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Due come noi
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E-book284 pagine4 ore

Due come noi

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Info su questo ebook

Quasi cinquantenne, alle prese con un nuovo lavoro, una malattia grave e improvvisa del marito Marco e il sospetto di una passata relazione clandestina di Marco con una sua ex compagna di scuola, Luisa deve districarsi tra relazioni famigliari, amicali e impegni di volontariato, per orientare e rinnovare la sua vita. Le parole di una poetessa amata accompagnano le sue riflessioni e le sue giornate.
LinguaItaliano
Data di uscita29 ott 2020
ISBN9788855390934
Due come noi

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    Anteprima del libro

    Due come noi - Laura Valera

    poesia

    Capitolo 1

    Luisa è in cima alla scala, in appoggio solo sui piedi mentre le mani rovistano tra i maglioni, riposti e piegati con cura in contenitori di stoffa trasparente.

    Enrica la guarda da sotto in su, e intanto stringe con le mani artritiche e nodose le gambe della scala, è il suo modo di aiutare e di partecipare a quella caccia al tesoro perduto.

    Luisa ha vietato a Enrica di salire sulla scala, altrimenti, cosa si sarebbe scomodata a fare, lei, dalla Valcuvia fino a Milano, pregata con insistenza da suo marito Marco, che proprio non ha tempo, oggi, di star dietro alle ultime stravaganze dei suoi.

    Il trambusto della grande caccia è iniziato ieri, mentre Enrica ed Edmondo festeggiavano la ricorrenza del loro cinquantaquattresimo anniversario di matrimonio con un pranzo a tu per tu; all’improvviso Edmondo si era ricordato della collana di perle che aveva regalato il giorno del matrimonio alla sua novella sposa.

    Ma appena Edmondo aveva espresso il desiderio di rivederla indossata da Enrica, in quel giorno speciale, il solo nominarla era bastato a destare in lei un senso di spaesamento e di inadeguatezza, con cui sempre più spesso si trovava a fare i conti: Enrica, infatti, non riusciva proprio a ricordare dove l’avesse riposta, anche se aveva chiara nella mente l’immagine della collana e ricordava anche perfettamente di aver pensato, l’ultima volta in cui l’aveva toccata, che quel nascondiglio fosse un luogo inespugnabile per dei possibili ladri.

    Invece lei adesso proprio non lo ricordava più quel nascondiglio ed Edmondo era così stizzito, perché insieme alla collana aveva riposto tutti i loro pochi monili preziosi, e adesso chissà quando mai li avrebbero ritrovati, proprio ora che il prezzo dell’oro era alle stelle!

    Subito si erano dati entrambi alla ricerca, con Edmondo sempre più nervoso ed Enrica ad arrampicarsi su e giù per cercare nei ripiani più improbabili degli armadi, dove le pareva vagamente di averli nascosti.

    Ed era così che li aveva trovati Marco, il primogenito, entrando a casa loro nella pausa pranzo, come era solito fare, tra l’uno e l’altro dei suoi appuntamenti lavorativi. Lo stato di agitazione in cui li aveva visti e la tensione palpabile l’avevano spinto a chiamare immediatamente Luisa, pregandola di venire l’indomani dai suoi per aiutarli nelle ricerche. Marco, infatti, era certo che non si sarebbero arresi finché non avessero trovato i gioielli smarriti e suo padre avrebbe esasperato sua madre con insistenza, costringendola a non smettere di cercare; ma più Enrica si sforzava di ricordare, più si affossava in uno stato di totale confusione e desolazione.

    A Marco suscitava una tale rabbia suo padre, quando si intestardiva senza capire che la mamma aveva bisogno di comprensione e protezione: non era una colpa, la sua, se non riusciva ormai più a ricordare lucidamente fatti e situazioni, era una vera e propria malattia, per giunta destinata solo a peggiorare nel tempo.

    Ma non voleva proprio accettarla questa realtà Edmondo, e scaricava la sua rabbia contro la sua tanto amata Enrica, quasi fosse lei a non voler sforzarsi di ricordare, quasi ne fosse colpevole.

    S’accaniva contro di lei per non guardare in faccia il proprio dolore, ammettendolo.

    Edmondo non ce la fa proprio, per ora, a riconoscere con se stesso che Enrica non potrà più contare sulla sua memoria sveglia, pronta, di un tempo e che lui non può far altro che accettarlo come un dato di realtà, sostituendo i ricordi persi di lei con i suoi, prestandole le parole, le immagini.

    Anche Enrica si spaventa e si addolora, quando s’accorge che non riesce a ricordare fatti banali, semplici, come le date o quel che ha mangiato ieri sera o dove appunto ha riposto gli oggetti; di fronte alle sue dimenticanze è meglio soprassedere, han detto i medici, più lei si agita più accresce la confusione della sua mente e si confonde; la cura migliore è prenderla con leggerezza, condita con un tocco d’ironia, che mai non guasta, e imparare a conviverci, almeno finché gli effetti non inficiano così tanto la routine del quotidiano. Ma Edmondo non è mai stato un tipo né ironico né leggero, si tappa le orecchie ai consigli dei dottori, lui rivuole solo indietro la sua Enrica d’un tempo, come un bambino capriccioso e ostinato.

    Tuttavia Enrica più dimentica il presente, più ricorda il passato: gli anni più lontani, l’infanzia dei suoi figli, perfino la sua infanzia le ritornano alla mente, ma certi fatti accaduti ieri, quelli proprio non c’è verso di recuperarli, chissà dove si cacciano, in quale cassetto della mente!

    Così Luisa è arrivata a Milano stamane, col treno delle nove, pronta a dar manforte alla caccia ai gioielli!

    È riuscita a trovare un’insegnante che la sostituisse nella sua lezione d’italiano di oggi, perché si sa che, come volontaria, non è poi come se lavorasse: se non avesse trovato qualcuno disposto a sostituirla, avrebbe annullato la lezione. I suoi suoceri vengono prima, nella scaletta della priorità; lei li comprende nella categoria famiglia, a cui assegna sempre il primo posto, in un ragionar per gerarchie che lei stessa valuta un po’ troppo manicheo; o forse è per influenza di chi le vive accanto, che è sospinta a considerare quasi alla stregua di uno svago il suo impegno costante in svariate attività sociali, come la lezione d’italiano in programma oggi.

    Comunque sia adesso è qui, in cima alla scala più alta della casa, che cerca, smuove, scopre oggetti dimenticati, ammucchiati e affastellati alla rinfusa da questa donna, la quale, piuttosto che buttare qualcosa, riempie stanze e solai fino all’inverosimile. Tutto bisogna tenere per chi sa quale eventualità futura, non sia mai che possa venire utile per qualcosa. Luisa invece proprio no: lei tiene solo l’essenziale, sempre stata minimalista, lei. Non intende passare la vita a riordinare vecchi ricordi! Pensa che circondarsi di troppi oggetti le affatichi la mente, l’appesantisca, la rallenti e lei vuole sentirsi proiettata verso il futuro, anche adesso che ha quasi cinquant’anni!

    «Qui tra i maglioni dell’ultimo ripiano, Enrica, mi pare non ci sia nulla. Di che colore dicevi che fosse la scatola dove li hai messi?»

    «Azzurra, mi pare, una scatola di latta, sai, di quelle dei biscotti. Quella me la ricordo bene, mi par di vederla, era la scatola che usavo per tenere i biscotti che facevo io a Marco quando era piccolo… ci ero affezionata a quella scatoletta, rettangolare, con l’immagine di una nave sul coperchio, era un regalo dello zio che ci aveva portato da una sua vacanza in Bretagna.»

    «Ma guarda un poco quanti dettagli ricordi… che strano, però. Vedrai che magari tra qualche giorno, quando non ci starai pensando più, ti verrà in mente dove l’hai messa. Credo sia meglio starsene tranquilli qualche giorno, questa ricerca così affannosa mi pare inutile, tanto adesso su due piedi non è che vi servono questi gioielli, no?»

    Mentre Luisa parla, Enrica apre le mani dalla presa salda della scala e sposta lo sguardo allo scaffale affianco dell’armadio pieno di libri, pare assente, persa nei suoi ricordi, immobile, con le braccia lungo i fianchi, la schiena curva. D’improvviso raddrizza il collo, con l’indice sospinge gli occhiali sul naso, quasi la vista più acuta rinvigorisse la memoria e, avvicinatasi ai libri, solleva il braccio afferrando uno degli album di foto scelto tra gli altri. Dice, quasi rivolta più a se stessa che a Luisa:

    «Ecco, mi pare proprio che qui in quest’album ci sia una foto di quando lo zio è venuto a trovarci, portandoci quella scatola di latta, adesso vediamo un po’… che poi in fondo un po’ di memoria mi è rimasta!»

    Luisa chiude l’anta e scende cauta dalla scala.

    Che tenerezza le fa Enrica! Più peggiora la sua memoria del presente, più si rifugia nei ricordi del passato, che conserva intatti, e di quello sempre parla, con chi le sta intorno, quasi a trovar conferma che ha ancora argomenti per conversare, da pari a pari. Intere giornate trascorre a sfogliare questi album!

    Luisa sfila l’album indicato da Enrica, glielo porge. Enrica si siede sul letto di fronte all’armadio e, con un gesto veloce, invita Luisa a fare altrettanto. Vicine, una pagina sulla coscia di ciascuna, sfogliano piano, insieme, fino a ritrovare proprio quella foto: c’è zio Luigi seduto sul tappeto che gioca con Marco piccino, tre o quattro anni appena, intorno a loro pezzi di costruzioni di plastica e sul tavolo, al margine della foto, la teiera con la scatola di latta chiusa, sul coperchio è ritratta una barca, lo sfondo azzurro.

    Bene, perlomeno adesso so cosa devo cercare.

    Ma ad Enrica non basta aver scovato quella foto! Si rianima tutta, sorride, gli occhi spalancati, vispi. La ricerca dei gioielli, che fino all’attimo prima era così impellente da aver fatto precipitare Luisa fino a Milano, ora sembra dimenticata, o comunque può aspettare. Ed Enrica accarezza con le dita le foto, appoggia l’indice sulle figure ritratte, dà i nomi alle persone, si perde a raccontare le situazioni, i contesti.

    Luisa si intenerisce, quasi si fa scuro nella stanza e sfuma lieve l’irritazione che le fremeva dentro, fino a un attimo fa, all’idea del pomeriggio perso nell’inutile ricerca, mentre altri a casa facevano lezione al posto suo. Ora è tutta qui Luisa, in quest’attimo condiviso, immerse entrambe in un tempo che fu.

    Forse, quando si perde qualcosa, qualcosa si acquista. Sempre.

    In fondo, anche l’ombra ha zone in cui l’oscurità è meno intensa.

    I ricordi così vivi del passato sono un rifugio solido per Enrica, una zona luminosa nelle zone buie della sua memoria malata.

    Si gode l’attimo Luisa, sorride del sorriso dell’altra, si rimbalzano gli occhi. Splendenti. E scorrono i minuti sfogliando le foto di Marco piccino: i primi passi, lui sul seggiolone con la bocca tutta sporca di marmellata, nel giardino dei nonni con la sorella entrambi in bicicletta e le vacanze al mare, tutti intorno al tavolino da campeggio a pranzare con la tenda sullo sfondo e Marco piccino col costumino azzurro.

    Racconta Enrica e si dimenticano di tutto il resto, dei gioielli, della cena da preparare, di Edmondo che sta per tornare dal suo giro abituale e che chiederà conto dell’esito della caccia, del treno che Luisa deve prendere per tornare; insieme stanno nella calda intimità della stanza, accoccolate tra i morbidi cuscini colorati con le gambe distese sul letto, senza le scarpe. Enrica rivive i ricordi felici della sua vita che fu, perché si sa che si fotografano solo i momenti belli, quelli da ricordare, non i dolori, non le disgrazie.

    È così intenso, delicato e disteso lo sguardo di Enrica che a Luisa, guardandolo, viene d’istinto l’idea di regalarle, per i suoi ottant’anni, un album fotografico con gli scatti più belli dell’infanzia dei suoi due figli, i nipoti di Enrica, ormai a un passo dall’età adulta. Luisa è certa che lei ne sarà contenta.

    Lo farà, anche a costo di dover trascorrere parecchie serate al computer a rintracciare i file delle vecchie foto; da quanto tempo ormai nemmeno lei le guarda più! Solo poche sono state stampate, la gran parte stazionano chiuse dentro qualche cartella dimenticata nella memoria del pc. Lo farà, non fosse altro che per un sorriso uguale a quello che splende adesso sul volto d’Enrica, a ricompensa del tempo speso a selezionare le foto.

    Ma mentre sono immerse nei ricordi, nel silenzio sommesso della stanza, un bip, acuto e inaspettato, le fa sobbalzare entrambe: proviene dalla borsa di Luisa, abbandonata sul letto.

    «È il suono del mio cellulare, mi avvisa di una mail che è arrivata! Accipicchia a questi marchingegni che mischiano i tempi e gli spazi e irrompono spezzando il tempo che vivi! Beata te che lo usi poco, t’invidio quasi, almeno non hai continue interruzioni e ti godi appieno quello che fai di volta in volta, senza bip che ti mitragliano di continuo» e, mentre parla, Luisa quasi si rimprovera per non essere capace di negarsi, silenziando o spegnendo il suo telefono. In fondo le piace questa connessione continua col mondo, ma quanto sia reale il virtuale, questo proprio ancora non lo sa.

    Si è fatto tardi. Sentono la porta d’ingresso chiudersi, è Edmondo che è tornato. Luisa lo conosce ormai così bene da essere quasi certa che la passeggiata l’avrà rasserenato, facendogli relativizzare, se non forse anche scordare, l’urgenza dei gioielli da trovare. In fondo sarà pur da qualche parte quella scatoletta dentro casa, e non hanno certo bisogno di agghindarsi con collanine d’oro né tanto meno vendere quei pochi preziosi per qualche spicciolo in più.

    Luisa si alza sospirando, infila le scarpe, raccatta la borsa ed esce dalla stanza, seguita da Enrica. È tempo di andare per lei, lasciare Milano, tornare in Valcuvia, sua figlia sarà già a casa, tra poco arriverà anche Marco, le ci vorrà più di un’ora di treno per raggiungerli. Nel viaggio avrà tutto il tempo di vedere chi l’ha cercata sul cellulare. Non c’è quasi mai nulla di così urgente che non possa aspettare dopo. Un saluto, un abbraccio ai suoceri ed è già sull’ascensore, sulla via.

    Capitolo 2

    Ha preso il treno per un soffio. Non ce l’avrebbe fatta senza la corsa dall’uscita del metrò fino al binario.

    Sa che è solo grazie alle sue due orette settimanali di allenamento in palestra, altrimenti col fischio che riusciva a correre! La verità è che non è ancora pronta a fare i conti con i cinquant’anni che l’aspettano al varco e tenersi in forma le permette di sentire il corpo che ancora risponde ai suoi comandi e scatta, si flette, resiste, dandole almeno l’illusione di mantenere un controllo sui tanti acciacchi delle sue articolazioni che invecchiano.

    Si accascia senza fiato sul primo posto libero che trova in questo treno affollato di pendolari che lavorano fino a sera nella metropoli. Se tutto va bene rientrerà nella sua valle, la Valcuvia, verso le venti e trenta, un’ora e mezza di viaggio l’attende.

    Luisa si sente d’improvviso una donna molto fortunata, pensa a come sarebbe la sua vita se tutti i giorni dovesse recarsi a Milano e rientrare a quest’ora di sera, magari per svolgere un lavoro frustrante. Certo, ci si abitua a tutto e chissà quanti oggi ci farebbero la firma pur di avere un lavoro! È proprio vero che tutto è relativo, dipende dal punto di vista da cui si guardano le cose, pensa Luisa, forse l’atteggiamento migliore è il suo, che cerca di prendere di ciascun giorno il meglio che viene ed esserne grata, anche se poi sostenere tale principio non corrisponde immediatamente ad applicarlo.

    Al suo fianco una donna sulla quarantina sta leggendo, Luisa sbircia la copertina leggermente sollevata, Nostalgia di Nevo: lo ricorda questo libro, l’ha perfino regalato a un’amica tanto le era piaciuto! Son sempre le donne a leggere di più, infatti i due uomini che le stanno di fronte sono entrambi immersi nel loro cellulare, uno dei due si è pure isolato da tutto con gli auricolari, vestiti entrambi eleganti, camicia, giacca e cravatta, forse impiegati? Manager? Chissà chi li aspetta a casa, si assomigliano, stesso look, stessa età circa: il fascino degli uomini in carriera, emanano sicurezza anche a quest’ora, a fine giornata, col buio fuori che invita a ritirarsi nel proprio mondo, nei propri pensieri.

    Luisa apre la borsa per prendere il suo romanzo e tasta il telefono, si ricorda che sono ore che non legge i messaggi, l’estrae, l’accende: 15 messaggi non letti, una mail. Scorre i messaggi.

    Lisa, la volontaria che l’ha sostituita per la lezione d’italiano, la rassicura che tutto è andato per il meglio; Clelia, sua figlia, le ricorda che domani deve andare al consiglio di classe e l’informa che verrà a pranzo domani anche una sua amica, così andranno poi insieme agli allenamenti, lei però dovrebbe riaccompagnare a casa l’amica, possibile? Con un pollice in alto risponde a Clelia, un sorriso e un grazie per Lisa.

    Molti altri messaggi sono il cicaleccio del gruppo di lettura di cui fa parte, che commentano l’ultimo libro letto e si organizzano su quali leccornie portare al prossimo incontro di domani: accidenti quasi me lo stavo scordando, in fondo sono utili i messaggi.

    Vede anche un messaggio di Fabio. È il suo più caro amico da una vita, anche se poi, concretamente, si vedono sì e no una volta all’anno o anche meno, capita ogni tanto di scriversi e parlarsi così, virtualmente, qualche mail, qualche chat, sporadicamente ma intensamente, a distanza di mesi. È come se tra loro avessero stretto un muto patto secondo cui è meglio non incontrarsi troppo ed evitare anche di mantenere costanti e continui i loro dialoghi virtuali. Non sa dirsi Luisa se sia perché entrambi hanno paura di dove potrebbero portarli o se hanno già deciso, a priori, di non volerlo scoprire, e, almeno per quanto la riguarda, la seconda ipotesi crede sia la più azzeccata.

    Comunque oggi Fabio le chiede come sta e la informa che sarà a Varese la settimana prossima in giornata, per un suo appuntamento di lavoro, se lei vuole potrebbero incontrarsi a pranzo o anche solo per un caffè, a lui farebbe molto piacere rivederla.

    Luisa al momento si sente troppo stanca per decidere, non pensa di avere impegni quel giorno, potrebbe andare, ma preferisce prendere tempo, per ora aspetta a rispondere, non c’è fretta.

    Chiude il telefono e sta per riporlo in borsa. Desidera più di tutto immergersi nella trama intricata e appassionante del suo romanzo storico, I Medici, dello scrittore varesino Michele Gazo, ambientato fedelmente nella Firenze rinascimentale, tra intrighi, guerre, amori adulterini ma anche arte e bellezza, nella ricerca dell’equilibrio ideale perfetto che era il sogno di Lorenzo. Quello che ci vuole per rilassarsi: una trama avvincente nello stile impeccabile di un magistrale scrittore.

    Ma ha appena aperto alla pagina dov’è riposto il segnalibro, che un altro bip del cellulare le ricorda di non aver letto neppure la mail che era arrivata quando era con sua suocera e adesso ne avrà ben due da leggere.

    Luisa è curiosa, è probabile che una sia di Fabio; lui, quando si fa vivo con un messaggio dopo mesi, è solito accompagnarlo con una delle sue mail in cui le racconta di sé, delle sue ultime avventure, viaggi, donne. Così Luisa appoggia sulle ginocchia il libro aperto e sfila il cellulare. Apre le mail. L’ultima appunto è di Fabio, ma l’altra la cattura di più.

    Si sente per un attimo disorientata, ma poi il nominativo del mittente le suggerisce cosa ci sia dietro. La invia la cooperativa sociale che gestisce il personale delle biblioteche della valle, oggetto della mail: Convocazione a un colloquio per assunzione.

    Luisa trattiene il respiro, le si contraggono i muscoli del corpo, ha un sobbalzo involontario delle gambe, come uno scatto al nastro di partenza sufficiente a far vibrare il libro che si riversa a terra. L’uomo di fronte prontamente glielo porge con un sorriso accattivante, ma Luisa neppure contraccambia, tiene lo sguardo incollato allo schermo. Legge e rilegge più e più volte, per esser certa di aver afferrato correttamente il significato. Si sente la mente in palla, se conoscesse i suoi compagni di viaggio chiederebbe anche a loro di rileggere la mail per essere sicura di non aver frainteso.

    Le offrono un lavoro come bibliotecaria.

    Le torna alla mente di aver inviato il suo curriculum molti mesi fa, forse addirittura lo scorso anno, quando stavano cercando del personale, ma mai e poi mai si sarebbe aspettata questa risposta ora. Dicono esplicitamente che ha tempo massimo una settimana per accettare il lavoro e contattarli poiché hanno bisogno urgentemente di coprire il posto vacante. La pregano di rispondere alla mail anche se decidesse di non accettare l’offerta di lavoro e di farlo il prima possibile. Si scusano per i tempi così stringati ma è a causa del licenziamento improvviso di una dipendente e sono costretti a sopperire in fretta assumendo un’altra bibliotecaria e il curriculum di Luisa l’avevano giudicato di gran lunga il più adeguato tra quelli pervenuti.

    Si sente frastornata, confusa, senza fiato, tesa.

    Sente il cuore che accelera perfino il ritmo dei battiti.

    Non riesce neppure a capire se quella che prova è contentezza, stupore o spavento. Probabilmente si tratta di un mix di queste emozioni e di altre ancora.

    Come sono spesso sfumate le emozioni e come è difficile definirle, contenerle in una parola, mentre la loro natura pare così evanescente, quasi fossero vapore che si disperde lasciato libero nell’atmosfera.

    Luisa s’impone un bel respiro, vorrebbe anche chiudere un attimo gli occhi per rilassarsi meglio, ma avverte addosso lo sguardo del viaggiatore di fronte a lei, quasi avesse intuito il suo turbamento e ne fosse incuriosito.

    Cerca allora di darsi un contegno, raddrizza la schiena, accavalla le gambe, afferra il libro e lo apre fingendo di leggere col volto chinato, confidando nei capelli lunghi e sciolti che le proteggano il volto, infastidita che possa rivelare il suo turbamento.

    Tante immagini e pensieri diversi e opposti le frullano nella mente.

    Prevale l’entusiasmo all’idea dell’opportunità di un lavoro che le permetterebbe di stare sempre a contatto stretto con i libri, un suo grande amore; l’occasione di iniziare a quasi cinquant’anni una nuova professione, quando ormai non sperava più di poter sperimentare la soddisfazione di un lavoro che potesse farla sentire concretamente e pienamente autonoma.

    È ormai da una vita che si definisce casalinga a chi le chieda cosa faccia, perché si sa che tutte le innumerevoli attività che svolge e ha svolto negli anni come volontaria non si possono definire lavori: il volontariato è un’altra cosa.

    Adesso però, se accettasse questa offerta, si rende conto che dovrebbe dare un taglio alle diverse attività che le occupano parecchie giornate settimanali, dovrebbe trovare dei sostituti, riorganizzarle…

    La sua mente è tutta un frullio di immagini, un ribollire di emozioni, ipotesi, possibilità.

    Il libro le sfugge dalle mani ricadendo di nuovo a terra, ma lei non piega la schiena per raccoglierlo, quasi non le importasse, sebbene sembrava che stesse leggendo; il viaggiatore lo raccoglie e glielo porge di nuovo.

    «Il suo libro… Tutto bene? Si sente bene?»

    Luisa spalanca gli occhi, incrociando quelli di lui, diretti, insistenti.

    «Sì sì, bene, grazie. Sono solo un poco sovrappensiero e fatico a concentrarmi nella lettura. Grazie comunque, molto gentile.»

    «Ci mancherebbe… Bella lettura. Di Gazo ho letto il romanzo sulla storia di Milano, questo mi manca, ma adesso che me lo ha fatto venire in mente è probabile che sarà la mia prossima lettura. Chissà, magari, se ci rincontrassimo su questo treno, potremmo parlarne!»

    «Sì, è proprio un bel romanzo, glielo consiglio sicuramente, ma sarà difficile rincontrarsi, io prendo solo occasionalmente il treno.»

    Il cellulare dell’interlocutore di Luisa suona all’improvviso, lui fa un cenno di scuse e risponde, Luisa

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