Il prescelto della luna
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Anteprima del libro
Il prescelto della luna - Calastri Flavio
CAPITOLO 1
Temi la luna
La pioggia batteva forte. La mia veste di pelle sporca, graffiata e malmessa era fradicia, ma l’acqua che vi scorreva sopra non bastava a lavar via le numerose macchie di sangue che si erano seccate su di essa. Mentre camminavo per le strada della vecchia città, i miei stivali battevano sulle pozzanghere a terra rimbombando per tutto il viale, accompagnate dalle risate cacofoniche dei miei compagni ubriachi e mentre la luce abbagliante della luna ci illuminava. Quando noi eravamo di ronda, gli abitanti di Acquanera sapevano di non doversi avventurare fuori casa, e si affacciavano di soppiatto dalle tende delle finestre a osservarci, tenendole rigorosamente serrate e con le candele di casa spente. Non eravamo noi il pericolo, anzi, noi eravamo la loro unica speranza di vivere una vita più o meno tranquilla, nonostante il nostro aspetto intimidatorio e i nostri vestiti costantemente sporchi di sangue. Ogni civile sapeva che senza degli esperti cacciamostri non avrebbero potuto avventurarsi fuori la notte con tanta tranquillità. Non che mi importasse, sinceramente. Facevo questo mestiere solo perché era l’unica vita che conoscevo, e perché pagava bene. È vero, ogni notte rischiavo la pelle insieme a questa banda di stronzi con cui avevo passato la maggior parte della mia esistenza, ma non mi importava molto nemmeno di quello. Se una sera, all’improvviso, una delle creature dell’oscurità che cacciavamo fosse riuscita a uccidermi non mi sarebbe cambiato molto. D’altronde, perché mai avrei voluto vivere in un mondo del genere, dove ogni giorno devi combattere per sopravvivere.
In un mondo dove pure noi, cacciamostri che difendono i civili da orrori di ogni genere, si vedono sputare ai piedi o ricevere occhiatacce dagli stessi individui che proteggiamo, troppo soggiogati dalle loro superstizioni e dalle loro piccole menti per capire che eravamo solo dei disgraziati condannati a un lavoro infame, solo perché non conoscevamo altro. Sì, Acquanera mi faceva schifo, a differenza dei miei compagni.
«Ehi! Samoel, parlo con te! Ti sei di nuovo messo a pensare agli affaracci tuoi?!» Mi urlava Tancredi ubriaco fradicio, barcollante e ridacchiante.
«Lascialo stare Tancredi, dopo le cacciate notturne non ha mai voglia di parlare.» Rispose Zacarius riprendendo il vecchio ubriacone per il colletto della giacca di pelle.
Nonostante il suo distaccamento emotivo nei miei confronti, ho sempre trovato stranamente confortante stare con lui. Il suo volto pieno di rughe e cicatrici, i suoi lunghi capelli grigi e crespi uniti alla barba folta e mal curata mi aveva sempre trasmesso sicurezza, come se vicino a lui fossi sempre sicuro di poter raggiungere la fine della giornata, in un modo o nell’altro. Mi domandavo sempre se provasse la stessa cosa per me. La locanda di Porto Lacustre, è lì che stavamo andando. Entrati all’interno, il solito odore di pesce misto a fumi di tabacco mi entrava nelle narici come un verme lesto che ti penetra nel corpo con violenza. Eppure, per me era l’odore di casa, il posto dove ero cresciuto.
«Eccoli qua, i miei cacciamostri preferiti! Gina, versa un bicchiere di whiskey a tutti quanti!» La giovane Gina, poco più grande di me, era una ragazza che lavorava a Porto Lacustre da qualche anno ormai. Aveva i capelli biondi che le arrivavano alle spalle, il naso corvino e degli occhi particolarmente grandi. Oltre alla cameriera, arrotondava occasionalmente facendo la prostituta, finendo a soddisfare le perversioni schifose di tutti i vecchi viscidi come Tancredi che passavano dalla locanda ogni notte. «Sempre bello vederti Fidelia! E sempre bello vedere anche te, Gina! Hic!» Urlò Tancredi in mezzo alla locanda.
Appena entrati, Zacarius, come suo solito, si sedette al bancone in silenzio e iniziò a bere il suo whiskey, ignorando qualsiasi discorso venisse fatto in quel momento.
«Vieni Samoel, ti offro qualcosa io.» Mi disse Jèrvac tirandomi una gomitata al fianco. Jèrvac era l’altro membro del nostro gruppo di cacciamostri. Non era natio di Acquanera, ma proveniva da un lontano continente situato al di là del mare. Raggiunse queste sponde tanto tempo fa a bordo di una nave mercantile, passando i primi anni a lavorare come scaricatore di porto e affrontando tutte le angherie che gli uomini col suo colore della pelle ricevevano giungendo da queste parti. Non che adesso fosse cambiato qualcosa. I suoi capelli neri erano raccolti in una grossa e gonfia coda, e la sua pelle scura era ricoperta di tatuaggi che narravano la sua vita.
«Hai combattuto bene stanotte, Samoel.» Mi disse porgendomi un bicchiere di alcolico.
«Grazie Jèrvac.» Mi ripeteva quella frase praticamente ogni sera. Provava invano a sostituirsi a Zacarius come figura amorevole e paterna nei miei confronti, ma non capiva che a me non importava niente. Non volevo male a Jérvac, ma non sentivo il bisogno di dover avere una figura genitoriale di qualche tipo che mi supportasse in questa vita misera. Mi andava bene stare da solo, anzi. Meno persone mi rivolgevano la parola e meglio potevo continuare la mia giornata.
«Sì, vero Samoel! Hic! Hai combattuto bene stanotte! Hic! Specialmente quando hai appoggiato la canna del tuo archibugio sulla testa di quel succhiasangue e gli hai fatto esplodere le cervella! Hic!»
«Hai ucciso un succhiasangue! Ti prego, raccontami come è stato!» Mi chiese Gina con sguardo flirtante. Ogni sera tentava in vano di portarmi a letto, forse perché mi trovava attraente, o forse perché voleva stringere un corpo giovane e che potesse trasmetterle effettivo calore, di tanto in tanto. Purtroppo per lei, però, non avevo mai avuto intenzione di avere rapporti, e mai ne avrei avuta.
«Non è stato niente di che, sono i proiettili di palladio che fanno tutto.» Risposi alla ragazza. Non cercavo di fare il modesto, dicevo semplicemente la verità. Vi erano diversi modi di uccidere le creature della notte, e i proiettili di palladio erano quelli specifici per eliminare i succhiasangue. Ci ritrovavamo spesso ad affrontarli, specialmente in prossimità della luna piena. Erano veloci, agili ed estremamente forti, perciò non potevamo sperare di sconfiggerli in uno scontro corpo a corpo. I cacciamostri, quindi, crearono la polvere di malachite e i proiettili di palladio, strumenti utili al fine di sconfiggere quelle creature. La prima veniva lanciata nell’aria affinché venisse respirata da essi, creandogli un blocco respiratorio come una sorta di reazione allergica, poi si ricorreva ai proiettili per provocargli gravi ferite che non potevano rimarginare, portandoli così a un’inevitabile morte. Vari cacciamostri tendevano a usare anche altri strumenti per aiutarsi nelle cacce, come Zacarius che tendeva a portarsi dietro delle bombe a mano che emettevano una forte luce accecante all’esplosione, causando confusione e panico nel cuore di qualsiasi creatura notturna.
«Non essere così modesto, sai come combattere. Dovresti prenderti i tuoi momenti di gloria ogni tanto.» Mi disse Jérvac.
«Sì, sì, è bravo il piccoletto! Adesso, Gina, vorrei raccontarti la storia di come ho perso il mio occhio sinistro! Hic!»
«Me la racconti quasi ogni sera, Tancredi.» Le molestie del mio ubriacone compagno di banda vennero interrotte dall’arrivo di un conosciuto individuo di Acquanera. Un anziano dalla schiena ricurva, il cappello storto e i vestiti logori entrò nella locanda, attirando immediatamente l’attenzione di tutti. Lo chiamavamo Schizzato, per via della sua continua abitudine di farneticare storie senza senso e di come fosse palesemente fuggito alla detenzione di qualche manicomio.
«Ci osserva! Ci osserva!» Iniziò a sbraitare appena entrato a Porto Lacustre.
«Oh-oh! Hic! Guarda un po’ chi è venuto a trovarci! Schizzato! Quale storiella vuoi raccontarci oggi, Schizzato?» Disse Tancredi prendendolo sottobraccio e portandolo al bancone con l’unico intento di schernirlo.
«Ci osserva, ricordatelo sempre!» Mormorava il vecchio pazzo.
«Chi ci osserva, Schizzato? Fammi indovinare. È il fantasma di tua moglie che è tornata per vendicarsi! Hic!»
«Tancredi! Non essere così cattivo, lascialo stare!» Urlò Gina infastidita dal comportamento dell’ubriacone. «Cosa? Ma lo sanno tutti che è stato lui a uccidere sua moglie!» Fidelia prese un grosso cappotto di pelle attaccato al muro e lo mise sulle spalle di Schizzato, e lo accompagnò a un tavolo aiutandolo a sedersi. «Sono solo dicerie quelle, Tancredi. Finché non sapremo la verità, tratterò i miei clienti allo stesso modo. Pazzi o non pazzi.» Rispose Fidelia con tono deciso. L’ora si era fatta tarda, e per me venne il momento di andare a riposare.
«Vado a letto.» Dissi mentre mi alzavo dallo sgabello del bancone. Mentre mi dirigevo verso le scale che conducevano alle camere di sopra, passai vicino a Schizzato che, prontamente, mi afferrò il braccio con la sua mano sporca a callosa.
«Temi la luna, figliolo. Lei ci osserva sempre!» Ripeteva quella frase ogni qual volta incontrava qualcuno. Non avevo idea di cosa girasse per la mente di quel pazzo, e sicuramente non avevo né tempo né voglia di scoprirlo. Mi diressi alla solita stanza in cui vivevo da quando ero piccolo: una camera logora adornata