Tre maghi alla deriva
Di Livy Former
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Info su questo ebook
Uno stregone senza scrupoli farà di tutto per impossessarsene, usando una giovane strega e il suo buffo pellicano. Ma nessuno ha fatto i conti con tre ragazzi e il loro immenso coraggio.
Tra l’Italia e la Florida, si intrecciano le avventure di un gruppo davvero strano composto da maghi, adolescenti, un cane, un alligatore e… una bestia terrificante!
Mentre qualcuno lotta per cambiare, qualcun altro scopre la sua vera identità. Eppure gli incantesimi non sempre c’entrano. La magia, anche la più nera, deve vedersela con una forza più grande: quella dell’amore.
Età: da nove anni a tredici anni.
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Anteprima del libro
Tre maghi alla deriva - Livy Former
Livy Former
Tre maghi
alla deriva
illustrazioni di Amelia Sarigu
ISBN 978-88-7356-945-9
Condaghes
Indice
Tre maghi alla deriva
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
L'Autrice e l'Illustratrice
La collana Il Trenino verde
Colophon
tre maghi alla deriva
Capitolo 1
Nella notte buia imperversava la tempesta. Tuoni, lampi e fulmini impazzavano giù lungo la valle, e la pioggia, che scrosciava a catinelle, correva a rivoli lungo le strade della città sotto la collina andando a ingrossare le acque del fiume che scorreva gorgogliando nel suo letto.
– Meno male che è l’ultima volta! – esclamò, con la voce da vecchio orso, uno dei tre uomini seduti a gambe incrociate intorno a un grande fuoco che illuminava a giorno la radura. Indossava una tuta blu, una camicia a scacchi, ed era di corporatura massiccia. Una folta barba gli copriva buona parte del faccione rubicondo sul quale spiccavano un naso a prugna e maliziosi occhi neri. I capelli erano ricci, scuri e non tagliati di fresco.
– A me è sempre sembrata una vera cattiveria – commentò, con la voce simile a un fischietto rauco, quello che indossava pantaloni e giacca grigi un po’ troppo larghi per lui che era secco come un grissino. Aveva il viso lungo e slavato inciso da un fitto reticolato di rughe sottili come fili di ragnatela, e il naso a becco sporgeva alquanto sotto gli occhi chiarissimi e quasi trasparenti. Portava i capelli biondo spento, lisci e un po’ lunghi sul collo, pettinati ordinatamente all’indietro.
– D’altronde, questo bosco in collina si è rivelato ideale in tutti questi ultimi cinquant’anni.
Aveva parlato il terzo uomo, il più giovane dei tre, che indossava dei jeans e una maglietta sporca di grasso. Era snello, aveva i capelli rossi e un viso cosparso di lentiggini sul quale risaltavano gli occhi azzurro nontiscordardimé.
– È vero, Cenerino – confermò quello secco. – Non potevamo trovare niente di meglio: all’aria aperta come cita la prima regola, lontano da sguardi umani come indica la seconda, a stretto contatto con la natura come vuole la terza.
– Hai detto bene, Ligustro, – disse l’uomo in tuta – ma quella città là sotto, sommersa d’acqua a giugno e sepolta da una tormenta di neve a dicembre… A ogni riunione mi sono sentito una caccola!
– Perché, caro Robilante, tendi a esagerare, a essere teatrale, e questa volta più del solito – fece notare Cenerino all’amico con una risata che mise in mostra un sorriso da divo.
– Beh, ho sempre voluto essere sicuro che nessuno venisse a bazzicare per il bosco, però oggi ci sono andato più pesante del solito scatenando nella città ai nostri piedi questa tempesta, lo ammetto – bofonchiò imbarazzato l’omone grattandosi la testa. – Avevo pensato che, essendo la nostra ultima riunione, ci servisse del tempo supplementare e un maggiore effetto.
– Eh già, l’ultima… chi l’avrebbe mai detto? – sospirò il giovane fissando la fiamma.
– Meglio non pensarci – tagliò corto Ligustro, e gli altri due assentirono.
– Ma è dura dover ricominciare in un mondo che non è il nostro, svolgere un lavoro manuale – si lamentò Robilante – quando non si è abituati.
Una pausa e poi aggiunse con un sorriso: – Comunque, non è malaccio fare l’idraulico, l’acqua mi è sempre andata a genio.
– Come a me la meccanica, – fece Cenerino – coi motori ci so fare.
– Non mi lamento neppure io. Sono diventato bravissimo a riparare vecchi mobili. Gli umani tengono molto alle anticaglie – commentò Ligustro.
– Abbiamo fatto bene a organizzarci in anticipo e anche a decidere di tornare a casa, dove siamo nati – disse il giovane sollevando le sopracciglia.
– In effetti ha aiutato, ma resta il problema che fatico ad abituarmi a vivere in mezzo a loro, anche se non abbiamo scelta. Certo che ai vecchi tempi…
– Smettila Robilante! Non è il caso di girare il coltello nella piaga! – lo sgridò Ligustro.
– Però è stato bello, – sospirò Cenerino – soprattutto l’epoca dei castelli, il Medioevo. Ve lo ricordate? Allora ero un mago alle prime armi…
– E chi se lo scorda! Il mio nome era fra quelli dei maghi più quotati, e tu, Ligustro, il nostro grande Maestro.
Ligustro, con lo sguardo fisso sulla fiamma, si limitò ad alzare le spalle.
– I potenti non muovevano un passo senza consultarci, che tempi! – aggiunse Cenerino con un altro sospiro.
– Basta, diamoci un taglio! Piuttosto, hai portato il contenitore? – gli chiese Ligustro con la fronte aggrottata chiudendo così il capitolo dei ricordi.
– Certo – rispose quello infilando una mano nella tasca dei jeans scoloriti. Ne trasse una piccola sfera dorata e trasparente della grandezza di una grossa biglia e la mostrò agli altri tenendola sul palmo sinistro.
Si alzarono scostandosi dal fuoco. Robilante appoggiò la mano destra sulla sfera e altrettanto fecero Ligustro e Cenerino, incrociando la mano sopra quella del compagno. – Coraggio, dobbiamo farlo – li incitò l’omone.
Rimasero in silenzio per qualche istante, poi pronunciarono in coro: – La magia dei tre è racchiusa in te, e così sarà finché un tempo migliore verrà.
– Bene, è fatta, abbiamo rinunciato ai nostri poteri maggiori, e ora, Cenerino, buttala nel fuoco – disse Ligustro con la fronte corrugata.
Il giovane esitò un attimo, poi gettò la sfera tra le fiamme rosse e crepitanti che subito si allungarono e si allargarono con uno sfavillio di scintille che si spensero come stelle cadenti al contatto del terreno intriso dell’umidità della notte.
– Abbiamo seguito la prassi corretta? – chiese Cenerino con una certa preoccupazione. – Se finisse nelle mani sbagliate…
– Stai tranquillo, ho consultato nuovamente gli antichi testi, deve restare sepolta sotto la cenere di un fuoco acceso durante la prima notte di luna piena – rispose Ligustro. – Quando le ceneri saranno fredde, la sfera ritornerà dal Custode a Strhongolcrag.
Guardarono il cielo sereno al di sopra delle cime degli alberi fitti e scuri, dove una grande luna splendeva come una larga frittella argentata.
La fiamma continuò a danzare e crepitare e i tre rimasero a fissarla come inebetiti. Fu Robilante il primo a riscuotersi. – Su, andiamo, non serve a niente restare qui.
– Se fossimo riusciti a trovarla… non posso non pensarci – sospirò Cenerino.
– Smettiamola con i piagnistei. Si è fatto l’impossibile e sono trascorsi i dieci anni che avevamo a disposizione, abbiamo fallito e questo è tutto – lo redarguì Ligustro seccamente. – Ora dobbiamo accettare stoicamente le conseguenze: vivremo fra gli umani senza i nostri maggiori poteri. Del resto, conoscevamo l’entità del rischio fin dall’inizio.
– Certo, ma non riesco a darmene pace: dove sarà finita? Sparita nel nulla! E senza di lei… – fece il giovane lasciando cadere le braccia con un gesto di sconforto.
– Sarà morta, che altro? Dobbiamo accettare la cruda realtà. Nessuno sparisce senza lasciare traccia… Basta, andiamocene – ribatté Ligustro irritato.
– Non è meglio attendere che il fuoco si spenga? – chiese il giovane.
– E prolungare lo strazio? Fino a domattina quassù non verrà di certo nessuno – gli rispose secco Ligustro.
Si allontanarono dal fuoco senza voltarsi. Attraversarono il bosco e dopo una buona camminata presero la strada che scendeva dalla collina. A un tratto grosse gocce di pioggia iniziarono a bagnarli.
– Accidenti, ci mancava la pioggia! – esclamò Robilante stizzito. – Non ho portato neppure l’ombrello – si lamentò.
– Non capisco perché brontoli, questo diluvio l’hai scatenato tu! – aggiunse Cenerino con un sorriso malizioso.
– Se non vuoi bagnarti puoi sempre usare i tuoi poteri nativi – suggerì Ligustro.
– Non ci sarà acqua che ti bagnerà, fuoco che ti brucerà, pietra che ti seppellirà, spazio che ti separerà – recitò Cenerino con un sorrisetto.
– Visto che d’ora in poi sono condannato a vivere come un umano, non userò alcuna magia per rendere la cosa più sopportabile – sbuffò Robilante.
– Però non lo sei, un umano. Ti ricordo che vivrai qualche migliaio di anni o giù di lì, anche se per un bel po’ non potrai creare che qualche effettuccio di poco conto – ridacchiò Cenerino.
– Ma se ti diverti a fare il masochista inzuppati pure fino alle ossa – sibilò Ligustro.
Capitolo 2
Il vecchio alto e magro, vestito con una lunga tunica chiara con bordature ricamate in oro, prese a salire lentamente, con incedere che aveva un che di solenne, il largo scalone di pietra grigia che dal grande atrio dell’ingresso conduceva all’ala est della fortezza.
Portava i capelli candidi legati in una coda liscia che gli arrivava quasi a metà schiena. Il viso era molto espressivo per via dei lineamenti marcati, della magrezza che incavava le sue guance, e del naso aquilino che gli conferiva un’espressione severa. Gli occhi, sotto le folte sopracciglia corrugate, erano scuri e luminosi come carboni ardenti.
Sospirò, osservando le nuvole oltre i vetri del grande finestrone a cuspide che sovrastava la scalinata. Nuvole, nuvole e sempre nuvole; era tutto quel che si vedeva da lassù. D’altra parte, l’inviolabilità della fortezza stava proprio nella sua posizione: in cima a un’alta rupe e due secondi avanti nel tempo. Il che la rendeva, ovviamente, invisibile e impossibile da localizzare.
Parecchi secoli prima, la grande fortezza cinta da invalicabili mura di pietra, dalle quali spuntavano come fiori alte torri e larghi torrioni, si trovava nel cuore dell’Europa. Era stata costruita sulla vetta di una rupe in una zona impervia e inaccessibile. Col sopraggiungere dell’era moderna, e dell’avvento delle macchine volanti costruite dall’uomo, si era pensato bene di trovarle quella nuova ubicazione che si era rivelata ideale.
L’uomo sospirò nuovamente, perché i pensieri l’avevano portato a considerare le tante cose che doveva fare in quella giornata che cominciava come tutte allo spuntare dell’alba.
Si inoltrò nel largo corridoio ad archi e aprì la prima porta alla sua destra in pesante legno di quercia. Un confortante profumo di vecchia carta, intrisa dell’odore del tempo, lo accolse come ogni mattina. Amava iniziare la giornata in quella grande stanza tappezzata di alte librerie in legno scuro, zeppe di antichi testi che contenevano tutto lo scibile sulla magia, quando la fortezza era ancora avvolta nel silenzio.
Scoccò un’occhiata all’imponente scrivania ingombra di carte e si diresse verso un piccolo tavolo, posizionato sotto una delle grandi finestre, apparecchiato col necessario per la colazione. Iniziò a servirsi dei cibi che aveva a disposizione: latte caldo, cereali, frutta fresca e una fetta di crostata di ciliegie, mentre nel caminetto, che si era acceso da solo nel momento stesso in cui aveva fatto il