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Ritorno a Città di Solitudine
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Ritorno a Città di Solitudine
E-book204 pagine2 ore

Ritorno a Città di Solitudine

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Info su questo ebook

"Dopo la morte del custode del cimitero, tra le nebbie del paese di Fine Viaggio un nuovo rito di commemorazione dei defunti ha preso forma. Un'inchiesta è in corso, perchè a Fine Viaggio si muore in modo insolito. E in modo insolito si conservano i cadaveri.

L'indagine mostrerà come la vita ha decine di fragili volti e come ciò che meglio riesce all'uomo è morire. In modo dolce, drammatico, violento, grottesco.

Quando tutto sarà terminato, quando le storie degli abitanti di Fine Viaggio saranno svelate nella loro follia, allora la morte giocherà un'ultima beffa.

Ai protagonisti. E ai lettori."
LinguaItaliano
Data di uscita3 dic 2011
ISBN9788866184188
Ritorno a Città di Solitudine

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    Anteprima del libro

    Ritorno a Città di Solitudine - Giovanni Sicuranza

    dell’Autore

    Prologo.

    Dove ricominciano le storie di morte.

    La luce del sole cade già sconfitta sulla collina, indebolita dalla nebbia. La roccia delle lapidi, del resto, sembra disdegnarla, perché il muschio cresce orgoglioso tra le rughe dell’incuria. Anche le lapidi più recenti, in marmo levigato, sembrano fatte apposta perché il sole non riesca ad avere appigli, ma scivoli cadendo sull’erba bagnata dall’umidità.

    - Oggi è anche una bella giornata. Ma qui, figurarsi! – sbotta il dottore Tullio De Tisis – Guardate, lo dicono gli aggiornamenti sul mio … - la frase è inghiottita dalla nebbia.

    De Tisis scrolla il cellulare, lo alza verso il cielo come una reliquia, lo avvicina di nuovo agli occhi, che poi passa sui presenti, l’espressione delusa.

    Osvaldo Menù, detto il Breccia, scuote la testa, divertito.

    - Non c’è campo, porca … - De Tisis sposta la sua mole pesante verso il Breccia – Signor Menù … – inizia.

    - Breccia – lo interrompe l’altro, senza abbandonare l’aria canzonatoria – Le ho già detto che può chiamarmi come fanno tutti, Breccia.

    - La breccia ci vorrebbe in questo posto! Una breccia per avere campo! Ma perché non siamo rimasti al suo agriturismo? Perché ci ha portati fino a questo cimitero abbandonato?

    Il Breccia si volta verso le sagome appena accennate del paese sottostante e allarga le braccia, come a contenere il paesaggio:

    - Dottore – declama – se cerca il campo, questo lo è per antonomasia, non crede? Siamo al camposanto di Fine Viaggio.

    - Non so cosa ci sia di santo qui intorno. Di sicuro non quello che state combinando! – De Tisis sbuffa, respira a fondo una volta, due, riprendere fiato.

    Non riesce proprio a smettere di fumare, nonostante la bronchite che gli serra la gola da dieci anni. O forse non ci da peso. In fondo, al dottore Tullio De Tisis, dirigente medico dell’Unità Operativa di Igiene e Prevenzione Sanitaria, componente della Commissione per gli Stati di disabilità di tutta la Regione, non può capitare nulla di grave.

    Sta per aprire di nuovo bocca, seccato dal comportamento irriverente di questo personaggio anziano, senza storia, ma lo sguardo severo del Procuratore lo ferma.

    Eppure è da quando ha conosciuto Osvaldo Menù che avrebbe voglia di prenderlo a pedate nel di dietro. Questione di pelle, direbbe una sua collega, la dottoressa Renina. Per De Tisis, più semplicemente, questione di arroganza.

    Chi si crede di essere, questo omuncolo? Certo, un tempo è stato proprietario di un agriturismo famoso; lui stesso ha trascorso piacevoli raduni culinari con i colleghi Al Km 76. Ma ormai l’agriturismo è fallito. Anzi, peggio, si è trasformato in qualcosa di osceno. Qualcosa per cui lui è stato costretto a lasciare la città e venire in un posto saturo di nebbia e umidità.

    Fine Viaggio, mai nome di paese è stato più circostanziato.

    - Signor Menù, mi perdoni – il Procuratore Elena Magistri alza la mano verso il medico e si avvicina a sua volta all’anziano – Stiamo sopportando tutta questa umidità, perché lei ci ha chiesto di andare al Cimitero della Lontananza per capire meglio. Ed eccoci qui, ma, sinceramente …

    - Non stiamo capendo un cazzo! - inizia De Tisis, subito ucciso dalla sguardo del Procuratore.

    Elena Magistri non sopporta le parolaccia. Veramente ci sono molte cose che non sopporta più.

    E’ in questa provincia da soli cinque anni, ma già molte volte si è occupata di Fine Viaggio. Suicidi, omicidi. Mai visto un tasso così alto di morte.

    Lei che, quando è stata trasferita per motivi di salute, ha brindato con i colleghi, perché questa provincia, le avevano detto, è un mortorio.

    Potrai riposarti. Potrai riprenderti, persino.

    A quest’ultima frase Elena non aveva creduto, anzi, le era sembrata un’offesa al suo dolore. Come si fa a dire a una madre potrai riprenderti, quando ha visto la figlia di cinque anni morire carbonizzata nell’incendio dell’auto? Quando lei non ha potuto fare nulla, se non sentirla urlare, se non vederla sciogliersi tra le lamiere, mentre giaceva sull’asfalto, a pochi metri, le gambe spezzate dall’urto con il camion?

    Dopo un anno di ricovero in clinica psichiatrica, aveva rifiutato l’esonero, per non svuotare del tutto la sua vita, ma non il trasferimento in un luogo tranquillo.

    Sul resto delle informazioni prese, niente da ridere: la provincia in cui è finita è proprio un mortorio. Solo che il mortorio è quasi del tutto concentrato a Fine Viaggio ed è un mortorio nel senso concreto del termine.

    - Un mortorio collettivo – si era lasciata scappare in auto, mentre De Tisis l’accompagnava verso Fine Viaggio.

    - Sono pazzi – le aveva risposto il medico, laconicamente.

    Elena sospettava che parlasse poco a causa delle difficoltà a respirare, la pancia prominente nella morsa tra il sedile e l’abitacolo.

    Per un attimo, guardandolo, si era chiesta se, con tutto quel grasso, sarebbe bruciato in fretta in caso di incidente. Allora si era girata di scatto, verso la nebbia che scorreva dal finestrino al suo fianco, e tra loro era sceso un silenzio pesante, prolungato per tutto il tragitto fino all’agriturismo Al Km 76, dove li attendeva il signor Osvaldo Menù, detto Breccia.

    Le notizie su questo individuo, sospettato di essere il leader di quanto sta avvenendo al paese, sono scarse. Il Breccia ha subito un paio di inchieste per caccia di frodo, ma si tratta di fatti avvenuti secoli prima, senza nulla di accertato.

    Niente che provi che sia lui il coordinatore di questa follia che ha preso Fine Viaggio. Eppure il suo agriturismo è diventato una sorta di nuovo cimitero, le pareti piene di fotografie di cadaveri. Mentre i cadaveri, i corpi, sono scomparsi.

    Una volta giunti all’agriturismo, e il Breccia li ha invitati ad entrare, è stata presa in un vortice di repulsione e attrazione.

    Ha visto le mura trasformate in lapidi, con file ordinate di fotografie di ogni tipo.

    Alcune sfuocate, probabilmente scattate da dilettanti, altre dai colori che giocano con i primi piani, rendendo una parvenza di vita ai defunti.

    Foto piccole e foto grandi, foto a colori e in bianco e nero. Qualcuna, persino, colore seppia, a richiamare tempi andati.

    Corpi di uomini e di donne, di infanti, di ragazzi e di anziani.

    Corpi.

    Tutte le fotografie sono state scattate dopo la morte. In alcuni casi la morte è stata violenta e le immagini non la nascondono. Raccontano di corpi sfigurati da segni compatibili con armi da fuoco, da taglio, da punta.

    - Il professore Lombroso! – aveva esclamato a un certo punto il dottor De Tisis, come lei incapace di staccare lo sguardo da quella schiera di morti – Mio Dio, gli manca … - si era girato verso il Breccia, che si era seduto in un angolo, in silenzio, nella penombra – Ma che cazzo avete combinato, qui?

    Era stato allora che Osvaldo Menù, detto il Breccia, si era alzato, mentre il legno della sedia scricchiolava in un suono sinistro, degno del posto.

    Un sospiro era uscito dalla penombra.

    - L’inceneritore ha ripreso a funzionare.

    - Sì – le aveva risposto, dura, Elena Magistri – E’ per questo che siamo qui. Ci hanno avvisato. Il problema è che non ci sono le autorizzazioni e tutto quel fumo che esce …

    - Mi perdoni – la voce del Breccia era un sussurro – Non è il problema. È la soluzione. I corpi sono inceneriti, per evitarne la corruzione. Le ceneri disperse e …

    - Ma siete fuori di testa? – aveva quasi urlato De Tisis, riuscendo a distaccarsi dalle immagini di morte e a voltarsi verso la voce – Intanto, questo non risponde al perché qualcuno degli scomparsi si trova qui, ritratto, poi avete comunque un cimitero, un cimitero sulla collina!

    - La cremazione non è un reato. E Cimitero della Lontananza … – una pausa e quando la voce aveva ripreso, sembrava addirittura più lontana – Cimitero della Lontananza è morto con la morte del suo custode.

    Il Breccia era uscito dalla penombra e aveva mosso un paio di passi verso il magistrato e il medico.

    - Vogliamo andare a vederlo? Capirete meglio.

    ***

    Tullio De Tisis poggia la sua mole su una lapide. Il tempo di sentire uno schianto e cadere con tutto il marmo.

    - Oddio! – Elena Magistri gli corre accanto e per poco non inciampa su una delle tombe, ma il dottore è lesto a stopparla con un gesto seccato della mano.

    Tra l’erba umida, con la schiena che tenta a fatica di sollevarsi dal suolo, la sua pancia sembra un altro promontorio nella collina.

    Potrebbero metterci sopra un’altra lapida, pensa Elena, suo malgrado. Allora, temendo di scoppiare a ridere, si volta vero il Breccia, che ha assisto alla scena con le braccia conserte, senza interesse.

    - Era la lapide di un tale Ermenegisto Precario, morto agli inizi del secolo. Credo abbia avuto un incidente sul lavoro, deve avere perso l’equilibrio da un impalcatura.

    Elena si deve coprire le labbra per non mostrare il sorriso agli altri.

    - A posto, dottore? – chiede, guardandosi bene dal voltarsi verso di lui. Se lo fa, esplode a ridere, vero come la nebbia di questo posto.

    - Sì … sì – ansima De Tisis – Ma ho rischiato, insomma … io … ecco … - la voce si smarrisce in una serie di sbuffi.

    - Cimitero della Lontananza è abbandonato da molti anni – il Breccia, prudentemente, si è messo a sedere su un masso tra le tombe e ora fissa un punto lontano, dove si vede nebbia e solo nebbia.

    - Quindi? – lo incalza il magistrato. Si avvicina all’uomo, per il quale sente di provare curiosità più che diffidenza, e si siede al suo fianco.

    Alle loro spalle, tra rantoli e sibili, De Tisis tenta ancora di riconquistare la posizione verticale.

    - Lo avete abbandonato voi, nessuno vi ha imposto di farlo. Avete … – Elena Magistri si morde il labbro superiore, socchiude gli occhi alla nebbia, quindi si gira verso il Breccia.

    L’uomo continua a fissare davanti. La donna si chiede se sta vedendo qualcosa oltre il grigio o il suo sguardo è solo perso. In ogni caso, la voce di lui è pacata, ferma:

    - Abbiamo deciso di incenerire i corpi, dopo averli fotografati. E poi vivere con le foto dei nostri defunti.

    - Perché?

    - L’inceneritore non ha le autorizzazioni, avete occultato dei cadaveri! - esplode De Tesis, come un tuono alla loro spalle.

    Elena Magistri sbuffa e questa volta fa in modo che tutti se ne accorgano.

    De Tisis rimane nelle retrovie, in silenzio.

    - Perché? – ripete Elena – Voglio che mi spieghi, signor Menù …

    L’uomo si gira verso lei, piano. I suoi occhi sono grandi e grigi, pieni di nebbia.

    - Breccia – si corregge Elena. Una sua mano fa per posarsi sul braccio di lui, ma si ferma, indecisa, ondeggia nell’aria e torna a poggiarsi sull’erba.

    - Non è semplice da spiegare, ma qui lo hanno capito tutti – il Breccia torna a fissare un punto davanti a lui – Tutti.

    Elena tace, aspettando il resto e sperando che De Tisis abbia un barlume di delicatezza per non vomitare altre parole.

    - La morte ha sempre spaventato l’uomo. Per il suo concetto in astratto, vero, ma soprattutto perché i nostri antenati ne osservavano l’aspetto più terribile. La putrefazione.

    - Ma dai … - il tono ironico alle loro spalle si disperde inefficace tra la nebbia.

    - Il cimitero cela agli occhi questa fase. Ma – il Breccia si gira ancora verso la donna, occhi dentro gli occhi, solo un istante, prima di tornare a fissare il grigio – noi abbiamo visto i corpi putrefatti. Sono usciti dalle bare durante un terremoto, tanti anni fa. Cimitero della Lontananza ci ha restituito i nostri defunti nel loro aspetto più terribile. E allora ho … abbiamo avuto questa idea.

    - Incenerire i corpi – conclude Elena, annuendo.

    All’improvviso sente l’umidità del luogo entrarle dentro, fino ai polmoni. E un brivido la scuote.

    Ma forse non si tratta solo di freddo, forse è stato il pensiero di sedere su tanti cadaveri. Cadaveri di ogni tipo. Anche putrefatti.

    Con le braccia si stringe il corpo.

    - E le foto?

    - Già – incalza De Tisis, entità invisibile alle loro spalle, incapace di rinunciare al suo ruolo – Cosa c’entra fotografare i morti? È morboso!

    Silenzio.

    Il Breccia sembra a sua volta una fotografia tridimensionale, immobile, lo sguardo dentro e oltre il muro di nebbia.

    - Allora? – questa volta Elena lo ha fatto. Questa volta la sua mano si è appoggiata al braccio di lui. Appena, delicata. Ma lì rimane.

    Il Breccia annuisce.

    - Vedere il proprio caro fotografato nei primi istanti della morte, serve a renderlo eterno prima della putrefazione. E soprattutto serve a reintrodurlo nella società, dopo morto. Così viene accettato anche nel suo nuovo stato, dando consolazione ai cari e consolidando il gruppo.

    - Ma che cagate – la frase De Tisis è scossa dalla risata.

    Elena Magistri scatta in piedi e mentre lo fa, mentre raggiunge con una falcata il medico, mentre questi arretra, stupito, rischiando ancora di cadere, pensa a come sarebbe stata una fotografia di sua figlia, prima di bruciare.

    - Adesso, lei, dottore, mi fa il favore di tacere! Non me ne frega un cazzo, sì, ha capito bene, un cazzo, del suo ruolo di Ispettore di Igiene!

    Tullio De Tisis sente la gola che si chiude e il fiato diventa un sibilo.

    - Io sono … - tenta ancora, perché non concepisce di perdere importanza, è nel suo DNA comandare e essere rispettato e temuto. E ora questa … questa femmina – Io sono … - riesce solo a ripetere, ma qualcosa nello sguardo del magistrato spegne ogni replica.

    - Ma porca … - sbotta, tanto per non darla vinta del tutto. Però abbassa lo sguardo, appoggia la schiena su un parete in cemento di una tomba di famiglia, non senza essersi accertato prima della sua stabilità. E tace.

    Nel frattempo anche il Breccia si è alzato.

    Guarda prima il medico, poi il magistrato.

    - La nostra società ha paura della morte. La allontana. E

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