Frammenti di vita
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Anteprima del libro
Frammenti di vita - Antonio Carpinteri
Antonio Carpinteri, Frammenti di vita
Copyright© 2012 Edizioni del Faro
Gruppo Editoriale Tangram Srl
Via Verdi, 9/A – 38122 Trento
www.edizionidelfaro.it – info@edizionidelfaro.it
Prima edizione: ottobre 2010 – UNI Service
Seconda edizione: gennaio 2012 – Printed in Italy
ISBN
978-88-6537-011-7 (Print)
978-88-6537-037-7 (EPUB)
978-88-6537-038-4 (Kindle)
In copertina: Monte Livata, tramonto - foto di A. Carpinteri
mamma, un punto di riferimento,
Gabriella, mia moglie, nel bene e nel male,
Marco, il mio amato figlio,
Giorgia, la voglia di continuare.
Il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi,
può essere conosciuto, interpretato, trasformato,
e messo al servizio dell’uomo,
del suo benessere, della sua felicità.
La lotta per questo obiettivo è una prova
che può riempire degnamente una vita.
(Enrico Berlinguer, 7 giugno 1984)
Uscirono in due… e tornò solo
Giuliano e Marcella si sposarono nel 1965, di domenica, il 24 maggio.
Si erano conosciuti a scuola, alle superiori e dopo un lungo ginepraio
di passioni e sentimenti e di ti amo
, mi ami
, ci amiamo
, decisero finalmente di fidanzarsi
, come si diceva allora.
Però, nei confronti dei compagni di scuola la cosa
doveva rimanere segreta. Arrivarono a questa conclusione dopo un lungo, ampio, ed estenuante dibattito
, non senza qualche mugugno da parte di Giuliano che non era persuaso della scelta fatta, perché la sua gioia per il loro amore era tanta e voleva che fosse di dominio pubblico, che tutti se ne accorgessero, ne fossero partecipi e anche un po’ invidiosi, ma Marcella insisteva dicendo: mi vergogno! Era vero. Infatti, ogni volta che uscivamo tutti insieme, con la comitiva
come si diceva, e tra i due innamorati
c’era qualche sguardo che lasciava trapelare il loro idillio, la voglia di stare insieme, parlare, abbracciarsi, le sue gote si coprivano di quel tipo di rossore che denota come uno stare fuori posto
, è perché mi vergogno, si giustificava Marcella, è perché sei poco matura, ribatteva Giuliano, ma che volete, per quei tempi erano giovani, avevano appena diciassette anni! E dovevano crescere tutti e due, insieme, perché, se volevano, avevano ancora tante cose da scoprire, capire, comprendere, risolvere, insomma diventare grandi insieme
.
È vero, ripensando oggi, nel nuovo millennio, cosa volesse dire avere diciassette anni intorno agli anni sessanta, è come pensare ad un’altra era geologica sotto l’aspetto di voglie, affezioni, prospettive, desideri, insomma sotto quello si usa dire l’aspetto culturale
. Prima ci si divertiva con poco
, aleggiava ancora il rimbombo della guerra con le sue atrocità, paure, la mancanza di prospettive, mentre il presente è un altro vivere
e se per caso un diciassettenne di oggi avesse il desiderio di capire quel periodo, dovrebbe fare un lungo e approfondito discorso storico, sociale, politico, etico e culturale, non solo con i genitori ma, in primis, con i nonni!
Ma bando a queste dissertazioni sui modi di vivere la vita dei diciassettenni delle varie epoche
e torniamo alla storia di Giuliano e Marcella.
Dopo un po’ di tempo che stavano insieme non potevano più tacere, per lo meno con noi amici più intimi, la loro bella storia ricca di passioni , e fu l’inizio per uscire da quella sorta di carboneria
, e successivamente, quando Marcella si rese conto che la loro storia era diventata come il segreto di Pulcinella, decisero, con somma soddisfazione di Giuliano, di renderla esplicita nei confronti anche degli altri compagni di scuola, e per gli innamorati
era bello quando a passeggio con gli amici potevano, finalmente, camminare abbracciati, pardon, con il braccio intorno alla spalla ma sempre alla giusta
distanza, come dicevo erano altri tempi.
Arrivò il momento del diploma con tutto quel che ne consegue, e questo al di là del tempo
è uguale per tutti, infatti, l’ansietà, la preoccupazione, i ripassi, la testa vuota
, la quasi certezza di non farcela, sono sensazioni generali e di sempre, ma tant’é che Giuliano e Marcella superarono gli esami.
Giuliano ed io eravamo più che amici e questo ci portava a dirci tutto
, e quindi mi rendeva partecipe anche delle loro
esperienze di vita che affrontavano e risolvevano insieme nel migliore dei modi, e dai suoi discorsi era evidente che i loro affetti maturavano e che all’orizzonte non c’erano presagi di bufera ma solo cielo sereno e mare calmo.
Dopo pochi mesi dal conseguimento del diploma, Giuliano e Marcella trovarono un lavoro e anche per loro la vita cominciò a prendere la piega degli adulti
.
Gli anni trascorrevano e il loro rapporto si rinsaldava sempre di più tra baci, abbracci, carezze e anche qualche piccolo screzio, tutti elementi propri del loro crescere insieme
.
Anche io trovai un impiego ma fuori Roma, per cui lo spazio temporale per stare con loro e con gli altri amici era limitato solo a qualche sporadico sabato e domenica quando tornavo a casa per vedere anche i miei familiari, però non ho mai perso di vista
questa coppia di amici che per me era destinata a vivere insieme tutti gli anni che il destino gli avrebbe concesso, e poi con Giuliano eravamo sempre in contatto telefonico o epistolare
, quindi sapevo tutto di loro, dei loro pensieri, dei loro bisticci, e soprattutto delle loro divergenze
su argomenti limitati e specifici ma che potevano avere delle ripercussione non positive nel tempo, e questo un po’ mi preoccupava.
Nel 1965 ero a Firenze, altro trasferimento di lavoro, avevo la mattinata libera da impegni, era marzo, non ricordo il giorno, la temperatura era fredda ma il cielo era limpido e terso con il sole splendente ma con i raggi che sembravano finti perché non emanavano alcun calore.
Comunque, essendo marzo, si poteva proprio dire che era una bella giornata. Mi imbacuccai
e decisi di andare alla chiesa di Santa Maria del Carmine a rivedere per l’ennesima volta, gli affreschi di Masaccio e Masolino.
Alloggiavo in un alberghetto economico ma confortevole e familiare in via de’ Panzani vicino alla chiesa di S. Maria Novella, a due passi dalla stazione Centrale. Uscii dopo aver salutato Dario il portiere dell’albergo e m’incamminai verso via de’ Tornabuoni, la bella strada fiancheggiata da nobili edifici tra i quali mi affascinava la mole imponente di Palazzo Strozzi. Rallentai un po’ il passo per gustare
le sue schiette ed eleganti forme a basato degradante, i due ordini di finestre bifore centinate, il superbo cornicione…; poco più in là entrai in un bar per la colazione, cappuccino e cornetto. Poi proseguii e arrivai di fronte al ponte di S. Trìnita, lo superai e al di là dell’Arno girai a destra, percorsi il Lungarno Guicciardini e poco dopo arrivai alla chiesa S. Maria del Carmine.
Entrai e mi diressi spedito verso la Cappella Brancacci, mi sedetti su una panca in modo da poter vedere i dodici affreschi.
Ammirai con famelico godimento ed emozione quelle dodici tavole e rimasi ancora una volta sbalordito dalla modernità della pittura che Masolino e Masaccio iniziarono nel 1425 e Filippino Lippi completò nel 1480. I miei occhi e le mie sensazioni, dopo aver vagato
dall’una all’altra tavola, come mi accadeva ogni volta si soffermarono sulla prima e sulla nona, rispettivamente la cacciata dal Paradiso Terrestre
di Masaccio e la tentazione di Adamo e Eva
di Masolino. È la tavola di Masaccio, la prima, quella che mi lasciava sempre più sbalordito, e non solo per l’attualità della tecnica pittorica ma soprattutto per le emozioni che esprimono gli strazianti ritratti di Adamo ed Eva cacciati dal Giardino dell’Eden con i volti distrutti dal tormento e