I geni degli scacchi: Storie, follie e stravaganze dei grandi maestri
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Anteprima del libro
I geni degli scacchi - Adolfo Mollichelli
Adolfo Mollichelli
I GENI DEGLI SCACCHI
Storie, follie e stravaganze dei grandi maestri
Gli scacchi sono l’unico gioco che appartenga a tutti i popoli e a tutti i tempi e di cui nessuno sa quale Iddio l’abbia portato sulla terra per ammazzare la noia, acuire i sensi, avvincere l’anima.
Stefan Zweig
Introduzione
Questo testo vuol essere un atto di riconoscimento nei confronti dei grandi maestri della scacchiera. Un florilegio dei personaggi che nel corso delle varie epoche hanno contribuito con il loro genio alla diffusione e allo sviluppo dell’arte di Caissa, protettrice del gioco degli scacchi. Il nome della driade ninfa degli alberi appare per la prima volta nel poema dal titolo omonimo di sir William Jones (1746-1794), linguista, orientalista e magistrato britannico, tra i primi studiosi di lingua sanscrita e precursore dell’indoeuropeistica. Ho preferito parlare degli uomini, delle loro debolezze, delle loro virtù e dei loro vizi per sfatare quel luogo comune che definisce i grandi scacchisti uomini-macchina. Basta e avanza la pietra nera dell’intelligenza artificiale.
La scelta è caduta su geni dalla personalità complessa, a volte tortuosa. Stramba, per assecondare il pensiero di Vladimir Nabokov, lo scrittore russo autore di Lolita e di altri capolavori, che ideò il seguente aforisma: «Non c’è nulla di anormale nel fatto che un giocatore di scacchi sia anormale, è normale!». Tra l’ironico e il sarcastico, ma non tanto lontano dalla realtà. Del resto, Nabokov fu anche un valente scacchista.
Quando mi è stato proposto questo lavoro ho accettato con entusiasmo. Non soltanto in ricordo della frequentazione da giocatore dei circoli scacchistici della mia città, ma anche per il desiderio di arrivare ai lettori (mi auguro numerosi) con un testo leggero e spero accattivante, composto di curiosità e di aneddoti, di storie di vita. Senza tralasciare di tratteggiare i profili di alcune campionesse. Le donne hanno attitudine per gli scacchi, come gli uomini e in alcuni casi anche di più. Si sono dovute fare largo in un ambiente machista, una cordata difficile. Vi siete mai chiesti perché a una bambina quasi mai viene regalata una scacchiera? Per troppo tempo è stato ritenuto che il nobile gioco fosse adatto soltanto al genere maschile. Perfino Garry Kasparov, il grande campione azerbaigiano, pensava – ma poi si dovette ricredere – che la battaglia sulla scacchiera fosse per soli uomini, arrivando a dichiarare all’intervistatore di «Playboy»: «Le donne non sono adatte al gioco degli scacchi che sono una battaglia dura e loro non sono nate per combattere». Fin qui il ragionamento può avere un principio di validità, ma poi Kasparov aggiunse:
Gli scacchi hanno anche un aspetto creativo, sono un insieme di sport, arte e scienza, tutti campi in cui è evidente il vantaggio dell’uomo. Così come d’altra parte accade nella letteratura, nella musica e nell’arte. La ragione di ciò dovrebbe essere genetica, del resto uomini e donne sono differenti tra loro e non mi sembra giusto che i due sessi debbano sempre essere confrontati e che in ogni cosa si cerchi l’eguaglianza.
Su quest’ultima affermazione il mio personale disaccordo è totale. Come non condivido il pensiero di Bobby Fischer, il più grande giocatore di tutti i tempi, dal quale traspare la sua nota misoginia, ma anch’egli alla fine cedette all’amore: «Le donne non dovrebbero giocare a scacchi, sono come i principianti». In medio stat virtus e nella querelle propendo per la tesi espressa da Nona Gaprindashvili, georgiana, campionessa del mondo femminile dal 1962 al 1978, prima donna a ottenere il titolo di grande maestro, che ha affermato:
Le cause della superiorità scacchistica degli uomini sono molteplici: la principale è la grande diffusione che il gioco ha sempre avuto nell’ambiente maschile; logicamente, più sono gli uomini che giocano, più numerosi sono quelli che diventano maestri. Inoltre, le donne non hanno molto tempo per dedicarsi al gioco a causa delle molte responsabilità nella vita di tutti i giorni: la famiglia, la casa, i figli. Per una donna raggiungere la parità in questo campo è pertanto difficile.
Ma ben presto il mondo scacchistico ebbe a confrontarsi con Zsuzsa, Zsófia e Judit Polgár, le terribili sorelle ungheresi, e dovette ricredersi sulle potenzialità femminili. Quando Judit sconfisse Kasparov in un torneo a gioco rapido, il campione azerbaigiano dovette ammettere:
Le Polgár hanno dimostrato che non ci sono limitazioni intrinseche alle loro capacità: un’idea che molti scacchisti rifiutarono di accettare fino a quando non furono schiacciati senza troppe cerimonie da una dodicenne con la coda di cavallo!
La fortunata serie televisiva La regina degli scacchi, seguita da milioni di telespettatori in tutto il mondo, ha generato un autentico boom nelle vendite di scacchiere e un rinnovato interesse per il nobile gioco, come accadde in occasione della sfida tra Fischer e Spassky per il titolo mondiale nel 1972. La serie di Netflix, il gigante dello streaming, è finita nell’occhio del ciclone per una grave alterazione della realtà dei fatti, per la quale ha dovuto rispondere a una causa intentata dalla campionessa georgiana Nona Gaprindashvili che ha richiesto 5 milioni di dollari di risarcimento! La leggenda sovietica degli scacchi ha ritenuto di non poter soprassedere al travisamento di uno dei risultati più significati della sua carriera, l’aver affrontato giocatori uomini. Nell’episodio finale della serie, un attore dice che Elizabeth Harmon (interpretata da Anya Taylor-Joy) non è una giocatrice importante, l’unica cosa inusuale è il suo sesso e anche questo non è unico in Russia, c’è Nona Gaprindashvili, ma lei è una campionessa femminile di scacchi e non ha mai sfidato uomini. Un falso storico in quanto la fuoriclasse georgiana ha affrontato cinquantanove maestri, in tornei giocati prima del 1968, anno in cui la serie televisiva è ambientata.
Poiché gli scacchi sono stati presenti fin dall’antichità nella storia degli uomini, ho creduto opportuno di fare un accenno all’interesse che il nobile gioco ha destato nell’arte pittorica, nella scultura, nella letteratura e nel cinema.
Quando nascono gli scacchi?
Gli scacchi, un mistero infinito. A cominciare dalle origini. Dove? Forse nella valle dell’Indo, tra l’India e il Pakistan. Forse in Egitto, o più verosimilmente in Persia. Quando? Gli storici indicano una data: nel VII secolo d.C., anche se l’antenato
del gioco si fa risalire a 4.000 anni prima di Cristo, in Mesopotamia. Nel 1927, infatti, nel sito dell’antica Tepe Gawra nel Nord dell’Iraq, scoperto da E.A. Speiser, docente di Semitics all’Università della Pennsylvania, furono trovate delle statuine in terracotta modellate in forma umana. Certamente il gioco si sviluppò in Arabia, terra di matematici, i numeri nacquero lì e sulla scacchiera sono infiniti. A partire dalle combinazioni possibili dopo le prime mosse. Storia e leggenda s’intrecciano in un percorso che è stato caratterizzato da continui