Criptozoo
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Anteprima del libro
Criptozoo - Saverio Chiodo
Saverio Chiodo
CRIPTOZOO
Romanzo
Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti narrati sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualunque somiglianza con fatti, luoghi o persone reali, viventi o defunte, è da considerarsi del tutto casuale.
PARTE PRIMA
Roma, 25 maggio ore 13.20
Appena giunto nell’atrio del palazzo della periferia di Roma dove viveva in un appartamento al secondo piano, Aldo Mirri aprì la sua cassetta della posta e ne tirò fuori gli immancabili volantini pubblicitari, le altrettanto immancabili bollette che forse un giorno avrebbe pagato e il numero di maggio del mensile Focus, probabilmente l’ultimo che gli sarebbe arrivato a casa dato che il suo abbonamento sarebbe scaduto proprio quel mese. Non aveva i soldi per pagare le bollette, figurarsi se poteva permettersi di pagare l’abbonamento ad una rivista. Di certo, in ogni caso, prima di andare a dormire, a conclusione di quell’interminabile ed afosa giornata di maggio, qualche pagina della sua rivista preferita l’avrebbe sicuramente letta e già il titolo a caratteri cubitali riportato sulla copertina "UNO ZOO DA RECORD, con il sottotitolo
Entro l’estate, appena fuori Mosca, verrà inaugurato il più grande zoo del mondo. Il proprietario promette che al suo interno saranno ospitate tutte le specie animali terrestri viventi", aveva stuzzicato la sua curiosità. Gli zoo e gli animali erano stati la sua vita e la sua professione fino ad appena un mese prima.
Ma negli immediati piani di Aldo c’era altro prima della lettura. Innanzi tutto, una lunga doccia, in modo tale da potersi scrollare di dosso il sudore e la tensione nervosa accumulati durante la mattinata passata in Tribunale per spiegare al giudice, agli avvocati, ai familiari delle vittime e forse anche a sé stesso, cosa fosse realmente accaduto il mese prima, durante quello che - nei suoi piani e in quello dell’agenzia Mirri Adventures&Reserch che guidava insieme al fratello Mattia - avrebbe dovuto essere soltanto un normale safari in Sudafrica, uno dei tanti che aveva guidato in giro per le lande più esotiche e spettacolari del pianeta, ma sempre su percorsi sicuri, a bordo di veicoli affidabili e con itinerari concordati preventivamente con le autorità. Parafrasando il titolo di una nota serie televisiva, Aldo amava dire ai suoi clienti che l’avventura è il suo mestiere
mentre lasciava agli idioti il compito di preoccuparsi dei pericoli
.
Nel precedente mese di aprile però, sotto il sole a piombo di un mezzogiorno africano, le cose non erano andate come preventivato: la nuovissima Jeep Sander Trooper che guidava lungo uno sterrato nel deserto del Kalahari, in territorio Sudafricano, a pochi chilometri dal confine con il Botswana, finì fuori strada. Il cucciolo di gazzella che zampettava ancora insicuro a pochi metri dalla madre, sull’acciottolato della strada subito dopo una curva cieca che costrinse Aldo alla brusca sterzata per evitare di investirlo, rimase illeso, ma la coppia di sposi in giro di nozze che erano seduti nei sedili posteriori della Jeep non ebbero scampo quando il potente fuoristrada finì la sua corsa in un profondo stagno limaccioso. Aldo si salvò grazie alle sue doti di ottimo nuotatore e all’esperienza con i luoghi inospitali accumulata negli ultimi quindici anni passati prima a ricercare gli animali più rari al mondo per conto degli zoo più ricchi e visitati d’Europa e d’America, poi ad accompagnare compagnie di facoltosi turisti in safari e viaggi avventurosi. Ma le sue capacità non erano servite a trarre in salvo i due sventurati novelli sposi, morti annegati prima ancora che Aldo, dopo essersi slacciato le cinture ed essere risalito in superficie a riprender fiato, riuscisse a tuffarsi nuovamente per cercare i due giovani tra i rottami dell’auto.
Lo diceva sempre lui, il suo mestiere era l’avventura, non il pericolo, o almeno così rassicurava sempre i suoi clienti che, quando mettevano piede in agenzia, erano da una parte spinti da un sano e adrenalinico sentimento di avventura e dall’altra da un briciolo di paura che, se non veniva subito repressa, poteva far sfumare l’affare. Ma sapeva bene che le due cose – avventura e pericolo - erano inestricabilmente legate da una sorta di vincolo di sangue che, prima o poi, esigeva il suo pegno.
Il ritorno in patria con qualche ammaccatura, tanto senso di colpa e un’inevitabile trafila legale da dover affrontare, aveva portato Aldo a dire basta con l’agenzia gestita insieme al fratello e a dire basta ai luoghi esotici e alle bestie feroci: al diavolo i debiti e le banche, che si prendessero tutti i suoi averi, la casa, la sua macchina, la sua sterminata collezione di cd, le sue chitarre e gli altri strumenti musicali che aveva raccattato nei più improbabili posti del mondo, i fucili ereditati dal padre che - eccetto quelli da veterinario che sparavano sonnifero per addormentare le belve - nelle sue mani avevano sparato sempre e solo alle immobili sagome di un poligono di tiro, tutto, anche la sua anima se avessero voluto, ma non sarebbe più tornato in un deserto, in una giungla, in una foresta inospitale, in un qualsiasi luogo distante più di un chilometro dalla civiltà
.
Non era stata solo la tragica spedizione nel Kalahari a spingerlo a queste conclusioni, ma quell’avvenimento lo aveva fatto riflettere sui primi quaranta anni, ancora da compiere, della sua vita. Aveva così raggiunto la consapevolezza di aver passato la prima parte della sua vita da adulto, appena laureatosi in zoologia, ad estirpare rari animali dal loro habitat naturale per trasferirli a migliaia di chilometri di distanza dal loro mondo, in zoo quasi mai troppo affollati e spesso fuori luogo, per permettere alla gente di meravigliarsi nel vedere quelle creature ai loro occhi a volte strane, a volte buffe, altre volte paurose, ma quasi mai consci del fatto che, quelli dietro le recinzioni delle gabbie, non erano giocattoli in esposizione ma esseri viventi abituati per natura a vivere in terre sconfinate, ma costretti dagli uomini a sopravvivere in ambienti ricreati, piccoli come un medio orticello. Nella seconda parte della sua vita professionale aveva invece fatto una sorta di percorso inverso, guidando strane compagnie di turisti in lungo e in largo per luoghi nei quali non sarebbero riusciti a sopravvivere neanche un’ora senza il suo aiuto. Persone che partivano dai moderni aeroporti occidentali in cerca di avventure forti in posti lontani e dai nomi impronunciabili salvo che, dopo poche ore immersi nella natura selvaggia, alla mercè di zanzare, dissenterie improvvise, caldo micidiale o piogge torrenziali, annoiati, spaventati e con la sola voglia di ritornare nelle loro confortevoli tombe di cemento cittadine, l’unica cosa di cui erano realmente alla ricerca era la linea per il loro dannatissimo Iphone. Era arrivato il momento di lasciare ogni cosa al suo posto: gli animali nella natura selvaggia e gli umani incollati davanti ad uno schermo di computer con un telefono cellulare appiccicato all’orecchio fino a quando, alla fine, se Darwin aveva intuito bene, quell’oggetto così fastidioso sarebbe diventato un vero e proprio organo del corpo umano.
Il telefono cellulare, già, proprio quel dannato aggeggio che aveva preso a suonare e vibrare nella tasca dei suoi jeans non appena aveva aperto la porta del suo appartamento.
Aldo prese il vecchio Samsung tenuto insieme da uno spesso strato di nastro adesivo nero e lesse il nome di chi lo cercava: suo fratello Mattia.
Più grande di Aldo di otto anni, sposato e padre di due figlie, - al contrario di Aldo, scapolo convinto e incallito - Mattia era il direttore della "Mirri Adventures&Reserch", l’agenzia di viaggi e ricerca creata dal loro defunto padre, specializzata in due diversi settori, quello dell’organizzazione di vacanze in luoghi esotici e poco trattati dai più comuni tour operator e quello della cattura e vendita di animali rari a zoo, circhi o collezionisti privati. Al contrario di Aldo, dotato di un fisico atletico e imponente, Mattia aveva qualche chilo di troppo, una vista da talpa ed una naturale propensione alla sedentarietà, quindi si occupava esclusivamente della direzione dell’agenzia dal suo ufficio di Roma, prendendo parte raramente ai viaggi che l’agenzia organizzava e, quando lo faceva, partecipava sempre in qualità di vero e proprio turista in quei rari momenti in cui anche lui aveva bisogno di staccare un po’ dalla routine quotidiana fatta di scartoffie, telefonate e appuntamenti con i clienti.
Mentre Mattia, più incline ai numeri e alla gestione burocratica aveva conseguito una laurea in Economia, Aldo aveva seguito le orme paterne diventando zoologo. Quindi venne quasi naturale il fatto che, alla morte del padre che aveva creato l’agenzia, i due fratelli si occuparono separatamente uno del lavoro in ufficio e l’altro del lavoro sul campo.
Non appena laureato, Aldo aveva iniziato la sua carriera nel settore della cattura e vendita di animali rari, lasciando, d’accordo con il fratello, ad altri dipendenti dell’agenzia in servizio sin da quando il padre era in vita, il compito di guide turistiche durante i viaggi. Aveva iniziato con entusiasmo, spinto dalla possibilità di poter guardare e toccare animali che, fino a quel momento, aveva visto solo in foto (e in alcuni casi neanche). Ma, dopo pochi mesi, aveva maturato la consapevolezza del fatto che, in fondo, il suo lavoro consisteva in una forzatura delle regole della natura.
Continuò a lavorare in questo ramo dell’azienda paterna per circa cinque anni, fino a quando un riccone brasiliano commissionò all’agenzia la cattura di un leone albino per il suo zoo privato. Aldo viaggiò in lungo e in largo per tutta l’Africa per sei mesi, spostandosi in ogni luogo dove gli veniva riferito di voci che parlavano di avvistamenti di leoni albini, fino a quando non riuscì a catturare un cucciolo di pochi mesi in uno sperduto villaggio del Malawi a due giorni di viaggio dalla capitale Lilongwe. Fece il viaggio dal Malawi a Rio de Janeiro nella stiva dell’aereo cargo noleggiato per il trasbordo del rarissimo esemplare catturato. Gli occhi tristi del leoncino bianco che lo accompagnarono per tutto il viaggio aereo e ne condizionarono l’umore, cementando in Aldo la consapevolezza che non era quello il lavoro che avrebbe voluto svolgere nella sua vita. Ma l’animo umano si sa come funziona, e il pensiero del lauto compenso di centomila dollari accordato per la cattura del leone, fungeva da buon freno inibitore della volontà di lasciar perdere con quel mondo.
Nessun freno inibitore, tuttavia, lo fece recedere dalla sua decisione quando, arrivati nella sontuosa e pacchiana residenza del ricco committente, questi, una volta lasciato uscire il leoncino dalla gabbia utilizzata per il volo oceanico, si accorse che il cucciolo era affetto da una lieve zoppia. A nulla valsero le lamentele di Aldo e il proposito di portare il cucciolo in Italia dove avrebbe provveduto a curarlo a sue spese. Il committente aprì una ventiquattr’ore piena di soldi: «Ecco a lei quanto pattuito dottor Mirri». Disse in un inglese strascicato, poi impugnò una pistola dalla fondina di uno degli scagnozzi che lo circondavano e sparò in piena fronte al cucciolo, davanti agli occhi inorriditi di Aldo. «Ha fatto un buon lavoro» continuò sghignazzando, «ma avevo dimenticato di dirle che io il leone albino lo voglio in perfetto stato di salute.»
«Ma che motivo aveva di ucciderlo?» urlò Aldo, sconvolto.
«Su, su, dottore», disse il borioso riccone, «mi capisca. Non avrei mai tenuto quel leone nel mio zoo… è zoppo, che figura ci avrei fatto con gli amici ed ospiti che vengono a visitare il mio zoo privato? D’altra parte, però, se glielo avessi lasciato portare a casa per curarlo, magari lo avrebbe potuto vendere a qualcun altro. Perché avrei dovuto fare un tale favore a qualche altro appassionato come me o a qualche zoo? Ha impiegato sei mesi per trovarmi un leone albino, magari ne sarebbero occorsi altrettanti per trovarne un altro e intanto lei avrebbe piazzato questo esemplare in un altro zoo.» Emise una risata disgustosa: «Non lo avrei mai potuto permettere. Vivo o morto questo leone è mio e lei è stato profumatamente pagato per trovarmelo. Ora se ne vada e se dovesse trovarne un altro, ma in ottima condizione di salute, sarò felice di darle altri centomila dollari.»
Questo episodio portò Aldo a non occuparsi più della ricerca di animali rari e da quel momento si impegnò solo al ramo turistico dell’agenzia.
Dopo qualche secondo decise di rispondere: «Ciao Mattia, sono appena tornato a casa dal Tribunale, dimmi tutto.»
«Ciao Aldo, vieni subito in ufficio, c’è un lavoro da sbrigare urgentemente.» Disse il fratello maggiore.
«Mattia, qual è la parte di frase che non capisci, quando dico ho chiuso con l’agenzia di papà
? Qualsiasi possa essere il lavoro di cui parli è un tuo problema. Ti ho lasciato tutte le mie quote societarie senza chiedere un centesimo, ho rassegnato le dimissioni da qualunque incarico e ho troppi problemi qui a Roma di cui dovermi occupare al momento, quindi sbrigati da solo le faccende dell’agenzia.»
«Hai finito di lagnarti?»
«Non mi sto lagnando, ti sto semplicemente ripetendo un concetto che è da un mese che non riesci a digerire.»
Mattia ridacchiò per qualche secondo poi riprese: «Aldo, lascia che ti illustri la tua situazione al momento: sei senza lavoro, hai un mutuo da pagare per la casa e un altro per la macchina, gli avvocati del processo per i fatti del Kalahari da pagare e credo che anche tu ogni tanto hai fame, quindi devi pur mettere qualcosa sotto i denti… e mangiare costa. Ora, è vero che siamo fratelli e per quel che posso ti aiuterò, proprio come ho fatto in questo mese», fece un attimo di silenzio per far tornare ad Aldo in mente il fatto che le rate del mutuo, quel mese, erano state coperte da un assegno di Mattia, «ma quello che ho tra le mani è un affare talmente grosso che ora devi essere tu a muovere subito il culo da quella sedia sulla quale ti stai commiserando e venire ad aiutare me… ed aiutare anche te.»
Aldo, nonostante le parole del fratello, non era stato per nulla persuaso a tornare in campo, ma Mattia era suo fratello e non meritava una chiusura netta, almeno avrebbe dovuto concedergli la possibilità di spiegare cos’aveva per le mani.
«Che cosa intendi affermando che hai un affare grosso tra le mani?» chiese.
«Ci vediamo fra tre ore a Fiumicino e ti spiegherò tutto in volo. Fai una valigia leggera e sii puntuale.»
«Cosa? aspetta, aspetta! Fiumicino? Cosa diavolo dovrei venire a fare all’aeroporto io? Non ho nessuna intenzione di muovermi da Roma!» Urlò Aldo.
«C’è un Gulfstream che ci aspetta per portarci a Mosca. Ti spiegherò tutto a bordo, sbrigati!» e riattaccò.
Aldo restò a guardare per un minuto il cellulare sbigottito e in silenzio, poi disse tra sé e sé: «Mosca? Che devo andare a fare a Mosca? Non ci sono né animali rari né percorsi avventurosi da affrontare a Mosca.» Detto ciò, se ne fece una ragione, prese la sua fedele valigia da viaggio e la preparò con l’occorrente per un paio di giorni di soggiorno.
Aeroporto di Fiumicino, ore 17.40
Quando vide il fratello che, sorridendo, gli veniva incontro lungo l’affollato corridoio del terminal, Aldo si domandò se forse non sarebbe stato meglio girare i tacchi e andarsene, ma capì che ormai era troppo tardi, si salutarono e seguì Mattia fino all’imbarco.
L’aereo privato era un lussuosissimo Jet a dodici posti, ma a parte i quattro membri dell’equipaggio, a bordo c’erano solo lui e Mattia. Si accomodarono sulle comode poltrone rivestite di vera pelle e Aldo cominciò:
«Beh, credo che ora tu debba darmi qualche spiegazione, vero? In che storia mi stai cacciando?»
«Ti è arrivato l’ultimo numero di Focus?» chiese Mattia.
«Si, questa mattina, non l’ho ancora letto, ma parlami di questa storia di Mosca.» Rispose tra l’irritato e il perplesso.
«La copertina almeno l’hai letta?» continuò Mattia senza badare all’irritazione del fratello.
«Si», si calmò subito perché forse aveva iniziato a capire, «parlava di uno zoo immenso che dovrebbero costruire a Mosca.»
«Esatto!» disse Mattia, «e noi ora stiamo andando a parlare con il proprietario dello zoo.»
Aldo gettò gli occhi al cielo e cercò di mantenere la calma: «Mattia, ti prego, non ne posso più di giungle e belve feroci, trovati un altro, te ne posso presentare altri cento bravi come o più di me a fare quel mestiere! Ci sono i nostri collaboratori in Africa, ‘Nkonu e Mudike, per esempio, oppure Esterria in Colombia, o Martin in Australia, chiama uno di loro.»
«Aldo», rispose, sempre pacatamente, Mattia, incurante delle obiezioni del fratello: «mi hanno promesso un compenso che non abbiamo mai neanche sognato. Se portiamo a termine questo lavoro possiamo anche chiudere l’agenzia.»
«A quanto ammonterebbe questo compenso?»
«Due milioni di dollari come anticipo, e se riusciremo a portarlo a termine entro agosto, prima dell’apertura, altri cinque!»
Il cuore di Aldo perse qualche battito: «Sette milioni di dollari?» Urlò, «Ma la cattura di quale animale può valere una tale cifra?»
«Questo non lo so», rispose Mattia, «ci comunicheranno tutto nella riunione di domani a Mosca con i dirigenti della "Dimitrov Exotic", la società che sta gestendo la realizzazione dello zoo.»
Mosca, ore 22.00
Appena atterrati all’aeroporto di Mosca Sheremetyevo e scesi dall’aereo, da una Jaguar XE nera, parcheggiata a pochi metri dal Gulfstream, uscì un tipo basso e grasso vestito con un abito grigio lucido, - sicuramente di impeccabile fattura, ma che compresso nella sua mole straforme sembrava del tutto fuori luogo - si fece loro incontro.
«Signori Mirri, sono Alexey Luskov, responsabile scientifico della "Dimitrov Exotic". Piacere di incontrarvi.»
Al termine dei brevi saluti di rito, Luskov invitò i fratelli Mirri ad accomodarsi sui sedili posteriori della Jaguar dove li attendeva un rigido autista impettito in una impeccabile divisa blu con tanto di cappello che, in pochi attimi, li portò fuori dall’aeroporto, in direzione delle luci della megalopoli russa, patria di magnati del petrolio, tomba delle vestigia dell’ormai crollato Impero Sovietico e, a quanto sembrava, dimora di un modernissimo, immenso zoo.
«Ora vi accompagneremo al vostro albergo», disse loro Luskov voltandosi verso i due italiani, «domani mattina, alle nove, passeremo a prendervi per accompagnarvi nella sede moscovita della "Dimitrov Exotic dove incontrerete il presidente della compagnia, Nicolai Dimitrov, per discutere sui dettagli del contratto», sottolineò la parola
dettagli" con una pausa seguita da un sorriso rubicondo, «dopodichè, se non ci saranno problemi… e dubito che ce ne possano essere… nel pomeriggio, dopo un buon pranzo, vi accompagneremo a fare un giro nel cantiere dello zoo.»
«Perfetto.» Disse Mattia, proprio mentre Aldo pensava che dal suo punto di vista non ci fosse assolutamente nulla di perfetto in quella situazione. «A che punto sono i lavori?»
«Al momento i lavori sono terminati all’ottantacinque per cento circa, ma il rettilario e il padiglione entomologico sono già terminati da tempo, così come il resort, il parco giochi e le strutture più complicate di cui avrete modo di prendere visione sul luogo.» Luskov fece un occhiolino divertito ai due: «Pazientate solo qualche ora ancora. Non resterete delusi dall’attesa.»
«Chiedo scusa», intervenne Aldo, «ho sentito bene o ha parlato di parco giochi e resort? Credevo stessimo per visitare uno zoo!»
«Oh certo, signor Mirri», rispose Luskov, sempre con quel fastidioso sorrisetto da ebete sul volto grasso e sudato, «voi, come tutti i turisti che verranno al parco, visiterete uno zoo, ma deve sapere che stiamo parlando di una struttura dalle dimensioni… » si fermò un attimo cercando la parola più appropriata ad esprimere il suo concetto, «beh, direi dalle dimensioni metropoliche
! Si, direi proprio che possiamo parlare della metropoli degli zoo. Pensate solo che la sua area, pressoché quadrata, ha i lati di circa cinque chilometri. Tra un settore ed un altro, ovviamente, abbiamo pensato bene di inserire negozi, ristoranti, hotel e un parco giochi che, inutile a dirlo, è il più grande della Russia. Le attrazioni del parco giochi sono studiate per interagire direttamente con gli animali e sono integrate in alcuni degli spazi più suggestivi dello zoo: pensate che un tratto delle sue montagne russe percorrerà a velocità ridottissima un binario protetto da materiale trasparente lungo circa cento metri, posto al livello del terreno nel recinto dei leoni. Sarà sicuramente un’attrazione che nessun visitatore vorrà lasciarsi scappare! Anche i collegamenti con Mosca sono relativamente facili poiché il parco è situato circa trenta chilometri a nord della città, nell’area compresa tra Dedenevo e Khotkovo, raggiungibile sia dalla capitale che direttamente dall’aeroporto di Sheremetyevo grazie anche alle nuove autostrade costruite appositamente dalla Dimitrov Exotic. Ovviamente, i visitatori più facoltosi potranno giungere allo zoo grazie ad un servizio di elicotteri messi a disposizione dalla compagnia. Il vostro primo viaggio allo zoo avverrà proprio in elicottero.»
«Ma davvero credete di poter ospitare tutte le specie animali terrestri nello zoo? Solo i mammiferi catalogati sono circa cinquemila e cinquecento, senza contare poi i rettili, gli anfibi e gli insetti che sono quasi cinque milioni.»
«Beh, è ovvio che un po’ si esagera quando si fa pubblicità.» Rispose Luskov. «Ma di sicuro vi saranno ospitati tutti - e sottolineo tutti - i tipi di mammiferi terrestri conosciuti, mentre il nostro rettilario e il padiglione entomologico saranno, di gran lunga, i più grandi e popolati del pianeta. Per quanto riguarda gli uccelli e i pesci, invece, la Dimitrov Exotic sta studiando le location dove realizzare dei parchi a tema interamente dedicati a loro, ma per la realizzazione di questi progetti se ne riparlerà tra qualche anno. Una cosa però è certa: il signor Dimitrov vuole che il suo zoo ospiti qualcosa di mai visto prima. Non dovranno essere solo le dimensioni del parco e la varietà degli animali a decretarne la sua fama, ma dovranno esserci delle sorprese tali da rivoluzionare agli occhi dell’opinione pubblica non solo la concezione di zoo, ma la storia stessa della zoologia.»
«Che tipo di rivoluzione?» chiese Aldo scettico.
«Calma, calma, domani saprete tutto direttamente dalla bocca del signor Dimitrov.»
Luskov rivolse nuovamente ai fratelli Mirri i suoi fastidiosissimi occhiolini e sorrisetti, tanto che Aldo avrebbe voluto far fermare l’auto lì sul posto - di qualunque posto si fosse trattato - scendere e tornare a Roma anche a piedi. Non era per nulla convinto dell’avventura nella quale l’aveva coinvolto il fratello, aveva come il timore che i sorrisetti di Luskov e il compenso da capogiro che gli era stato promesso senza spiegargli però quale fosse il compito che avrebbero dovuto svolgere, nascondessero qualcosa di più che la ricerca di qualche animale raro e l’inaugurazione di uno zoo, qualcosa