Il Fazzoletto di Terra
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Nei sessant’anni che precedettero il 1861 si fece di tutto per unificarla, pagando un immane tributo di sangue versato in lotte fratricide, in sommosse e in guerre civili efferate che avevano lo stesso denominatore comune: italiani che ammazzavano altri italiani.
La si unificò, volente o nolente; peccato che non si fece nulla per unirla, anzi, i centocinquant’anni successivi furono un susseguirsi di scelte scellerate che ci fecero dividere ancora di più.
Dagli inizi del 1800 a oggi si sono infatti susseguiti più di due secoli ininterrotti di clima da guerra civile costante.
Ciò ha generato rancori, risentimenti, diffidenza, divisione e odio che ci hanno fatto allontanare sempre di più dalla visione originaria, accatastando dentro di noi strati su strati di incrostazioni, che ci stanno impedendo di vedere chi veramente siamo nel nostro essere più profondo.
Ci stanno accecando fino a impedirci di vedere addirittura noi stessi.
Con quel passato è giunta l'ora di fare i conti e tocca farlo a ciascuno di noi, se vogliamo capire chi siamo veramente. Quando accusiamo qualcun altro della decadenza che ci circonda in realtà stiamo mentendo spudoratamente e vigliaccamente, in primis, a noi stessi.
In cuor nostro lo sappiamo che tocca a ciascuno di noi togliere di mezzo quelle incrostazioni se vogliamo scendere nel profondo della nostra anima millenaria, fino a incontrare l’italiano che c'è in noi, perché noi siamo italiani da tempo immemore.
Siamo qui da millenni; forse da sempre.
Questo testo audace ci conduce in un viaggio interiore lungo il fiume di vita che ci scorre dentro, alla scoperta della nostra essenza. Col coraggio del rivoluzionario fa piazza pulita di stereotipi e cliché, arrivando ad individuare chi siamo, dove dobbiamo andare, ma, soprattutto, da dove dovremmo ripartire.
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Anteprima del libro
Il Fazzoletto di Terra - Fabio Pozzerle
Ai miei amati genitori,
Antonio e Regina (Ginetta).
Introduzione
Vedendo questo libro e prendendolo in mano vi sarete chiesti: cos’è questo scritto? Vi accontento subito, cercando di dare risposta alla vostra domanda il più brevemente possibile; giusto il tempo di leggere questa premessa. Ebbene, innanzitutto non scandalizzatevi se vi dico che questo scritto potrebbe rappresentare un’idea un po’ pazza. Una di quelle idee balzane che di solito vengono ai tizi un po’ folli, quelli che di solito si definiscono creativi solamente quando hanno delle buone idee. Diversamente li si preferisce definire semplicemente pazzi. Oppure no, magari esagero. Magari, giacché a tutti noi italiani, dopo pizza e mandolino, il mondo intero riconosce il fatto d’esser dotati di una spiccata creatività, un po’ folli quindi, potremmo di conseguenza dire che si tratti semplicemente dell’idea di un italiano. Anch’egli, come tanti italiani, deluso dallo Stato. Al contrario, come pochi, convinto della possibilità di rinascita della nostra nazione. Uno di quei pochi (pazzi), insomma; forse, uno dei più pazzi e come tale disposto a rischiare d’esser messo alla gogna e ridicolizzato per quel che dice e pensa. Incapace di stare fermo a guardare, mentre l’Italia sprofonda dentro le pochezze di chi oggi reputa d’avere i titoli per governarla, ma stanco dell’inconsistenza di chi quei governanti critica e vorrebbe cacciare, senz’avere idea di cosa serva davvero per ricominciare, ma soprattutto ricominciare da dove e da cosa. Mentre scriveva ha voluto provare a spegnere tutto e a fermarsi a meditare. Ha voluto buttare per un bel po’ di tempo quegli arnesi infernali della comunicazione di massa e si è fermato ad ascoltare semplicemente se stesso. Mettendosi da un punto d’osservazione esterno, ha scelto di scavare, scavare e ancora scavare nel profondo di se stesso, della sua vita, della sua storia personale, buttando di lato buona parte delle sue convinzioni, delle sue ideologie, dei suoi retroterra culturali, educativi, religiosi, assopendo fino ad annullarle quasi del tutto, le sensazioni emotive. Ha osservato solo se stesso e ha provato a fare altrettanto col se stesso cittadino. È sceso nel profondo del proprio essere, come farebbe un fisico alla ricerca della particella fondamentale della materia, per arrivare al punto zero e ricominciare tutto, rivoluzionando tutto. Egli si è chiesto come mai dopo più di 150 anni l’Italia intesa come nazione, come popolo dunque, sia solamente unificata e non ancora unita. Cos’è che ci divide? Non è che forse ci sia di mezzo ancora quel campanilismo del quale fino a qualche decennio fa si parlava e dibatteva? Crediamo veramente che il fatto di non parlarne più, l’abbia fatto semplicemente sparire? Purtroppo no! Il campanilismo si è radicato, invece, ed è stato sfruttato su larga scala spingendo su supposte differenze regionali o interregionali, tali da giustificare rivendicazioni non solo autonomiste, ma indipendentiste e secessioniste. Vi è stato quindi un aggravarsi di quel male, che, paradossalmente, nella divisione che esso stesso determina, ci accomuna tutti. Idee che negli scorsi trent’anni fondavano e ancora in parte fondano la loro sussistenza, su una supposta superiorità delle nazioni nordiche, alle quali il Nord Italia sarebbe affratellato per via di una parentela celtica risalente a 2400 anni or sono, come se nel mezzo non fosse accaduto nulla, eccezion fatta per la battaglia di Legnano vinta da Alberto da Giussano nel vicino
1176. Ebbene, quelle idee sono sfociate in una generalizzata tendenza culturale e ideologica, che ha spinto tutti noi a considerare come modello culturale ideale, quello al quale ambire, il modello degli eredi di Franchi, Unni, Longobardi, Ostrogoti, Visigoti, Sassoni e altre orde barbariche, che ha condotto buona parte della popolazione a soffrire del complesso di Edipo nei confronti delle nazioni d’oltralpe. La crisi economica che stiamo attraversando ha svelato e sta svelando tutto l’effimero di quelle idee, giacché le nazioni eredi dei barbari ci stanno scaricando senz’appello. Esse ci stanno relegando in una condizione tale da condurci verso un impoverimento non solo economico, ma anche culturale e sociale, che sta determinando l’insorgere di uno stato di depressione collettiva senza precedenti. Ciò è letale per una nazione, così come lo sarebbe per ogni singola persona. Ritengo fondamentale intervenire per arginare il fenomeno colpendone senza indugio la causa scatenante. Vogliamo dunque provare a fermarci e a riprendere in mano la questione irrisolta del campanilismo? La vogliamo riportare d’attualità, affrontandola a viso aperto e in chiave nuova? Quell’italiano pazzo, qui c’ha provato. Ha fatto un’analisi profonda, quasi ascetica, del se stesso cittadino, osservando i suoi comportamenti in modo acritico, apolitico, razionale. Ha deciso di farlo raccogliendo tutto il suo coraggio, esponendo pubblicamente se stesso e la sua storia. Una storia al contrario rispetto a quelle ordinarie, perché racconta di un italiano nato al Nord, vissuto al Nord, cresciuto in quella Verona culla delle teorie che tanto decantano la superiorità del Nord sul Sud. Un nordico che per giunta possiede un cognome di origine austriaca e che ad un certo punto della sua vita ha avuto l’occasione di conoscere il Sud e le sue genti. Di quelle terre ne è rimasto affascinato a tal punto da decidere di sposare appieno l’idea che solo una totale e consapevole riabilitazione della dignità delle genti del Sud agli occhi di quelle del Nord possa consentire una vera e completa riunificazione nazionale, riportando tutti ad un disegno comune, sola base di partenza per giungere alla rinascita della nostra nazione. Per questa ragione diviene un migrante al contrario, da Nord a Sud, sceso idealmente tra le genti meridionali per contribuire alla nascita di un nuovo irredentismo meridionalista, ma con l’intenzione di farlo operando fisicamente dal profondo Nord. Da qui la decisione di osare l’audacia di render nota la sua vita e le vicissitudini trascorse; le debolezze, le paure, facendolo a viso aperto per sgomberare il campo dall’idea del chissà cosa mai ci sarà dietro
, cosa caspita vuole questo qui
, da quell’abitudine ormai troppo diffusa tra di noi del sospettare di tutto e di tutti. Un’idea del sospetto che si è ahimè diffusa, lo dobbiamo ammettere, per via della corruzione dilagante ad ogni livello sociale e non solo politico. Una riflessione ad ampio spettro, dalla quale ne ha tratto uno scritto, un’analisi ironica, cruda, impietosa, dissacrante sicuramente, ma contenente l’ambizione di indicare una via d’uscita che porti ad una rinascita del nostro popolo. Per questo motivo, egli pensa che la giusta e necessaria crescita di un irredentismo meridionale, debba essere accompagnata da una corrispondente operazione di preparazione culturale del Nord affinché questa nuova spinta meridionalista sia vista positivamente e benevolmente accolta. Ciò tornerebbe utile non solo a chi si sta adoperando affinché le genti meridionali prendano coscienza della propria identità, ma anche e soprattutto all’intera nazione, sia per evitarne lo sfaldamento, sia per giungere finalmente a quella tanto sofferta e non ancora raggiunta unità nazionale. Si tratta del tentativo di ridare ad ogni individuo facente parte della nazione italica una nuova consapevolezza di se stesso e di ciò che dovrebbe volere per il proprio destino, nella convinzione che è la somma dei destini di ciascun italiano a costruire il destino della nostra nazione, del nostro popolo. Un popolo che coscientemente sappia ritrovare la giusta consapevolezza relativamente a quale sia il suo ruolo, il suo posto, nel mondo. Saranno molte le cose che dovremo profondamente analizzare e poi ineluttabilmente stravolgere. Il cambiamento radicale fa paura, ma un processo che si voglia definire rivoluzionario non potrebbe essere altrimenti. Così come quando si vuole costruire un edificio solido lo si fa dalle fondamenta e non dal tetto, allo stesso modo non si può avviare un processo rivoluzionario partendo dalle barricate. Le barricate sarebbero come il tetto di quell’edificio, ma su quelle si dà semplicemente il via alle rivolte, alle sommosse, che lasciano il tempo che trovano e, alla fine, rischiano di non cambiare nulla. Al contrario, una rivoluzione che si rispetti deve nascere in primis dentro ciascuno di noi. Qui quel cambiamento egli l’ha provato a fare e la follia vera sta semplicemente in questo: aver provato a tradurre nero su bianco quella balzana idea.
Il risultato sono questi primi tre quaderni dove, seguendo le tracce delle sue esperienze personali, anzi partendo proprio da quelle, segna un percorso che accomuna, intrecciandole, esperienze personali e collettive. Nel primo quaderno prova a fotografare la situazione e a scovare il guaio originale, partendo da una profonda presa di coscienza che sembrerà semplice e ovvia ma che in realtà non lo è e cioè che noi siamo ciò che siamo stati e abbiamo vissuto, sia come individui che come popolo. Perciò, se siamo campanilisti, poco inclini alla mobilità, di visioni in genere piuttosto ristrette, spesso bigotte, e ambigui nei confronti del potere che odiamo in pubblico, ma ossequiamo in privato, un motivo c’è e forse l’ha trovato in quella teoria che dà il titolo al libro. Nel secondo, invece, mette a nudo quelle catene che impediscono il cambiamento perché se è vero ciò che riguarda i tratti caratteriali poco sopra delineati, è altrettanto vero che ci abbiamo provato più volte ad uscirne, ma senza grandi successi: perché? Fatalismo e abbandono al divino sono i tratti principali di un meccanismo che ci vuole mantenere legati alla terra natia e al nostro passato che ci ostiniamo nostalgicamente a ripercorrere, impedendoci di spiccare il volo. Nel terzo, che non sarà l’ultimo, sempre partendo dalle sue esperienze personali, prova a far aprire gli occhi, proponendo un diverso modo di concepire precetti religiosi fondamentali, come la fede, la speranza e la carità, riportandoli ad una visione più larga e laica; oppure quelli laici della solidarietà e della tolleranza, talmente importanti per la crescita individuale in seno all’accrescimento sano di una collettività, da dover essere portati al livello di dogmi sacri, rispolverando Voltaire, Galileo e Aristotele. Avverte la necessità di passare con decisione ad un nuovo modo di considerare la storia, la cultura, l’arte, i monumenti e soprattutto la nostra splendida penisola e i suoi abitanti (tutti!), ripulendoci degli attuali stereotipi che ci costringono ad utilizzare un modo di dare un valore a tali cose e in particolare ai fatti storici, che bada più alla cronologia dei fatti o alla datazione dei monumenti e alla loro vetustà nel rispetto della logica del mercato, piuttosto che ai contenuti e agli insegnamenti da trarre. Sprona tutti noi a credere in quelle che sono le nostre potenzialità, perché se tutte le culture hanno attinto da noi traendone beneficio, possibile che solo noi e proprio noi non lo sappiamo fare?
Infine, riavvolge il nastro del film della storia della nostra nazione scavalcando in un solo colpo le innumerevoli e dolorosissime fratture e divisioni che hanno contraddistinto questo primo secolo e mezzo di unità della nazione, riportandoci ad un punto zero accomunante, deciso per convenzione, non troppo lontano nel tempo, dal quale poter ripartire. Ambiziosetto quel tipo: non trovate? Lui, se glielo dici ti risponderà coraggioso, non ambizioso
. Sì, può essere, dico io. Anzi, aggiungo, più incosciente che coraggioso anche se, in verità c’è chi ritiene che non possa esserci coraggio senza possedere una buona dose di incoscienza. Vedremo chi avrà ragione tra i due, se io nel definirlo ambizioso o se lui nel definirsi coraggioso. Anzi, a dire il vero, giudicherete voi, alla fine, se avrò avuto ragione io o se avrà avuto ragione lui.
Buona lettura.
IL FAZZOLETTO DI TERRA
(primo quaderno)
Il mondo in una zolla
Tutto comincia in un caldo pomeriggio di fine agosto del 2009. Era domenica. Il sole, la luce e la sensazione di sprecare una delle ultime occasioni per godersi il sole e la natura prima dell’arrivo dell’autunno, fece decidere a me e alla mia compagna di prendere la macchina per andare a fare una camminata fuori città. Il punto di partenza distava circa 15 minuti da casa. Percorremmo la campagna a Nord di Verona, viaggiando