Le verità donate
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Anteprima del libro
Le verità donate - Annalisa Margarino
Atmosfere narrate 3
I racconti di Annalisa Margarino
Della stessa autrice
NARRATIVA
Le verità donate, Arduino Sacco, 2012 (versione cartacea)
Il sindacato dei sensibili, La Riflessione, 2010; Youcanprint, 2014
Contatto, Youcanprint, 2014
FAVOLE PER BAMBINI
Paolo e il segreto delle nuvole, La Rondine, 2011
Consulenza editoriale e impaginazione
Giovanni Battista Demarta
editing@giovannibattistademarta.eu
Il quadro riprodotto in copertina
è stato dipinto espressamente per questo libro
da Pino Tipaldo nel 2012
Titolo | Le verità donate
Autore | Annalisa Margarino
ISBN | 9788891174567
© Tutti i diritti riservati all’Autore
Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta
senza il prevenivo assenso dell’Autore
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I edizione (cartacea) Arduino Sacco | giugno 2012
I edizione (eBook) Youcanprint | gennaio 2015
I
Lei era lì e lui la osservava.
La fissava per ore, cercava con gli occhi i movimenti che avvenivano intorno a lei, fino all’insorgere dirompente di domande, dubbi, perplessità.
Perché? Hanno bisogno di prove?
Era un pensiero costante, quasi rimbombante, che si insediava in lui, fino a un susseguirsi di interrogativi che lo accompagnavano internamente, quasi come spettri amici.
Non poteva essere diversamente per il luogo che aveva scelto, pieno di significato e suggestione. La sua esistenza lo aveva condotto lì, quasi per caso, e ora doveva fare i conti con i rimandi simbolici di quello spazio in cui si era piazzato da ragazzo per mantenere gli studi. L’archimandrita a cui era affidata la basilica di Santa Maria in Cosmedin gli aveva offerto di prestare servizio lì come guida in cambio di un piccolo compenso. Angelo l’aveva sempre considerata una delle chiese più belle di Roma per la sua antichità e sobrietà architettonica, affascinato anche dallo spazio in cui sorge, altrettanto pieno d’atmosfere, tra il Tevere e il Foro Boario. Con il tempo, però, Angelo aveva notato che la maggior parte dei turisti non varcava la soglia della chiesa e rimaneva spesso soltanto nel suo quadriportico, a faccia a faccia con quella bocca di marmo d’epoca romana.
Di questo si rammaricava. All’inizio non se ne capacitava. Sostando, osservando, rimanendo lì, iniziò a comprendere.
Pochi entravano a visitare la chiesa. A questa constatazione, Angelo li osservava quasi rassegnato e, sconfortato, sospirava dentro di sé: È il fascino del faccia a faccia con la verità!
Turisti di tutte le nazionalità e provenienti da ogni parte di Italia facevano sosta davanti alla Bocca della Verità e non entravano nella chiesa. Avevano un unico e solo interesse: la Bocca.
Se Angelo provava a convocarli, chiamandoli con la sua voce tipicamente baritonale e cercando di interessarli alla chiesa, al suo patrimonio storico e architettonico, alla vita di quel tempio della romanità, la risposta dal tono un po’ cantilenante che seguiva era quasi sempre identica: «Sappiamo che è molto bella questa chiesa, sulla guida è segnalata con due stelline, ma, abbia pazienza, a Roma ci sono molti, anzi troppi monumenti importanti, il tempo è poco e noi siamo qui per la Bocca. La prossima volta che ritorneremo a Roma, entreremo...»
Si precipitavano tutti alla Bocca, grandi e piccoli, turisti e accompagnatori, circondati da spettatori indiscreti, in attesa di una non-verità o una verità celata.
Angelo, allora, con un cinismo giovanile sorrideva e commentava tra sé e sé, facendo sfuggire, talvolta, a voce alta il proprio pensiero: «Che stupidità! Non si accorgono che è pura pietra? Non si rendono conto che è vera e propria stasi?»
Ogni tanto qualcuno che passava lo sentiva e gli rispondeva: «È un gioco, sì, ma lascia che sia!»
Così Angelo si rassegnava a quel richiamo ancestrale, primitivo. Se n’era fatto una ragione, in fondo anche lui in quegli anni stava portando avanti studi umanistici per il fascino recondito per la verità o, chissà, forse in cerca di qualcosa che non sapeva tra quei testi e quelle parole di autori classici e contemporanei. Sognava di diventare giornalista, narratore di storie, osservatore di vite, in nome di questa attrazione per la verità degli altri. Tornava a casa sempre sorridente dopo le giornate trascorse in Santa Maria in Cosmedin; aveva imparato a riconoscere che alla fine le verità di ciascuno rimangono nel profondo, non filtrano, e che quell’incontro a tu per tu con la Bocca è una sfida contro la superficialità e un modo per comunicare al prossimo e a se stessi che si è a posto con le proprie verità, che non c’è menzogna nella vita.
Sapeva che andava così e varcava la porta della sua abitazione in compagnia di questo pensiero: Non hanno bisogno di prove. No! Hanno bisogno di sicurezza. È questo che cercano. È un gioco di specchi, è uno specchio della loro interiorità. È tutto qui, alla fine...
La riflessione della sera era sempre dissonante rispetto a quella inquieta del mattino, in cui non capiva, non comprendeva e si faceva martellare dai suoi ‘perché’ ostinati.
II
Accanto a quella Bocca, intanto trascorrevano gli anni e per Angelo passò il tempo dello studio. Aveva sostato lì. Aveva sentito il freddo che il marmo sprigiona d’inverno e il calore che svapora d’estate. Era stato così preso dalla verità degli altri, a tal punto che non era riuscito a sostenere molti esami, perdendo di vista il suo obiettivo. Lucia no.
«Angelo, mi vuoi sposare?», «Angelo, mi ami davvero? Angelo, ho bisogno di costruire un futuro con te...» Era la voce di Lucia che lo poneva con urgenza di fronte alla vita e alla loro verità. Un giorno, finalmente, decise di ascoltarla. Era il tempo in cui una delle sue verità veniva a galla. Le esistenze altrui, nascoste e segrete, lo avevano afferrato e travolto, a tal punto che si era dimenticato di sé e dei fili della sua esistenza.
Fu così che scelse di prendere in fretta e furia una qualifica per sopravvivere e rinunciare a raccontare verità.
Si era sentito costretto, perché erano anni, ormai, che Lucia gli domandava di organizzarsi l’esistenza, in modo che si sposassero e iniziassero a condividere come spetta a due persone adulte che si sono scelte. Angelo, per amore, aveva accettato e il suo corso di laurea in lettere si era improvvisamente trasformato in una qualifica di conducente d’autobus. Era la morte dei suoi sogni, ma non la morte della vita.
Lucia non ne fu felice, ma era consapevole dello scorrere dell’esistenza e del fatto che ogni scelta ha un suo prezzo e un suo spazio proprio di realizzabilità. E fu così che per amore, anche se a malincuore, dopo discussioni e ripensamenti, Lucia accettò la scelta di Angelo. La vita, spesso, richiede che spazi e tempi vengano ascoltati e vissuti, nel modo giusto. Angelo e Lucia erano coscienti di questo e, non più ragazzini, facevano i conti con la pragmatica della loro esistenza.
Entrambi ritenevano che la vita affettiva fosse più importante delle loro professioni e che a volte bisogna avere coraggio di compiere delle scelte in nome di questa. Così Lucia continuò a gestire la sua lavanderia e Angelo iniziò a condurre il suo autobus privato, color rosso mattone su cui traluceva la scritta verde brillante del suo nome ‘Angelo Blanco’. Abbandonò i libri per privilegiare il suo autobus e i turisti. Non avrebbe più potuto sognare di raccontare verità, ma semplicemente portarle sulle ruote di quel grande mezzo. E sempre tappa forzata era Santa Maria in Cosmedin, dove Angelo continuava a osservare da lontano gli impatti con la Bocca. Osservava e sorrideva.
La stessa scena si ripeté per quasi vent’anni. La Bocca marmorea era sempre lì ad attendere le osservazioni, le riflessioni silenziose e i monologhi involontari di Angelo che intanto accompagnava adulti e ragazzi per Roma.
Durante i suoi giri non scendeva quasi mai dall’autobus, rimaneva parcheggiato con lui, in attesa che la comitiva ritornasse e preferiva sostare a leggere un libro, dalle cui pagine traspariva sempre e comunque una verità. Solo a Santa Maria in Cosmedin si imponeva di scendere e fermarsi nel quadriportico. Diceva che voleva osservare, vedere e contare le persone che varcavano la porta della chiesa. Era un pretesto. Gli occhi, in realtà, ricadevano sempre sulla Bocca di marmo, murata nella parete laterale del quadriportico.
«Lucia quanta gente oggi ha messo la mano là dentro!»
Era una frase che Lucia conosceva fin troppo bene. Era abituata a sentirsi ripetere quella cantilena, quasi come una pillola serale da assumere prima dei pasti.
Lucia percepiva le chiavi di Angelo che venivano inserite nella toppa del loro appartamento a Testaccio e mormorava dentro di sé il suo solito pensiero istantaneo: Ora la dirà, vedrai che ora la dirà...
Angelo entrava e, ancora prima di baciare Lucia, pronunciava la sentenza attesa. Lucia spesso la lasciava correre, altre volte controbatteva: «Angelo, Angelo, lo sai, ormai lo sai, ognuno ha le sue verità!»
«Già, ognuno ha le sue verità...» E Angelo si incupiva a tal punto che la sua carnagione giallognola assumeva una coloritura ancora più pallida che contrastava con quella rosea di Lucia. Le loro vite erano