Dillo ad Arturo
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Info su questo ebook
Grande sportivo e brillante chirurgo.
Saranno queste le uniche due vite di Felice?
Caterina Somma nasce a Roma nel 1967. Dopo il diploma di Liceo Scientifico, studia presso la Facoltà di Ingegneria Aeronautica dell’Università “La Sapienza” di Roma. È giornalista iscritta all’Albo dal 1996, autrice musicale, blogger, istruttrice di nuoto. Lavora come redattrice e coordinatrice per testate nazionali di costume e società, musica e spettacolo, salute e benessere. Le piace raccogliere le storie degli altri e raccontarle a modo suo. Le piace raccontare emozioni.
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Anteprima del libro
Dillo ad Arturo - Caterina Somma
Prefazione
Da bambina nuotavo, nuotavo veloce.
A dire il vero avevo poca resistenza, ma lo scatto era la mia forza.
Volavo sull’acqua. E i genitori che accorrevano alle gare sociali della piscina alle pendici dell’Aventino, il suggestivo colle di Roma, guardavano meravigliati quello scricciolo timido e silenzioso che teneva testa e superava le sue coetanee decisamente più sviluppate e possenti. Però, quando venne il momento di accogliere o meno le proposte di varie società sportive in cerca di giovani talenti, intenzionate ad arruolarmi nella loro squadra, mio padre declinò gentilmente tutti gli inviti. Dopo essersi consigliato con il Direttore e gli altri Soci fondatori della piscina dove avevo imparato a nuotare, il medico che era in lui scelse di non sottoporre la propria unica figlia di soli otto anni a quella che sarebbe stata la vera vita agonistica, fatta di allenamenti quotidiani massacranti, di ore e ore di ammollo e di tutta quella serie di sacrifici che ogni nuotatore professionista pratica, sopporta e spesso arriva a detestare.
A quei tempi non presi tanto bene la sua decisione, e un po’ mi dispiacque non fare del nuoto il mio mestiere, ma quella scelta l’ho sempre considerata un gesto d’amore. Non solo da parte di mio padre, ma anche da parte di quei tre signori che ho sempre annoverato tra i miei papà putativi.
Il nuoto e l’acqua sono rimasti per me esclusivamente fonte di energia, di liberazione, di benessere e di gioia. Mai di stress né di sacrificio. E gli insegnamenti ricevuti dalla pratica sportiva e dalla sana competizione mi sono stati maestri nella vita adulta e mi hanno aiutato ad affrontare difficoltà e problemi, a capire persone e situazioni, a togliermi d’impaccio e gestire l’ingestibile.
Quando mio padre se ne andò, forse un po’ presto a dire il vero, non mi rimase che l’acqua. E con essa gli amici, i maestri e quei tre papà, distanti e discreti, che hanno continuato ad essere per me un’ancora certa in quel mare in tempesta che fu la mia gioventù. Molto di ciò che ho fatto, detto e pensato lo devo al loro esempio. Compresa l’opportunità di incontrare e conoscere Felice Virno.
L’ho raccontato con estremo piacere. Anche perché sono convinta che la sua anima, in fondo, somigli parecchio alla mia. Spero di aver contribuito, con questo libro, a fargli vivere una piccola emozione in più. Sua, oltre che mia.
Introduzione
Lo scorso autunno Felice mi chiese una cosa importante. Aveva voglia di raccontare la sua vita, la sua appassionata, entusiasmante, eclettica vita, e mi chiese di scriverla in un libro.
Non ero certa di volerlo fare, ma accettai più o meno subito, perché già dal primo incontro capii che quello che aveva in mente non aveva nulla di narcisistico, e non sarebbe stata affatto un’autocelebrazione.
Era un desiderio che aveva il sapore dell’ennesimo braccio teso, un ulteriore regalo che il Professore voleva fare a tutti quelli che lo avevano conosciuto o solo incrociato, e perfino a chi non lo conosceva affatto. Il suo intento era quello di trasmettere a quanta più gente possibile l’entusiasmo e la curiosità con cui aveva vissuto la sua lunga esistenza, rallegrandosi dei successi, ammettendo i fallimenti, rendendo onore alla sua famiglia, ai suoi maestri e a tutti coloro che l’avevano amato, incoraggiato, protetto.
Era un fiume in piena Felice. Con fiducia e trasparenza mi inondava di parole, fotografie, libri, ritagli di giornali, filmati, testimonianze video, tra riconoscimenti e attestati, esperimenti e traguardi raggiunti, in un turbinio di personaggi che gli avevano riempito l’esistenza di figlio, fratello, padre, marito, studente, sportivo, chirurgo, ristoratore, lungo tutto un secolo in cui ha visto la luce la moderna chirurgia – la sua più grande passione – alla quale egli stesso ha dato il suo prezioso contributo. Anche quando i nostri incontri volgevano al termine non smetteva mai di aggiungere cose, non avrebbe mai smesso… Ero certa che sarei riuscita a restituirgli presto la gioia che lui aveva dato a me facendomi partecipe della sua vita, eravamo quasi in dirittura d’arrivo, avevano già deciso il titolo del libro, il formato, l’immagine di copertina, mancava solo lo sprint finale.
Poi, nel 2020, il mondo si è fermato. E come tutti mi sono fermata anch’io.
Me ne dispiace tanto Felice, e ti chiedo scusa se non abbiamo fatto in tempo a stamparlo prima che tu decidessi di partire per l’ennesima avventura. Ma la tua storia, la storia che volevi, è qui, nero su bianco, anche se non aveva affatto bisogno di essere scritta per essere ricordata dai posteri. Il libro più bello lo hai scritto tu, di persona, vivendo.
Voglio dirti un’ultima volta grazie. Per l’affetto, l’allegria, ma soprattutto per quel tuo inesauribile, prezioso amore per la vita con il quale hai contagiato tutti quelli che hanno avuto il privilegio di conoscerti, me compresa. Sono certa che andrai fiero di questo libro e certa che ti vedrò sorridere da lassù quando lo leggerai, senza bisogno di occhiali.
"Un uomo eccezionale, come ricercatore, come medico, come atleta.
Ricordo la sua profonda conoscenza dell’anatomia, la sua dedizione alle ricerche, le sue abilità chirurgiche, il suo spirito innovatore. Era simpaticissimo, aveva una grande facilità di rapporto con le persone, era amato da tutti.
Ripenso a lui con sincero affetto fraterno, lieto di aver appreso che abbia voluto raccontare la sua storia in questo libro, che ha concepito come l’ennesimo dono per il prossimo. Un racconto che mi ha rallegrato e commosso, perché mi ha riportato ad un’epoca incredibile, pregna di innovazioni e scoperte scientifiche che come colleghi ed amici abbiamo condiviso, e che lui stesso è stato capace di ricordare attraverso libri, film, manifestazioni.
L’amico Virno: così allegro, positivo, vitale. Pensavo che fosse immortale..."
Gianni Bisiach
1
Questo bambino deve fare il chirurgo
Solo una mamma ha la capacità di vedere così lontano quando ha appena partorito un esserino di un chilo e mezzo che nel 1930 tutti danno per spacciato. Ma lei, a letto con la febbre a quaranta per un’infezione puerperale, non ha dubbi. Appena lo vede decide che il suo secondogenito deve campare perché, sentenzia, «Questo bambino deve fare il chirurgo».
Il destino del piccoletto quindi sembra delineato fin da subito, anche perché corrisponde al percorso naturale riservato al figlio di Vincenzo, professore di Anatomia all’Università La Sapienza di Roma, e di Elena, nobildonna di origini campane, ricca di danaro e di aspettative. E lo spiacevole intoppo dovuto alla nascita sottopeso si supera vendendo un terreno e destinando il contante allo stipendio di una balia, che nel giro di qualche settimana gli dà tutto il necessario per il suo mantenimento, facendogli rapidamente recuperare i chili mancanti alla nascita.
Eppure Felice, ragazzino irrequieto e dislessico, fino a diciassette anni non dava l’impressione di voler esaudire i desideri di mammà. La scuola non gli piaceva affatto, anzi meglio dire che erano le scuole a non piacergli, nessuna di quelle in cui veniva trasferito dopo l’ennesima, irrinunciabile bravata per cui veniva espulso. A posteriori si potrebbe insinuare che le sue spacconate fossero già espressione di qualcosa di grandioso. Andare in bicicletta sul cornicione dell’Istituto Massimo – severissima scuola gesuita di Roma – era già di per sé un atto temerario.
Degli anni della guerra e di quelli immediatamente successivi Felice Virno ricorda poco e niente. Come dargli torto. Ricorda il suo essere discolo, ricorda le azioni volitive della madre e quelle disperate del padre per cercare di dargli un’educazione, ricorda i pochi amici, quelli di sempre, complici delle sue scorribande. Ma niente fame. Niente bombe. E questo non perché fosse di famiglia benestante, né perché a casa sua, a viale Parioli, gli aerei non passassero. No.
Felice dimentica gli orrori e ricorda solo quello che gli serve per andare avanti. Oltre. Perché è quello che gli interessa veramente nella vita: andare oltre. Sfidare i propri limiti, superarli, scoprire una nuova tecnica chirurgica, testarla, perfezionarla, per poi passare ad altro.
Questo è ciò che mi trasmettono le sue parole, i suoi racconti pieni di entusiasmo e di orgoglio, il suo sorriso onnipresente, le sue poche ombre, circoscritte a fatti e situazioni che tutto sommato si contano sulle dita della mano, dovute agli inevitabili dispiaceri che una vita da chirurgo e da novantenne ti riserva. Parla, e racconta, e sorride, e vuole fartela sentire la gioia e l’amore che ha provato nella sua vita, e non si limita a descrivere fatti del passato remoto ma ti trasporta in avanti, nella sua progettualità senza fine, senza indugi, senza timori, né degli affanni né degli anni.
Felice è stato. Felice è, e sarà.
Di nome e di fatto.
Felice con mamma, papà e la balia (1937)
2
Dalle stoffe inglesi al Foro
Era il 1860 quando Michele Virno decise di aprire un negozio di stoffe pregiate in Campania, a Cava dei Tirreni. L’idea si rivelò subito un ottimo investimento e i proventi delle vendite del negozio, frequentatissimo e rinomato, furono più che sufficienti a sfamare i numerosi discendenti del nonno di Felice (quel negozio, convertito in atelier d’Alta Moda, esiste tuttora). Dei suoi undici figli, generati insieme alla moglie Saturnina Galietti, il primo a diventare medico decise di specializzarsi come ginecologo e andò a lavorare agli Ospedali Riuniti di Roma, così come Vincenzo Virno¹, il papà di Felice, classe 1897, che dopo la laurea in Medicina e Chirurgia a Napoli con il massimo dei voti approdò nella Capitale, andando a lavorare come Assistente volontario in attesa di concorso presso la cattedra di Anatomia Umana diretta dal professore ordinario Riccardo Versari², situata a quei tempi in Via Ugo De Petris.
Ritratto di nonno Michele
Il professor Versari, senatore, faceva lezione in abiti rigorosamente fascisti. Che fosse sostenitore convinto o meno delle idee del Duce non ci è dato sapere, anche perché fino alla metà degli anni trenta non c’era da scegliere su quale lato schierarsi, a meno che non si fosse disposti a pagare l’opposizione al regime con l’esilio, il confino, le pene detentive o con la propria vita. Fatto sta che le acclarate simpatie per la dittatura fecero guadagnare a Versari, oltre alla cattedra, un compito di grande responsabilità: quello di seguire la realizzazione del nascente Foro Mussolini, futuro Foro Italico, costruito a Roma dal 1928 al 1932 su progetto dell’architetto Enrico Del Debbio³.
Lezione del professor Versari nell’Aula Magna del Policlinico, assistente Vincenzo Virno
Dopo la maturità classica a Salerno, da studente universitario, Vincenzo Virno aveva prestato servizio militare durante la prima guerra mondiale in zona di operazioni, come Montello sul Piave, in reparti avanzati di Sanità Militare e per questo, in occasione del suo congedo dal servizio militare, venne insignito della Medaglia di Guerra.
Dopo la laurea, conseguita nel 1921, aveva iniziato la carriera universitaria nel campo dell’anatomia presso l’ateneo romano, nel quale rimase poi per cinquantun anni, fino al 1972. Aveva lavorato prima come Assistente e poi Aiuto dell’Istituto d’Anatomia, e per i primi 15 anni fece parte della scuola del senatore Versari.
Fu in quegli anni che capì che l’anatomia umana meritava una seria e profonda preparazione sul piano teorico e pratico, integrata da conoscenze di natura istologica, embriologica e microscopica, arricchita progressivamente dalle varie scoperte che venivano effettuate in campo biologico.
Nel 1930 aveva conseguito l’abilitazione alla libera docenza in Anatomia Umana Normale e nel 1935 venne chiamato all’unanimità dalla Facoltà Medica di Roma a coprire per incarico la Cattedra della stessa facoltà, succedendo poi, in età relativamente giovane, proprio al suo maestro.
Versari quindi, per raggiunti limiti di età, se ne andò prima della fine dei lavori del Foro Mussolini. Il mandato dunque passò a Vincenzo.
Come da programma, il Foro Mussolini fu terminato. Era il 1935 quando Vincenzo consegnò simbolicamente le chiavi della grande opera⁴ al Duce.
Vincenzo Virno il giorno della consegna delle chiavi del Foro Italico a Benito Mussolini
1 Vincenzo Virno (1897-1986), medico e scienziato, nacque a Cava dei Tirreni da Michele e Saturnina Galletti. Primogenito di sette figli, fratello dello scienziato Pio, noto commerciante di abbigliamento al Borgo. Nel ‘26 sposò a Campagna (SA) Elena Maffey, con cui ebbe cinque figli (Michele, Felice, Maria Rosaria, Saturnina e Vittorio). Il suo prestigio deriva soprattutto dalla carriera universitaria presso l’Ateneo di Roma come docente di Anatomia Umana Normale, dal suo fascino di docente chiaro e comunicativo, dalla partecipazione ad Accademie di notevole prestigio e da una produzione scientifica molto ampia (oltre cento pubblicazioni) e di alto livello. Grande persona e grande scienziato, come assertore di principi psichici, spirituali e morali, che costituiscono le qualità superiori dell’uomo, è stato omaggiato dalla sua città natale con l’intitolazione di una strada e con un busto bronzeo nel Palazzo di Città. È stato insignito dalla Presidenza della Repubblica Italiana della Medaglia d’oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell’arte.
2 Riccardo Versari (1865-1945), medico e professore universitario ordinario e onorario di Anatomia Umana a Palermo, Napoli e Roma, Preside di Facoltà, Rettore dell’Accademia Fascista, fu membro tra l’altro della commissione medica delle prime olimpiadi internazionali e del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione
3 Enrico Del Debbio (1891-1973), architetto e professore universitario italiano, negli anni ‘20, ricoprì diversi incarichi nelle istituzioni pubbliche, fu anche consulente del Palazzo delle Esposizioni di Roma e direttore tecnico dell’Opera Nazionale Balilla.
4 All’interno del progetto, oltre alla Scuola di Educazione Fisica, c’erano lo Stadio dei Marmi, la Foresteria Sud (attuale Ostello della Gioventù), la Colonia Elioterapica, i Magazzini di Casermaggio, il Palazzo Littorio di Roma, e più avanti il Palazzo della Farnesina, sede del Ministero degli Affari Esteri. L’Accademia di educazione fisica continuò ad essere ospitata proprio all’interno del nuovo Foro, nei locali della Farnesina (a tutt’oggi palazzo H).
3
L’esperimento dell’Accademia
In qualità di professore di anatomia Vincenzo aveva tutte le carte in regola per svolgere un altro incarico importante: quello di dirigere la scuola per i futuri insegnanti di educazione fisica.
Nata negli anni ‘30, la scuola si era subito guadagnata l’appellativo di Accademia. Titolo che si addiceva di più al ruolo fondamentale che avrebbe assolto, essenziale per il regime. Sarebbe stato