La seconda madre
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Anteprima del libro
La seconda madre - Romano Alessandra
1
Sono le quindici e trenta.
Mio fratello e io ci guardiamo allarmati.
Nino domanda:
«Perché non è ancora arrivata?».
Cerco di tranquillizzarlo:
«Forse l’hanno trattenuta al telefono. Sai quanto le piace chiacchierare».
Mio fratello Nino sbuffa.
«Ma io devo ripeterle la lezione di storia».
Gli suggerisco di farlo con la mamma.
Mi dice che mamma sta stirando e vuole che la lezione venga ripetuta alla Professoressa.
La Professoressa è una donna severa ma giusta. Molto sorridente di indole, ma incline a rabbuiarsi non appena sbagli qualche calcolo o qualche verbo. È molto buona: oltre ad aiutarci con i compiti ci prepara anche i rustici che ci piacciono. Non è per niente fredda e distaccata, anzi, ama gli abbracci e i baci: se non glieli diamo si offende.
Bussano alla porta. Mentre sono sul punto di andare in camera per terminare i compiti, mia madre mi rimprovera:
«Salutala. Lo sai che ci resta male se non lo fai».
Mio fratello apre la porta e accoglie la Professoressa con un bacio da ruffiano e un pizzicotto sulla guancia. Io accenno il medesimo gesto, presa dal desiderio di fuggire in camera, anche perché so che tra poco inizierà l’interrogatorio.
La Professoressa chiede:
«Sei stata interrogata?».
La Professoressa è fresca di permanente. È venerdì. Il venerdì va sempre dal parrucchiere. Ha un andamento claudicante, eppure dignitoso. Porta degli occhiali grandi che mettono in risalto la sua aria da intellettuale, sotto i quali si intravede un dolce sorriso speranzoso di qualche novità.
«No, non mi hanno interrogato» le rispondo alzando le spalle.
La Professoressa si incupisce, delusa. Guarda mia madre per chiederle conferma. Mamma scuote la testa. Mio fratello si intromette:
«Devo ripeterti la lezione di storia».
La Professoressa lo frena:
«Dopo il caffè».
Sia io che mio fratello sbuffiamo e andiamo in camera per lasciare che la nostra ospite prenda il caffè in pace. La Professoressa è la madre di nostra madre. Nostra Nonna.
2
5 aprile 1936
Quanto piaceva alla piccola Lidia andare sulle giostre a piazza San Pasquale! Saliva sempre sul cavallo, perché simulava bene il movimento di quello vero e poi perché, quasi alla fine del giro, mettevano un anello su un’asta: chi lo prendeva faceva un altro giro gratis. Lei si sporgeva e lo prendeva sempre. Era quello il suo divertimento.
3
Mia cugina Flavia e io siamo con la Nonna nella sua cucina a impastare le zeppole. Flavia vuole portarle alla classe. Questa sua iniziativa l’ha entusiasmata molto: alla nostra Professoressa piace che sua nipote sia una persona di spirito. Dice che Flavia fa le cose con semplicità, perché le piace farle. Ci racconta della gita scolastica a cui l’ha accompagnata, quando mia cugina ha voluto che si sedesse accanto a lei sul pullman e che dopo si mettesse in fila come una scolara. Ci racconta questo aneddoto ridendo, con gli occhi che le brillano. La Nonna è così quando fa le cose con entusiasmo e con amore.
Il giorno dopo viene a trovare me e Nino. Posa la borsa, si toglie il cappotto, si siede e, appena le arriva il caffè, tutta soddisfatta dice:
«Anche le suore si sono leccate i baffi».
4
10 giugno 1940
Lidia stava vestendo la sorellina Maria. Lucia, sua madre, lavorava a maglia. Le note di ’O sole mio gracchiavano dalla radio che troneggiava sul tavolo della sala e Maria le accompagnava ad alta voce. Lidia la trovava snervante, ma cercava di nasconderlo dietro un sorriso.
«Lidia, me la suoni dopo? Ti prego, ti prego» la implorava Maria.
Lidia era incredibile: a dodici anni sapeva già suonare il pianoforte. La canzone che suonava meglio era proprio ’O sole mio.
«Dopo, te la suono dopo».
La sorellina riprese a cantare. Improvvisamente la melodia si interruppe: la voce di Mussolini risuonò dal ventre della radio.
«Silenzio!» intimò loro mamma Lucia.
«Zitta, Maria» l’ammonì Lidia.
Mussolini cominciò a parlare:
«Combattenti di terra, di mare e dell’aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del regno d’Albania…».
Mussolini parlava con un vocione possente e autoritario, ma Lidia lo trovava ridicolo e finiva per fargli il verso tutte le volte che lo ascoltava.
«Shhh… sta dicendo una cosa importante» la rimproverò mamma Lucia.
«Scusa, ma a me fa troppo ridere con quel vocione» e ricominciò a imitarlo.
Maria sghignazzò. Mamma Lucia le zittì di nuovo.
Mussolini, intanto, continuava a parlare:
«La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia…».
«Guerra?» chiese Lidia, allarmata, alla madre.
Mamma Lucia cominciò a sventolarsi con un tovagliolo per l’agitazione:
«Misericordia. Non va bene. Non va proprio bene».
«Perché? È una cosa brutta?» domandò Maria.
Lidia cercò di tranquillizzarla dicendole:
«No, non ti preoccupare. Non ci succederà niente».
Intanto dalla radio:
«Popolo italiano, corri alle armi e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore».
Così Mussolini terminò il suo discorso.
5
Entrata in classe vengo avvicinata dalla mia amica Federica. È sorridente, come suo solito. Comincia a ridere senza fermarsi. Si interrompe solo all’ingresso della professoressa Sorrentino.
Dopo esserci tranquillizzate per non essere state chiamate alla lavagna, la mia amica strappa un pezzo di carta