Vantaggiosa eredità: Harmony Destiny
Di Emily McKay
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Info su questo ebook
Il piano originale del milionario Ford Langley non era quello di acquisire la compagnia di Kitty Biedermann. Un uomo d'affari di successo, però, non si lascia mai sfuggire una ghiotta occasione quando la incontra e visto che la casa produttrice di gioielli della donna che ha infiammato i suoi sensi versa in difficili condizioni, le fa un'offerta impossibile da ignorare.
... a ereditiera di ghiaccio.
Kitty non può credere che l'impero di famiglia ereditato sia sull'orlo della rovina. Vendere a Ford è l'unica soluzione, ma se lui crede di trasferire le transazioni dalla sala del consiglio d'amministrazione alla camera da letto, in nome dei vecchi tempi, si sbaglia di grosso.
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Anteprima del libro
Vantaggiosa eredità - Emily McKay
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Affair with the Rebel Heiress
Silhouette Desire
© 2010 Emily McKaskle
Traduzione di Franca Valente
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-378-2
Capitolo 1
KITTY BIEDERMANN ODIAVA il Texas.
Questa convinzione le martellava nella testa da quando l’aereo su cui viaggiava era stato costretto a un atterraggio proprio lì, a Midland, in Texas. Ora si trovava a far passare il tempo nel bar vicino all’equivoco motel in cui doveva trascorrere la notte.
La sua ultima volta in Texas era stata piantata dal fidanzato. Purtroppo non si era trattato solo del suo fidanzato, ma dell’uomo che lei aveva scelto per salvare la Biedermann Jewelry dal disastro. Ciò aveva comportato non solo un’umiliazione pubblica o un semplice cuore spezzato, ma la fine della Biedermann Jewelry. Quindi ce l’aveva con Derek Messina e anche con tutto quel dannato paese.
La sua situazione era andata di male in peggio fino a giungere alla disperazione da quando lui l’aveva piantata in asso. Aveva avuto un gran bisogno di Derek.
Fin da bambina era stata allevata con un solo obiettivo: trovare un marito abbastanza brillante e preparato da poter guidare la Biedermann. Nel momento in cui Derek l’aveva rifiutata, lei non si era data per vinta. Ora però, dopo mesi trascorsi a darsi da fare per trovare un uomo adatto, incominciava a sentirsi sconfitta.
Quell’ultimo viaggio a Palm Beach era stato come dover raschiare il fondo del barile. Geoffrey aveva a malapena due neuroni che funzionavano, ma almeno sapeva leggere, scrivere e indossava benissimo lo smoking. Nonostante le sue misere doti, tuttavia, lui non l’aveva voluta.
La Biedermann era tutto per Kitty, ma sembrava scivolarle dalle dita come sabbia e non riusciva a trovare un mezzo per trattenerla.
Ora, con i gomiti appoggiati al piano del bar piuttosto appiccicoso e il mento sui palmi delle mani, fissava le verdi e torbide profondità del suo Margarita. Scosse lievemente il bicchiere osservando i cubetti di ghiaccio che sprofondavano verso il fondo. Il progetto di tutta una vita era affondato altrettanto velocemente. Era arrivata davvero al capolinea?
Le si strinse la gola per la disperazione, ma si riprese immediatamente, sbattendo le ciglia sorpresa. Non era da lei avere attacchi di autocommiserazione, e mai in pubblico.
Mescolò il cocktail studiandone il contenuto. Ma quanto alcol poteva mai nascondere se dopo due sorsi era già in preda a simili emozioni?
Forse era colpa sua. Aveva fatto passare dei brutti momenti al barman ordinando un pinot grigio, di cui lui non aveva mai sentito parlare; avrebbe dovuto credergli quando le aveva promesso un drink abbastanza forte da colpirla sul suo riverito e modesto didietro.
Era ancora immersa in quelle riflessioni quando lo vide entrare nel locale.
Fu come se qualcuno le avesse gettato una secchiata di acqua gelida addosso. Ogni cellula del suo corpo scattò sull’attenti in una reazione viscerale. Lo sconosciuto era alto e snello, sembrava un po’ magro, ma allo stesso tempo ben proporzionato. Indossava jeans consumati e una maglietta che gli aderiva sulle spalle ma cadeva liscia sull’addome. Niente pancia per il ragazzo. Aveva un cappello da cowboy inclinato sul capo, ma portava scarponi vecchi da lavoro, non gli stivali che ci si poteva aspettare da un vero cowboy.
Il primo pensiero di Kitty fu: ecco, questo sì che è un vero cowboy. Era ciò che tutte le donne del mondo sognano. Un vero uomo, molto virile.
Perfino dall’altra parte della sala il suo corpo gli rispondeva pompando endorfine fino alla punta dei piedi. Strano, aveva sempre preferito uomini sofisticati e garbati, di aspetto ordinato e con un buon livello di istruzione.
Era talmente assorta nella contemplazione del misterioso cowboy da non accorgersi dell’uomo che le si era seduto accanto. La mano rozza di lui si posò sul suo braccio delicato. Lei si voltò e vide che la mano apparteneva a un uomo che non avrebbe potuto essere più diverso dal cowboy che aveva attirato la sua attenzione. Era piccolo e grassoccio, calvo, ma con un riportino ridicolo, con le guance colorite e il naso spugnoso. Le sembrava vagamente familiare, anche se di sicuro non l’aveva mai incontrato prima.
«Bene, salve piccola signora.» Le passò una mano sul braccio. «Che ne dici di prendere qualche cosa di fresco da bere e buttarci poi sulla pista a ballare?»
«Come, scusi?» Kitty soppresse a stento un moto di disgusto per quel tocco. Cercò di divincolarsi dalla presa, ma si trovava bloccata tra il banco e la donna seduta accanto a lei.
Perché le stava accarezzando il braccio in quel modo? Lo conosceva? Dopotutto aveva un aspetto familiare.
«Vuoi fare un giro?»
«Un giro dove?» Chiese lei, incapace di comprendere. Parlava cinque lingue, accidenti, ma il texano non era fra queste.
L’uomo si accigliò. «Mi stai prendendo in giro?»
«No» protestò lei. Sfortunatamente fu in quel momento che si ricordò della somiglianza. «Elmer Fudd!» esclamò. «Assomiglia a Elmer Fudd!»
Normalmente non avrebbe detto nulla, ma era già al secondo bicchiere, e non aveva mangiato altro che un pacchetto di noccioline sull’aereo, perciò la sua lingua era più sciolta del solito.
L’uomo assunse un’aria indignata. Si sporse verso di lei, furioso. «Come mi hai chiamato?»
«Non intendevo insultarla...»
«Ti stai prendendo gioco di me.» L’energumeno aveva le guance arrossate, il che lo rendeva ancora più somigliante al cacciatore dei cartoni animati, acerrimo nemico di Bugs Bunny.
«No! Io...»
Incredibile, lei, che aveva quasi sempre la parola giusta al momento giusto, che riusciva a cavarsela a voce in ogni situazione, nel bene e nel male, ora era muta.
Forse, senza averne l’intenzione, aveva insultato e offeso un uomo che era probabilmente armato. Stava per morire, sola, triste, in Texas, uccisa in un accesso d’ira. Da un uomo che assomigliava a un personaggio dei cartoni animati.
Ford Langley riuscì a fiutare guai nel momento stesso in cui entrò nel suo bar preferito a Midland. Il posto era quel tipo di covo equivoco in cui da sessant’anni venivano gli operai delle piattaforme petrolifere e i contadini attaccabrighe. Da quando il ramo che si occupava di energia pulita della FMJ, la società di Ford, aveva affittato da un sacco di gente del posto la terra per le turbine eoliche, immaginava che tutti sapessero chi era e quanto valesse. Ma a loro non importava. Era veramente un sollievo che esistessero ancora dei posti del genere.
Però non era un luogo in cui le donne indossavano abiti da sartoria e scarpe firmate. Ford aveva tre sorelle dai gusti dispendiosi e sapeva riconoscere al volo un paio di scarpe da cinquecento dollari.
La donna seduta al bar sembrava stranamente fuori posto, non l’aveva mai vista lì. Veniva in quel locale quasi ogni volta in cui si fermava a Midland, e si sarebbe certamente ricordato di quella sventola.
La parola sventola gli rimase in mente perché era proprio giusta per lei. La bambola sexy che entra ancheggiando nell’ufficio di un investigatore privato di qualche vecchio film poliziesco. Luminosi capelli fluenti, lunghe gambe rivestite di seta, labbra rosse e lucide, un richiamo sessuale capace di mettere al tappeto. E la giusta dose di sguardo innocente per fare venire voglia di buttarsi nella mischia per salvarla. Anche se sapeva che la risposta per il suo disturbo sarebbe stata un bel calcio nei denti.
Come se non bastasse, stava parlando con Dale Martin, che, a quanto Ford sapeva, aveva appena superato un terribile divorzio. Dale era senz’altro venuto lì per quel che di meglio si poteva trovare: bevute, risse e avventure di una notte. Dato che la donna sembrava fuori dalla sua portata, Ford poteva già immaginare come Dale avrebbe reagito.
Quando Ford udì l’uomo alzare la voce, si mosse tra la folla avvicinandosi alla coppia, per tentare di chiudere lì la faccenda.
Li raggiunse appena in tempo per sentire Dale accusare la donna di prenderlo in giro. Nascondendo il proprio imbarazzo, Ford passò un braccio intorno alle spalle della donna.
Quella testona cercò di scuoterselo di dosso, ma lui tenne duro. «Voglio...»
«Dale, amico» continuò prima che lei potesse rovinare i suoi sforzi. «Vedo che hai fatto conoscenza con la mia ragazza.» Scoccò alla donna un’occhiata significativa, nella speranza che capisse e la smettesse di divincolarsi. «Tesoro, ti sei presentata al vecchio Dale?»
«Mi chiamo Kitty» fu la risposta seccata.
Dale li osservava perplesso, il che era una buona cosa: meglio confuso che furioso.
«Bene, cara.» Le diede una strizzata al braccio. Ammiccando a Dale, aggiunse: «Sai, Kitty è una di quelle femministe».
Lei sbatté le ciglia, trovando difficile seguire la conversazione. «Insistere per farmi chiamare con il mio vero nome invece che con un soprannome zuccheroso non fa di me...»
«È anche un po’ spinosa.» Basandosi sull’accento della donna tentò di indovinare. «Sai come sono gli Yankee, Dale.»
«Non sono spinosa» protestò lei.
L’ultimo commento di Ford fece nascere un sorriso sul volto dell’uomo e la protesta di lei lo fece addirittura ridere forte, segno che aveva dimenticato o scusato qualsiasi cosa offensiva Kitty gli avesse detto. Dopotutto era una Yankee.
Approfittando della momentanea distrazione di Dale, Ford fece alzare Kitty e la spinse verso la pista da ballo. «Forza, perché non mi fai vedere che cosa sai fare con quelle tue fantastiche scarpe, dolcezza?»
Alla parola dolcezza fece di nuovo un esagerato occhiolino a Dale, mentre lei protestava indignata, il che fece ridere Dale ancora di più.
Una volta lontani da orecchie indiscrete, lei tentò di nuovo di liberarsi. «Grazie, davvero. Ma ce l’avrei potuta fare da sola. Non ti puoi certo aspettare che balli con te.»
«Certo che sì. Dale ci sta guardando.»
Prima che lei potesse protestare, o minare tutto il suo faticoso lavoro, salì sulla pista, la fece girare, stringendola a sé. Appena sentì il corpo di Kitty contro il proprio, si chiese se avesse orchestrato tutto per evitare una rissa o piuttosto per attirarla a sé.
Era più alta di quanto fosse sembrata da seduta. Coi tacchi, la testa gli toccava il mento, cosa rara per lui, che di solito torreggiava sulle donne. Come aveva sospettato, l’abito elegante nascondeva una figura piacevolmente rotonda senza essere robusta. Le sue curve erano deliziosamente sensuali.
Sentì l’acuto morso del desiderio colpire in profondità. Non si sarebbe dovuto sorprendere. A San Francisco viveva una vita di alto profilo, perciò sceglieva le sue amanti con attenzione per le loro doti di discrezione, eleganza e mancanza di aspettative. Aveva già abbastanza responsabilità senza doversi sobbarcare una moglie.
Sfortunatamente sei mesi prima la sua ultima ragazza, Rochelle, era uscita con un’amica che aveva figli, ed era tornata a casa sognando abitini firmati per bambini. Era stato ben contento di schivare quel pericolo e non aveva avuto fretta di cercarsi un altro diversivo. Ecco perché ora