Lo sceicco. A desert romance
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Anteprima del libro
Lo sceicco. A desert romance - Edith M. Hull
2019
I
- Non vuole tornare dentro per il ballo, lady Conway?
- No, assolutamente. Non sono per niente d'accordo con la spedizione che si celebra con questa festa. Penso che Diana Mayo, con la sua idea di fare un viaggio nel deserto tutta sola, senza farsi accompagnare da nessuno, né chaperon¹ né cameriera, solo cammellieri e servitori del posto, stia commettendo un'imperdonabile leggerezza. Inoltre dimostra di non avere rispetto, non solo per la sua reputazione, ma anche per il prestigio del suo paese. Se ci penso divento rossa dalla vergogna. Noi inglesi non baderemo mai abbastanza al nostro comportamento quando siamo all’estero. Lo sapete benissimo: i nostri amici europei si attaccano a tutto per darci addosso, e questa è tutt’altro che un'insignificante stupidaggine. È la follia più immorale di cui abbia mai sentito parlare...
- Avanti, lady Conway! Non è poi una cosa tanto grave... È contraria alle buone abitudini e anche, se vuole, un po’ sfrontata. Ma se pensiamo all’educazione che ha ricevuto miss Mayo... così strana ed eccentrica...
- Non mi sono dimenticata della sua educazione - interruppe lady Conway - che è stata semplicemente incredibile. Però questa fuga scandalosa non ha giustificazione alcuna. Molti anni fa ho conosciuto sua madre, e per questo mi sono sentita in dovere di fare qualche osservazione a Diana e a suo fratello. Sir Aubrey... è così chiuso nel suo compiacimento narcisistico che non è possibile schiodarlo dalle sue idee. Per lui i Mayo sono immuni alle critiche, esseri superiori, e la reputazione della sorella a lui non interessa. È lei che ci deve pensare, casomai. E la ragazza, da parte sua, non riesce a capire in quale imbarazzo mi trovo io. Mi ha ricevuto con molta disinvoltura, è stata molto educata. Non voglio avere a che fare con questa storia, soprattutto non voglio che la mia presenza qui possa essere interpretata come un’adesione. Ho già detto al direttore dell’hotel che se stasera i bagordi continueranno fino a notte inoltrata, domani faccio le valige e me ne vado...
Lady Conway, attraversata da un leggero brivido, si coprì col suo scialle, e quindi, regale, rigida e impettita, se ne andò passando per l’ampia veranda dell'Hotel Biskra. I due uomini si scostarono dalla porta a vetri che conduceva nel salone dell’albergo e si guardarono. Poi sorrisero.
- Che bel comizio! - disse uno dei due con accento spiccatamente americano. - È così che si alimentano i pettegolezzi...
- Accidenti ai pettegolezzi. Su Diana Mayo nessuno ha mai avuto niente da dire. La conosco da quando era bambina. È un po’ strana, eccentrica, questo sì... ma quella vecchia può andare a quel paese! Rovinerebbe la credibilità dell’arcangelo Gabriele se scendesse in terra, figuriamoci quella di una ragazza.
- Ragazza... proprio ragazza non direi... - disse ridendo l’americano. - Per me quella doveva essere un maschio che ha cambiato idea proprio all’ultimo momento! Sembra un ragazzo con la gonna, un gran bel ragazzo, lo ammetto, e pieno di energia! - continuò con un sorriso ironico. - Questa mattina l’ho vista in giardino mentre torturava un ufficiale francese.
L’inglese si mise a ridere.
- Di certo uno che le faceva la corte, ne sono sicuro. È una cosa che non capisce e non riesce a sopportare. È la donna più fredda del mondo. Pensa solo allo sport e ai viaggi. Però è un tipo in gamba, coraggiosa. Non sa cos'è la paura.
- C’è qualcosa di un po' strano nella sua famiglia, giusto? Ne parlavano l’altra sera. Mi hanno detto che il padre era mezzo matto... che si è sparato.
- Lo chiami pure matto se le va, - disse l’inglese stringendosi nelle spalle. - In Inghilterra abito vicino ai Mayo e so come sono andate le cose. Sir John Mayo voleva bene a sua moglie, dopo vent’anni di matrimonio sembravano ancora due fidanzati. Quando nacque la bambina, la madre morì e il padre si uccise due ore dopo. La lasciò al fratello, l’altro suo figlio, che allora aveva diciannove anni ed era già indolente ed egoista com’è adesso. Educare una ragazza lo annoiava e gli creava troppi problemi. Per questo cominciò a trattarla come un ragazzo. Davanti a lei ha il risultato di tutto questo...
Si avvicinarono alla porta, che era aperta, e dettero un’occhiata nel salone, splendidamente illuminato e pieno di gente che chiacchierava. Sopra una specie di pedana leggermente sopraelevata, proprio in fondo alla sala, miss Mayo e suo fratello intrattenevano gli ospiti. Fratello e sorella non si assomigliavano. Sir Aubrey Mayo era alto e magro, con un viso ancora più pallido a causa dei capelli neri lisci e i baffi nerissimi. Nel suo modo di fare, nella sua postura, coesistevano la gentilezza della persona educata e la flemma tipica della noia. Sembrava così provato da non avere nemmeno la forza di reggere il monocolo, che infatti continuava a cadergli dall'occhio. Di contro, la sorella sembrava piena di vita. Aveva un'altezza non superiore alla media ed era esile, diritta, comunicava la naturalezza e la forza di una giovane atleta, con la testa piccola e ben modellata, la fronte sempre alta. La bocca sprezzante e il mento energico rivelavano un carattere ostinato e deciso, mentre lo sguardo, animato dai suoi profondi occhi azzurri, era straordinariamente limpido e determinato. Le lunghe ciglia e le sopracciglia nere contrastavano con il biondo dei capelli folti e ricci, che portava corti in modo da lasciare liberi gli orecchi.
- Il risultato merita... - disse l’americano riferendosi all’ultima frase del compagno.
Intanto un altro ragazzo, più giovane, si era avvicinato a loro. - Oh! Buonasera, Arbuthnot. È arrivato in ritardo. La Divina è già circondata da una frotta di ammiratori che vorrebbero ballare con lei.
Il viso dell’ultimo arrivato si face rosso e stizzito. - Sono stato fermato da quella vecchia velenosa di lady Conway! Aveva da dirmi un sacco di cose su miss Mayo e sul suo viaggio. Ci sarebbe voluta una museruola per tapparle la bocca! Ho capito che avrebbe continuato a blaterare per tutta la notte e allora l'ho gentilmente mandata al diavolo. Però su una cosa sono d’accordo con lei. Perché quel culo pigro di Mayo non può accompagnare sua sorella?
Gli altri due non seppero rispondere. Nel frattempo la musica aveva incominciato a farsi sentire, e il salone era pieno di coppie di ballerini che parlottavano e ridevano allegramente.
Sir Aubrey Mayo se n’era andato e la sorella era rimasta sola fra i ragazzi: aspettavano tutti un suo sì. Lei li allontanava uno a uno con un cenno della mano, seguito subito dopo da un sorrisetto e da una decisa mossa della testa.
- Mi sembra che non si preoccupi molto delle apparenze! - disse l’americano.
- Vuole provarci anche lei? - gli chiese il più anziano dei due inglesi.
L’americano strappò con i denti la punta del suo sigaro, lo rimise in bocca e rispose con un mezzo sorriso: - non ci penso nemmeno. Mi ha scartato subito come ballerino, non appena ci siamo conosciuti. Non me la prendo - aggiunse poi con una risatina di compatimento - ma la sua esagerata franchezza mi tormenta ancora. Mi ha detto senza tanti preamboli che non sapeva che farsene di un americano incapace di cavalcare e ballare. Io ho cercato di farle capire, gentilmente, che negli Stati Uniti gli uomini hanno molte altre maniere di farsi strada nella vita oltre a ballare nei cabarets e bastonare il bestiame, ma mi ha guardato con due occhi di ghiaccio... io mi tengo a distanza, è meglio. No, non ci provo nemmeno. Mister compiacimento egoistico
, per chiamare sir Aubrey con le parole di lady Conway, farà un bridge un po' più tardi, proprio quello che mi ci vuole. Dopo tutto non è una cattiva persona, basta sopportare le sue eccentricità. Mi piace giocare con un tipo del genere, per lui vincere o perdere è uguale.
- Sono cose senza importanza quando si ha in banca una fortuna come la sua! - disse Arbuthnot. - Io, invece, sono del parere che il ballo sia più divertente e meno costoso. Farò un tentativo, vedrò se mi riesce di ballare con la nostra ospite.
Un attimo dopo guardò appassionatamente verso il lato opposto della sala. La ragazza era rimasta sola, era in piedi sotto una lampada. La luce che cadeva dall’alto riempiva di riflessi dorati i riccioli che incorniciavano il suo visino altezzoso. Guardava le coppie che ballavano con un’espressione stranita, come se i suoi pensieri fossero lontani migliaia di chilometri.
L’americano spinse Arbuthnot verso l’interno della sala e disse con una risatina: - avanti, sciocco farfallone, faccia in fretta... corra a bruciarsi le ali! Quando questa crudele bellezza l'avrà distrutta con il suo disprezzo verrò io a darle una mano! Se invece il suo coraggio avrà il successo che merita, allora festeggeremo la ricorrenza come è giusto che sia.
E preso sotto braccio l’altro amico, un inglese, lo trascinò verso la sala da gioco.
Arbuthnot entrò nel salone ed evitando i ballerini cominciò a farsi strada lungo le pareti, fra uomini e donne di tutte le nazionalità, gente che chiacchierava. Finalmente giunse alla pedana sulla quale stava in piedi Diana Mayo. Salì i pochi scalini e si trovò a fianco della ragazza.
- Che fortuna, miss Mayo! - disse ostentando una disinvoltura e una sicurezza di sé del tutto posticce. - Sono così fortunato da incontrarla senza un cavaliere?
Diana si girò lentamente verso di lui, aggrottando un po’ la fronte, come se il suo arrivo l’avesse disturbata distogliendola dai suoi pensieri. Quindi gli sorrise con un’espressione di eloquente franchezza.
- Avevo detto che non avrei ballato finché tutti non fossero stati in coppia - rispose con un'aria incerta, guardando la sala piena di gente.
- Stanno tutti ballando. Lei ha fatto splendidamente il suo dovere di padrona di casa. Non lasci passare il motivo che stanno suonando in questo momento, è molto bello, - disse il giovane con un tono convincente.
La ragazza esitava. Giocherellava col programma che teneva davanti alla bocca.
- Ho detto di no a molti... - disse con una smorfia impertinente; poi, all'improvviso, si mise a ridere e aggiunse: - va bene, andiamo. Mi conoscono già tutti per il mio brutto modo di comportarmi, e questa sarà solo una colpa in più da aggiungere all'elenco ben noto dei miei peccati.
Arbuthnot ballava bene, ma quando ebbe la ragazza fra le braccia non riuscì più a parlare. Fecero molti giri. Arrivati vicino alla porta a vetri che si apriva sul giardino dell’albergo smisero di ballare, uscirono all’aperto e andarono a sedersi su un divano di vimini sotto una lanterna giapponese.
La musica continuava e il giardino era vuoto, in quel momento. Le lanterne colorate appese ai festoni tra una palma e l’altra e le lampadine disposte lungo i viali gettavamo qua e là una luce fioca.
Arbuthnot se ne stava chinato in avanti con le mani strette tra le ginocchia.
- Credo che lei sia la ballerina migliore che io abbia mai incontrato - disse con una voce che tradiva ancora l’agitazione prodotta dalla danza.
Diana lo guardò con un'aria seria, senza la minima traccia di vanità, e rispose tranquilla: - è davvero facile ballare quando si ha orecchio e quando il corpo è abituato rispondere ai nostri comandi. Poca gente si è allenata a farlo, intendo a comandare il proprio corpo. Io, invece, ho cominciato a farlo fin da bambina.
Una risposta del genere, inaspettata, zittì il giovane per alcuni minuti, e la ragazza non fece niente per interrompere quel silenzio. La musica si era interrotta e le coppie di ballerini occuparono il giardino fino a che non furono richiamate in sala da un nuovo motivo ballabile.
- Si sta bene qui in giardino - disse alla fine Arbuthnot, giusto per tentare di trattenere la ragazza. Il cuore gli batteva con una rapidità a lui sconosciuta e gli occhi, fissi sulle mani chiuse tra le ginocchia, avevano uno sguardo in cui il risentimento si faceva sempre più forte.
- Intende dire che vuole che resti qui mentre suonano questo ballabile? - disse la ragazza con una franchezza così ingenua che annientò l’imbarazzo del suo cavaliere.
- Sì - balbettò lui goffamente.
Diana, sollevò il programma così da poterlo leggere alla luce della lanterna.
- Avevo promesso questo ballo ad Arthur Conway. Ogni volta che c’incontriamo litighiamo. Non capisco perché abbia voluto questo ballo, disprezza tutto quello che faccio... anche più di quella rompiscatole di sua madre! Sarà ben contento di togliersi la seccatura di dover ballare con me! E io non ne ho voglia, questa sera. Sto pregustando la gioia che proverò domani. Resterò con lei a chiacchierare, ma mi accenda una sigaretta, mi tiene di buon umore.
Mentre le allungava il fiammifero acceso, la mano di Arbuthnot tremava un po'.
- È proprio decisa a fare questo viaggio?
- Certo, perché non dovrei esserlo? - rispose Diana con un'aria sorpresa. - È un bel po' che mi sto preparando. Perché mai dovrei cambiare idea all’ultimo momento?
- Ma perché suo fratello la lascia andare da sola? Perché non l'accompagna? Lo so bene, non ho nessun diritto di farle queste domande, ma gliele faccio lo stesso! - disse il ragazzo accalorato.
Diana ridacchiò e si strinse nelle spalle. - Non abbiamo trovato un accordo, Aubrey e io. Lui voleva andare in America, io volevo fare un viaggio nel deserto. Abbiamo bisticciato per due giorni e mezzo, notte compresa, e poi finalmente siamo arrivati a un compromesso. Io farò il mio viaggetto nel deserto e Aubrey andrà a New York. In segno di fraterna gratitudine per la mia cortese promessa di raggiungerlo in America tra un mese, ha deciso di onorare la mia carovana della sua presenza per la prima tappa. Poi mi lascerà proseguire da sola con la sua benedizione. Gli è molto dispiaciuto di non potermi imporre il suo volere. È la prima volta che non ci troviamo d’accordo su qualcosa, sull’itinerario delle nostre reciproche peregrinazioni. Ma da qualche mese sono maggiorenne, e d’ora in avanti farò quello che mi pare e piace. Con questo non intendo mica dire che fino a ora ho fatto qualche cosa d'altro... - rise di nuovo. - Perché fino a ora quello che faceva Aubrey piaceva anche a me!
- Ma per un mese! Non avrebbe potuto spostare il suo viaggio di un mese! - esclamò Arbuthnot sorpreso.
- Aubrey è fatto così... - rispose seccamente Diana.
- Ma è pericoloso! - continuò il ragazzo.
La ragazza lasciò cadere la cenere dalla sigaretta con un gesto calmo e misurato.
- Non sono d'accordo con lei - disse con aria indifferente - non capisco perché tutti trovino da dire sul mio viaggio. Molte donne hanno viaggiato in paesi molto più selvaggi di questo benedetto deserto...
Lui la guardò sorpreso. Sembrava che la ragazza non si rendesse conto che quella spedizione nel deserto era pericolosa proprio perché era giovane e bella.
Arbuthnot, per tentare di farle cambiare idea, scelse un argomento più convincente e le disse con un'aria seria: - dicono che alcune tribù siano in uno stato di pericolosa agitazione. Circolavano brutte voci a questo proposito...
- Oh! Ecco quello che tutti dicono quando vogliono impedire a qualcuno di fare una cosa! - rispose Diana con un gesto che rivelava impazienza. - Le Autorità locali mi hanno già demotivato con questi argomenti, ma quando ho chiesto di conoscere meglio i fatti sono rimasti sulle generali. Così ho chiesto se mi avrebbero impedito di partire e mi risposero di no. Dissero solo che erano molto contrarie al mio viaggio. Gli risposi che sarei partita lo stesso, sempre che il Governo francese non mi arrestasse. Poi non capisco: non ho paura, e secondo me non c'è nulla da temere. E non penso che ci siano tribù in guerra. Il mondo arabo è sempre in agitazione. Io ho un capo-carovana molto preparato, perfino le Autorità lo confermano. Poi sarò armata. Sono capace di difendermi e di badare a me stessa, so sparare bene e sono abituata a vivere sotto una tenda. Poi ho promesso a Aubrey che sarò a Orano² tra un mese, e in un mese non si può andare troppo lontano...
Nella voce di Diana c'era ostinazione. Quando smise di parlare, il suo giovane interlocutore non ebbe il coraggio di insistere e rimase in silenzio, tormentato dall’ansia, profondamente colpito dalla bellezza di lei e tutto preso dal desiderio di esprimere questo suo sentimento.
All'improvviso si girò verso di lei. Era pallido come un morto: - miss Mayo... Diana... la prego di rinviare questo viaggio solo di qualche giorno e di consentirmi di venire con lei. Ti amo, Diana. Il mio desiderio più vivo è che un giorno tu possa essere mia moglie. Non sarò per sempre un impiegato qualsiasi, senza mezzi. Tra non molto sarò in grado di offrirti una posizione degna di te... intendo dire una posizione che io possa offrire senza vergognarmi. Siamo buoni amici e mi conosci bene. Darò la mia vita per farti felice. Da quando ti ho conosciuto il mondo è cambiato, per me. Non riesco a stare lontano da te. Ti penso giorno e notte. Ti amo, ti desidero. Sei bella da impazzire!
- Ma la bellezza è la sola cosa che un uomo desidera in una moglie? - chiese lei con un tono freddo e meravigliato. - Penso che l’intelligenza e la buona salute siano molto più importanti.
- Certo, ma quando una donna possiede queste doti insieme, proprio come te... - sussurrò il ragazzo, appassionato, prendendole la mano. Ma con una forza difficile da sostenere per mani così minute. Diana si liberò in fretta.
- Fammi la gentilezza di stare al tuo posto. Mi hai dato noia. Siamo sempre stati buoni amici e non ho mai pensato che potesse esserci qualche altra cosa tra noi. Non ho mai pensato che tu potessi innamorarti di me, né che fossi un uomo con idee del genere in testa. È una cosa che non capisco. Quando sono stata concepita, Dio si è dimenticato di regalarmi un cuore. Non ho mai amato nessuno nella mia vita. Mio fratello e io ci siamo solo sopportati, non c’è mai stato amore fra noi. Impossibile che non fosse così. Mettiti nei suoi panni. Immaginati un ragazzo di diciannove anni, freddo e riservato, che all'improvviso e senza averne la minima voglia è costretto a occuparsi di una sorella. Avrebbe potuto volermi bene? Comunque non l’ho mai desiderato. Sono anch'io fredda quanto lui. Sono stata cresciuta come un maschio, un'educazione dura. L’affetto, i sentimenti... sono stati banditi dalla mia vita. Non so nemmeno cosa significhino e non mi interessa neanche di saperlo. Sono contenta così. Il matrimonio... per una donna vuol dire dipendere da qualcuno, parlo del matrimonio con un uomo degno di questo nome, al di là di quello che pensano le donne più moderne di oggi. Non ho mai ubbidito a nessuno in vita mia e non ho voglia di cominciare adesso. Mi dispiace di averti ferito. Sei un buon amico, ma non c'è niente da fare. L’amore è un sentimento che non fa parte dalla mia vita. Se avessi solo pensato che la mia amicizia potesse crearti qualche problema, non avrei lasciato che si stabilisse tra noi un'intimità. Ma non ci ho pensato, perché all’amore io non ci penso mai. Per me un uomo non è che un compagno col quale passeggiare a cavallo, pescare, andare a caccia. Un compagno di avventure, niente altro. Sono nata femmina. Solo Dio sa il perché...
Nella sua voce, calma e monotona, c'era un accento di fredda sincerità che non poteva lasciare dubbi. Lei aveva detto quello che sentiva, lei era ciò che aveva detto. Era la verità. La sua indifferenza per le attenzioni che suscitava e il suo modo di fare, identico con tutti gli uomini, erano cose note, almeno quanto il suo coraggio e il suo carattere risoluto. Con sir Aubrey Mayo, Diana si comportava come con un fratello minore. E così faceva anche con gli amici di lui. Tutti le volevano bene, anche le madri delle ragazze in età da marito. Anche se era ricca e bella, i suoi modi eccentrici la rendevano una rivale improbabile anche per le ragazze più semplici e meno dotate.
Arbuthnot rimaneva in silenzio. Aveva capito, amaramente, che non avrebbe vinto dove molti altri uomini avevano già fallito. Uomini anche migliori di lui. Era stato uno stupido a cedere alla tentazione, ma era stata troppo forte, non aveva saputo resistere.
Conosceva Diana fin troppo bene per non sapere dal principio come avrebbe risposto. Ma era preoccupato per quel viaggio nel deserto... suggestionato dall'idea di essere accanto a lei, avvolti dal fascino misterioso della notte d’Oriente, con le luci fioche delle lanterne, la musica... tutto ciò gli aveva evocato parole che in un altro momento di maggiore lucidità non avrebbe mai detto. Amava Diana, l’avrebbe sempre amata. Ma sapeva che il suo amore, eterno, era senza speranza. Per lei gli amici dovevano essere uomini, uomini veri. Proprio per questo, per rimanere ancora suo amico, avrebbe dovuto reagire da uomo.
- Diana... ti va di rimanere amici? - chiese con calma.
Lei lo guardò per un attimo. Alla luce fioca della lanterna sospesa sopra le loro teste, gli occhi del giovane la fissavano. Diana gli tese una mano con un gesto sincero.
- Con molto piacere - disse candidamente. - Conoscenze molte, ma amici ne ho pochi. Aubrey e io siamo sempre stati in viaggio e non abbiamo mai avuto tempo, così pare, di coltivare amicizie. Raramente ci fermiamo in un posto a lungo, non quanto siamo rimasti a Biskra, per esempio. In Inghilterra dicono che siamo cattivi vicini, perché ci vedono pochissimo. Rimaniamo a casa tre mesi in inverno, nella stagione della caccia, il resto dell’anno giriamo il mondo.
Arbuthnot trattenne per un istante le dita sottili di lei fra le sue, soffocando a fatica il desiderio folle di baciarle. Sapeva che se le avesse baciate, avrebbe perso per sempre quell’amicizia che aveva appena riconquistato.
Miss Mayo rimase tranquillamente seduta al suo fianco. Non era per niente agitata per quello che era successo. Aveva preso alla lettera ciò che lui aveva detto e adesso lo trattava proprio da compagno, come aveva chiesto di essere trattato. Non le veniva neanche in mente che, allontanandosi da lui, lo avrebbe fatto soffrire meno, né che, rimanendogli vicina, lo avrebbe reso ancora più angosciato. Non provava imbarazzo né dispiacere, non si rendeva conto del turbamento che agitava l'animo di Arbuthnot.
Nessuno dei due parlava. Lei pensava al deserto, lui non riusciva a dimenticare il desiderio e il rimpianto che aveva provato. A un tratto la voce di un uomo ruppe la tranquillità della notte. Cantava: Pale hands I loved beside the Shalimar. Where are you now? Who lies beneath your spell?³ Era una voce baritonale, calda, appassionata. Cantava in inglese ma tra le note c'era come una specie di legatura, qualcosa di strano e di indefinibile che non era per niente inglese. Diana Mayo si piegò in avanti, con la testa sollevata. I suoi occhi brillavano e ascoltava con grande attenzione. La voce sembrava venire dalla parte del giardino immersa nell’ombra o forse da ancora più lontano, forse dalla strada, oltre la siepe.
Lo sconosciuto cantava piano, e la sua voce marcava languidamente le parole. Le note dell’ultimo verso svanirono dolci e cristalline, a poco a poco, in un silenzio profondo. Per un momento la quiete fu assoluta. Poi Diana, sospirando, si appoggiò alla spalliera del divano. - Kashmir Song! - disse. - Mi fa venire in mente l’India. L’anno scorso ho sentito un uomo cantare questo motivo in Kashmir, ma non così. Che voce stupenda... mi piacerebbe sapere chi è...
Arbuthnot la guardò pieno di curiosità. Era sorpreso dall'improvviso interesse che aveva notato nella sua voce, si era come risvegliata.
- Hai detto che non ti commuove nulla... e ti basta il canto di uno sconosciuto per coinvolgerti così. Come fai a conciliare le due cose? - domandò lui un po' irritato.
- Non capisco: apprezzare la bellezza e gustarla vuole dire coinvolgimento? - rispose Diana sollevando gli occhi. - No di sicuro. La musica, l’arte, la natura, tutto ciò che è bello mi attrae. E non ha nulla a che fare con il coinvolgimento emotivo. Vuole solo dire che preferisco le cose belle a quelle brutte. Proprio per questa