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Sei un genio dell'amore e non lo sai
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Sei un genio dell'amore e non lo sai
E-book285 pagine4 ore

Sei un genio dell'amore e non lo sai

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Info su questo ebook

“A Candida Morvillo tutti dicono tutto.” ANNALENA BENINI, Il Foglio

AMARE E FARSI AMARE IN SEI SEMPLICI PASSI.

Le vite di ciascuno di noi possono essere raccontate come una scansione di amori falliti, felici o sbagliati e, in definitiva, come una lunga marcia verso l’inconfessabile destinazione dell’unico, vero, grande amore, perché niente come i problemi di cuore apparenta di più gli esseri umani. 

Questo libro parla di come amare e di come farsi amare, di come trovare un amore sano e di come evitare le relazioni tossiche, ma anche di come e perché dobbiamo e possiamo salvare l’amore prima di cena e di come imparare ad amare sia il modo migliore per imparare a vivere al meglio delle nostre potenzialità.

Da anni, Candida Morvillo risponde alla posta del cuore e, da anni, intervista persone famose e con ognuna di loro è finita a parlare di sentimenti. È così che ha visto cambiare le relazioni assieme allo spirito dei tempi. Le ha viste diventare via via meno solide, o “liquide” per dirla con Zygmunt Bauman, e le ha viste abbattere via via le barriere di genere, fino a farsi fluide. Ed è così che, da autorità in tema di amori sbagliati (i suoi), ha imparato che è possibile conoscere tutte le risposte alle domande che l’amore ci pone.

Questo libro spiega, passo dopo passo, perché tutti siamo geni dell’amore, ma non lo sappiamo. È destinato a uomini e donne e a chi non si
riconosce in alcun genere, a giovani, ad adulti e ad anziani, ed è anche un libro allegro, perché l’amore, quello sano, gira sempre su una nota che mette di buonumore

"Ora, ho capito una cosa meravigliosa: che nasciamo tutti perfetti, anime con tutte le risposte che ci servono per essere felici; ma che poi ci perdiamo,
perché ci facciamo condizionare dall’educazione ricevuta, dai traumi subiti, dalla paura, dai complessi, dagli stereotipi sociali, dai tabù e dalle opinioni di chi ci è vicino e di chi ci è lontano, ma appartiene a una nostra tribù di riferimento. Per amare e per farci amare, invece, basta smantellare questo apparato di interferenze. È tutto qui e, anche se suona difficile, è straordinariamente facile. Il libro che stai sfogliando parla di questo, di come amare, di come farsi amare e di come farla facile. Nella nostra essenza, siamo tutti geni dell’amore, ma non lo sappiamo."

LinguaItaliano
Data di uscita9 feb 2024
ISBN9788830593596
Sei un genio dell'amore e non lo sai
Autore

Candida Morvillo

Nata a Sorrento, residente a Milano da molti anni, è una scrittrice, giornalista e opinionista televisiva. Ha collaborato con Il Mattino, Oggi e Vanity Fair. Ha esordito in televisione in Cronache marziale, in onda su Italia 1, e ha diretto il programma Telenovella, sul canale Lei di Sky. Nel 2006 ha vinto il Premio Ischia Internazionale di Giornalismo Angelo Rizzoli come miglior giornalista under 35 per la carta stampata e le agenzie. Nel 2014 ha pubblicato il suo primo romanzo, Le stelle non sono lontane (Bompiani). Ha scritto, insieme a Bruno Vespa, La signora dei segreti (Rizzoli, 2015). 

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    Sei un genio dell'amore e non lo sai - Candida Morvillo

    1

    PASSO NUMERO UNO

    RIDARE VALORE ALL’AMORE

    In amore, la persona giusta

    non è la migliore in circolazione,

    ma quella che ci rende migliori

    #SalvareLAmore

    Per amare e farsi amare bisogna anzitutto riconoscere valore all’amore, ovvero, comprendere che l’amore è lo strumento principale che la vita ci offre per stare bene ed evolverci al meglio delle nostre possibilità. Nessuno cresce e impara qualcosa senza confrontarsi con gli altri, nessuno capisce e supera i propri limiti standosene arroccato nella solitudine. Se non capiamo perché l’amore è utile, e anzi necessario per vivere meglio, saremo sempre tentati di farne a meno o di mollare davanti alle difficoltà. Il primo passo per amare e farsi amare, perciò, è vincere le resistenze ad aprirsi a un amore sano.

    IMPARARE AD AMARE PER IMPARARE A VIVERE MEGLIO

    Capita a tutti, ed è capitato anche a me, di dirsi che l’amore non serve a niente o che non vale la pena soffrire per amore, dato che comunque l’amore finisce. Finisce insieme alla passione o finisce per noia o perché si viene traditi. Come molti, mi sono detta che c’era penuria di capitale umano e che non avrei mai trovato la persona giusta. E che, se pure avessi trovato la persona giusta, sarebbe accaduto sicuramente nel momento sbagliato.

    Mille volte, per molti anni, mi sono detta: «Sto bene da sola». E anche: «Non mi serve nessuno». Lo scetticismo verso l’amore è parte dello spirito di questi tempi, non è un caso se esiste un vasto campionario di frasi fatte, tipo l’amore è eterno finché dura, l’amore è un lusso, l’amore è cieco, ma la sfiga ci vede benissimo. Come disse Marguerite Yourcenar, l’amore è un castigo. Siamo puniti per non aver saputo restare soli. Come disse Massimo Troisi, non sono contrario al matrimonio, ma trovo che un uomo e una donna siano le persone meno adatte a sposarsi. Fare del cinismo sull’amore è uno sport democratico, trasversale, di massa. In fondo, quello che facciamo con ciò che ci intimorisce è sempre provare a esorcizzarlo. Ma, intanto, il discorso pubblico sull’amore si depaupera, si superficializza, si riduce a boutade. Nell’immaginario collettivo, l’amore – almeno finché non lo si prova davvero – è un sentimento per creduloni. Però, la vita funziona a modo suo: otteniamo solo ciò che siamo in grado di immaginare e quindi di riconoscere. Se abbiamo un’idea d’amore, avremo quell’amore. Se pensiamo che amare sia sempre una fregatura, ogni nostra azione ci porterà verso la fregatura. Il nostro cervello è pieno di false idee, false immagini e false convinzioni sull’amore e, se abbiamo in testa un’idea sbagliata di amore, possiamo procurarci solo amori sbagliati.

    Crediamo sempre meno all’amore, perché l’amore per come lo conosciamo è un’impostura, una falsa promessa, un’illusione. La verità è che l’amore, come viene in prevalenza raccontato, è una mistificazione, un falso con molti coautori. L’idea di amore di cui diffidiamo e che arriviamo a disprezzare non è amore, è un fake e il meccanismo è lo stesso delle fake news: sono così diffuse che molti di noi arrivano a non credere più a nulla, convinti che tutte le notizie siano manipolate, distorte, se non totalmente inventate. Questo, però, non significa che si possa vivere senza informazione o che non esistano informazioni vere, corrette, utili e, addirittura, necessarie.

    Bisogna rimettere ordine tra le idee che abbiamo sull’amore, dismettere tutte quelle farlocche e ripartire da una sola, semplicissima verità e cioè che il primo passo per amare e farsi amare è capire che l’amore (quello sano) è necessario. È necessario perché ognuno di noi si evolve nel confronto con l’altro e il rapporto di coppia è il luogo del confronto per eccellenza; è necessario perché ci evolviamo anche misurandoci con i problemi e risolvendoli e il rapporto di coppia, quando è stato bene impostato, è la dimensione in cui siamo più motivati a farlo. In definitiva, l’amore è il sentimento che ci consente di essere noi al meglio di noi stessi: noi al nostro meglio in ogni ambito della vita e non solo all’interno della relazione. In questo senso, imparare ad amare significa anche imparare a vivere, intanto perché essere sereni sentimentalmente ci fa affrontare tutto meglio, ma soprattutto perché, nella vita, valgono gli stessi princìpi: stiamo bene solo quando siamo capaci di arrivare alla nostra essenza e quindi sappiamo chi siamo, cosa vogliamo e come ottenerlo. In questo, l’amore accelera il naturale percorso attraverso il quale cresciamo e affrontiamo le sfide della nostra esistenza.

    Tornerò più avanti su questo concetto. Prima, è utile capire come siamo arrivati ad avere così tante idee sbagliate sull’amore. Il bello di rispondere alla posta del cuore arriva col secondo giro di e-mail, quando i lettori mi scrivono per aggiornarmi, per dirmi che sono tornati a sorridere. Lo sconforto di rispondere alla posta del cuore, invece, è che al primo giro scrivono solo persone che, con l’amore, hanno problemi. A volerle dividere in due categorie, la prima include uomini e donne che l’amore non ce l’hanno e sono certi che sia impossibile trovarlo; la seconda comprende quelli che un amore ce l’hanno, ma va talmente male che se lo tengono stretto perché sono talmente disillusi da credere che, volendo cambiare, possono trovarne solo uno peggiore. Tutti i sabati mattina, quando mi siedo a rispondere alle lettere, mi dico che l’amore è morto e penso che anche io non mi sento molto bene. Mi scrivono i single o mi scrive chi è in coppia ma, se scrivono, state certi che sono in crisi. Se sono in coppia, le cose vanno male o perché il sesso è finito o perché all’altro il sesso non basta mai. O perché l’altro ha difetti insopportabili e vogliono che cambi o perché l’altro li accusa di avere dei difetti e non vogliono cambiare. Non sanno più se amano o non sanno se sono riamati. Sono in crisi perché non amano più, ma non trovano il coraggio di andarsene, o perché l’altro se ne vuole andare, ma loro vogliono trattenerlo a tutti i costi. Ogni conflitto d’amore è anche una guerra di posizione.

    Mi scrivono quelli che amano follemente, ma litigano furiosamente, perché ci sono di mezzo la gelosia, la trascuratezza, l’indifferenza, i figli, o solo perché, dopo, è bello fare pace. Mi scrivono coniugi e compagni di lungo corso che non si parlano più e va bene così, ma allora, che cos’è quel senso di angoscia che strozza la gola, perché la notte vagano per casa e non riescono a prendere sonno? Mi scrivono persone che non amano più e perciò tradiscono, o che amano, eppure, tradiscono. Mi scrivono tanti che sono prigionieri di amori tossici da cui credono che non si libereranno mai e mi scrivono accoppiati felici, ma lui sbaglia sempre i regali o lei flirta pure col macellaio manco fosse in un romanzo di Nick Hornby, o la suocera è così invadente che ha anche le chiavi di casa, o amo mia moglie ma non riesco a togliermi di testa la stagista dell’ufficio, o lui mi tratta come una sguattera del Guatemala (questa me l’ha scritta Lorena ed era una citazione colta, avendola originariamente detta una ministra al compagno, a testimonianza del fatto che i mali dell’amore sono molto democratici).

    Ricevo anche moltissime lettere dai single, da quelli incapaci d’innamorarsi, da quelli che s’innamorano sempre della persona sbagliata, da quelli che non si vogliono innamorare più e da quelli che non trovano mai qualcuno che li voglia. Se sono digitali, s’imbattono o in perditempo del dating online o in profili falsi o in psicopatici veri. Se non sono digitali, lamentano l’impossibilità dei tempi moderni di conoscere qualcuno in presenza. Metteteci pure la pandemia, il lockdown, le mascherine. Una lettrice, Rosaria, mi ha scritto che era rimasta folgorata dallo sguardo penetrante di un tizio che incrociava sempre al supermercato, l’aveva pedinato col carrello per settimane e quando, finalmente, l’aveva conosciuto, tolta la mascherina, gli era sembrato un mostro imbaciabile.

    Mi scrivono quelli che non capiscono se un interesse è ricambiato o no e quelli che non capiscono se una persona gli piace o no. C’è un gran traffico di storie, ogni settimana, a casa mia. È sempre un’emozione quando qualcuno torna a scrivermi per dirmi che il problema è risolto. I più, però, fanno di testa loro. Ogni famiglia infelice è infelice a suo modo ha scritto Lev Tolstoj ed è una frase che tutti conosciamo, ma non è la parte più importante del celebre incipit di Anna Karenina. La più importante non la cita mai nessuno ed è quella che dice: Tutte le famiglie felici si somigliano. Io sono la sventurata che, rispondendo ogni settimana alla posta del cuore, prova a ricordare come sono fatte le famiglie felici. Perché, a saperlo, possiamo averne una anche noi. Senza un’idea sana che ci ispiri e che ci muova, andremo sempre e solo nella direzione sbagliata. Ci sono milioni di modi per distruggere un amore e uno solo per farlo risplendere, ma quell’unico, facile modo non ce l’insegna nessuno e fatichiamo a vederne intorno anche un solo esempio.

    Una volta, Barbara Alberti mi ha detto, col suo folgorante, consueto acume: «Le persone fanno di tutto per essere infelici. Tre quarti del dolore amoroso è colpevole». Aveva ragione: spesso siamo noi a non voler essere felici. Un po’ perché sappiamo benissimo come si fa a stare male e non abbiamo idea di come si faccia a star bene, e un po’ perché cambiare ci spaventa: significa rinunciare ai percorsi mentali noti, metterci in discussione, ammettere di avere torto. Nessuno vuole avere torto nell’era in cui la massima ambizione è ottenere consenso, prendere un like.

    AMARE A LUNGO NEL SECOLO DELLE RELAZIONI BREVI

    Uno dei principali motivi per cui non crediamo più nell’amore o per cui, peggio, crediamo che sia inutile o dannoso, è che nessuno ha chiaro di che cosa veramente parliamo quando parliamo d’amore. C’è stato un tempo non troppo lontano in cui, al netto del romanticismo, l’amore era utile per almeno due motivi. Il primo riguardava il matrimonio: sposarsi faceva parte del normale decorso della vita e l’amore, se c’era, aiutava a sopportare una pratica prescritta al fine di perpetuare la struttura sociale. Prima che il referendum del 1974 consentisse il divorzio, se la relazione era incerta o fragile, si faceva uno sforzo per tenerla in vita. Ci s’innamorava della persona attraverso il progetto. Era la cucina con tinello, il primo televisore in salotto, avere dei bambini, avere dei vicini. Era partire per la villeggiatura, era Quando la moglie è in vacanza, ed era finché morte non ci separi e pazienza se la noia li uccideva anzitempo.

    Il secondo motivo per cui l’amore era incentivato aveva a che fare col sesso: quando ancora le ragazze dovevano arrivare illibate all’altare ed esistevano il matrimonio riparatore e il delitto d’onore, anche il più sfrenato libertino si faceva in quattro per convincere lei e autoconvincere se stesso che il loro non era solo sesso. Erano tempi in cui l’uomo era predatore e la donna, per concedersi, doveva raccontarsi che era per amore, solo per amore. Oggi, si può mettere su famiglia anche senza sposarsi, si può andare a letto con qualcuno mai visto prima o col trombamico del momento senza riprovazione sociale. Quindi: a cosa serve amarsi? Mi direte (lo spero vivamente): quelli non erano veri amori. Però è su quella idea distorta di amore che si basano le relazioni di chi è nato o è stato educato nel secolo scorso. Che a dirlo sembra passata una vita, invece è l’80 per cento della popolazione italiana. Se t’insegnano che l’amore è un inganno o che l’amore è sopportare, è chiaro che uno si disamora dell’idea d’innamorarsi.

    In Italia, i single sono nove milioni. Ebbene, cinquant’anni fa, erano due milioni. Nessuno si sposa più, nessuno si lega più. Nel 1973, neanche esisteva il divorzio, eppure, si dissero sì 418.334 italiani. Oggi che si divorzia in sei mesi, invece, fra unioni civili e matrimoni, il numero è sceso intorno ai 180.000. La fiducia nell’amore è crollata in modo inversamente proporzionale alla facilità di lasciarsi. L’età media delle neoseparate è di quarantadue anni e la durata prevalente di un rapporto che non raggiunge l’altare o il sindaco con la fascia si può contare in giorni o in ore. Esistono app che consentono di finire a letto in sei minuti con qualcuno trovato nei dintorni. Ci si lascia come si getta via una maglietta pagata tre euro, senza neanche accorgersene. Ci si lascia per telefono. L’ha fatto persino il commissario Montalbano. Ma molti nemmeno al telefono. Ci si lascia per WhatsApp, o non c’è affatto bisogno di dirselo, che ci si è lasciati. Si sta insieme, ma non significa che stiamo insieme. Ci si conosce su un catalogo online. È stato bello si diceva una volta. Oggi, neanche più l’educazione.

    Siamo a pieno titolo nel secolo delle relazioni brevi, abituati a consumare tutto rapidamente. In più, non abbiamo tempo per niente. Dell’amore temiamo molte cose, non ultimo che sia una complicazione, che tolga tempo ed energie ad accidenti più urgenti o importanti, o di sicuro piacevoli, mentre l’amore può comportare parecchi risvolti spiacevoli. Insomma, magari siamo concentrati sul lavoro: quello che non c’è, quello da tenersi, quello che vorremmo. Magari, uno preferisce saltare la cena per andare in palestra, che è come curare il fisico due volte in un colpo solo, e non gli va di subire la lagna del perché la sera non ci sei mai. Ebbene sì, ci sono anche i single per mancanza di tempo. Ormai tutto sembra dirci che dell’amore si può fare a meno. Tanto finisce, tanto non serve a niente. Tanto, i surrogati sono a portata di clic.

    Era il 1956 quando Erich Fromm scriveva che la struttura sociale dell’Occidente e il suo spirito non sono favorevoli allo sviluppo dell’amore. Era il 2003 quando Zygmunt Bauman pubblicava L’amore liquido e certificava che dopo tutto, automobili, computer o telefoni cellulari in perfetto stato e ancora funzionanti vengono gettati via senza troppo rammarico nel momento stesso in cui le loro ‘versioni nuove e aggiornate’ giungono nei negozi e diventano l’ultimo grido. Perché mai le relazioni dovrebbero fare eccezione alla regola?. Tinder e le altre app di dating non erano ancora nate e non c’erano cinquecento milioni di utenti solo su Badoo convinti di poter rimediare l’amore di una vita o di una sera sfogliando una gallery online con un universo di partner fra cui scegliere, per cui, trovandosene uno di fronte in presenza, stanno già pensando che è meglio il prossimo che incontreranno. L’amore, nel secolo delle relazioni brevi, può apparire molto divertente. È come vivere al luna park e saltare da una giostra all’altra. Ti fa sentire di avere sempre sei anni. Ti fa credere di poter mangiare zucchero filato a ciclo continuo, provandolo di tutti i colori. Oggi, come ogni cosa, l’amore è un bene di consumo. Se fosse su uno scaffale, starebbe nel reparto tempo libero.

    Negli Stati Uniti, dove tutto è accaduto prima che da noi, le relazioni non sono brevi, sono più che brevi, sono fiammate fulminee, agevolate dalla facilità con cui è possibile sia sposarsi sia divorziare. Nel 2001, sul lago di Como, sono stata al secondo matrimonio di Jennifer Lopez, quello col ballerino Cris Judd. Fu una splendida festa, i camerieri avevano lo smoking e le mascherine sugli occhi come Zorro. I due divorziarono nove mesi dopo. Le prime nozze di J-Lo erano durate invece undici mesi. Vent’anni dopo, lei è tornata con Ben Affleck, che doveva essere il marito numero tre, ma l’aveva abbandonata due giorni prima del matrimonio (per cui, il terzo coniuge è stato il cantante Marc Anthony). «Ben è stato il primo a spezzarmi il cuore» ha detto lei. Come se due divorzi non valessero la ferita all’amor proprio dell’essere stata abbandonata all’altare. Lei e Affleck erano stati insieme una manciata di mesi, si erano presi e lasciati senza nemmeno darsi il tempo di chiedersi perché, ma gli amori – si dice – fanno giri immensi e poi ritornano. E con diciassette anni di nostalgia, ripensamenti e riflessioni, col senno di poi e con gli errori di mezzo, Jennifer e Ben si sono ritrovati.

    Insomma, se già l’amore era liquido, ora sembra evaporato allo stato gassoso. Ci sono quelli che si dichiarano soddisfatti di saltellare fra un appuntamento e l’altro, quelli single e contenti, ci sono i poliamorosi, i pansessuali, gli asessuali, i fluidi, ci sono quelli che stanno dentro coppie aperte e quelli che stanno in coppie che sono la formidabile accoppiata di due solitudini. Le persone che reciprocamente si amano e intimamente sentono che si ameranno per sempre sono sempre meno. Però, restano le più felici.

    Stefano Bollani e Valentina Cenni, per esempio. Lui pianista, compositore, paroliere, lei attrice, regista, cantante. Qualcuno di voi li avrà visti su Rai 3 a Via dei Matti n. 0, dove riproducono gli incontri, le canzoni, le riflessioni che avvengono a casa Bollani, fra il terrazzo affacciato su Roma dove sono piantati sei ulivi e cento diverse specie di piante officinali e il salone con il pianoforte e un cristallo gigante di ametista chiesto agli amici come regalo di nozze perché l’ametista mantiene la mente pulita e salda, eleva la psiche, aiuta la meditazione. Quando li ho intervistati, il loro barboncino color nocciola di nome Jobim saliva e scendeva dalle gambe di Valentina e Stefano mi aveva raccontato di essere convinto che lei lo illuminava da chissà quante vite precedenti. Lei mi ha spiegato: «Ci sembra di stare insieme da tempo immemore. Secondo me, in altre vite, eravamo insieme in Brasile e a Napoli, due terre che amiamo da prima di conoscerci. Ne amiamo e ne ascoltiamo le musiche, conosciamo le loro lingue e ci piace sentirle in bocca quando le mastichiamo». Avevo chiesto come funzionava: si ritrova un amore in un’altra vita per viverlo meglio e non fare gli stessi errori? Stefano: «No, magari eravamo amici per la pelle o fratello e sorella e io sorella, o padre e figlio… Io sento che lei era una presenza fondamentale per me già da prima. Credo che il nostro ritrovarci qui sia una questione di amore cosmico, non solo di amore passionale o sentimentale».

    La canzone che Stefano ha scritto per Valentina è nata in modo quasi magico in Brasile e s’intitola La nebbia a Napoli. Dice che è per lei che ha rubato la nebbia a Napoli e il ghiaccio ai tropici. Stefano e Valentina erano a Rio de Janeiro, lui doveva registrare un disco con Caetano Veloso. Una sera, Stefano fa ascoltare a Valentina una nuova melodia composta per il brasiliano, che però non poteva scrivere le parole. Lei gli dice: «Scrivile tu». La mattina dopo, lui si sveglia e gli vengono di getto. Quel giorno, mi ha raccontato Stefano, arriva in studio e Caetano, invece di incidere la canzone programmata, vuole incidere La nebbia a Napoli.

    Mi è capitato spesso di vedere insieme la conduttrice tv Federica Panicucci con il compagno Marco Bacini. Ho sempre avuto la sensazione che si amassero come il primo giorno: si sorridevano con gli occhi, si sfioravano le mani. Sembrava che lui guardasse solo lei e lei solo lui. Se pure il mondo fosse crollato loro addosso, sarebbero rimasti beati uguale, perché erano lì, ma erano insieme. La prima volta che hanno dato un’intervista di coppia lo hanno fatto con me. È stato uno dei momenti in cui ho visto, plasticamente, cos’è la felicità data dalla persona amata. Federica mi ha detto: «Lui sa sempre cosa sto dicendo, cosa sto pensando. Sa se ho un dubbio, una preoccupazione, sa riconoscere che ho una necessità e in quel momento sa fermarsi, per analizzarla con me, risolverla, superarla». Lui (continuando a guardare lei) ha aggiunto: «Io non so esprimere i sentimenti come Federica, però posso dire che vale lo stesso, a parti inverse, per me». Amare è sapere che non siamo soli e non si è mai infelici quando non si è soli.

    Chi fatica a crederci è perché non ha mai amato davvero. Amare è essere permanentemente felici. E non pensate alla felicità come al sentimento fugace di chi ha appena ottenuto una promozione sul lavoro o ha ricevuto un bel regalo, quella è un’esplosione passeggera di gioia. Si può gioire per qualcosa anche se si è profondamente infelici, ma non basta una folata di gioia per dirsi felici. La gioia è un sentimento che ha una sua durata, la felicità è uno stato mentale, una condizione dell’essere che possiamo tenere viva a dispetto delle circostanze. La gioia arriva per appagamento di un desiderio o per l’accadere di qualcosa di bello e imprevisto, ce la si legge in faccia. La felicità è meno visibile, ma non dipende da ciò che accade, piuttosto da come noi viviamo ciò che accade. Quasi tutti hanno pudore a dirsi felici. Tanto è rara la felicità che, a confessarci felici, temiamo di offendere chi non lo è, o di dirlo e già non esserlo più. Non dico che voglio essere felice, mi basterebbe essere sereno: quante volte avete sentito questa frase? Sergio Castellitto, quando lo intervistai tanti anni fa, mi disse: «La felicità è isterica, è sudata, c’è sempre la paura di perderla. La contentezza, invece, è un bello stadio della vita, ti accompagna. Come stai? Sono contento. Mi piace dirlo». Infatti, a tutti i quattro figli ha dato come secondo nome Contento. Si chiamano Pietro Contento, Anna Contenta, Maria Contenta, Cesare Contento. Però, felice lo era Castellitto, secondo me. La sua era più che altro scaramanzia.

    Ma va così: la gente preferisce credere che sia più facile essere sereni che felici, invece è vero il contrario: si può essere felici senza essere necessariamente sereni. Tutti abbiamo problemi, pensieri, preoccupazioni. Ma se ami davvero e sei amato davvero, hai tutto ciò che ti serve per stare bene, il resto si affronta, si risolve, si fa fronte in due, può angustiarci ma non schiodarci da quello stato di fertile benessere. Un giorno, ho intervistato Luisa Ranieri e aveva una persona cara molto malata. Mi ha detto: «Sono botte di dolore. Poi, torno a casa, trovo mio marito, vedo le mie figlie accogliermi con un sorriso e dico: Che bello!». Sullo scaffale, c’era una foto del matrimonio col suo Luca Zingaretti. Lei si è zittita un attimo, poi ha aggiunto: «La felicità può stare in mezzo a tanti pensieri».

    Il fatto che Bauman o Fromm o la pura osservazione della realtà abbiano dimostrato che l’amore non sia favorito dalla società contemporanea non significa, però, che l’amore sia contrario alla natura umana. Tutt’altro. La velocità, la superficialità e il narcisismo propri del nostro tempo ne attentano continuamente l’esistenza ma, come accennavo, esso resta lo strumento che la vita ci dà per essere al meglio di noi stessi e delle nostre potenzialità, perché amare è specchiarsi nell’altro e vedere in lui ciò che a me manca, è voler fare mie le sue qualità.

    L’amore è la spinta più travolgente che esista per cambiare noi stessi, evolvere, far meglio. Magari, sono piccole cose. Magari, ammiro che lui sia così sportivo e, nella mia immensa pigrizia, finalmente mi decido a usare la bici invece dell’auto. Magari, ammiro la sua capacità di mantenere la calma e io, che perdo le staffe in un nanosecondo, imparo l’arte dell’autocontrollo. Amare qualcuno significa amare in lui quello che vogliamo diventare.

    Qualcosa del genere lo avevo intuito proprio quando intervistai Castellitto. Stava con Margaret Mazzantini da quasi vent’anni, avevano già scritto insieme dei film. Ne aveva in cantiere uno nuovo con lei quando l’ho incontrato. Gli ho chiesto: di che parla? «Parla d’amore. Perché, di che altro può parlare un film?» Era Non ti muovere, tratto dal libro con cui lei aveva vinto il Premio Strega 2002. Insomma, Castellitto mi ha detto: «La cosa che più ammiro in Margaret è la difficoltà a dare confidenza. Perché, se la dà, è profondamente preziosa e ci puoi contare per la vita. Io, invece, do confidenza a tutti. Ai tempi, la chiamavo Dersu Uzala, come il protagonista di un film di Kurosawa che ha vissuto nella foresta e non sa parlare. Io sono più socievole, più solare. Alcune cose le ha passate lei a me, altre io a lei: Margaret è diventata più fiduciosa

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