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Il viaggio di Angelo
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E-book226 pagine3 ore

Il viaggio di Angelo

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Info su questo ebook

Ovunque andasse brillava per Angelo una buona stella. È l’estate del 1958. Angelo, un bel ragazzo di ventisette anni, abita in un piccolo paese del Sannio, Guardia Sanframondi, dove Piazza Castello è per tutti il punto di incontro e di ritrovo. Le sue giornate si alternano dietro alle donne, sposate o meno che fossero, a fare a chiunque scherzi di cattivo gusto e, soprattutto, a giocare d’azzardo, principalmente a carte. Ad un certo punto si trova tanti soldi in tasca e comincia a dissiparli con donne, cene e gioco d’azzardo. Poco tempo dopo non tardano ad arrivare i debiti. Poi un giorno, improvvisamente, capisce che deve cambiare totalmente stile di vita. Si ritrova prima in Venezuela, poi in Colombia e, quindi, in Guatemala dove conosce la donna della sua vita e un uomo, un italo-americano, decisamente speciale.  Quando sembra andare tutto bene, si mette nuovamente nei guai ed è costretto a trasferirsi negli Stati Uniti dove cercherà, spostandosi spesso, una sua dimensione e un posto sicuro per la sua famiglia. In questo suo peregrinare avrà a che fare con tante persone, alcune delle quali molto singolari. La sua è una vita movimentata, avventurosa e ricca di emozioni; una vita straordinariamente intensa ma, fortunatamente, sempre accompagnato dalla sua buona stella…

Annibale Falato è nato a Guardia Sanframondi (BN) nel 1955.  All’età di sei anni il lavoro di insegnante del padre lo porta a Roma dove vive tuttora con la sua famiglia. Dopo avere assolto il servizio militare come ufficiale di complemento nel corpo dei carristi presso la Scuola Truppe Corazzate di Caserta, si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli. Da oltre trent’anni esercita la professione forense e dal 2002 è avvocato cassazionista. Da sempre profondamente legato al suo paese, in particolare con la casa paterna, edificata dal bisnonno in aperta campagna, dove si reca spesso. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Storia di Antonio della Portella (Gruppo Albatros il Filo), che ha ricevuto, nell’ambito del Premio Internazionale Casentino 2021 riservato ai romanzi editi, il riconoscimento di segnalazione particolare della giuria.
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2021
ISBN9788830656376
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    Anteprima del libro

    Il viaggio di Angelo - Annibale Falato

    Prefazione

    Nella cosmologia dell’autore il posto speciale, il luogo dell’anima, lo occupa il suo paese d’origine, Guardia Sanframondi, e casa sua, il Quasino, un casale dove ha trascorso un’infanzia che i ricordi hanno reso mitico e dove ogni pietra conosce la saga della sua famiglia.

    Annibale Falato è una toga prestata alla letteratura che ha aperto a tutti noi lo scrigno dei suoi ricordi. Ci ha spalancato un mondo di memorie che noi tutti custodiamo come inconscio collettivo della nostra comunità di origine; Guardia Sanframondi nel Sannio, il natio borgo selvaggio.

    L’autore ha richiamato alla memoria la realtà di una terra contadina abitata da gente fiera della fatica di ogni giorno, mai rassegnata, capace di grandi imprese e di generose avventure. Quello che sorprende è che la memoria dell’autore è riuscita miracolosamente a conservare riti e miti, usanze contadine arcaiche, riuscendo a descrivere, con la precisione di Columella, la fatica degli agricoltori, che tutto conserva, mantiene, cura, trasforma. Annibale racconta la vita dei suoi avi con la precisione di uno storico analista che vuole superare gli sbarramenti che separano la storia tradizionale dall’economia e dalla sociologia. È una storia racconto e una storia di avvenimenti, per descrivere una civiltà contadina che sa andare oltre se stessa.

    In una famiglia abituata alla disciplina del duro e avaro lavoro della terra, nasce Angelo, che ha in sé tutta la forza e la debolezza della gioventù. È bello, sfrontato, pur non avendo alcun particolare talento, ha ardimento ed un prodigioso slancio vitale; ha voglia di crescere, di vedere il mondo e di vivere la sua avventura. La vita come mezzo di conoscenza. Con questo principio nel cuore si può non soltanto valorosamente, ma anche gioiosamente, vivere e gioiosamente ridere (F. Nietzsche, La Gaia Scienza).

    Il paese gli sta stretto, la vita dura della campagna non fa per lui e nemmeno quella del vitellone provinciale di felliniana memoria. Scalpita, corre, fugge perché ogni giovane, come Tonio Kroger di Thomas Mann, è portatore per mille modi di esistere. Va a Roma, gli mancano i capitali, ma non la capacità imprenditoriale di confrontarsi col mondo degli affari. Capisce che deve fare il grande salto, non si lascia intrappolare dal disegno dei padri, dalle ansie familiari o dalle preoccupazioni dei fratelli. La mappa del mondo è il suo orizzonte e così affronta un viaggio che diventa romanzo di formazione, un percorso individuale e irripetibile.

    L’autore ci squaderna la sua bulimia di conoscenza e di avventura, di cadute e di risalite, di successi e di sconfitte, in cui il protagonista, partito dalla piccola comunità sannita, si trova a vivere e a sopravvivere in America Latina, nella foresta amazzonica, tra piaghe e punture di insetti, riducendo il suo corpo ad un’ombra sofferente e infetta, per poi finire il suo Wandern romantico a Los Angeles, riuscendo a dribblare le lusinghe di facili ricchezze fattegli intravedere da solerti connazionali malavitosi. Angelo ha compiuto l’impresa, il giovane uomo ha divorato la vita ed è andato oltre i maestri, per cercare la chiave definitiva del mondo e della sua vita: ha vinto la lotteria con se stesso per essere artefice del proprio destino, oltre ogni limite. La cifra umana di Angelo, il suo riscatto, lo vedo nel rapporto privilegiato con il nipote, un ragazzo in cui si rispecchia, ritrovando nei suoi occhi la sua innocenza e con cui compie un mitico viaggio on the road, da est ad ovest, per rivedere l’America e forse rivivere la sua vita.

    Angelo, nato a Guardia Sanframondi, con il mondo come destinazione e realizzazione.

    Armida Filippelli

    Assessore regionale alla Formazione Professionale

    della Regione Campania

    Capitolo 1

    Quanto hai davanti?Non lo so – rispose Angelo preoccupato. Poi, dopo avergli dato una breve occhiata, aggiunse – Circa tremila lireContali per favore – Infastidito all’inverosimile, facendo appello a tutta la sua pazienza, lentamente li contò – Sono tremilacentocinquanta lireAllora rilancio di tremilacentocinquanta lire. Angelo rimase pensieroso. Per quei tempi era una bella sommetta. Si prese il suo tempo. Erano i suoi ultimi soldi. Guardò a lungo il suo avversario cercando di carpire dalle espressioni del volto o da qualche gesto involontario un qualche indizio. Certo il suo tris di donne non era un gran punto ma poteva essere sufficiente nel caso di un bluff. Dopo avere riflettuto a lungo arrivò alla conclusione che, sicuramente, il suo avversario, vedendo che era rimasto con gli ultimi soldi e che, quindi, avrebbe fatto un gioco cauto, se ne voleva approfittare per cui, rompendo ogni indugio, spingendo al centro del tavolo tutti i suoi soldi, con tono di sfida, guardando fisso negli occhi l’altro giocatore, disse: VedoNon aspettavo altro – lo schernì questi mostrando contemporaneamente una scala massima. In quel momento Angelo lo avrebbe ucciso tanto era la rabbia e l’odio che provava. Gli altri giocatori, a loro volta, ironizzarono sul fatto che, ingenuamente, fosse caduto nel trabocchetto. E questi sarebbero i miei amici - pensò Angelo - gente che gode a vederti in difficoltà e che cerca di affossarti il più possibile per ridere poi delle tue disgrazie. Maledetti stronzi; vi detesto.

    Tutto questo si svolgeva a Guardia Sanframondi, un piccolo paesino del Sannio situato su una collina al lato nord della valle telesina. A guardarlo da lontano poteva sembrare una piovra attaccata tenacemente con i suoi lunghi tentacoli sopra ad uno scoglio. Un antico e misterioso castello, ridotto ad un ammasso di pietre, coperto quasi completamente di edera e di ogni altro tipo di erba rampicante, dominava solennemente il borgo. Le case, costruite tutt’intorno, sembravano reggersi l’una all’altra in un perenne stato di precario equilibrio. A ben guardare non c’era un muro che fosse a piombo né una strada in piano. Tutto era costruito in pietra; le case, le strade, le fontane. Pietra bianca locale che, a forza di passarci sopra da secoli, era diventata liscia e scivolosa e questo sia d’estate che d’inverno.

    Era l’estate del 1958. Angelo, un bel ragazzo di ventisette anni, terminata nel modo peggiore possibile la partita di poker, si tratteneva ancora, insieme ai giocatori e ad altri suoi amici, in Piazza Castello, nei pressi della fontana del popolo, a godersi la frescura delle ore serali seduto su uno dei tanti gradini di pietra bianca posti all’ingresso delle varie abitazioni. In realtà lui abitava nel rione Piazza, vicino al Santuario dell’Assunta, ma il posto centrale era quello e costituiva per tutti il punto di incontro e di ritrovo.

    Si era fatto tardi. La piazza si era completamente svuotata. Anche l’ultimo bar aveva chiuso. La popolazione, costituita per la quasi totalità da contadini, era già a letto da tempo a riposare dato che la mattina successiva si doveva svegliare all’alba per andare a lavorare nella campagna propria o altrui. Anche per loro, che studiavano o erano nullafacenti cronici, sarebbe stata l’ora giusta per andare a dormire ma nessuno voleva allontanarsi per primo. Il motivo era chiaro; tutti sapevano che il primo che si fosse allontanato sarebbe stato oggetto di feroci critiche e pettegolezzi. Era la prassi.

    In un momento di assoluto silenzio, l’orologio del campanile della chiesa di San Sebastiano, situato nei pressi, li sorprese con dodici lenti rintocchi. Il giorno era finito e un altro stava per iniziare.

    Angelo, come improvvisamente destato, realizzò che, vivendo in quel modo e in quel luogo, stava sprecando i migliori anni della propria vita. In quel piccolo paese, non riusciva a immaginare per lui alcun futuro.

    I genitori avrebbero voluto che studiasse e diventasse un professionista. Grazie a loro aveva frequentato diverse scuole, vicine e lontane: dal Liceo Scientifico Luigi Sodo di Cerreto Sannita al Liceo Scientifico Alvise Cornaro di Padova. Di queste scuole serbava ricordi belli e altri poco edificanti. Al liceo di Cerreto Sannita, per esempio, distante sette chilometri circa da casa sua, era andato e tornato quotidianamente in bicicletta attraversando a piedi, con la bici in spalla, diversi torrenti dato che i tedeschi in ritirata avevano fatto saltare tutti i ponti che ancora non erano stati ricostruiti. Non trovandosi bene in quel liceo era riuscito a convincere i genitori a mandarlo a studiare a Padova insieme ad un suo amico del paese. In entrambi i casi, però, non era riuscito a conseguire la licenza liceale e ciò non per mancanza di capacità intellettiva ma solo per una sorta di pigrizia mentale. La sua scala di valori era completamente falsata; dava molta importanza allo svago e al divertimento e poco allo studio e all’impegno. Quando il padre si accorse che, a distanza di qualche anno, a differenza del suo amico, non era riuscito a conseguire la maturità scientifica, lo fece ritornare al paese; almeno non avrebbe sperperato inutilmente altri soldi.

    Lasciati gli studi, per cercare un’occupazione, Angelo era andato a Roma dalla sorella maggiore Filomena che vi si era trasferita pochi anni addietro assieme al marito e alla figlia. Tutto sommato era una persona intraprendente e, nonostante le difficoltà economiche generali del momento, riusciva a guadagnare molto bene. Era in possesso della patente di guida per il camion, che aveva conseguito sotto le armi dove aveva fatto il carrista e, per quel tempo, la cosa non era comune. Fu, quindi, subito assunto da una rinomata ditta di acqua minerale e iniziò a fare per questa le consegne ai vari bar e ristoranti di Roma acquisendo una conoscenza approfondita delle strade e facendo amicizia con tantissime persone. Nel frattempo, contando sulla sua prestanza e fascino, tentò la strada dello spettacolo inviando sue foto, fatte in diverse pose, a diverse riviste. Purtroppo, mancando delle giuste conoscenze, la cosa non ebbe alcun seguito. Per incentivare il lavoro, oltre al fisso, era prevista una provvigione sulla merce consegnata. In quel momento gli stipendi medi si aggiravano sulle quarantamila lire al mese; lui riusciva a portare a casa quasi centomila lire. Ma, ciò nonostante, non era in grado di risparmiare neppure una lira. Il problema era sempre lo stesso: spendeva più di quello che guadagnava.

    La sua educazione provinciale, poi, lo penalizzava oltremodo. Dopo poco tempo che stava a Roma, aveva conosciuto una ragazza molto carina di buona famiglia, il cui padre era titolare di una delle prime ditta che confezionava e vendeva abiti da uomo "pret a porter" con sede in Piazza Vittorio Emanuele. A lui la ragazza piaceva moltissimo; inoltre era educata e gentile per cui cominciò a frequentarla assiduamente. Dopo qualche tempo questa, volendolo presentare alla madre, lo invitò a casa sua per il pomeriggio. Angelo, messo l’unico vestito buono che aveva, andò fiducioso. Era un bel ragazzo affascinante e piaceva molto alle donne; avrebbe fatto sicuramente colpo anche sulla madre della ragazza.

    Si aspettava di entrare in una casa normale, del genere di quelle che aveva visto tante volte, ma la cosa si presentò in maniera totalmente diversa. Si trovò davanti un appartamento grande e molto elegante. Lui non aveva mai visto cose del genere. Mobili antichi e di classe, argenteria ovunque, pesanti lampadari di cristallo che pendevano dal soffitto, molti tappeti distesi sul pavimento e lunghe tende damascate con mantovane alle finestre e ai balconi. Si sentì decisamente in soggezione. Accolto con gentilezza e cortesia fu fatto accomodare sul divano del salotto. C’erano anche altre signore, amiche della padrona di casa, delle quali ignorava l’identità. La madre della ragazza, incuriosita dall’interesse della figlia per quel ragazzo, prese posto accanto a lui e cominciò a dialogare del più e del meno cercando di conoscerlo un poco. Lui rispose educatamente ad ogni domanda sforzandosi di non dire sciocchezze. Certo la sua cadenza nel parlare, a differenza di quella della signora, tradiva la sua origine meridionale ma la cosa, in fin dei conti, poteva anche risultare simpatica. Lui era sempre stato un tipo sfrontato e molto sicuro di sé. Tuttavia in quella circostanza, per la prima volta nella sua vita, si sentì come un bambino smarrito. Non era a suo agio e la sensazione che provava era come quella di uno che aveva indossato scarpe molto strette. Ad un certo punto arrivò la cameriera con un vassoio che appoggiò sul basso tavolinetto di marmo del salotto. Lui osservò incuriosito con la coda dell’occhio e vide che c’erano diversi contenitori e qualche tazza su dei piattini. Si trattava del tè con il quale lui non aveva mai avuto a che fare. Ne aveva sentito solo parlare qualche volta dai suoi amici quando questi facevano riferimento agli inglesi e alle loro abitudini ma, personalmente, non l’aveva mai bevuto. Oltre alla teiera e alle tazze notò che, vicino alla zuccheriera, c’era un piccolo bricco con del latte e un piattino con alcune fette di limone infilzate da uno stuzzicadenti. Accanto al vassoio del tè, poi, ce n’era un altro con dei pasticcini secchi.

    La padrona di casa, servendogli il tè nella sua tazza, gli chiese se preferiva il latte o il limone. Nella sua ignoranza, per non sbagliare, rispose - Tutti e due grazie - suscitando orrore e, nel contempo, l’ilarità delle persone presenti. La madre della ragazza, bonariamente, per toglierlo dall’imbarazzo, suggerì con un sorriso di mettere solo il limone. Educatamente nessuno gli aveva detto nulla ma dagli sguardi che si erano scambiati capì di aver fatto qualche gaffe.

    La cosa, comunque, non sembrava grave e la ragazza, innamorata di lui, cercò di non farglielo pesare ma Angelo, preso atto della sua assoluta inadeguatezza, sentì un profondo sentimento di vergogna e, anche se a malincuore, preferì non vederla più così da evitare ulteriori e sicure umiliazioni. Inoltre, il solo pensiero di portare lei e la sua famiglia a casa sua al paese lo faceva stare male.

    Capitolo 2

    Dopo qualche tempo, tornato dai genitori, forse anche per dimenticare quanto lo avesse deluso l’esperienza romana, aveva iniziato a condurre una vita sconsiderata. Passava le giornate a correre dietro alle donne, sposate o meno che fossero, a fare a chiunque scherzi, il più delle volte di cattivo gusto e, soprattutto, a giocare d’azzardo; principalmente a carte.

    Baccarat, Chemin de fer, Poker; giochi d’azzardo rischiosi che gli facevano provare forti sensazioni e lo aiutavano a sconfiggere la noia che incombeva pesantemente su tutto e su tutti.

    Ma per giocare ci voleva il denaro e in qualche modo doveva procurarselo. E così iniziò a rubacchiare in casa i soldi che trovava in giro e piccoli oggetti d’oro. La madre, accortasi della cosa, senza dire nulla al marito, cercava di nasconderli negli anfratti più reconditi ma non c’era verso; Angelo era in grado di trovarli ovunque. Tuttavia nella zona la cosa più preziosa e di immediato smercio era l’olio di oliva. I suoi genitori, che ne producevano in grande quantità, come tutti gli altri lo conservavano in enormi contenitori di metallo detti ziri per poi venderlo, un poco per volta, in base alle esigenze.

    Più volte Angelo e i suoi amici, per poterlo vendere e racimolare dei soldi, avevano sottratto qualche tanica d’olio da uno degli ziri della propria famiglia sostituendolo con dell’acqua, che, più pesante dell’olio, andava a fondo, in modo da mantenere costante il livello che era stato diligentemente segnato. In genere i prelievi, nel corso dell’intero anno, si limitavano a due o tre decalitri al massimo e la presenza dell’acqua, anche se con molti dubbi, veniva attribuita al frantoio che aveva lavorato le olive.

    Un anno, però, Angelo aveva decisamente esagerato ed era stato costretto a scappare e rimanere fuori casa, senza farsi vedere, per più di una settimana. Il padre, arrivato il momento buono per vendere l’olio, aveva scoperto, con orrore, che uno degli ziri era, per quasi la metà, pieno di acqua. Benché questi fosse la persona più pacifica, comprensiva e tollerante di questo mondo, quel giorno era stato seriamente tentato di tirargli una fucilata.

    Una vita sregolata, oziosa e scostumata, come conseguenza porta ad avere sempre meno scrupoli. Morto prematuramente il padre nel 1956, anziché pensare al futuro, aveva immediatamente venduto i terreni lasciatigli in eredità ricavandone un cospicuo capitale. Non aveva alcuna voglia né capacità di continuare a

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