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Hymir
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E-book153 pagine1 ora

Hymir

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Info su questo ebook

Hymir, un Bullmastiff addestrato per il combattimento tra cani.
Spietato e sanguinario come il suo aguzzino, Alf Butler, malavitoso di spicco della città di Philadelphia.
Ma non tutto dura per sempre.
Un imprevisto porterà alla scomparsa del molossoide.
Accudito e curato dai nuovi, ignari, padroni, Hymir coverà una cosa sola: vendetta!
Non sarà il solo ad avere sete di sangue...
Prendete: Violenza, sesso, riscatto, buoni sentimenti ed inseriteli nel mixer.
Un cocktail da mandare giù tutto d'un fiato...
LinguaItaliano
EditoreLisa Adler
Data di uscita7 gen 2013
ISBN9788867554645
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    Anteprima del libro

    Hymir - Lisa Adler

    bellezza.

    Capitolo 1

    Inferno

    «Ancora! Di più, non farli rallentare!» Intimò l'uomo risoluto.

    Un po' titubante si arrischiò ad azzardare un suggerimento, ma lo sguardo truce lo esortò a lasciar perdere, come sempre del resto.

    Non era possibile rendere ragionevole chi non lo era. Questo era un dato di fatto e lui lo aveva capito molto tempo prima.

    La sua notevole esperienza poco importava, l'uomo di fronte era un despota, la sua volontà era legge, tutto ciò che imponeva andava svolto alla lettera e senza repliche, motivo per cui strinse i denti e portò il fischietto alla bocca.

    Il suono squillante e acuto riverberò nell'aria e il frastuono che ne seguì dette l'esatta ubicazione del posto in cui si trovava.

    L'inferno.

    «Devi spremerli fino all'ultima stilla di sangue! O sarai tu a subirne le conseguenze!» La voce cavernosa e piatta, avrebbe fatto venire i brividi anche a un killer professionista, ne era certo.

    Alzò lentamente gli occhi per non mostrare troppo il suo stato d'animo, cosa non facile sotto lo sguardo rapace del suo interlocutore.

    «Sì, signor Butler, recepito il messaggio.» Disse conciliante, assumendo una posa il più professionale possibile. «Solo vorrei darle un parere tecnico; se intende andare avanti con questo ritmo, non posso garantirne la sopravvivenza.»

    Era stato conciso e aveva usato volutamente il termine parere tecnico, se avesse anche solo accennato a consiglio, sarebbe già stato impalato alla maniera del conte Dracula.

    Pur sapendo di trovarsi sul filo del rasoio, doveva far sapere che un atteggiamento del genere, in quella fase, poteva essere devastante. Tenere per sé i rischi non gli avrebbe salvato la pelle. Chissà, forse, in questo caso il suo capo sarebbe stato incline ad un negoziato, la proverbiale via di mezzo.

    Lo fissò acutamente; era un uomo sulla settantina, alto e robusto, capelli striati di grigio, occhi di ghiaccio. Spietato, crudele e perverso, aveva sulla coscienza una bella sfilza di cadaveri, dei quali si vantava in ogni occasione. Per di più, non disdegnava la tortura e mezzi di persuasione a dir poco sadici e pittoreschi, con interpretazioni a tema. Tutte le volte che doveva farla pagare cara a qualcuno, s'inventava un nuovo giochetto. Nell'ambiente era davvero temuto, lo dimostrava chiaramente l'atteggiamento servile di molti che lo frequentavano.

    Nonostante l'ultimo tentativo di persuasione, anche lui apparteneva all'esercito di sudditi.

    Era finito nelle grinfie dell'uomo più potente della East Coast, Alf Butler, da... bé, troppo, almeno un decennio. Come quasi tutti quelli che lavoravano per quel pezzo da novanta, aveva contratto un debito di una certa entità, il che lo aveva catapultato, prima nel tritacarne di Butler, poi per un vero colpo di fortuna, se così si poteva definire, nell'esaltante carriera che ora lo vedeva protagonista di un vero massacro. Spesso pensando a se stesso si sentiva come uno lanciato nello spazio, senza però l'indispensabile navicella.

    Alf Butler, non si limitava a prenderti i soldi che gli dovevi, si prendeva la tua vita, in un modo o nell'altro.

    Qualche volta sotto due metri di terra, qualche altra al suo servizio. Quale delle due fosse la fine peggiore, era difficile a dirsi.

    Fra i vari traffici di cui si occupava, c'era anche il combattimento clandestino di cani. Aveva le mani in pasta in parecchie cose e questo lo rendeva ricchissimo, il magnate di diversi settori, naturalmente tutti rigorosamente illeciti.

    Fare l'allenatore, dei malcapitati esemplari di razze cruente e letali, era proprio toccato a lui. Eldon Griffin, quarant'anni suonati, un ragazzone forte e aitante. Incautamente aveva incrociato la strada di Butler diversi anni fa e erroneamente aveva creduto che gli sarebbe bastato saldare quel famoso debito per tornare alla normalità. Errore. Dopo un pestaggio al limite del possibile, si era ritrovato assoldato dal tiranno, solo per il fatto di essere stato un giovane promettente nelle corse dei cavalli.

    Le sue doti con gli animali, gli erano valse quel lavoro della malora, Butler sosteneva che aveva il tocco magico. Un dono speciale, tanto da farlo entrare subito in sintonia con gli animali. Dal punto di vista di Eldon, era una vera maledizione, ovviamente. Senza sentire ragioni, Butler lo aveva spedito a dei corsi costosissimi, facendogli abbandonare per sempre i cavalli e spedendolo senza tanti preamboli all'addestramento dei cani.

    Purtroppo quelli non erano docili bestie che un giorno avrebbero allietato le famiglie Americane, affatto, quelli arano assassini a quattro zampe, feroci e pronti a staccarti la giugulare solo per sfizio. Ora era la sua unica occupazione e guai non generare dei campioni, Alf Butler esigeva solo vincitori. Permetteva solo il minimo inevitabile di perdite nel periodo giovanile dell'animale, in età matura, non tollerava fallimenti. La maggior parte degli incontri, doveva decretare uno dei suoi esemplari, posizionandolo direttamente sul gradino più alto del podio, o per l'allenatore sarebbe scattata... la morte.

    Il processo per raggiungere l'ambizioso traguardo era aberrante e senza regole morali. I cani, spesso venivano scelti nei modi più disparati. I preferiti erano esemplari di razze notoriamente aggressive e predisposte al controllo del branco, in occasioni più rare, si allenavano grossi meticci. Alf Butler essendo molto potente, ambiva per lo più a razze purissime, che gli assicuravano un'assoluta riuscita dell'animale ai fini dei combattimenti. Pagava carissimo un esemplare ben messo per tale scopo. Li reclutava in tutti gli Stati Uniti, aveva diversi fornitori ormai collaudati nel corso degli anni. Qualche volta un cane addestrato e per così dire pieno di talento, poteva vivere anche sette o otto anni, riportando ferite che segnavano il suo corpo per sempre. Altre invece, non sopravviveva alle prime cinque o sei gare, quindi c'era sempre un discreto ricambio. La competenza dell'allenatore era fondamentale, per capire in anticipo il potenziale effettivo di ogni singolo animale e riuscire ad estrarre il meglio da ognuno di essi. Le fasi dell'addestramento erano molto precise, crudeli e spietate, per rendere la bestia sempre più feroce e irascibile. Questo preparava il terreno sui cui si basava l'intera carriera del cane. Le fondamenta di questo manuale d'istruzioni, erano sempre le stesse. Il cucciolo, non più di sei mesi di vita, veniva incoraggiato all'aggressività in continua ascesa, doveva scontrarsi con cani della stessa età, acquisendo i primi rudimenti della vera lotta, a cui sarebbe stato sottoposto da adulto. Picchiato selvaggiamente e rimproverato in continuazione, ogni volta che aveva la meglio su un suo simile, riceveva una ricompensa, un piccolo boccone di carne fresca. Una volta raggiunta l'età adulta, l'addestramento s'inacidiva ulteriormente. I cani venivano lasciati a digiuno per giorni, per renderli agitati all'inverosimile e in preda ad una smania incontrollabile, tanto che, quando si scontravano, erano dieci volte più aggressivi, rispetto ad un combattimento avvenuto dopo il normale pasto. Talvolta per inasprire gli animi, venivano usati come incentivo, piccoli animali feriti, ad esempio gatti. Se i cani combattevano bene, con risultati degni di nota, venivano premiati col gatto agonizzante, questo li gratificava nella pseudo caccia e li teneva su di giri, simulando la fine di un avversario in un vero scontro. Una volta terminata la giornata, i primi tempi, non venivano chiusi in gabbie singole, come in effetti sarebbe avvenuto in seguito, bensì legati ad una catena, uno vicino all'altro, per acuire intolleranza e possesso del proprio territorio. I cani costretti alla vicinanza forzata, passavano gran parte della notte ad azzannarsi, tanto che al mattino, erano stanchi e sfiancati. Certo non potevano crogiolarsi a lungo, non gli era concesso sentirsi esausti, venivano frustati e riportati all'allenamento, senza un minimo di compassione, tutti i giorni dell'anno, senza un attimo di posa. Nel periodo dei combattimenti veri, era anche peggio, il lavoro era incessante e massacrante. In quelle gare, rimaneva rigorosamente solo un superstite, non era pensabile che il cane battuto fosse soccorso e curato, si lasciava che il vincitore lo finisse, sotto le grida esultanti e maniacali degli scommettitori. Eldon Griffin, seppur costretto a svolgere tali atrocità, si sentiva un vigliacco e un derelitto, fondamentalmente era un amante degli animali e non riuscire a ribellarsi a quello scempio, dover sottostare e obbedire, lo rendeva malinconico e deluso di se stesso. Ogni notte aveva incubi indicibili e in cuor suo sapeva che gli sarebbe toccata una fine degna del suo operato, impossibile la clemenza del destino, tutti i conti si pagano prima o poi. In fondo era giustizia Divina, considerò fra sé, tornando al presente.

    I due si fissarono per alcuni minuti, intenti a decidere sulla prossima mossa, poi Butler spezzò il silenzio.

    «Ti concedo solo una pausa di quindici minuti, per fargli tirare il fiato, poi voglio che li pressi come uno schiacciasassi, c'è l'incontro più importante della stagione venerdì sera, è l'inizio delle gare, non intendo concedere agli avversari neanche l'illusione del benché minimo vantaggio, devono subito avere ben chiaro con chi hanno a che fare. Appena verrà dato inizio all'incontro, voglio veder cadere come foglie i cani degli altri concorrenti. Sono stato chiaro?» Il tono minaccioso, come sempre pose fine alla conversazione.

    Alf Butler fece un cenno alle sue guardie del corpo e il corteo uscì dall'arena, Eldon li osservò dirigersi verso il parcheggio, sembravano un commando di sicari pronti all'Apocalisse.

    Per il momento poteva tornare a respirare in modo normale, portò di nuovo il fischietto alle labbra e a quel comando il combattimento in corso cessò. I cani ringhiarono forte, poi corsero a bere senza esitazione. L'aria era già afosa di prima mattina, sarebbe stata un'altra giornata sfiancante, pensò abbattuto Eldon.

    Non vedeva l'ora di superare quel maledetto venerdì, il pensiero del combattimento all'ultimo sangue gli aveva tolto il sonno da parecchie settimane, s' impose di mantenere la calma, se riusciva a tenere i nervi saldi, poteva affrontare tutto il calendario degli incontri indenne, chi ben comincia è a metà dell'opera no?

    Rimise il fischietto in bocca e richiamò i cani, che a quel suono tornarono come razzi ai loro posti.

    L'ecatombe riprese.

    Finito l'addestramento la sabbia dell'arena, era un lago di sangue melmoso e viscido, che brillava sotto l'assalto degli implacabili raggi del sole. Un vero tripudio all'orrido, dopo anni di quella vista, Eldon ancora provava un disgustoso voltastomaco.

    Prese uno straccio, afferrò la canna dell'acqua e diede inizio

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