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Fratture
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E-book512 pagine5 ore

Fratture

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Info su questo ebook

Fratture narra la storia di un padre e di un figlio che non sono padre e figlio. Giorgio, sessantenne assicuratore, sta subendo un ciclo di chemioterapia e Andrea, 28 anni, gli porta una dichiarazione d’infortunio. Giorgio, che da giovane suonava la tromba e aveva come idolo Chet Baker, ha perso un figlio quindicenne per una banale caduta con il motorino. Se il figlio fosse stato ancora vivo avrebbe l’età di Andrea, che è bello, atletico e intelligente ma reduce da una sfortunata storia d’amore che gli ha impedito di completare gli studi universitari e inibito ogni tipo di passione artistica, compresa quella per la musica. Da quando Giorgio ha perso il figlio ha perso anche il rapporto con la figlia più giovane di 4 anni (che al momento studia negli Stati Uniti e che quando telefona a casa, se risponde suo padre, riattacca) e con la moglie, che si è data al volontariato. Andrea, invece, scaricato dell’arida fidanzata Gloria, cerca di ricominciare ad assaporare emozioni e trovare motivazioni. Giorgio e Andrea prima litigano, poi diventano amici. Andrea sembra essere bersagliato dalla sfortuna (rischia di perdere una gamba per una frattura) e Giorgio lo aiuta in tutti i modi, anche economicamente (di nascosto). I ruoli si invertono: è l’anziano malato che aiuta il giovane ma gli sforzi verranno premiati. La loro amicizia, che ha come scusa e riferimento il jazz, diventa un inno alla vita che si compie in un’atmosfera ‘on the road’ attraverso tutta l’Italia, da nord a sud con una vecchia auto che li culla fino all’imbarco, in una sera calda, verso un’isola che, probabilmente, non c’è.
LinguaItaliano
Data di uscita25 ott 2013
ISBN9788868558024
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    Anteprima del libro

    Fratture - Mauro Drudi

    Ringraziamenti

    Parte prima

    Ossa

    1

    Andava a consegnare il suo primo certificato medico dopo anni e anni e gli sembrava un piccolo evento. Non aveva mai subito incidenti di rilievo né affrontato malattie particolari e la prima frattura, un’incrinazione del polso dopo una banale scivolata, era una liberazione.

    Entrò nell’agenzia. La segretaria lo fece accomodare. Salutando cortesemente, Andrea appoggiò i documenti sulla scrivania. L’assicuratore prese i fogli e lesse. Per un po’ se ne rimase zitto, poi, proprio mentre Andrea stava per parlare, disse «Va bene» e si girò impugnando la cornetta del telefono.

    Andrea salutò. L’assicuratore fece un cenno con la testa. Andrea uscì e salutò la segretaria, che ricambiò. Mentre attraversava la strada scuoteva leggeremente la testa. Per quasi dieci anni, rata dopo rata, quell’uomo lo aveva visto crescere e lui lo aveva visto prima maturare, poi invecchiare. Ma avevano scambiato qualche parola solo alla firma del contratto.

    2

    Andrea aveva vent’otto anni. Era ottobre. Al momento non lavorava. Si era licenziato per non aver più niente a che fare con Gloria, la sua ex fidanzata.

    Avevano convissuto per sette anni. Lei era maestra di nuoto, lui aveva gestito il bar della piscina arrotondando con qualche occasionale uscita come cameriere.

    Lei frequentava l’Istituto Superiore di Educazione Fisica, a Urbino, e in estate teneva corsi di nuoto per principianti sulla riviera. Lui, da Piacenza, era andato controvoglia in vacanza proprio sulla riviera adriatica, con gli amici, esaltati dall’idea di tirare sempre mattina e si era subito innamorato. La cuffia argentata, gli occhialini da nuoto a specchio, il costume lucido come il fianco di un branzino, si era dovuto chiedere se quella creatura non fosse stata solo un’illusione ottica. Dorata più che abbronzata, Gloria si era girata verso di lui e per un attimo lui era rimasto abbagliato dal riflesso del sole sugli occhialini a specchio che la creatura portava alzati sulla fronte.

    Si erano conosciuti subito. E subito avevano capito molte cose, lui di lei, lei di lui. Così credevano. Ma adesso, ogni volta che ripensava a lei, Andrea rivedeva quel riflesso, il riflesso del sole sugli occhialini a specchio.

    Era cominciato tutto con un abbaglio ed era stato tutto un abbaglio, durato sette anni. Non proprio sette perché Andrea, dopo qualche tempo, aveva cominciato a sentire e a capire: sentire che c’era qualcosa che non andava e capire perché. Ma non si era dato ascolto.

    I suoi amici, per incoraggiarlo e congratularsi per la splendida conquista, avevano cominciato a fare i cretini: quando lui la raggiungeva, vicino alle scogliere, a mezz’acqua, di pomeriggio, il sole alto e infuocato, intenta nelle sue lezioni, calcolavano la traiettoria della corrente e, facendo il morto, andavano a incagliarsi proprio fra lui e lei. Lui diceva di avere gli amici più stupidi che ci potessero essere ma a distanza di anni, a ripensarci, quello era il ricordo più bello.

    Alla fine dell’estate si era trasferito a Urbino per frequentare l’Università e vivere insieme a lei, Gloria, la splendida maestra di nuoto, e la loro unione si era materializzata nell’acquisto di un appartamento in una zona periferica, sulle pendici del Montefeltro, tramite un mutuo così agevolato da distoglierli, prima, e poi allontanarli definitivamente dagli studi.

    3

    Salì in macchina e si diresse verso la strada panoramica. Non aveva fretta perché non avrebbe lavorato fino all’anno successivo. La musica in sottofondo, partì piano, quasi senza guardare la strada, cercando di non pensare a niente. Quell’uomo era sempre stato moro e stempiato ma negli ultimi tempi i capelli erano quasi completamente scomparsi, le guance si erano scarnite mentre la carnagione aveva assunto un deprimente riflesso grigio. E quella particolare inespressione: il suo viso sembrava una maschera di cera anche se gli occhi erano ancora azzurri e vivi proprio come i suoi. Abbassò i finestrini. Era un ottobre caldo.

    Aveva lavorato fino alla fine di settembre, guardiano notturno nel’albergo di un amico. Lui e Gloria si erano lasciati poco dopo Pasqua. Quando aveva lasciato Gloria aveva lasciato anche il lavoro. Lavoravano insieme, alla piscina comunale: per lei un traguardo, per lui una prigione liquida e quindi ancor più soffocante. Fare il guardiano notturno era stata una liberazione.

    Dopo una curva cieca accostò e si fermò in una piazzola panoramica. Il mare era calmo, il cielo limpido. Scese dall’auto.

    Ammirò le colline, all’interno, poi si girò di nuovo verso il mare. Per non pensare a niente non era certo quella la miglior cosa da farsi. Salì di nuovo in macchina e riprese a guidare piano alzando leggermente il volume della musica.

    Cenò con Leo, l’amico proprietario dell’albergo in cui aveva lavorato. L’albergo di Leo era sul mare. Rimaneva aperto da maggio a settembre e Andrea ogni anno avrebbe potuto scegliere se fare il bagnino o il guardiano. Mangiarono una pizza gigante e bevvero due birre a testa.

    Leo lo rassicurava. Quando lui e Gloria si erano lasciati gli era stato molto vicino. Quasi scusandosi per non potergli offrire di meglio, gli aveva procurato subito il lavoro perché anche lui aveva avuto una relazione non a lieto fine.

    Andrea aveva conosciuto Leo quando aveva conosciuto Gloria. Quando Andrea conviveva erano stati anche mesi senza vedersi ma la loro amicizia era rimasta intatta.

    Mentre passeggiavano sul lungomare Andrea continuava a dire che era passato troppo tempo per ricominciare gli studi. Certo, aveva ripreso a leggere con grande soddisfazione al punto che si era spesso chiesto, mentre ripeteva all’infinito una frase memorabile, come avesse fatto a privarsene per così lungo tempo. Prima gradatamente, poi di colpo, quando era andato a vivere con Gloria aveva smesso di studiare e di lì a poco anche di leggere qualsiasi cosa. Pressato dalle esigenze economiche, aveva adottato lo stile di vita di Gloria, scoprendo in lei un tipo di persona che la bellezza prettamente esteriore aveva nascosto, almeno in un primo tempo, alla perfezione.

    Più tardi andarono al Circolo. Leo fece una partita a biliardo, in coppia, puntando la bevuta. Andrea si mise a parlare col barista.

    Leo perse due birre. Era convinto di essere bravo a biliardo. Uscirono. La macchina era all’inizio del lungomare. Fecero un giro sulle colline.

    4

    Quando Andrea e Gloria si erano lasciati lui si era trasferito in una specie di capanna dietro la casa dei genitori di Leo. 

    Era una costruzione in legno adibita a deposito per gli attrezzi. Leo continuava a ripetere che quello, col caldo, era un posto splendido. Ricoperto per buona parte di edera, all’ombra di un grosso platano, lì dentro si stava al fresco anche quando fuori c’erano quaranta gradi. 

    L’appartamento che Andrea e Gloria avevano comprato era rimasto a Gloria. Non avevano neppure discusso. Andrea non vedeva l’ora di andarsene. Gloria lo avrebbe rimborsato, a rate, con l’aiuto dei genitori e del suo nuovo uomo, già pronto ad occupare il posto vacante. 

    Andrea aveva accettato le disposizioni senza aprir bocca. Non era attaccato ai soldi. Per tutto il periodo della convivenza aveva rispettato scadenze rigorose, privazioni premeditate quanto inutili, un regime economico inflessibile al punto che a volte si ritrovava a paragonare la propria vita a un cibo precotto: tutto già programmato e pronto senza nessuna possibilità di sorprese, almeno per quanto riguardava quelle positive. 

    Sì, la sua vita era stata davvero un cibo precotto, che basta scaldare, ingoiare, digerire e… Gli piaceva fare questo esempio quando era insieme agli amici. Certi dicevano che esagerava, altri gli davano ragione ma ne ridevano tutti insieme ed era la cosa più bella. Andrea si sentiva ogni volta meglio, alleggerito da un peso che non si era accorto di caricare, uno zaino di piombo che si era incarnito nella sua schiena, sotto la pelle, fino alle ossa. E per rimuoverlo non era bastato il tempo. Le ferite si stavano rimarginando, i punti di sutura avevano tenuto ma le cicatrici sarebbero rimaste ed era meglio affrontarle con il buon umore insieme agli amici. 

    Vivere per tutta l’estate nella capanna era stato liberatorio. Gloria, dopo i primi tempi, aveva cominciato a manifestare maniacalità diffuse soprattutto per quanto riguardava ordine e pulizia. All’inizio lui rispondeva con un sorriso dicendo, ad esempio, che bisognava distinguere bene fra le due cose:

    «L’ordine è l’ordine e la pulizia è la pulizia.» Ma Gloria, col tempo, era diventata intransigente al punto che Andrea, quando lei non rientrava a pranzo perché impegnata con le lezioni di nuoto, mangiava qualcosa fuori casa per non contaminare neppure l’aria di quella cucina immacolata. 

    Così, nella capanna, Andrea si era vendicato. Per fortuna una volta alla settimana ci pensava Leo. Quando Andrea era fuori spediva una delle donne che lavoravano al suo albergo chiedendole di far tutto senza farlo notare. Andrea, ovviamente, se ne accorgeva e accennava ogni volta una lamentela ma Leo diceva che sarebbe costata meno una donna delle pulizie due volte alla settimana che un’impresa di derattizzazione a fine stagione.

    Andrea si era anche liberato della rigidità degli orari imposti da Gloria sempre più arbitrariamente. Il tempo per fare la doccia e sprecare meno acqua calda: «Ti starai affogando!» diceva con un sorriso plastificato quando Andrea era ancora insaponato, bussando sul plexiglass della cabina e aprendo solo una fessura per evitare di schizzare ovunque. Per non parlare della programmazione del riscaldamento, calcolato al millesimo di secondo, o delle telefonate. Quando Andrea era al telefono, Gloria passava avanti e indietro di continuo fino a che lui, vinto, non riponeva la cornetta. Era arrivata a dire che il computer e lo stereo consumavano più dell’asciugacapelli e del forno elettrico e una sera, a letto, mentre lui, per la prima volta dopo molto tempo si accingeva a leggere un libro, ostentando stanchezza gli aveva chiesto se serviva proprio una luce così alta. Andrea aveva guardato la lampada, comprata in una liquidazione, poi la nuca di Gloria, che gli dava di nuovo le spalle, accucciata in posizione fetale e aveva continuato a leggere. Ma la sera dopo, al posto della lampadina azzurrata da 100 watt ne aveva trovata una bianca da 25. Lì per lì aveva sorriso, non ci poteva credere. Poi aveva chiuso il libro, era sceso dal letto e aveva rimesso il malcapitato volume nello sgabuzzino dove Gloria aveva sistemato per bene tutta quella carta che faceva disordine e prendeva polvere.

    Vivere nella capanna era stato il primo grande passo per allontanarsi da tutto questo e lavorare di notte aveva segnato il distacco definitivo.

    Durante le prime settimane, quando ripensava a Gloria, avvertiva un peso sulla bocca dello stomaco al punto che un giorno era arrivato ad accusare difficoltà respiratorie. Poi, con fatica, aveva cominciato a distillare i ricordi più belli. L’estate; la scelta di cambiare città; l’appartamento tutto loro, un paradiso di affetto, amore, sensualità, erotismo e tranquillità che presto, però, si era trasformato nell’opposto. Avrebbe dovuto capirlo subito: da come puntualmente, dopo l’amore, Gloria si dedicava all’igiene intima, sia che fossero tramortiti sul divano che già al calduccio sotto le coperte, anche a notte fonda. Gloria si alzava e si andava a detergere: la parola più giusta. O da come si toglieva di dosso le tracce di sperma, quando l’amore non era ancora finito e non poteva scappare a lavarsi, sfregando con i fazzoletti di carta come ci si può accanire sullo sporco ostinato di una cucina. 

    5

    La frattura lo avrebbe tenuto per un po’ lontano dal lavoro e la cosa, da un lato, lo metteva in crisi. Avrebbe potuto dedicarsi a tutto quello a cui, per una parte troppo grande della sua vita, aveva rinunciato: ma avrebbe avuto anche il tempo per riprendere a studiare e questo lo metteva in crisi. Aveva voglia ma erano passati anni. Non aveva più la spinta, lo sentiva soprattutto mentre leggeva. Leggere è la base dello studio e lui sentiva che avrebbe faticato. Inoltre, gli sembrava di fare un passo indietro, anche se crescere non vuol dire sempre andare avanti. Prendendo come riferimento il gesso, decise che ci avrebbe pensato quando l’avrebbe rimosso.

    Fu l’occasione per riscoprire il piacere della musica. 

    Gli ultimi acquisti risalivano ai primi anni di università. Dopo aver superato l’esame di letteratura italiana, si era regalato The Complete Parker on Verve e My Funny Valentine di Chet Baker. 

    Erano i primi due dischi di musica jazz che Andrea avesse comprato in vita sua e gli era sembrato di entrare in un mondo nuovo con la sua bella Gloria innamorata al suo fianco. Erano molto diversi l’uno dall’altro e certi passaggi non riusciva proprio ad ascoltarli. Ma capiva di non capire. E di non sapere. Sentiva che c’era qualcosa di grande in quella melodia senza melodia, in quei temi apparentemente storpiati al punto di risultare irriconoscibili, e continuava ad ascoltare, attratto da ciò che non comprendeva alla ricerca di ciò che non conosceva. Ma il sorriso di Gloria, sempre identico a se stesso, dall’indicare piacere, in breve cominciò a significare indifferenza, noia, insofferenza. Il tutto tradotto in abbassare il volume dello stereo, in un primo periodo, poi spegnerlo:

    «I vicini si lamentano!» 

    Durante la sua prima estate senza Gloria, di notte, mentre ufficialmente lavorava, sintonizzava la radio sulle poche stazioni ascoltabili e si lasciava affondare nelle poltrone dell’ingresso, gli occhi socchiusi, le braccia distese appoggiate sui braccioli. Era arrivato a provare brividi intensi ma spesso, all’apice dell’emozione, gli tornava in mente Gloria. Immediatamente le visioni sfumavano, i brividi si placavano. E Andrea si alzava, spegneva la radio e beveva subito qualcosa.

    Ma adesso era diverso. Lui e Leo avevano ascoltato musica per tutto il pomeriggio e alla sera era arrivato Lucio, un loro amico, che li aveva invitati alla Taverna, un locale in cui suonavano il jazz con tanto di jam session finale. L’aveva detto a un paio di amiche e non voleva andarci da solo. 

    6

    Suonava un giovane trombettista sconosciuto. La luce era bassa. Le ragazze si chiamavano Chiara e Francesca. C’era molta gente.

    L’ultimo tavolo fu occupato mentre già squillavano le prime note. Andrea si spostò fino ad appoggiarsi su Francesca. Gli sembrava di conoscerlo uno dei due che si erano appena seduti. Il concerto prese quota e presto Andrea si lasciò cullare dalla musica, dalla birra e dalla scollatura di Francesca.

    Lucio disse che sapeva che taglia portava: di reggiseno, intendeva. Francesca si guardò il seno. Aveva una maglia stretta che non ingannava. Chiara si guardò anche lei il seno. Poi appoggiò una mano sui presunti pettorali di Leo dicendo che lui ce le aveva più grosse delle sue ma più flaccide. 

    «Sono leggermente soprappeso» ammise Leo sottolineando il ‘leggermente’.

    Il secondo brano era ‘A Night in Tunisia’. Leo prese a tenere il ritmo con la forchetta sul boccale vuoto. Chiara ticchettava con la punta delle dita sul bordo del tavolo. Francesca muoveva le spalle su e giù, anche se diceva che il jazz le piaceva poco, e quando vide che Lucio le stava fissando il seno continuò a muovere le spalle su e giù mentre Andrea li guardava e rideva con Leo che si era avvinghiato a Chiara. 

    Dopo ‘Moonlight in Vermont’ il gruppo fece una pausa. Avevano già suonato per quasi un’ora. Leo rideva, Lucio rideva, Chiara e Francesca ridevano, Andrea era in bagno. Ordinarono altra birra mentre la gente si alzava e andava da un tavolo all’altro per salutarsi e commentare. Quel trombettista era bravo. Quando suonava Miles Davis sembrava Miles Davis, quando suonava Gillespie sembrava Gillespie e quando faceva Clifford Brown somigliava a Clifford Brown.

    «A Chet Baker no, però» disse Lucio: «è troppo duro per fare Chet Baker.»

    Mentre Leo e Lucio discutevano, Andrea notò ancora l’uomo che credeva di conoscere. Proprio in quel momento l’uomo si alzò. Andrea si fece sornione:

    «È il mio assicuratore» disse mostrando il gesso.

    Leo propose un brindisi. 

    «Non fare lo scemo!» disse Andrea ma brindò ugualmente. Quando l’assicuratore fu vicino a loro, Lucio si girò e accennò un sorriso. Ma l’uomo tirò dritto, verso la toilette, senza girarsi né fare alcun cenno.

    «È l’essere più scorbutico che conosca» disse Andrea: «sono assicurato da lui da un secolo, ormai, ed è sempre peggio.»

    Lucio si fece serio. Disse:

    «Non è proprio tutta colpa sua.»

    Si girò verso Chiara:

    «Lo riconosci?»

    «No. Chi è?»

    «...è il padre di...»

    Chiara si girò verso la toilette. 

    «Com’è invecchiato!»

    Lucio scosse la testa. 

    «...il padre di chi?» fece Leo.

    «Un nostro compagno di scuola, non ricordi?»

    Lucio disse:

    «È morto quando aveva quindici anni, col motorino.»

    Andrea fece una smorfia con le labbra, tendendole seccamente. Francesca chiese chi era morto.

    «Nessuno» disse Leo.

    «Un nostro compagno di scuola» disse Chiara.

    L’assicuratore uscì dalla toilette e passò di nuovo vicino a loro di nuovo senza salutare. Andrea disse:

    «Sono passati molti anni, però.»

    «Lo so» disse Lucio «...ma non è tutto qui.»

    In quel momento il giovane trombettista annunciò la ripresa delle ostilità. Il primo brano fu fragoroso. Poi il jazz divenne blues e poi ancora jazz, il jazz dei primi tempi con l’omaggio a Bix Beiderbecke.

    L’assicuratore e il suo amico avevano applaudito al termine di ogni brano, senza muoversi né guardarsi intorno. Per riuscire a vederlo, Andrea doveva appoggiarsi sulla bella Francesca e lo fece più volte, fino a che non si ritrovò fra le sue braccia, affondato nel suo seno mentre Leo gli tirava le croste rosicchiate della pizza. 

    Quando la jam session ebbe inizio Leo e Lucio andarono a congratularsi con il giovane trombettista. Andrea rimase da solo con le ragazze: lui non sapeva niente di quell’uomo e di ciò che era successo a suo figlio. Chiara disse «c’è dell’altro ed è ancora peggio» ma non riuscì a finire la frase che Leo e Lucio arrivarono insieme al trombettista. Si cominciò a parlare di musica fra congratulazioni e auguri, anche se il trombettista sembrava interessato solo alla scollatura di Francesca. Andrea disse che erano di silicone e Francesca sorrise maliziosa e orgogliosa sistemandosi per l’ennesima volta reggiseno e maglietta.

    Il figlio dell’assicuratore si chiamava Massimo ed era morto in un incidente col motorino. Massimo aveva una sorella più piccola: Laura. Laura era molto affezionata a Massimo ma la cosa peggiore era stata la reazione del padre. Al contrario della madre, lui non si raccomandava mai che Massimo andasse piano col motorino e che tornasse a casa presto, perché diceva che si è giovani una volta sola e al senso di colpa aveva reagito con la chiusura. Era diventato di pietra soprattutto con Laura. Non le dedicava più la benché minima attenzione ed erano rare perfino le volte in cui le rivolgeva lo sguardo. A volte, per forza di cose, era costretto a parlarle ma lo faceva quasi sempre senza girarsi. Le dedicava attenzioni solo quando la redarguiva.

    Col tempo, però, aveva cominciato a capire, ma i suoi sforzi per ripristinare il rapporto si erano infranti contro l’atteggiamento di Laura. Laura era diventata una bambina glaciale, poi una ragazzina e una donna glaciale e c’era stato poco da fare.

    «Adesso è negli Stati Uniti» continuò Lucio. Usciti dalla Taverna, Leo, Lucio e Andrea avevano salutato le ragaze ed erano andati a fare un giro in macchina. «Studia là» continuò Lucio: «mia madre, che conosce bene sua madre, ha detto che a volte, quando telefona, se risponde suo padre mette giù. Suo padre si sente in colpa e adesso le vuole tutto il bene che non le ha voluto prima e quando lei abbassa il telefono senza aver detto una sola parola ci rimane male ma non la biasima: le vuole ugualmente un gran bene e spera solo che sia felice, in qualsiasi modo.»

    Andrea guardò fuori dal finestrino. Leo fece una smorfia con la bocca arretrando il capo.

    «...ma non è tutto qui» disse Lucio: «quell’uomo sta male.»

    «L’avevamo capito!» 

    «Sì, ma non solo in quel modo.» 

    Andrea sbuffò dal naso. Leo lo guardò, poi guardò di nuovo Lucio. Lucio disse:

    «Ha un tumore.» Fece una pausa. «E non vuole che Laura lo sappia.»

    Seguì un attimo di silenzio. Poi Leo chiese:

    «E perché?»

    «Non lo so: ho provato a immaginarmelo ma...»

    «Forse non la vuole far soffrire» disse Leo.

    «Forse non le vuole fare pena» disse Andrea.

    «È possibile, ma che senso avrebbe?»

    «Non lo so» disse Andrea: «non ho mai avuto né un tumore né una figlia, per ora.»

    Leo gli diede un pugno su una spalla: «sei tu il mio tumore!»

    «Io sono la tua salvezza» disse Andrea: «...e la moglie?» 

    «La moglie è una brava donna» rispose Lucio «tutta dedita al volontariato.»

    Leo alzò gli occhi al cielo.

    «Sai com’è» fece Lucio allargando le braccia.

    «Com’è cosa?»

    «Mia madre dice che affoga tutti i dispiaceri lì.»

    «...ma lei gliel’ha detto, secondo te?»

    «Che cosa?»

    «Del tumore.»

    «A Laura?»

    «Sì.»

    Lucio si percorse l’interno di una narice con l’indice:

    «Potrebbe anche non averlo fatto.»

    «…e intanto noi mangiamo, beviamo e ridiamo» se ne uscì Leo.

    Andrea lo guardò quasi risentito.

    «D’altronde, cosa vorresti fare?» disse Lucio.

    «In questo momento?»

    Lucio reclinò la testa da una parte. Aveva già capito che Leo voleva spararne una. E infatti disse.

    «Vorrei addormentarmi sulle tette di Francesca.»

    «È simpatica» disse Andrea.

    Leo lo guardò con disprezzo:

    «Semplicemente, ha le tette più belle dell’anno.»

    «Confermo» fece Lucio.

    «Non ce n’era bisogno: gliele hai consumate.»

    «L’ho fatto per farla sentire parte del gruppo» replicò Lucio: «in fondo, la conosciamo appena.»

    Erano al porto, parcheggiati sulla banchina, vicino alla darsena piena di pescherecci e scesero tutti e tre a fare la pipì.

    «C’è una mia amica» disse Leo mentre cercava di arrivare più lontano «che quando fa la pipì a casa mia fa un rumore terribile. Centra perfettamente il pozzetto e si sente in tutta la casa.»

    «Lo fanno apposta» disse Lucio: «le donne sono così. Se dimostri di puntare dritto a quella cosa lì fanno finta di non averla, ma se non la consideri richiamano l’attenzione in tutti i modi.»

    Tirando su la cerniera, Andrea disse che da piccolo se l’era preso in mezzo. Leo stava per dire tutto si spiega, ecco perché vi siete lasciati tu e Gloria ma si trattenne. Disse invece:

    «Chissà come la farà la pipì Francesca, con quelle tette.»

    «Cosa c’entrano le tette?»

    «C’entrano c’entrano: la donna è una creatura armonica dove tutto c’entra con tutto!»

    «Sei nauseabondo» disse Andrea. Poi, quasi senza cambiare tono, aggiunse:

    «Ve lo immaginate?»

    «Che cosa?»

    «Dover morire.»

    Ci fu un attimo di silenzio.

    «Tutti dobbiamo morire» disse Lucio.

    «Grazie. Dover morire entro poco tempo e saperlo.»

    «Beh, il problema è saperlo – a voi non vi fa la goccia?»

    «Se hai un tumore prima o poi lo sai – scrollalo bene – non è come un ictus o un infarto fulminante!»

    «È meglio essere travolti da un camion quando si è al massimo della felicità.»

    «...o buttarsi.»

    «Sotto un camion?»

    «Karakiri!»

    «Harakiri! Si dice harakiri con l’acca, non con la kappa.»

    «Sarebbe meglio… ma non è facile.»

    «Ci vorrebbero degli addetti» disse Lucio: «un Corpo Speciale, una Squadra della Morte che uccidesse le persone quando sono felici.»

    «Non riderebbe più nessuno, allora. Nascerebbero dei club clandestini nei quali ridere di nascosto.»

    Lucio si sistemò la maglia dentro i pantaloni.

    «In ogni caso» disse «quell’uomo ha un tumore e pare sia già in fase avanzata.»

    «Come si chiama?»

    «Sarcoma... calcinoma di…»

    «No, l’uomo.»

    «Giorgio.»

    Leo si girò verso Andrea, che stava sputando rasente il molo cercando di colpire un legnetto che galleggiava. 

    «Sì: Giorgio.»

    7

    «È a dir poco squallido» disse Andrea.

    Cadeva una pioggia sottile. Francesca sapeva che Andrea aveva vissuto in una specie di capanna, durante l’estate, e voleva vedere il suo appartamento nuovo. Avevano appena mangiato una pizza.

    Andrea accese tutte le luci. 

    «Per prima cosa» disse Francesca «bisognerebbe cambiare tinta alle pareti, cambiare quelle orribili tende e…»

    «…e poi niente perché non ho voglia di far niente!» 

    Francesca si avvicinò:

    «Non ci credo.»

    Andrea continuò a negare ma quando sentì il seno di Francesca schiacciarsi contro il suo torace smise di farneticare.

    Francesca fu dolcissima in tutto. Fu dolce nel dirgli di stare zitto. Fu dolce nel trascinarlo fino al divano. Fu dolce nel seminare ovunque tutti i vestiti, i suoi e quelli di Andrea, e nell’accarezzarlo, baciarlo e morderlo e nel dirgli di non dire niente. «Non devi dire niente» gli sussurrava nelle orecchie, sulle tempie, sulla fronte, sulle palpebre, sulle guance, sulle labbra, vicino al naso: «niente di niente.» 

    Fu dolce nel capire ciò di cui lui aveva bisogno e ciò che più gli piaceva. 

    Fu dolce nel guidarlo, fu dolce nel tranquillizzarlo. 

    Fu straordinariamente dolce e abile nel lasciargli prendere il sopravvento, gradatamente, e nel concedersi sinceramente ma senza passione, solo con la tenerezza e il contatto. Fu dolce nel partecipare ai suoi giochi. Fu dolce nel farlo sentire coccolato come un neonato, adulato come un Re e fu dolce, dolcissima, insuperabile nel dirgli «Non ti amo.»

    «Perché?»

    «Perché neanche tu mi ami ed è meglio così.»

    Prima di lasciarsi presero una camomilla nel bar della stazione di servizio, gremito di camionisti. Erano le quattro e bisognava dormire davvero perché al mattino dovevano andare alla fabbrica delle vernici.

    «A far che?» chiese Andrea.

    «Dobbiamo cambiare faccia al tuo appartamento.»

    Andrea mostrò il gesso: lui non poteva fare niente ma lei, senza staccare le labbra dal bordo della tazza, indicò l’altro braccio.

    «Nella vita si può fare tutto, se si vuole, e io posso aiutarti solo adesso.»

    Furono tre giorni belli e intensi, compresa la sorpresa finale. 

    «Sei invitato al mio matrimonio» disse Francesca mentre aspettava l’ascensore: «tu, Chiara e tutti gli altri.»

    Andrea si fermò, stava per baciarla. Si ritrasse. 

    Francesca disse:

    «Lo so che Leo sa tutto.»

    «Io non gli ho detto niente» fece Andrea.

    «Può darsi, ma non riuscirai a non dirglielo.»

    Sorrisero entrambi. L’ascensore era arrivato. 

    8

    Alcuni giorni dopo andò a togliere il gesso. Gli infermieri furono gentili e rapidi. Mentre prendeva un caffè con Leo, roteando la mano sul polso, disse: «Sento un senso di leggerezza qui e un piccolo vuoto qui. Questo è comprensibile» disse «ma questo…» Si pressò la bocca dello stomaco con la punta delle dita.

    «Ci risiamo» disse Leo: «basta che non dai la colpa a Francesca – Andrea gli aveva già raccontato tutto – perché tu ce l’hai sempre avuto un buco» si indicò la fronte con un dito «e adesso è solamente sceso.»

    Arrivò Lucio. «State parlando di buchi?»

    Andrea sorrise. Leo ordinò un altro caffè. Lucio disse:

    «Domani sera abbiamo un’amichevole!» Era capitano di una squadra di calcio che giocava solo partite amichevoli: «alle otto e mezza.»

    Andrea alzò il braccio. «Io non posso» disse mostrando la pelle rovinata: «ma cosa c’entra coi buchi?»

    «C’entra che dopo c’è una festa a casa di un mio amico.»

    Ma Andrea alla festa ci arrivò con un nuovo gesso, più lungo e massiccio e di colore verde. Alla fine del primo tempo, Fulvio, avvocato e centravanti, era svenuto e Andrea lo aveva sostituito. Si era dovuto infilare la sua maglia sudata, le sue scarpe strette, i pantaloncini infangati. Per quanto possibile, aveva evitato scivolate e contrasti, ma mentre saltava di testa, il difensore dell’altra squadra, goffo e massiccio, l’aveva contrastato malamente e lui, cadendo, per evitare di appoggiare il polso ancora debole, aveva piegato il braccio e si era fratturato il radio.

    Quella sera Leo poté sfottere Andrea anche per il radio, oltre che per il buco alla bocca dello stomaco. Ma lo faceva sempre in presenza di ragazze nuove, una scenetta improvvisata ed efficace per rompere il ghiaccio con leggerezza al punto che Lucio disse che così era troppo facile. 

    «Le donne sono curiose e si impietosiscono subito!» 

    Più tardi, in macchina, mentre tornavano a casa continuavano a discutere. C’era anche Fulvio, con loro, che era rinvenuto quasi subito. Parlando di donne, sembravano dei cacciatori dopo una battuta. Nonostante il gesso Andrea era felice. Dopo sette anni di convivenza e un’estate da guardiano notturno, gli sembrava di essere tornato ai tempi del liceo.

    «Solo che abbiamo trent’anni!» Disse Fulvio.

    Fulvio era un avvocato capace di vincere cause perse e di perdere quelle già vinte e, prima di salutarsi, Andrea gli chiese consiglio. Si era fratturato un polso e prima che scadessero i giorni di convalescenza si era rotto il braccio. 

    «Quindi?»

    «Quindi fai quello che hai fatto per il polso» disse Fulvio «scrivi la dichiarazione d’infortunio, ci alleghi il referto medico e vai dal tuo assicuratore e se c’è qualche problema ci penso io.» Gli disse anche che l’avrebbe fatto gratis, eventualmente, perché si era fatto male per colpa sua: se non fosse svenuto, lui non avrebbe giocato e non sarebbe successo niente. Ma Andrea lo pregò di non fare lo scemo.

    «Non farlo tu» disse Fulvio.

    9

    Il mattino seguente, battuta la dichiarazione, Andrea andò all’agenzia di assicurazioni. Ci andò a piedi. Mentre camminava sotto un sole pallido pensava all’assicuratore e a quello che gli aveva detto Lucio. Quell’uomo poteva essere scontroso quanto voleva ma aveva tutte le attenuanti. Era già stato abbastanza sfortunato, nella vita, e Andrea era pronto a sopportare tutto. 

    Entrato nell’agenzia, salutata la segretaria, si era infilato nell’ufficio dell’assicuratore e, appoggiati i fogli sulla scrivania, si era seduto nella comoda poltrona. L’assicuratore aveva preso i fogli e dopo una rapida lettura aveva guardato il braccio di Andrea, bloccato nella nuova posizione.

    Andrea aveva alzato il gesso e aveva sorriso. L’uomo all’inizio era rimasto fermo e zitto. Poi aveva sbattuto la mano sulla scrivania, si era alzato in piedi e aveva cominciato a parlare con voce alterata, poi a gridare. 

    «Cristo! Cristo! Cristo! Vi rompete qualcosa e volete i soldi! Vi rompete un ossicino e volete i soldi! …non vi fate niente e volete i soldi! …sembrate tutti in fin di vita… invalidi… moribondi anche se non avete niente e volete i soldi! …solo i soldi, Cristosanto! Siete tutti uguali! Vi rompete qualcosa e sembrate subito in fin di vita e volete i soldi, i soldi e basta!  …non

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