Esprimi un desiderio
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Sì, sto parlando con te. Chiudi gli occhi, o, perlomeno, immagina di chiuderli.
Bravo, ora ascoltami con attenzione.
Se ti dicessi che tu puoi esprimere un desi-derio, qualsiasi desiderio, e io fossi in grado di esaudirlo ... che cosa chiederesti?
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Anteprima del libro
Esprimi un desiderio - Massimo Lazzari
Esprimi un desiderio
Massimo Lazzari
anno di pubblicazione: 2013
uuid:e365c324-1e0d-11e3-ba8e-27651bb94b2f
Questo libro è stato realizzato con BackTypo
un prodotto di Simplicissimus Book Farm
Esprimi un desiderio
Indice dei contenuti
Colophon
ESPRIMI UN DESIDERIO
PARTE I
1 - IL DESIDERIO DI MARCELLO (1)
2 - IL DESIDERIO DI ROSSELLA (1)
3 - IL DESIDERIO DI LEONARDO (1)
4 - IL DESIDERIO DI MARIANNA (1)
5 - IL DESIDERIO DI LUDOVICO (1)
6 - IL DESIDERIO DI GIULIA (1)
7 - IL DESIDERIO DI MARCELLO (2)
8 - IL DESIDERIO DI ROSSELLA (2)
9 - IL DESIDERIO DI LEONARDO (2)
10 - IL DESIDERIO DI MARIANNA (2)
11 - IL DESIDERIO DI LUDOVICO (2)
12 - IL DESIDERIO DI GIULIA (2)
13 - IL DESIDERIO DI MARCELLO (3)
14 - IL DESIDERIO DI ROSSELLA (3)
15 - IL DESIDERIO DI LEONARDO (3)
16 - IL DESIDERIO DI MARIANNA (3)
17 - IL DESIDERIO DI LUDOVICO (3)
18 - IL DESIDERIO DI GIULIA (3)
PARTE II
19 - LA LAMPADA DI GIULIA
20 - LA LAMPADA DI LUDOVICO
21 - LA LAMPADA DI MARCELLO
22 - LA LAMPADA DI ROSSELLA
23 - LA LAMPADA DI MARIANNA
24 - LA LAMPADA DI LEONARDO
25 - L’APPUNTAMENTO
26 - LA DOTTORESSA RONCHI
27 - IL LABORATORIO
28 - L’ACCORDO
29 - LA LAMPADA DI ALADINO
30 - EUGENIO DELLA LAMPADA
31 - ONIRONAUTICA
32 - EUGENIO DELLA LAMPADA, DAL VIVO
33 - ESPRIMI UN DESIDERIO
34 - BLU O ROSSA?
PARTE III
35 - INTERVISTA CON IL GENIO
36 - SOGNO E SON DESTO
37 - I.D.E.A.®
38 - LA STANZA SEGRETA
39 - IL SONNO
40 - LA CULLA DEI SOGNI
41 - CONSCIO E INCONSCIO
42 - IL CINEMA DEI SOGNI
43 - P.E.T.
44 - LA CHIAVE
45 - LA CUFFIA DELLA LUCIDITA’
46 - MESSAGE IN A BOTTLE
PARTE IV
47 - LA LAMPADA DI EUGENIO
48 - MORIA
49 - IL TRENO DELLA FOLLIA
50 - SPERANZA
51 - AMBIZIONE
52 - PUBBLICITA’ E …
53 - … DEMOCRAZIA?
54 - TU
55 - ODIO
56 - AMORE
57 - EGOISMO
58 - FUORI
59 – FINE DELLA CORSA
Ringraziamenti
ESPRIMI UN DESIDERIO
CHIUDI GLI OCCHI
Chiudi gli occhi.
Sì, sto parlando con te. Chiudi gli occhi, o, perlomeno, immagina di chiuderli.
Bravo, ora ascoltami con attenzione.
Se ti dicessi che tu puoi esprimere un desiderio, qualsiasi desiderio, e io fossi in grado di esaudirlo ... che cosa chiederesti?
Calma, calma, non avere fretta. Prenditi tutto il tempo necessario, è una decisione che merita un profondo raccoglimento.
Come è vero, infatti, che posso esaudire qualunque tuo desiderio, è altrettanto vero che posso esaudirne uno soltanto.
Conseguentemente, se sarai troppo precipitoso, o non riuscirai a formulare adeguatamente il tuo pensiero, potresti in futuro pentirtene amaramente.
Rifletti ancora qualche istante, rigirati il tuo desiderio nella mente più di una volta, esaminalo da tutte le prospettive possibili.
Fatto?
Sicuro?
Bene, allora non esitare più.
Tieni gli occhi ben chiusi e lanciati.
Esprimi un desiderio.
PARTE I
INDUCTION
Per ogni desiderio ci si deve porre questa domanda: che cosa accadrà se il desiderio sarà esaudito, e che cosa se non lo sarà?
(Epicuro)
1 - IL DESIDERIO DI MARCELLO (1)
Marcello apre gli occhi. Una luce fortissima, cui non è abituato in questo periodo dell’anno, lo costringe subito a richiuderli e a strofinarseli. Li riapre e la luce è ancora più intensa, ma questa volta sopportabile.
La prima cosa che vede, appena riesce a mettere a fuoco le immagini, è un soffitto bianchissimo, su cui danzano strane ombre ondulate. Che ore saranno?
è il suo primo pensiero. Si alza a sedere sul letto puntellandosi sui gomiti e ancora una volta è costretto a strabuzzare gli occhi.
Il suo secondo pensiero è Ma dove cazzo sono?
Nel suo campo visivo ora campeggia una parete con un’enorme finestra, che va dal pavimento al soffitto, ma senza vetri. La tenda bianca e azzurra, unico elemento che divide la stanza in cui si trova dall’esterno, ondeggia al vento, disegnando sul soffitto le ombre ondulate. Con una preoccupazione crescente fa ruotare lo sguardo intorno percependo forme e dimensioni di una stanza che non è decisamente la sua. I mobili svedesi e i calendari di modelle semivestite sono stati sostituiti da un arredamento in stile marinaresco e vagamente coloniale, simile a quello della pousada
brasiliana in cui qualche anno prima ha trascorso una delle vacanze più divertenti della sua vita.
La sua attenzione viene catturata dal letto in cui si trova. Non è il suo misero letto a una piazza con le lenzuola sporche regalategli da sua madre. Decisamente no, questo letto sembra più grande addirittura di quelli a due piazze, e le lenzuola sono immacolate, soffici e decorate con temi che fanno pensare ancora una volta a un posto esotico affacciato sul mare.
Puntellandosi sul gomito destro si gira e nota che accanto al letto c’è un comodino su cui è posata una sveglia, la sua sveglia. Si allunga, la prende in mano e stringe gli occhi per vedere meglio l’ora. Solo in quel momento si rende conto che non ha bisogno di stringere gli occhi per vedere bene e, con un panico crescente, ritorna a guardarsi in giro, sorprendendosi dell’acuità della sua vista. Cazzo, ho dormito con le lenti
è il suo terzo pensiero, e allora inizia a ficcarsi le dita negli occhi per cercarle, senza successo. Lo sguardo torna sul comodino, alla ricerca questa volta degli occhiali. Li trova, li inforca e subito li toglie, infastidito dalla visione distorta che gli provocano.
Solo allora si ricorda dell’oggetto che ancora tiene saldamente impugnato nella mano sinistra. Alza la sveglia digitale e, quando legge l’ora che segna, si sente girare la testa: le 21:23. Come è possibile?
si chiede, rivolgendo ancora una volta lo sguardo alla luce intensissima che penetra da fuori. Torna a guardare la sveglia e questa volta poco ci manca che svenga: i numeri segnano le 32:12. Recuperando un po’ di lucidità si convince che l’aggeggio sia rotto e lo posa nuovamente sul comodino, notando che sul ligneo ripiano è adagiato anche il suo orologio analogico da polso. Lo prende e rivolge lo sguardo al quadrante in acciaio: le lancette segnano le 10:11. «Ah ecco», esclama, riappacificandosi con lo scorrere del tempo, e si allaccia l’orologio al polso destro.
Una famigliare sensazione al basso ventre gli fa ricordare quali sono le sane abitudini mattiniere. Decide di alzarsi e, dimentico di quanto successo, ripete il gesto automatico dell’inforcatura degli occhiali. La visione distorta che ne ottiene quasi gli fa perdere l’equilibrio, e allora, in un gesto di stizza, gli occhiali terminano miseramente la loro vita in uno schianto frontale con la parete.
Rassegnatosi ai suoi ritrovati dieci decimi, Marcello si mette a sedere sul letto e posa i piedi per terra avvertendo immediatamente la sensazione di benessere causata dall’inaspettata sostituzione delle fredde piastrelle della sua camera con un morbido letto di sabbia tiepida. Incredulo guarda in basso e vede i suoi piedi parzialmente ricoperti da un sottile velo di sabbia finissima e, assurdamente, rosa. Mentre il tepore emanato da quell’atipico pavimento si diffonde in tutto il suo corpo, irradiando prima le gambe, poi il busto e gli arti superiori, facendogli drizzare i peli delle braccia e della nuca per il piacere, Marcello si alza in piedi e automaticamente si avvia verso la sua destra.
Repentinamente, però, si accorge che la parete alla destra del letto, anziché ospitare la porta dell’agognato cesso, è occupata da un magnifico quadro in stile Dalì
, che occupa quasi tutta la parete. Dopo qualche istante dedicato alla contemplazione dell’opera, con sensazioni che spaziano dall’incredulità iniziale per la presenza della stessa all’ ammirazione estatica delle forme e dei colori utilizzati dall’autore, per sfociare quasi in un principio di sindrome di Stendhal, all’improvviso una fitta alla vescica ricorda a Marcello il motivo per cui si è alzato dal letto.
Preso dal panico di farsela sotto ruota su se stesso nella ricerca di una porta. La vede, è sul lato opposto della stanza, ma non è proprio una porta: è un vano rettangolare nella parete, da cui pendono sottili canne di bambù a fungere da separè. Ancora più confuso di prima inizia a camminare sul pavimento di sabbia rosa, in direzione dell’apertura che potrebbe condurlo all’espletazione dei suoi impellenti bisogni mattutini. Attraversata la tendina di canne di bambù, si ritrova in un corridoio in penombra, sulle cui pareti campeggiano ancora una volta i colori bianco e azzurro e i motivi legati al mare.
Ma di chi è ‘sta casa?
pensa tra se, per poi ritornare subito lucido che pisciata che mi scappa.
Di fronte a lui c’è un’altra porta, o meglio un altro vano rettangolare con le tendine di bambù, tra le cui fessure riesce a intravedere l’oggetto dei suoi desideri: il cesso. Attraversa senza indugi anche la seconda apertura e si ritrova in un delizioso bagno, arredato semplicemente con sanitari realizzati in quella che sembra pietra di onice. La stanza è anch’essa in penombra e quindi, in maniera automatica, Marcello cerca l’interruttore della luce dietro lo stipite e lo preme, ma non si accende nessuna luce. Preso dall’urgenza si dirige al wc e inizia a pisciare, una lunga ed estremamente piacevole pisciata.
Il classico brividino conclusivo lo risveglia dall’estasi in cui si sta crogiolando. Marcello prova a tirare lo sciacquone, ma neanche questo funziona. Guarda verso il basso e, incredulo, si rende conto che non serve: l’ acqua del wc è talmente linda e trasparente che fa venire voglia di berla. Interdetto si sposta al lavabo, gira la manopola dell’acqua, sospirando di sollievo quando si accorge che almeno questa funziona; il getto d’acqua gli netta prima le mani, poi la faccia e infine la pelata. Le sue mani bagnate però, nel momento in cui si spostano verso la sommità della testa non incontrano la pelata, ma una massa assurdamente fitta di capelli ricci e lunghi.
Lo spavento gli fa alzare di scatto la testa, che sbatte contro la mensola posta sopra il lavabo, facendogli emettere un urlo strozzato: «Merda, che male». Massaggiandosi la parte lesa si accorge che la massa ricciuta copre interamente la sua odiata palla da bowling. «Ma che cazzo succede?» esclama, con la voce rotta da un misto di panico e felicità, sensazioni che raramente vanno a braccetto e che gli fanno accelerare il battito cardiaco.
Davanti a se vede uno specchio appannato dal vapore. Senza chiedersi da dove possa provenire il vapore che copre la superficie rifrangente, cerca con lo sguardo una salvietta, che trova quasi subito vicino al suo fianco destro. La raccoglie e inizia a lucidare lo specchio con movimenti isterici e dissennati. Quello che vede, una volta ripulita la superficie, lo lascia di stucco. Di fronte a lui c’è un’altra persona. O meglio c’è il Marcello di qualche anno fa, prima dell’ esaurimento nervoso, con tutti i suoi bei capelli ricci lunghi, le guance scavate e la pelle del viso liscia. Qualche movimento per accertarsi che la figura nello specchio li replichi esattamente, poi lo sguardo scende inevitabilmente sul suo corpo, per rendersi conto, in un crescendo di eccitazione, che la pancia, appena accennata, nasconde soltanto l’ultima fila di addominali perfettamente scolpiti nella zona superiore.
Con gli occhi fuori dalle orbite, e le pulsazioni che aumentano nel cervello, Marcello rialza la testa e punta nuovamente lo sguardo nello specchio. Anche questa volta non è preparato a quello che vede: lo specchio è nuovamente ricoperto di vapore. A quella vista il soffitto e le pareti della stanza iniziano a girare intorno alla sua testa, mentre la vista gli si offusca e le gambe diventano molli. Marcello sviene.
2 - IL DESIDERIO DI ROSSELLA (1)
Il buio la avvolge completamente. Rossella ansima, con il cuore in gola e l’ansia che cresce a mozzarle il respiro. È completamente sudata e i polpacci sono duri come noci di cocco. Con orrore, realizza che sta correndo su una specie di tapis roulant invisibile, non progredendo di un centimetro nonostante i suoi immani sforzi. Il buio profondo non le dà alcun punto di riferimento e le sue orecchie non riescono a percepire altro rumore, al di fuori delle pulsazioni impazzite del cuore. Eppure lei sa che il mostro è ancora dietro di lei e si sta avvicinando inesorabilmente. Non ne sente più l’ ansimare alle sue spalle, e non ne percepisce più nemmeno il mefitico odore, però sa che lui è ancora lì perché ne avverte distintamente la minacciosa e incombente presenza. Mentre tenta invano di muovere le gambe, ora paralizzate, l’orrore della situazione la fa prorompere in un urlo agghiacciante, seguito da un pianto amaro e disperato.
Nel preciso istante in cui percepisce le grinfie del mostro posarsi, con inattesa dolcezza, sulle sue spalle, una famigliare voce fuori campo la fa sussultare. «Come?» urla Rossella, non riuscendo a distinguere chiaramente le parole pronunciate. «Dillo Rossella, ricorda la frase». «Quale frase mamma?» urla lei ancora più forte, mentre avverte chiaramente l’affievolirsi della voce fuori campo. Poi un lampo di luce. Buio pesto. Ancora luce e immagini confuse. Qualcuno sopra di lei che la guarda e dice qualcosa che non riesce a sentire.
Rossella spalanca gli occhi e balza seduta, stupita nel ritrovarsi nel suo letto, completamente sudata, con i capelli appiccicaticci che le bagnano la fronte e la gola riarsa, a fissare sua madre che le sussurra dolcemente: «È stato solo un brutto sogno tesoro, stai tranquilla». Sollevata Rossella respira profondamente, recuperando lucidità e sentendo un’ondata di sollievo pervaderle le membra intorpidite. Mette a fuoco la figura benevola che la sovrasta: la pelle liscia del viso, priva di rughe, la curva morbida degli zigomi leggermente pronunciati, i profondi occhi neri sormontati dagli archi sottili delle sopracciglia, le labbra morbide incurvate in un sorriso rassicurante, e ricoperte da un velo leggerissimo di soffice peluria bruna.
«Come sei bella mamma», dice Rossella con una voce impastata, che alle sue orecchie suona ridicola e infantile, «sembri…», cerca le parole giuste, poi le trova «… più giovane». La madre sorride, scompigliandole i capelli e carezzandole le guance sudate, prima di rispondere, con una voce calda e melodiosa «Grazie tesoro». Poi atteggia le labbra, assumendo una buffa espressione imbronciata, e protesta, con una vocina esilarante «Perché? Vuoi dire che sono vecchia?» Rossella sorride, scuotendo la testa, mentre sente il torpore abbandonarla decisamente mentre sbadiglia e si stiracchia. La madre quindi si alza, allontanandosi da lei e, nell’uscire dalla stanza, esclama ad alta voce: «Dai alzati piccola, vieni a vedere cosa ti ha portato Babbo Natale».
Rossella si blocca nel suo sbadiglio, atterrita. Il sudore le si gela sulle guance e il cuore riprende ad accelerare i battiti, mentre i peli le si rizzano sulle braccia e sulla nuca. Piccola? Babbo Natale?
, pensa terrorizzata, mentre le sembra che la stanza giri intorno a lei e il soffitto si stia avvicinando con il chiaro intento di schiacciarla. Incredula, si alza a sedere scansando parzialmente la coperta ancora calda e, con gli occhi fuori dalle orbite, perlustra l’ambiente in cui si trova. È la sua stanza da letto, su questo non c’è alcun dubbio. L’unico problema, realizza, è che non è la sua stanza attuale, bensì quella della sua infanzia. Le pareti tappezzate dei suoi disegni infantili e variopinti, l’orologio rotondo con la faccia di un buffo personaggio di un vecchio cartone animato al centro, l’armadietto bianco alla sinistra del letto, affiancato dalla sedia su cui giacciono in disordine gli abiti di una bambina, molto simili a quelli che i suoi genitori la costringevano a indossare da piccola.
Alla sua destra vede la finestra, con le tapparelle semi-abbassate che fanno filtrare qualche raggio di luce, che penetra la penombra che regna nella stanza. Quasi automaticamente, allunga il braccio sinistro alla ricerca della lampada posta sul comodino, accanto al letto. Con suo grande stupore trova alla cieca l’interruttore e lo preme, ma la lampada non si accende. Che cavolo sta succedendo?
pensa allarmata, mentre ritenta invano ad accendere la luce.
Confusa si libera definitivamente dalla coperta e, nel farlo, un involontario gridolino le esce dalla gola, rompendo l’innaturale silenzio ovattato che la circonda. Con le mani alla bocca e gli occhi sgranati, si ritrova a fissare due piccole gambe da bambina, avvolte in un buffo pigiamino rosa e bianco. Allunga le mani a toccarsele e, ancora più atterrita, le ferma a mezz’aria rigirandosele davanti agli occhi, mentre la confusione serpeggia inesorabilmente dentro la sua testa. «Ho tutte e due le mani» mormora, con i sensi sconvolti da un misto di terrore e felicità.
Si porta le mani in miniatura al viso, tastando i contorni della testa, anch’essa miniaturizzata. Le dita tozze esplorano avidamente la boccuccia sottile e tastano i dentini da latte all’interno. Questo dondola
pensa, mentre le dita escono dalla bocca per risalire lungo le guanciotte paffute, afferrare le piccole orecchie morbide e tuffarsi, definitivamente, nelle ciocche intrecciate dei capelli. Sente la madre gridare, da un qualche punto lontano, sotto di lei: «Rossella sbrigati! Vieni a vedere!»
Nel sentire nuovamente l’amata voce, Rossella sente ricrescere dentro di se lo sgomento e il terrore, mentre una consapevolezza angosciosa si fa strada dentro di lei. Mia madre è morta otto anni fa
realizza, con il cuore che sembra spingere contro la cassa toracica accelerandole il respiro. Chiude gli occhi, ripetendo ad alta voce, come fosse un mantra: «Questo è un sogno! Questo è un sogno! Questo è un sogno!»
Poi riapre gli occhi, per scoprire, sgomenta, che non è affatto un sogno. Con