era molto ligio nel suo dovere. Lui mi ha risposto di sì. Mi ha colpito il modo in cui diceva : «noi», «i fedeli», e più di rado, «i credenti», parlando delle persone che venivano in chiesa a pregare. Come se non fosse la stessa cosa, e lui lo faceva notare come se si sentisse moralmente superiore.
In quel momento è spuntato mio padre. La mattinata era fredda e già sembrava volesse calare la sera. Le vetrate portavano ancora la brina della notte. Il sacrestano ha girato l’interruttore e la chiesa è stata inondata di una luce vivida e inaspettata. Mi ha detto che potevo parlare con mio padre di là, nel vestibolo e si è offerto di portarci una tazza di the. Ma non avevo sete. Eppure quando è arrivato con il vassoio ho bevuto. Poi ho avuto voglia di fumare ma lui mi ha detto che non si poteva. Ma non aveva nessuna importanza. Volevo che mio padre mi parlasse. Ma lui taceva. Vedendoci ad un punto morto, il sacrestano mi ha detto: «Sapete, gli amici di vostro padre sono tutti qui fuori. Bisogna che li faccia entrare, si staranno congelando». Gli ho chiesto se poteva ridurre l’intensità della luce dentro la chiesa. Lui mi ha detto che non era possibile. Le luci si accendevano o si spegnevano tutte insieme. Ci ha lasciati soli. La sposa in quella stanza buia e mio padre qui in un angolo, con le mani in tasca. Non le aveva tirate fuori neanche per la tazza di the.
La bevanda mi aveva tirato su. Sentivo gli odori di incenso e di cera. Ero distratto da quelle sensazioni. È stato un palpito a destarmi. Un mugugno, non so. Mio padre mi guardava con occhi spalancati dopo averli tenuti bassi a lungo. Davanti a me non c’era più mio padre, ma un uomo che non riconoscevo più, che mi penetrava con uno sguardo di un’insolita purezza, e quasi mi feriva. In quel momento sono entrati in chiesa gli invitati. Erano una quindicina, e sfilavano animatamente tra le panche, sotto quella luce accecante. Li vedevo come delle sagome, li udivo senza che li sentissi. Portavano tutti l’abito della domenica, qualcuno era ingrassato e la taglia non gli stava più. Gli occhi, le rughe, le facce gioconde. Si sono accorti di me solo quando tutti si sono seduti. Alla visione precedente si sono aggiunti i loro denti. Sorridevano, ma nessuno mi salutava. Ho avuto l’impressione che fossero tutti lì per godersi uno spettacolo.
Poco dopo, uno di loro si è messo a ridere. Era il primo della terza fila, e lo vedevo bene. Rideva a piccoli scoppi, si fermava e poi riprendeva. Gli altri erano più silenziosi. Guardavano mio padre, il suo vestito, le sue scarpe o una cosa qualunque di lui. Quell’uomo rideva. Ero stupito che nessuno lo fermasse, avrei voluto non sentirlo più. E tuttavia nessuno osava dirglielo. Il sacrestano gli si è avvicinato e ha biascicato qualcosa. L’uomo ha scosso la testa, continuando a ridere a scoppio. Il sacrestano è venuto vicino a me e mi ha detto: «È la gioia per l’evento. Dice che il suo migliore amico ha finalmente qualcuno con cui diventare vecchio». Non ho capito bene cosa volesse dire, ma le risa si sono fatte via via meno frequenti. Ha respirato profondo, poi non si è sentito più. Ora restava un silenzio interrogativo, punteggiato da piccoli rumori, scricchiolii delle panche, strofinio degli abiti sul legno laccato, respiri nasali. Cosa significava quel momento per loro?
Siamo rimasti tutti chiusi nei nostri pensieri. Non ricordo altro. La cerimonia è passata. Tanto che ad un certo punto ho guardato quelle persone e mi sembrava che, ad eccezione dell’uomo che prima aveva riso, fossero tutti assorti in un lungo letargo. Qualcuno ha tossito. Tutti si sono svegliati quando il parroco ha congedato i due sposi con le formule di rito. Il sacrestano li ha invitati ad alzarsi. Erano contrariati come chi venga buttato giù dal letto da una sveglia. Con facce che sembravano più da funerale, si sono avviati verso l’uscita. Nessuno mi ha stretto la mano, quel poco tempo passato insieme non era bastato a creare tra noi alcuna intimità.
Avevo ancora un po’ di energia. Quando sono uscito per fumare, era nuvoloso. Dal mare veniva un vento dal profumo salmastro, il cielo sembrava sporcato da qualcosa. Se non avessi dovuto aspettare mio padre sarei corso verso la spiaggia. Ma il sacrestano mi ha riportato di nuovo nella stanzetta con gli inginocchiatoi. Si è congedato dicendomi che avrebbe portato ancora del the. All’interno della stanzetta c’era un piccolo gabinetto dove ho potuto sciacquarmi la faccia. Sono rimasto ad aspettare. Ho pensato ai colleghi d’ufficio. A Renato che si era da poco sposato, a quell’ora era di sicuro in