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Incidente Ferroviario
Incidente Ferroviario
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E-book247 pagine3 ore

Incidente Ferroviario

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Info su questo ebook

Un grave crimine che sconvolge la società americana diventa un caso misterioso, combinando due incidenti ferroviari, il secondo dei quali ha un movente. La storia si apre con un disastro avvenuto nel 2011 nei pressi di Reno, in cui un semirimorchio si scontra con un vagone del treno passeggeri California Zephyr Amtrak diretto a ovest.

Ben, un ingegnere, è seduto al Nostro Bar quando sente la terribile notizia di un incidente ferroviario. Corre fuori dal bar, seguito dal suo migliore amico Mark, e apprende che la sua fidanzata, Christy, è rimasta permanentemente accecata dall’esplosione dovuta allo schianto. Ben giura di prendersi cura di lei, ma Christy non lo accetta, va in depressione e finisce per togliersi la vita. Quello stesso giorno, poco prima, Ben aveva saputo di un nuovo intervento chirurgico per il recupero della vista, così si era precipitato a casa per informare Christy ma l’aveva trovata morta per un’overdose di sonniferi. Ben diventa ossessionato dalla sua passione per i treni, sfrutta un altro ingegnere e le sue conoscenze sul loro funzionamento interno e poi organizza un secondo incidente ferroviario, in cui muoiono tutti tranne lui. Nel corso delle indagini, un detective comincia a realizzare la scioccante verità: il colpevole è proprio il suo migliore amico Ben, e toccherà a lui tirare la leva della sedia elettrica su cui Ben verrà condannato a morte.

LinguaItaliano
Data di uscita24 mag 2024
ISBN9781667474762
Incidente Ferroviario

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    Anteprima del libro

    Incidente Ferroviario - Blair London

    Incidente Ferroviario

    La vendetta dell’Ingegnere

    di Blair London

    Traduzione di: Oscar Romano

    Reality Today Forum

    realitytodayforum@gmail.com

    ––––––––

    Copyright: © 2019 Reality Today Forum. Tutti i diritti riservati.

    Questo documento non può essere riprodotto, trasmesso o fotocopiato in nessuna sua parte, in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, audio o altro, senza il previo permesso scritto dell’autrice.

    Note sull’autrice

    Blair London è un’autrice residente nel Minnesota, che attinge idee inquietanti dai sogni estremamente vividi che fa, e le coniuga con storie nuove, persone che conosce direttamente ed esperienze di vita vissuta.

    I suoi libri sono tutti incentrati su crimini moderni. Blair scrive di veterani di guerra con disturbi post-traumatici da stress, social media, bullismo, serial killer, traffici di bambini, traffici sessuali, stalker degli aeroporti, pedofili, sociopatici, occupanti abusivi e immigrazione illegale; tutti crimini moderni.

    Blair London vi avvisa che potreste restare scioccati da quello che leggerete.

    Le opere di Blair hanno ricevuto approvazioni da parte di diverse celebrità, tra cui Matthew McConaughey, Taylor Swift, Megyn Kelly, John Walsh, Kirk Cameron e Meryl Streep.

    Puoi connetterti con Blair su Facebook: https://www.facebook.com/blairlondonauthor e su X: https://twitter.com/TheBlairLondon.

    Prologo

    La figura indistinta che si avvicinava fuori dalla finestra si trasformò in una che tolse subito il fiato a Ben Black. Ben non si considerava propriamente un romantico, ma quella visione gli fece credere improvvisamente che esistesse l’amore a prima vista. La fissò, vedendo l’immagine di una bellissima ragazza, forse appena più giovane di lui. Aveva un corpo da far impazzire, una carnagione color miele fuso e capelli scuri e ricci che le ricadevano vaporosamente sulle spalle. Un’aura di sicurezza la avvolgeva mentre camminava, come se il mondo stesso fosse a sua disposizione. Non aveva mai visto nessuna come lei. Completamente trafitto, Ben aveva capito che da quel preciso momento questa donna avrebbe potuto cambiare il corso della sua vita per sempre.

    Ultime Notizie: 6 Persone Morte In Un Incidente Ferroviario

    24 Giugno 2011

    Dwayne Benson

    «Da Reno, Nevada. Notizia appena arrivata. Un semirimorchio, che percorreva un tratto rurale della U.S. Route 95 tra Reno e Sparks, si è scontrato con uno dei vagoni del treno passeggeri California Zephyr Amtrak diretto ad ovest. Si sconoscono per adesso i dettagli di come sia avvenuto l’incidente.»

    «Al momento stiamo investigando sulla vicenda», ha detto l’Agente della Polizia Stradale del Nevada Dan Lopez. «Attualmente non possiamo confermare alcun dettaglio, a parte il fatto che sei persone sono rimaste uccise nell’incidente. Vi forniremo aggiornamenti man mano che saranno disponibili nuovi elementi. Rimanete collegati.»

    Capitolo 1

    La scena al Nostro Bar era la stessa di ogni martedì a mezzogiorno. La luce della giornata nebbiosa filtrava attraverso le finestre unte, l’aria odorava degli aromi stantii e persistenti del cibo fritto e dell’alcol, i televisori erano sintonizzati sulla partita di football che si disputava quel giorno e non c’era quasi anima viva, se si escludeva Spike, il barista.

    A parte Spike, c’era un altro uomo pigramente seduto su uno sgabello logoro, con in mano un boccale mezzo pieno di birra. Benché non avesse ancora trent’anni, i suoi occhi erano vecchi e stanchi, ed erano incollati sulla partita di football trasmessa dalla televisione accanto a lui. Il suo viso lievemente paffuto, insieme alla calvizie, conferivano alla sua testa l’aspetto di una palla da biliardo bianca e lucida. Con la maglia da football nera che indossava, e il modo malinconico in cui guardava l’incontro, dava l’impressione di una stella dello sport che non ce l’aveva fatta, nonostante il rischio di sbagliarsi fosse alto.

    Nell’istante in cui gli annunciatori sullo schermo urlarono «Touchdown!» le porte d’ingresso del bar si spalancarono e senza tante cerimonie un altro uomo entrò incespicando e respirando affannosamente. Dalla coda di cavallo gli sfuggivano ciocche di lunghi capelli, che scostò frettolosamente dai suoi luminosi occhi azzurri. La camicia a quadri e i jeans sporchi potevano suggerire che fosse un taglialegna, ma il corpo allampanato e la pelle liscia lo facevano sembrare più un contadino. L’uomo si affrettò verso l’amico con la maglia da football nera, individuando facilmente la luce riflessa dalla sua pelata.

    Il calvo si voltò, vedendo il suo amico avvicinarsi. «Ehi, Mark! Non credevo che saresti venuto!», esclamò.

    Una volta arrivato, Mark mise una mano sulla spalla di Ben. «Ben, amico mio», disse ansimando, «hai visto le notizie?»

    «Quali notizie?», domandò Ben, biascicando leggermente le parole. «Stavo seguendo la nostra squadra qui, mentre veniva fatta a pezzi.»

    Mark guardò il televisore. Proprio in quell’attimo la partita venne interrotta. Sullo schermo lampeggiarono delle lettere rosso vivo che recitavano Ultime Notizie. Mark indicò il televisore. «Guarda lì. Il football è l’ultima cosa che mi interessa. Ben... oh, Ben, mi dispiace, amico...»

    Ben rivolse la sua attenzione alla TV, concentrandosi sulle parole del giornalista.

    «... incidente stradale dell’Amtrak. Come ogni altro giorno, la maggior parte dei passeggeri si stava recando al lavoro. Sebbene ci siano molti sopravvissuti, ci sono anche almeno sei morti accertati. Finora non è stato identificato nessuno dei cadaveri, tranne il conducente e il camionista...»

    Ben sentì il cuore sprofondargli nello stomaco e una sensazione di terrore stringergli il petto. La sua mente si riempì con le immagini di una pelle olivastra e di riccioli lucenti. Una figura alta. La sua stessa ragione di vita. Il suo tutto. Lei era il solo motivo per cui doveva alzarsi dal letto la maggior parte delle giornate. Avvertì le sue risate, i suoi baci, e il modo in cui la sua presenza lo faceva sentire, come l’uomo che lei aveva aspettato per tutta la vita. Ne vide la sagoma nella sua cucina, evidenziata dalla luce fioca che penetrava dalle tendine sottili mentre gli uccelli cinguettavano su un vecchio pino nodoso vicino alla finestra. La vide voltarsi verso di lui dopo aver scarabocchiato qualche biglietto sul bancone della cucina. Aveva un bel sorriso mentre gli andava incontro dicendo: «Che fai, bonazzo mio? Credevi davvero di andartene senza prima avermi salutato?»

    «Ben», disse Mark. «Ti serve un secondo per riprenderti, amico.»

    «Riprendermi?» La sua birra cadde a terra, il bicchiere si frantumò e il liquido ambrato si sparse sul vecchio pavimento di legno. Ben tirò fuori dalla tasca il portafogli e schiaffò una banconota da cinquanta dollari sul bancone, prima di alzarsi bruscamente dallo sgabello e girarsi verso l’uscita. «Devo andare.»

    Si precipitò fuori dal bar senza voltarsi. Mark lo inseguì, cercando a fatica di star dietro a quel passo sorprendentemente rapido. Quando finalmente riuscì a raggiungerlo sul marciapiede, lo afferrò per un polso. Con la sua testa calva e il suo corpo massiccio, Ben sembrava più minaccioso che mai.

    Ben guardò il suo migliore amico. «Mark, ti prego... Christy... lei... lei era...» Qui la sua voce si incrinò. «Lei era là.» E scosse la testa. «Doveva tornare proprio ora. Non so nemmeno – » Ben era troppo scioccato per dire cose sensate. Si sentiva come se il mondo gli stesse crollando addosso.

    E proprio quando le cose avevano iniziato ad andare così bene...

    Così bene che...

    Che ormai da tempo non aveva nemmeno più bisogno di farmaci...

    E adesso... adesso questo.

    Il respiro di Mark si fermò in gola, nel vedere il suo amico così angosciato. Quando allentò la presa, Ben corse immediatamente verso la sua macchina.

    «Ben, aspetta!», gridò Mark. «Almeno portami con te.  Posso accompagnarti – »

    «No! Sto bene!», gli urlò Ben. Poi saltò in macchina e accese il motore, prima di uscire di corsa dal parcheggio. I copertoni stridettero, dall’asfalto si levò del fumo e l’automobile schizzò sulla strada, quasi spazzando via i numerosi veicoli parcheggiati di lato mentre si allontanava a tutta birra.

    «Merda, Ben», sussurrò Mark, che si precipitò verso la sua auto, determinato a raggiungere il suo amico il più velocemente possibile. Sapeva che non avrebbe dovuto lasciare Ben ad affrontare una cosa del genere da solo. Mentre avviava il motore della sua macchina affrettandosi, si chiese cosa stesse per fare Ben. Cercò di immaginare come si sentisse. Aveva i nodi allo stomaco e strinse il volante così forte che gli fecero male le nocche.

    Una parte di lui si domandava se fosse invadente nell’inseguire Ben – pensando che magari in un momento come quello un uomo dovrebbe poter stare da solo. Ma un’altra parte di lui sapeva che, se non fosse stato lì per Ben, il suo amico non avrebbe avuto nessun altro su cui contare.

    Ben aveva bisogno di lui.

    «Cosa farà adesso?», mormorò Mark tra sé e sé vagliando rapidamente con la mente differenti ipotesi. «Comunque dovrò esserci; avrà bisogno di me.»

    Capitolo 2

    Negli anni precedenti Ben Black era stato essenzialmente una persona diversa. Era stato più magro, meno grassoccio. Più in forma. E aveva avuto folti capelli scuri, senza pertanto mostrare ancora la calvizie.

    Da giovane, appena uscito dal college aveva ottenuto un lavoro fisso presso la Rialb Engineering. Le cose non avrebbero potuto andare meglio. Le giornate di lavoro erano lunghe, e gli straordinari erano più spesso la regola che l’eccezione, ma lui non se ne lamentava. La sua vita era esattamente ciò che desiderava in quel momento, finché una notte fatidica non si era reso conto che il suo appartamento vuoto lo annoiava. Era l’unico occupante da anni, e, quasi di colpo, questa cosa non gli andava più – si sentiva solo.

    Tale rivelazione gli arrivò dopo una giornata di lavoro particolarmente stressante ma gratificante.

    Quel giorno Ben era stato incaricato di mettere a punto il progetto di una nuova ala speciale di aereo – si trattava di intervenire sulla leva che regolava l’angolazione degli alettoni sulle ali. Benché non facesse lavori di quel tipo dai tempi del college, si sentiva abbastanza all’altezza della sfida. Essendo da sempre un risolutore di problemi, gli bastarono solo un paio d’ore piegato sulla scrivania per sviluppare un sistema idraulico di leve che desse agli alettoni delle ali il giusto livello di controllo. I progetti sperimentali erano una cosa, ma farli funzionare correttamente era una cosa completamente diversa. Tuttavia Ben era ben attrezzato per riuscirci, essendo da sempre considerato alla Rialb una specie di genio. Il suo talento era già stato ampiamente evidenziato dal lavoro che aveva saputo produrre nei suoi anni di liceo e di università.

    Avendo terminato la sua mansione, Ben si appoggiò allo schienale della sua sedia, soddisfatto. Aveva impiegato meno di tre ore per finire, e ciò gli era valso le congratulazioni del suo capo, impressionato. Ma soprattutto aveva sentito parlare di una posizione più elevata, che presto sarebbe potuta toccare a lui. Al lavoro filava tutto bene, ma sentiva ancora che qualcosa gli mancava.

    Infatti, quando Ben esaminava le carte sparse sulla sua scrivania – i premi, i titoli di studio, le fotografie degli aerei che aveva contribuito a ideare – non sentiva nulla. Era come se le aree che contenevano il suo cuore e il suo stomaco fossero vuote. Si stava abituando a quella situazione, anche se non gli piaceva neanche un po’. Avrebbe dovuto essere orgoglioso del suo passato ed entusiasta del suo futuro, e invece non riusciva a scrollarsi di dosso quella sensazione avvilente che tutte le sue conquiste fossero prive di significato senza qualcuno con cui condividerle. Nonostante i molti giorni di successo in cui era stato un asso, i giorni deludenti li mettevano ogni volta in ombra.

    A pranzo sgranocchiò un panino al tonno che si era preparato, mentre contemplava la sua vita e fissava il soffitto rivestito di rete metallica del suo ufficio.

    Da ragazzo, Ben aveva sempre avuto un grande interesse per l’ingegneria. I suoi passatempi preferiti includevano armeggiare con i robot giocattolo, disegnare progetti elaborati per macchine e invenzioni fantastiche, e sognare di volare verso le stelle – o quantomeno progettare una navicella in grado di farlo. Aveva amato le letture di fantascienza, specialmente la roba a base fantasy come Star Wars. Era rimasto incantato dal realismo dei romanzi di Isaac Asimov e della scienza che stava dietro Star Trek, e il sogno di una tecnologia impossibile, strabiliante e irreale aveva alimentato il suo amore per l’ingegneria in tenera età.

    Una volta aveva smontato il computer di famiglia, con il grande disappunto di suo padre. Ma poi, quando l’aveva rimontato facendolo funzionare più veloce e più agile di prima, suo padre lo aveva portato fuori a prendere un gelato. Da allora i suoi genitori avevano riconosciuto la sua mente brillante e si erano mostrati più che disposti a sostenere i suoi interessi, ragion per cui l’avevano poi iscritto in un istituto superiore esclusivo ad indirizzo ingegneristico. Ben sapeva che quella era un’opportunità rara ed eccezionale, un vero e unico colpo di fortuna per il suo futuro. E si era confermato tale, almeno finché era durato.

    Una volta che era iniziata la scuola, Ben aveva primeggiato accademicamente, ma non troppo socialmente. Faticava a farsi degli amici fra i suoi compagni, ma piuttosto diventò abbastanza amico di diversi suoi insegnanti, coi quali la cosa sembrava molto più semplice. I professori erano stupiti dal suo lavoro e si accorsero facilmente che sapeva fare cose che non avevano mai visto fare prima a nessun altro sedicenne, quantomeno non con lo stesso livello di competenza che Ben mostrava. Era capace di creare programmi per computer, di costruire interi motori dal nulla e di risolvere problemi di matematica che lasciavano puntualmente sbalorditi gli insegnanti. Di conseguenza, tutti lo ritenevano il Ragazzo Prodigio, il genietto il cui potenziale ultimo non aveva confini e che poteva realizzare qualunque cosa si mettesse in testa. Tutti sapevano che il suo futuro sarebbe stato più brillante delle stelle che sognava di raggiungere un giorno. O perlomeno fino a quando non era stato espulso.

    Più avanti Ben cominciò i suoi studi universitari al MIT. Per i primi due anni fu il migliore della sua classe, ma poi, a ventun’anni, durante il suo ultimo anno, scoprì il suo amore per qualcos’altro, l’alcol. Dopo la sua prima notte di festa ne rimase affascinato, e comprese che non si poteva più tornare indietro. Ben semplicemente non riusciva a farne a meno – amava la birra, la vodka, il whisky e la tequila, nonostante il suo corpo non li tollerasse molto. Era molto più spesso ubriaco che sobrio, e la mattina si svegliava con terribili postumi di sbornie, dai quali pensava di non potersi più riprendere. Al risveglio aveva sempre un mal di testa martellante e il corpo tutto bagnato di sudore freddo. E con la pelle appiccicaticcia trascorreva ore aggrappato alla tazza fredda del water di porcellana a rimettere, al punto che gli restavano dolorosi conati di vomito allo stomaco, ormai completamente vuoto ma ancora restio a collaborare.

    Ogni santa volta giurava che non avrebbe mai più toccato alcol, convinto di aver imparato la lezione. E tuttavia ogni santa volta tornava ad attaccarsi alla bottiglia appena un paio di sere dopo un episodio – negoziando sempre con se stesso per bere solo un altro po’ responsabilmente, promettendo a se stesso di non esagerare, e convincendosi che la volta successiva avrebbe gestito l’alcol meglio, salvo poi risvegliarsi di nuovo con la stessa orribile sbornia. Era un circolo vizioso infinito, che pareva essere partito quando aveva iniziato a bere in modo abbastanza innocuo ma che poi aveva finito per insinuarsi in lui. Dapprincipio Ben si lasciava trascinare alle feste delle confraternite solo nel fine settimana. Lo faceva per rilassarsi e scaricarsi – un regalo per se stesso dopo una lunga settimana di duro studio. Sentiva di meritarsi un po’ di divertimento, proprio come chiunque altro. Dopo aver raggiunto una certa eccitazione, era normale trovare Ben da solo sulla pista da ballo, ad agitare le braccia senza curarsi di chiedere a nessuno di ballare con lui.

    Ma, nel giro di pochi mesi, il suo alcolismo non era più limitato alle sole feste delle confraternite del week-end. Aveva cominciato a bere pure nelle sere dei giorni lavorativi, dopo aver finito di studiare. E poi, lentamente ma inesorabilmente, aveva iniziato ad attaccarsi alla bottiglia anche il pomeriggio, appena finite le lezioni. E dopo non gli erano più bastati nemmeno i pomeriggi. Aveva iniziato a bere di prima mattina, e proseguiva per tutta la giornata – bevendo tra un compito a casa e un altro, e tra una sessione di studio in biblioteca e un’altra. Beveva durante i momenti di relax; beveva per conciliarsi il sonno; si autocurava con l’alcol ogni volta che ne trovava l’occasione.

    Prima di accorgersene, non riuscì più a limitarsi, anche se lo voleva. Inoltre, non ne aveva il minimo rimorso, rassegnatosi all’idea che la sua vita sarebbe stata per sempre quella, dal momento che, man mano che passava il tempo, la quantità di alcol che gli serviva per placarsi aumentava continuamente. Stava sviluppando una crescente tolleranza all’alcol. Ciò che era partito come il bisogno di un bicchiere di whisky ogni mattina appena sveglio, alla fine era diventato il bisogno di due bicchieri. E così via.

    Ironicamente, l’alcolismo non aveva avuto un impatto sulla sua resa da studente. In qualche modo era riuscito a restare tra i migliori della classe. Tuttavia, la sua salute aveva iniziato a peggiorare. Cominciò a mettere su peso, e a diventare sempre più lento ed estremamente lunatico. I liquori e la birra lo rendevano irritabile per la maggior parte della settimana, e non ci volle molto prima che la depressione prendesse il sopravvento. Ma, se in passato la depressione non era mai stata per lui un grosso problema, adesso decise di rialzare la sua brutta testa e divenne spietata. Gli faceva credere cose orribili non soltanto sugli altri ma anche su se stesso. Usando la depressione come punto di ingresso, l’alcol si trasformò nel miglior amico tossico di Ben, uno che lo faceva stare meglio e contemporaneamente insisteva a trascinarlo nel fango a ogni passo di più. La sua vita gli era ormai ufficialmente sfuggita di mano.

    Pian piano cominciò ad accorgersi che i pochi amici che era riuscito faticosamente a farsi stavano iniziando a parlargli sempre meno. Gli facevano visita meno spesso, e

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