In limine
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Appunti per un teatro dei sintomi
In limine è una breve raccolta di appunti di ricerca teatrale (riflessioni, lettere, documenti, interventi) scritti da Francesco Chiantese negli ultimi venti anni.
La parte centrale della raccolta è costituita da una conversazione tra Francesco e Natasha Bonavolontà, una sua allieva e giovane critica letteraria.
In questo breve brogliaccio è possibile scorgere il quotidiano dell'artigianato teatrale attraverso le riflessioni di chi lo vive con amore nonostante tutto.
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Anteprima del libro
In limine - Francesco Chiantese
Francesco Chiantese
In limine
Si ringrazia per la presenza
Natasha Bonavolontà
L'immagine in copertina è della fotografa
Daniela Neri
Visita il sito di
Francesco Chiantese
e quello di
Officine d'Elsa
UUID: 17c4670e-4ff1-11e4-aa9c-ed5308d36374
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Ringraziamenti
alla mia famiglia,
a cui non ho saputo dedicare ancora nulla;
ai compagni di viaggio
a cui ho rubato quel che ho;
al Taddo,
che sta suonando in Africa,
ne sono sicuro.
Prefazione
Seppellitemi dunque
sulla cima di un albero
che abbia radici
nelle vostre mani
ed io
vi mostrerò i miei inferni,
nelle vostre,
infinite
certezze.
Che solo una foglia staccata dal ramo
che si lasci piegare dal vento
può contenere in sé,
come in un pugno schiuso,
una parte di mare
Il teatro è una forma di artigianato; un artigianato delle relazioni. Credo di aver ripetuto più volte, negli ultimi anni, questa affermazione come si ripete con perseveranza a se stessi, e con gioia agli altri, una verità quando la si riconosce come tale, quando la si usa come appiglio quotidiano.
Così, la mia famiglia, diviene quella dei falegnami, dei calzolai, dei tagliatori di pietra; anzi, per essere più corretto, dovrei dire che la mia famiglia torna
ad essere quella di chi lavora quotidianamente.
È chiara in me l’immagine di mia nonna che mi dice: Hai le mani grandi perché vieni da una famiglia di gente che lavora, anche se spero tu non le debba mai usare
.
Ricordo l’entusiasmo di mio padre, quando da bambino mi mostrava case, ponti, dighe, centrali elettriche e mi diceva: Guarda! Lì c’è anche il mio lavoro
; di quello stesso entusiasmo, sono figlie queste pagine.
Non credo di avere cose importanti da raccontare, ma so quanto sia importante per me trasformare in racconto una parte del mio lavoro, cercare di costruire dialoghi attorno a delle intuizioni, fare arrivare ad altri il mio entusiasmo.
Ci tengo a precisare che, questo, non è un libro di teatro; a dire il vero, non credo possano esistere libri di teatro
.
Non si può trasporre il teatro fuori dal suo spazio ristretto e dal suo tempo misurato; il teatro non è in un libro, in un video, in un dialogo.
Questo è un breve libro di cose che riguardano
il teatro, di cose che stanno attorno
al teatro, ma che non sono il teatro.
Da un teatro urgente
Primo manifesto per un teatro urgente
Scritto a Siena nell’autunno del 2000 a pocbi mesi della nascita dell’Accademia Minima del Teatro Urgente, questo breve documento aveva lo scopo di fare da timone, di guida, per un gruppo di persone con esperienze culturali, motivazioni ed abilità estremamente differenti.
Tutte però unite dalla passione per il teatro.
Esso fu inserito come monologo di Lucky nel mio allestimento di Aspettando Godot.
L’Accademia Minima nasce dalla necessità, di un gruppo di giovani attori, di avere un luogo (fisico e non) dove poter far confluire le proprie precedenti esperienze e nello stesso tempo avere il diritto di rubare
quelle degli altri.
Una serie di ricerche espressive individuali che trovano, nell’esperienza di un collettivo teatrale, il giusto momento di confronto, maturazione, forza.
Indubbiamente il collettivo nasce come luogo di studio dell’espressione, come luogo di sperimentazione; la materia di studio, ovviamente, non può essere che l’uomo stesso, dalla cui analisi, l’attore trae il materiale strutturale su cui costruire i propri personaggi, le proprie finzioni.
Un teatro laboratorio.
Un teatro dove isolare aspetti del quotidiano, controllarne i parametri per meglio conoscerli.
Un laboratorio dove contenere l’uomo per analizzarne da vicino le pulsioni, le reazioni, le intime urgenze.
Il palco come osservatorio privilegiato, come altare scomodo, come piazza del mondo.
Luogo di analisi ma anche di denuncia. Perché le grandi intuizioni, le grandi scoperte che sono figlie del teatro non hanno utilità se non diffuse apertamente e largamente a tutti.
Il teatro degli urgenti è quella casa troppo grande in cui spesso ci si perde ed in cui convivono musica, parola, movimento, forma, errore.
Quel grande gioco che fa parte della vita nella stessa misura in cui la vita ne fa parte.
Gli Urgenti hanno come vocazione naturale la sperimentazione, la trasgressione, consapevoli però che