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Oscure presenze a Yorktown: I misteri di Yorktown
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E-book318 pagine4 ore

Oscure presenze a Yorktown: I misteri di Yorktown

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Info su questo ebook

Yorktown non era più la stessa. La morte di Corey Blake fu il principio del cambiamento. Le incredule scoperte fatte dallo sceriffo Russell Valentine furono assimilabili a un terremoto, la terra trema e si riassesta a proprio piacimento. Eppure la vita a Yorktown proseguiva, gli ignari su quanto di malvagio li circondasse si facevano trasportare dagli eventi senza possedere la cognizione di causa per fermarsi a riflettere. La notte appena trascorsa apriva a nuovi scenari, un uomo senza nemmeno volerlo si ritrovava alla guida del carro con un percorso già ben tracciato. La verità, la fine di quella brutalità, questo cerca lo sceriffo di Yorktown per riuscire a mettersi tutta la vicenda alle spalle e pensare in un roseo futuro. L’incubo a occhi aperti continua per lui e per chi sa.
LinguaItaliano
Data di uscita14 giu 2017
ISBN9788826454788
Oscure presenze a Yorktown: I misteri di Yorktown

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    Anteprima del libro

    Oscure presenze a Yorktown - Angelo Vertolli

    Pascoli

    PREMESSA:

    Questo romanzo è l’evoluzione dei fatti narrati in Chi ha ucciso Corey Blake. Rappresenta in senso pratico il secondo romanzo di una trilogia, dove sono narrate le vicende dello sceriffo Russell Valentine che si ritrova a scavare nella sabbia per scoprire la verità e chi si nasconde dietro le persone uccise durante la narrazione del qui scrittore. Gli eventi riprenderanno temporalmente dall’epilogo del precedente romanzo e faranno parte di un’unica storia. Con questo auguro un buon divertimento ai lettori interessati ancor più dello sceriffo Valentine a scoprire cosa si nasconde dietro tutta la vicenda.

    ****************

    Yorktown non era più la stessa. La morte di Corey Blake fu il principio del cambiamento. Le incredule scoperte fatte dallo sceriffo Russell Valentine furono assimilabili a un terremoto, la terra trema e si riassesta a proprio piacimento. Eppure la vita a Yorktown proseguiva, gli ignari su quanto di malvagio li circondasse si facevano trasportare dagli eventi senza possedere la cognizione di causa per fermarsi a riflettere. La notte appena trascorsa apriva a nuovi scenari, un uomo senza nemmeno volerlo si ritrovava alla guida del carro con un percorso già ben tracciato. La verità, la fine di quella brutalità, questo cerca lo sceriffo di Yorktown per riuscire a mettersi tutta la vicenda alle spalle e pensare in un roseo futuro. L’incubo a occhi aperti continua, scuotendo l’esistenza di quei personaggi che impressi su carta posseggono una propria anima.

    ****************

    PROLOGO

    La fervida notte su Yorktown iniziò a schiarirsi. Il primo riverbero del mattino offriva un visibilio per gli occhi, così da alleggerire un animo pesante, una sacca riempita fino all’orlo con dolori e inaspettati sensi di colpa. I primi colori comparvero nel cielo, stupendi, scacciando lontano le tenebre ma non le amarezze. Fu quello il sentimento che più si evinceva nel suo animo ormai contraffatto.

    Camminò a testa bassa con il cuore in pena. Cercò di scalciare lontano il logorante sentimento senza riuscirci. Ci provò in ogni modo, rimembrando di continuo che la strada intrapresa fosse l’unica giusta e perseguibile. Se lo ripeté a ogni rintocco della lancetta, così da convincersi a crederci. Non c’era modo di riuscirci, lo sapeva bene, le frustrazioni dentro di sé parlavano ben chiaro.

    Alla fine arrivò dove il proprio animo la trascinò. Si fermò a osservare quella lapide rimembrante un pensiero impossibile da dissolvere nell’aria come quando si spargono le ceneri. Pizzicò violentemente la propria mano, la sinistra, ricercando un dolore troppo esile se confrontato a quello provato dentro. Si domandò da dove provenisse quel angustio dolore, se dal cuore oppure dalla testa. La fotografia sulla lapide esponeva idillicamente l’animo di chi riposava per sempre sotto quella terra macchiata dal sangue. Corey Blake era il suo nome, lo sguardo nella fotografia la sua essenza. Una lacrima discese delicatamente sul volto, era leggera ma carica di straziante dolore. L’asciugò per vergogna, anche se avvertì un sentimento liberatorio nel lasciarla granire limpida e cristallina. Donò un fiore alla lapide, un gelsomino che ben presto si sarebbe seccato e morto come ormai accadeva troppo frequentemente.

    Si guardò attorno prima d’inserire la chiave nel cilindro. Via libera, non notò nessuno che potesse ravvedersi della sua figura. La porta si aprì e penetrò nelle tenebre di una casa morta come chi la rallegrava. Gli avvolgibili erano stati tutti abbassati, così da impedire ai raggi solari d’illuminare le mura che piangevano sangue. Passò alla cieca una mano sul muro, pigiò un tasto e un click precedette il diradarsi del buio. Sbatté la porta e sgranò gli occhi e si fermò a osservare l’ambiente malinconico che non apparteneva più a nessuno. La mestizia fece capolino quando apprese che era rimasto tutto uguale, incondizionato da quell’ultima volta che i propri piedi calpestarono il pavimento di quella casa. Emise un sospiro prima di muoversi.

    Si aggirò per le stanze con occhi disattenti, perché la sanguinosa battaglia nella propria mente riusciva a prevalere su tutto. Salì la scala per raggiungere la stanza da letto del compianto Corey Blake, lì trovò la porta chiusa. Strinse la maniglia senza abbassarla, un reflusso interno al suo corpo gli ordinava di tornarsene indietro, di fuggire molto lontano dai logoranti ricordi. Ancora quella maledetta malinconia frutto di una deturpante illusione. Stava male, si sentiva come un panno intriso d’acqua e pronto a esser strizzato. Ricercò le forse in sé, anzi il coraggio di sfondare quel muro composto da un puzzle di cemento. Aprì la porta e la spinse con il palmo della mano. La lampadina appesa a un cavo di fortuna senza nemmeno un degno lampadario a ornamentarla si accese. Si recò sul lato destro del letto, si sedette e osservò attentamente la disposizione dei romanzi nella libreria. Corey Blake leggeva molto, amava tutte le vicende d’avventura e le narrazioni storiche. Lo ricordava bene, quando il brillante informatico correva in libreria, saltellando, per ricercare una nuova lettura. Si alzò in piedi, recuperò quanto cercato e si risedette. Sapeva dell’esistenza del diario, sebbene Corey Blake non né parlasse con nessuno. Lo scoprì per mera disattenzione. Corey Blake lo aveva sbadatamente dimenticato sul divano del salotto, era arrossito, glielo aveva strappato di mano come fanno i bambini con le cioccolate, e poi era corso per la scala con l’intenzione di celarlo ai più curiosi. Aveva letto frettolosamente un paio di pagine, niente di più. Oggi lo avrebbe letto per intero senza che nessuno potesse impedirglielo, la casa era vuota, priva di vita e sorrisi. Aprì sulla prima pagina e iniziò la lettura, sì dolorosa ma di cui sapeva non poterne fare a meno. Il diario di Corey Blake era tutto quanto rimanesse di un passato migliore, di un tempo felice che ben presto avrebbe dimenticato.

    Premetto: questo diario mi serve a non dimenticare chi sono, per imprimere i miei ricordi vecchi e nuovi. Se qualcuno mi chiedesse perché lo sto facendo, la mia risposta sarebbe molto vaga. Non risponderei così per nascondere qualcosa, ma per un motivo molto più complesso. Direi per confusione, più precisamente per un astruso squilibro dei ricordi. È difficile da spiegare, neanche a me stesso riesco a spiegarlo. Ci provo qui su carta, in questo diario, sperando di riuscirci, almeno di provarci. Spesso, anche i più recenti ricordi mi sembrano annebbiati, non vividi come dovrebbero in realtà essere. Sembrano avvolti nella nebbia, quella più fitta. Sono mai stato intrappolato nella nebbia? Non ricordo. Ecco, i ricordi, peculiari deformazioni di un cortometraggio mal collegato. Mi chiedo se sto impazzendo, se un giorno finirò dentro un manicomio. Sperò di no, la mia vita voglio viverla, mi sento di viverla, è migliore di prima, anche se è proprio il mio passato a spaventarmi. A volte mi sembra di vivere in un limbo, in un mondo che non fa per me. Ho paura di tutto ciò. Vado avanti, soffro e ho paura, tanta paura. Mah… post scriptum, quell’ultima affermazione è la trascrizione letterale di me in questo momento. La mia mente inizia a farmi brutti scherzi, crea degli spazi vuoti nella memoria. Sono malato? Ho bisogno di esser curato? Vorrei una risposta e non la vorrei.

    Sto tornando dalla macelleria, dal luogo dove lavoro, stanco e afflitto per una vita che non mi appaga. Ricordo di odiare Danville, di maledire quotidianamente la mia città natale. Rientro a casa e mia madre, malata ormai da anni, tossisce come sempre, anzi di più, mi sembra in preda a una crisi. Io la tratto con sufficienza, esausto del suo dolore e conseguentemente del mio. Quella notte mia madre è morta, mi ha lasciato per sempre dentro quel letto un tempo vivo e ormai logorato dalla crudele malattia. Ecco, fin qui è tutto chiaro, nitido. Questi ricordi li sento miei, sento che mi appartengono. Poi ci sono i vuoti, quei buchi che mi struggono da dentro. Non ricordo il funerale, ancor peggio se ho pianto per la morte di mia madre. Eppure son certo che fino a poco tempo fa ricordassi tutto bene, oggi non più. Sono malato, non né ho più dubbi. Ma che fetido male è questo? Perché proprio a me tocca questa sofferenza? Soffro per questo, soffro per aver perso il ricordo di un dolore forte ma indispensabile. Una madre va pianta e ricordata anche nel giorno più brutto. Invece, ormai ricordo poco e nulla di lei, solo quel giorno, la tosse e il corpo freddo nel letto. Che cosa mi sta succedendo? Perché la mia mente mi fa tutto questo?

    Oggi sto scrivendo felice. Nel mio stupido cervello è ancora rimasto qualcosa del passato. Quanto sono stato felice quando ho ricevuto la lettera per un colloquio di lavoro a Yorktown. Quel giorno, la speranza di lasciare per sempre la macelleria e quella maledetta città affiorò in me. Quanto sei magnifica; questo pensai il giorno in cui mi presentai dinanzi alla Torre. Mi sentii subito attratto, il mio sogno era lavorare lì e avrei lottato per riuscirci. Il colloquio di lavoro durò poco, mostrai il mio curriculum che presentava sì buoni studi, ma un solo umile lavoro e poi scambiai due chiacchiere informali con un uomo molto distinto. Lo chiamano tutti il reclutatore, io lo definisco più semplicemente il capo del personale. Fui assunto quello stesso giorno, il cosiddetto reclutatore mi pose sotto gli occhi un contratto e una dignitosa paga. Firmai senza nemmeno leggere tutte le clausole, ero felice e pronto ad affrontare un futuro migliore. Sono felice anche adesso, ho trascritto il mio ricordo e se un giorno anch’esso svanirà, lo ritroverò per sempre in queste pagine. Post scriptum: sperò di non dimenticare mai dove nascondo il diario. Sarei finito se accadesse.

    Oggi sono finalmente uscito con Lauren. Sin da subito capii che gli piacevo. Ci siamo divertiti, abbiamo chiacchierato molto, lei è davvero intelligente, e alla fine della serata abbiamo persino fatto sesso. Mi è piaciuto, è stato bello, persino romantico. Non ricordo quando fu l’ultima volta che giacessi con una donna. Che con Lauren fosse la mia prima volta? Non lo so, non lo ricordo. Maledetta memoria. Sono stato quasi un’ora a fissare il diario con la testa fra le nuvole. Ho sonno, sono stanco. Aggiungo qualche dettaglio su Lauren e mi abbandono a Morfeo. Se devo essere sincero con me stesso, non è che poi mi attrae molto fisicamente, la definirei appena accettabile, però, come ho detto è intelligente, gentile e premurosa. In futuro potrei anche pensare di sposarla, sono certo che sarei felice con lei.

    Oggi sono due mesi che esco con la dolce Lauren, eppure non mi sento di amarla. Mi domando cosa sia l’amore se non questo. Sto bene con lei, mi piace trascorrere il tempo con lei sotto le lenzuola, la desidero spesso, però avverto che tra noi non c’è la giusta alchimia. L’amore deve coincidere con l’alchimia? Non lo so, io non so niente. Preciso: questo è un pensiero solo mio. Lauren mi ama, questo lo so per certo.

    Prima di poggiare la penna su questo foglio di carta ci ho riflettuto a lungo. Sono stato combattuto. Mi chiedo se questo ricordo fosse meglio dimenticarlo oppure no. In tal caso potrei innamorarmi di Lauren senza avere la mente altrove. Alla fine ho deciso d’imprimere anche questo ricordo, la bella Sophie non posso dimenticarla. Mi piace tutto di lei, il fisico, la mente e la sua infinita classe. Siamo persino diventati buoni amici, chi lo avrebbe mai detto? Ieri eravamo nella zona relax, per un attimo fui tentato di baciarla. Non ebbi il coraggio per mia fortuna. Lei ha sempre attenzioni per me, è molto dolce, mi chiedo quale sarebbe la sua reazione se facessi una così avventata mossa. Meglio non saperlo. È un amore platonico e questo in fondo mi basta, mi appaga dignitosamente. Lei è la mia ninfa, il mio sogno nel cassetto, però tale deve rimanere. Immagino i guai se tra noi dovesse nascere una relazione, quella donna è sposata con lo sceriffo. Cara Sophie, rimarrai un ricordo magnifico nel mio diario.

    Sono certo che di lui non mi possa mai dimenticare, la mia debole mente non farebbe mai questo. Aaron è davvero speciale, un amico unico. Eppure non voglio rischiare. Se un giorno mi recassi alla solita caffetteria e non lo riconoscessi più? Per lui sarebbe un dolore, non posso permetterlo. Caro diario, ricordami sempre quanto voglio bene ad Aaron Welch, fidato amico e bravissima persona.

    Questo devo proprio scriverlo. Girano delle voci qui a lavoro. Aaron ne sembra appassionato, o meglio ossessionato, a dirla tutta è stato proprio lui a metterle in giro. Esisterà veramente un piano interrato posto al meno sette dove vengono fatti degli strani esperimenti? Io faccio fatica a crederci, lo dico veramente. Intanto però la storia sta facendo breccia in alcune persone, da quanto mi ha riferito Aaron, altri tre dipendenti della Torre sembrano crederci. Lui non mi ha detto chi siano, nonostante lo pregassi. Che poi non parla mai con nessuno… Fatto strano.

    Il gioco della cospirazione inizia a piacermi. Aaron ed io trascorriamo molto tempo a fantasticare su delle ipotesi. Inventiamo di sana pianta cosa possa esserci nel laboratorio nascosto. Ne parliamo così tanto che inizio persino a crederci. So di non star bene, i miei ricordi sono sempre più confusi, però questo è proprio delirare.

    Adoro Yorktown, questa è la mia città. Il bello è che da quando sono qui non dimentico nulla. I ricordi precedenti sono annebbiati, quelli in questa città no. La felicità fa questo? Che il mio inconscio voglia dimenticare in fretta un passato molto triste? Sì è così, ne sono certo. Non sto male, sto solo dimenticando il dolore. Posso definirlo una repulsione del mio cervello a un passato logorante. Giunto a questo punto mi vien voglia di strappare alcune pagine del diario, le poche riguardanti la mia vita a Danville. Probabilmente un giorno lo farò. Se solo ne trovassi il coraggio…

    Scrivo frettolosamente queste parole. Ho controllato, grazie Lauren di avermi aiutato senza nemmeno saperne il motivo, Chase Owen non è registrato nell’archivio. Domani ci sarà una svolta epocale nella mia vita, ne sono certo. Smaschererò i cospiratori e renderò pubblica la verità. Non so nemmeno quale sia la verità, ma domani la scoprirò. Sono pronto a mettere in gioco la mia vita per riuscirci. Mi chiedo quanto pazzo sia per fare tutto questo. Voglio davvero rischiare la mia carriera per qualcosa che è probabilmente frutto della nostra fervida immaginazione? Non so perché, non capisco il motivo, ma è come se dentro di me ci sia la certezza che qualcosa di losco accada veramente nella Torre. Non è una sensazione, sembra più una certezza. Quanto è strana la mia mente…

    Riprendo la scrittura perché non riesco a dormire. Mi giro e rigiro come un forsennato dentro il letto. Sembra diventato scomodo, duro come la pietra invece che soffice come la piuma. Avverto una pressante ansia, ho paura per quello che mi sono imposto di fare. Farlo da solo è difficile, speravo che Aaron mi aiutasse ma non si è offerto. Lui ha paura, è nella sua indole, vuole solo sapere se scopro qualcosa senza esporsi. Io di contro non ho cercato di coinvolgerlo, ho voluto tutelarlo. Gli voglio bene, non voglio mettere a repentaglio anche la sua carriera, la sua vita. Non gli faccio una colpa, è un uomo molto timoroso, non reggerebbe la pressione di quanto accadrà. Sento la vista annebbiata, il cuscino mi chiama, forse dormirò alcune ore. Buonanotte vecchia vita.

    Sono allibito. Incredulo. Sto davvero impazzendo? Diamine, cosa ho fatto? Ho colpito un amico, identificandolo in un'altra persona. La malattia sta avendo la meglio su di me, non riesco più a controllare la mia mente. Ho paura. Il mio cuore batte forte. Mi vien da piangere ma non ci riesco. Maledette lacrime, volete affogarmi? Ho bisogno di cure, il signor Sullivan ha ragione. Io sono malato, molto malato, ho le visioni, il mio mondo è frutto di mera immaginazione. Seguirò il suo consiglio, è arrivato il momento di farsi curare e raccontare a uno specialista delle mie amnesie. Voglio guarire, lo voglio infinitamente. Devo farlo per me e per chi mi vuole bene.

    Il lettore sconsolato lanciò il diario sul muro. Provava rabbia e contemporaneamente amarezza. Gli faceva una colpa, sentiva dentro di sé che in fondo lo odiasse.

    «Io odio Corey Blake.»

    Urlò a voce alta nella casa vuota.

    «Io odio Corey Blake.»

    Urlò ancora. Poi raccolse il diario dal pavimento e iniziò a sbatterlo sul letto in preda a una crisi isterica. Con la lettura ottenne l’esatto opposto di quanto si aspettasse. Voleva scalciare lontano l’amarezza, la tristezza, la malinconia, invece adesso provava anche odio e rabbia. Spruzzò l’alcol etilico sul diario, lo trovò nel mobile del bagno, per farlo impregnò anche il pavimento del salotto. Infuocò un foglio di giornale e lo pose delicatamente sul diario. La fiamma arse molto viva e i ricordi di Corey Blake divennero cenere. Alla fine, la paura più grande di Corey Blake, ossia dimenticare chi fosse, si avverò.

    CAPITOLO 1

    Il silenzio affliggeva la casa. Sembrò tutto così surreale, anzi lo era a tutti gli effetti. Qualcosa di terribile era accaduto, inaspettato e incomprensibile. La tensione continuava a deturparli con estrema narcisistica violenza. Non comprendevano, non potevano riuscirci. Ogni riflessione o pensiero li conduceva dentro un traforo senza uscita afflitto dalle tenebre e senza nessuno spiraglio di luce. Lì dove nemmeno le loro mani riuscivano a scandire, l’inquietudine li trafisse come farebbe la punta di una spada.

    Un flusso di ricordi iniziò a logorargli la mente, struggendola violentemente. Cercò con forza di fermarli, non ci riuscì, ne fu travolto. Ricordi piacevoli divenuti immondizia, fu quello il termine più appropriato che trovò per dargli un titolo. Il primo bacio fu il primo dolore, una straziante fitta al cuore. Lo ricordò senza volerlo, nitido da un lato e farraginoso dall’altro. Era arrivato in ritardo al compleanno, in realtà nemmeno voleva recarcisi. Si convinse all’ultimo momento, dopo aver mandato giù un bicchiere di scotch. A quei tempi avvertiva un profondo dirupo dentro di sé, come se qualcosa di vissuto gli fosse stato estirpato. Trascorreva il tempo con la compagnia della solitudine, in amarezza. Come d’incanto, quella sera i suoi occhi s’infransero su di lei. Era bellissima, irresistibilmente favolosa. Indossava un abito dalla rossa tonalità, le sinuose gambe si muovevano elegantemente su dei tacchi a spillo. Pensò che fosse la donna più bella al mondo, almeno tra quelle finite sotto il suo sguardo. Era stato l’agente Williamson, con il quale fino allora aveva scambiato giusto quattro chiacchiere davanti a un caffè, a presentargliela. Ricordava ancora le parole che usò, come se il tempo non fosse mai trascorso.

    « Sceriffo, posso presentarle la mia sorellina? »

    Si era persino vergognato, come un timido adolescente. Era stato tutto il tempo a osservarla di soppiatto e senza preavviso stava per scoprirne il nome. Non sapeva che l’agente Williamson avesse una sorella, una gemella, non gliene aveva mai parlato fino a tal momento. Si era alzato dal divano per rispondere timidamente.

    « Certo.»

    L’agente Williamson era scomparso dalla sua vista, non materialmente, perché affiancava la sua bella sorella, ma i suoi occhi lo avevano inconsciamente estromesso.

    « Russell, Russell Valentine.»

    Aveva pronunciato goffamente, allungando lentamente la mano destra. Lei lo aveva guardato con un sorriso stampato sul volto, mostrando dei denti bianchissimi, lui si era domandato se fosse dovuto a gioia o derisione.

    « Sophie.»

    Fu quanto disse mentre gli stringeva la mano con delicatezza. Ripensandoci oggi ancora riusciva ad avvertire l’imbarazzo di quella sera, del momento in cui conobbe la donna della propria vita. Russell riprodusse tutta la scena nella mente, come se stesse guardando un film che raccontava la vita di qualcun altro, sebbene il protagonista fosse lui stesso. La pellicola andò avanti di pochi attimi, quelli in cui la meravigliosa donna dissolse magicamente l’imbarazzo del momento.

    « Solo per precisare… non sono la sorellina. Voglio ricordare al mio caro fratello che sono nata sette minuti prima di lui.»

    In futuro gli aveva raccontato di essere stata lei stessa a chiedere al fratello di presentargli il famoso nuovo sceriffo di Yorktown. Gli disse di essersi accorta dei suoi sguardi clandestini, di averli anche ricambiati. Lui non se n’era reso conto, non li aveva percepiti, forse perché non immaginava che potesse attrarre a primo colpo una donna del genere. Quella festa prese una piega impronosticabile, si era sentito finalmente vivo e felice, per la prima volta da quando era giunto a Yorktown. Una nuova vita ebbe il proprio incipit mancante. Si erano appartati nel giardino, lontano da tutta la gente accorsa alla festa di compleanno. Non parlarono nemmeno troppo, perché quando i loro occhi si erano soffermati, quelli di uno sull’altra, un fievole momento di passionale silenzio aveva preceduto il primo bacio.

    Il taglio della scena lo condusse in un altro magico momento.

    L’elegante uomo attendeva all’altare la sua musa. Pochi invitati, la famiglia di lei e qualche collega di lavoro. Lui non aveva nessuno, né genitori, né fratelli, nemmeno un misero parente. Da quanto ricordasse, era cresciuto insieme alle suore, dentro un istituto molto rigido per orfani. Questo prima di arruolarsi nell’esercito e poi un giorno mollare perché non si sentiva più partecipe a quella vita. Almeno quelle erano le sensazioni di quel periodo buio della sua vita. Eccola, Sophie camminò lentamente verso l’altare con un sorriso sprizzante felicità ben delineato sul volto.

    «Basta! Basta! Basta!»

    Urlò disperatamente Russell Valentine nella casa impiastrata da sangue e poltiglia e melmosi fluidi corporei. La pellicola s’interruppe, il nastro della sua vita s’infiammò e ben presto divenne cenere. Non c’era più nulla, solo tenebre, la sua vita non era mai esistita, un essere raccapricciante gliel’aveva portata via.

    Catalina lo lasciò sbraitare, imprecare, gli permise di sfogarsi senza intromettersi. Comprendeva il suo stato d’animo, sapeva che nulla potesse fare per aiutarlo, per confortarlo nel dolore. Soffriva anche lei, soffriva nel vederlo soffrire.

    «Cazzo! Cazzo!»

    Imprecò ancora lo sceriffo distrutto. Stava avvenendo tutto quanto nella più surreale delle situazioni, perché alle loro spalle un corpo giaceva sotto un lenzuolo ormai impregnato di sangue. Russell superò quanto rimase di Sophie, oppure del mostruoso essere. Catalina lo osservò senza aver il coraggio di far vibrare le corde vocali, anche un solo misero rintocco di violino. Se ne stette seduta, immobile su quella sedia, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e il volto stretto tra le mani.

    Russell aprì con furia l’armadio nella stanza da letto, quello di Sophie. Iniziò a gettare alcuni abiti sul letto, poi della biancheria intima recuperata nei cassetti e alcune paia di scarpe. Infilò tutto dentro una valigia, ammassando, senza riporre nulla con accuratezza. Strinse la lampo della valigia freneticamente e guardò nel vuoto. Nella sua testa ripeté continuamente le stesse parole.

    Questa è l’unica cosa da fare

    Questa è l’unica cosa da fare

    Questa è l’unica cosa da fare

    Chiuse la valigia, poi si guardò attorno e imprecò.

    «Cazzo!»

    Sollevò la valigia per trasportarla nel bagno, fu lì che la riaprì. Ci gettò dentro alcuni oggetti di chi doveva dimenticare in fretta, una spazzola, una trousse, qualche rossetto e poco altro. Prima di richiudere nuovamente la valigia fece mente locale, sì per lui era stato preso tutto l’essenziale. Trasportò la valigia nel salotto, la sollevò per evitare che strusciasse sul cadavere. Catalina lo guardava con aria sospettosa, persino imbarazzata, cercava di trovare una spiegazione su quanto stesse accadendo. Non comprendeva, al contrario si rifiutò di farlo. Lo sceriffo lasciò la valigia vicino alla porta d’uscita di quella che fino a poche ore prima rappresentava il suo nido d’amore. Un sentimento che seppur alienasse molte difficoltà era sempre così vivo, verosimilmente vero. Ciò credeva fino a quando scoprì la ripugnante verità. Un sospiro, poi uno sguardo alla casa, alle pareti, al

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