Evaristo - E la Pietra Filosofale di John Deacon (II)
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Info su questo ebook
Il dottor Franco non mollerà facilmente la sua più geniale creatura, anche se non lavora più per il Vaticano. Sa bene che il mondo ha bisogno di nuovi eroi.
Cosa accade a un paese quando i suoi leader monarchici iniziano a parlare romanesco e grattarsi le natiche reali?
Tutto questo - e poco altro - nella seconda imperdibile puntata del vostro nuovo fumetto preferito!
Ah già, questo è un romanzo.
Allora niente, sarà per la prossima.
Walt Popester
Classe 1985, Walt Popester ha navigato per anni in giro per il mondo, lasciando che le differenti culture, lingue, cucine, architetture e religioni contaminassero il suo modo di concepire l'esistenza e di scrivere. La saga Dark Fantasy ‘Dagger’ è il risultato di sette anni di ininterrotto lavoro, tra stedure ed editing continui, passati quasi interamente a cercare l’elemento esotico e il punto di rottura con la tradizione. Non ha gatti, non ha una coda da cavallo, ha un debole per l'Italia centrale e, quasi di conseguenza, pensa che una persona non dovrebbe avere più amici di quelli che può ospitare alla sua tavola.
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Anteprima del libro
Evaristo - E la Pietra Filosofale di John Deacon (II) - Walt Popester
John Deacon camminava stringendosi il bavero intorno alla gola, quella tarda sera di inizio novembre. Passati erano i tempi in cui indossava improbabili calzoncini anni ‘80 sui più importanti palchi del mondo. Adesso voleva solo essere lasciato in pace.
Entrò dal tabaccaio, quello nuovo che aveva aperto su X street. … ‘evening, sir
, disse, e indicò un pacchetto di sigarette.
Il tabaccaio in principio non lo riconobbe. 6.99
, rispose distaccato. Poi alzò il viso. Allora strabuzzò gli occhi, ma per un po’ fece finta di niente.
John Deacon sorrise. Aveva già visto questa scena un milione di volte e, anche se ormai lo aveva stancato, ci trovava sempre qualcosa di buffo.
Avanti, domandamelo figlio di una buona donna, pensò.
Sir
, domandò finalmente quello. Lei non è John Deacon, il bassista dei Queen?
John annuì, e il tabaccaio si portò le mani al volto, prima di costringersi a mantenere la calma. Iniziò a muovere le mani come un qualunque italiano. "Che onore averla qui, mia nipote impazzisce per le canzoni dei Queen, gli piace tanto quella che fa naaa naaa, naaa naaa, nà nà!"
Dentro di sé John alzò gli occhi al cielo e disse: Il giorno che diranno che gli piace Pain Is So Close to Pleasure sarà un bel giorno. Be’, devo dire che sua nipote ha dei bei gusti musicali
, disse invece, pacato come sempre. Quanti anni ha?
Sei.
Oh, che dolce.
Quando il tabaccaio gli porse un qualunque foglio di carta con penna, John lo prese, chiese il nome della dolce creatura, e scrisse una dedica cortese e gentile come ogni cosa nella sua magnifica, schiva persona. Sarebbe tornato in quella tabaccheria e avrebbe portato qualche regalo per la bambina, la prossima volta. Era così che faceva John.
Afferrò il pacchetto di sigarette e disse: Allora mi raccomando, salutala da parte mia e dille di continuare così.
Sorrisi, saluti imbarazzati, silenti sposami John amo i Queen di rito.
Poi John Deacon imboccò la strada di casa, passo veloce, testa china.
Una macchina sgommò dietro di lui in lontananza. John accelerò il passo, desideroso solo di tornare sotto il tetto della propria abitazione. Li riconosceva dagli pneumatici ormai.
Presto, è John Deacon!
urlò una voce dietro di lui.
Cosa sta facendo!?
Pare abbia delle sigarette!
Oh mio dio, delle sigarette?!
Flash di fotografi.
John si girò e ringhiò, nascondendo il volto con l’avambraccio. Sparì in un vicolo facendosi scudo col mantello.
Anche camuffato in quel modo continuavano a riconoscerlo e a dargli la caccia. Lo avrebbero fatto, forse, finché sarebbe vissuto.
Presto, è sparito di lì!
John si appiattì contro il muro e attese che gli passassero davanti. Erano distratti e superficiali, non come ai suoi tempi. Lo cercavano, cercavano il senso della sua vita e della sua musica, il significato di You’re My Best Friend; e quando proprio ce l’avevano sotto gli occhi passavano oltre perché avevano già perso interesse. Così tante cose da vedere, così poco tempo per farlo. Da una generazione che aveva imparato a mandare avanti le pubblicità su Yousuck prima ancora di parlare non si aspettava più molto, ma non lo pensava con rabbia. In fondo vedeva quel germe di superficialità anche nei suoi nipoti, per i quali provava un amore che sfiorava la venerazione.
La rabbia di John Deacon era interna, silente, e per questo ancor più terribile.
Quando i sedicenti paparazzi sparirono, lui emerse dall’oscurità e tornò sui propri passi, camminando in direzione contraria a quella in cui erano spariti.
Forse avevano già quello che gli interessava, il loro scatto del giorno con John Deacon depresso, solitario o scontroso, che guardava tutti in cagnesco e si era chiuso nel suo mondo di silenzio. Gne gne, John Deacon qua, John Deacon là.
Non capivano, non potevano capire. La cosa più grave è che forse non avrebbero mai capito, e avrebbero continuato a canticchiare quelle tre o quattro canzoni dei Queen in mezzo a quelle due o tre di Ed Sheeran. Non ce l’aveva con quel ragazzino, ben inteso, alla fine era figlio della sua generazione e in quello era molto bravo. Se poteva, John Deacon non criticava mai nessuno, riservandosi sempre il dovere di pensare che era lui a non capire.
Arrivato al portone di casa, infilò la chiave nella toppa e la girò.
Solo allora notò il foglio di carta appiccicato sul legno davanti ai suoi occhi: l’impronta di una mano nera, e sotto la scritta Sappiamo Cosa Hai Fatto.
Si voltò.
Vide la sagoma ombrosa di un gatto sul tetto del palazzo davanti a lui. Sembrava guardarlo, come aspettando che dicesse qualcosa.
Ma quello era solo un gatto.
E lui era solo John Deacon.
* * * * *
I
Il Bene Assoluto si svegliò anche quel giorno, come faceva sempre. Aveva un aspetto chiaro, cristallino, cioè chiunque a vederlo avrebbe detto che quello era il Bene Assoluto, lo era davvero. Rideva di cuore, non aveva pregiudizi, e prima di prendersela con gli altri a ogni buona occasione si domandava sempre se non avesse sbagliato da qualche parte. Cosa che raramente capitava, ma che a volte sì, capitava, giusto per non cadere nell’errore di ritenersi perfetto. Perché al Bene Assoluto non piaceva essere davvero assoluto. Era abituato a dire quello che pensava, soprattutto quando questo non piaceva, però senza arroganza, senza imporsi, cercando di essere il più assertivo e rispettoso possibile dell’indole altrui. Trattava tutti alla pari, e quando chiedeva la tua opinione voleva davvero saperla. Votava sempre. Si metteva in gioco, pensando che l’inferno era pieno di ignari e pusillanimi, ma lui avrebbe combattuto la propria battaglia anche al costo di farsi male, perché era normale avere degli ideali e lottare per essi, erano gli altri che sbagliavano a morire di arrendevolezza. Se doveva scegliere tra essere giusto o gentile, sceglieva sempre di essere gentile. Era dalla parte dei bambini, e di chi non aveva i mezzi per difendersi da sé, e in generale faceva di tutto per incoraggiare la vita quando nasceva e rischiava di essere calpestata, deviando il proprio percorso per non disturbare le formiche a terra o per non schiacciare un fiore appena sbocciato.
Raramente guadagnava più di mille e trecento euro al mese, ma ogni tanto al Bene Assoluto piaceva sbagliare la mira e per quell’occasione si era incarnato in Magda Digiovanni, la vecchina svampita di cui sopra, che prima di andare in pensione aveva salvato il mondo un bambino alla volta.
Anche quella mattina Magda guardò la casa vuota, domandandosi perché gli apparisse così vuota. Non ricordava di che natura fosse l’amico che veniva sempre a trovarla, però istintivamente ogni mattina poneva una ciotola di latte davanti alla porta.
Ma Evaristo voleva stare da solo, quei giorni.
Tornava a controllarla, di tanto in tanto, e senza che se ne accorgesse le lasciava la spesa davanti alla porta, oppure entrava di soppiatto in casa per controllare che non avesse lasciato il gas acceso, o che tutto sommato stesse ancora bene.
Per il resto vagava e fuggiva, come tutti coloro braccati dai conti in sospeso della vita.
Al tramonto si stendeva sui gradini di Piazza Trilussa, dove spesso i ragazzini di Roma giocavano nell’arte di vivere veloci e prendersi a bottigliate; odore di ormoni e birra nell’aria legati da un filo di fumo, polvere di stelle. Anche quella sera si lasciò avvolgere dal vociare confuso cercando di estrarne le singole parole. Alla sua sinistra sentì una ragazza pronunciare: Perché non mi ami?
A destra invece: "A me piace essere obiettiva nelle cose, Stairway to Valhalla è uno dei migliori album metal che abbia mai ascoltato, non sbaglia un colpo, cioè non capita spesso che di un album ti piacciono proprio tutti i pezzi, il