Cane in libera uscita notturna
Di Cesare Elia
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Anteprima del libro
Cane in libera uscita notturna - Cesare Elia
Ragazza
ATTO ZERO
(La nascita)
(Sul palco c’è un albero soltanto. Marcus, seduto per terra, con la testa reclinata, gli occhi chiusi, sta pensando. Il Cane, fuori scena, comincia a parlare).
IL CANE: Un cane muore quando scopre il volo, impara e tenta l’opera. Un uomo muore quando scopre ed impara ad amare e, sia che tenti l’opera, sia che non lo faccia, muore ugualmente.
Un cane muore quando è giunto alla fine del suo tempo. Un uomo muore quando nasce, all’inizio del suo tempo. Marcus morì quando imparò a comprendere. Quando iniziò ad amare.
Cominciò a capire il significato della vita e iniziò a soffrire, ma in ogni momento di sofferenza trovò sempre qualcosa di singolare e, a suo modo, di appagante.
Quando imparò a trovare felicità nei momenti tristi non ne poté più fare a meno.
Fu così che, restando fermo all’ombra di una pianta, con me soltanto ed i suoi pensieri, scandendo i secondi del tempo che gli piovevano addosso, che fanno dell’organismo qualcosa di sempre meno utilizzabile, comprese il vero significato della vita.
(Marcus si alza lentamente, e comincia a camminare lungo il perimetro del palco, annusando l’aria, con aria serena. L’albero esce di scena.).
Quando tornò in piedi, e, camminando lentamente, si avviò verso casa, scoprì che è sempre il vento a far volare le foglie, e che per quanto potesse osservarlo non sarebbe mai riuscito a trovare il suo colore. Si rese conto che è sempre il sole a scaldare la sua pelle, che negli occhi di chi lo amava e nell’odore di una pelle familiare avrebbe trovato casa. E che una volta tornato lì, avrebbe sentito un sapore dell’infanzia, ed un tocco gli avrebbe ricordato che era adulto ormai, e che davanti a se aveva un futuro senza sostegno.
Quando quel futuro, che odora di morte, sfiorò la sua mente, tornò alla staticità, come se non si fosse mai alzato da quella fronda. (Marcus si ferma d’improvviso, dando le spalle al pubblico.). Solo allora si rese conto di cosa è la vita: lo spazio che c’è tra un ricordo ed una speranza. Tra quello che sperava di diventare, quello che era diventato, e quello che già immaginava fosse il suo aspetto futuro.
(Sullo sfondo del palco appare un edificio).
Io lo guardavo ed intanto pensavo che tutto dipendesse dalla coscienza del tempo che scorre veloce; se lo vuoi puoi gustarti ogni attimo, ogni ombra, ogni primavera, ogni fiore, ogni sguardo, ogni mattina di sole, ogni odore, sapore, colore, ogni ricordo, ogni secondo di vento sul viso. Pensavo che puoi vivere finché avrai tempo per farlo, che il futuro non è come il passato, ed imprevedibile ti accoglie. Tra una coscienza in più ed una frustrazione in meno, carico di ricordi camminerai per la tua via, finché ci sarà ancora nel tuo futuro ogni attimo della tua vita, e qualcosa di bello da ricordare (Marcus si volta verso il pubblico e sorride, poi riprende a camminare ed entra in casa).
(Si chiude il sipario)
ATTO PRIMO
(Il basilico)
VOCE FUORI SCENA (IL CANE):Quanto è importante sapere chi esprime l’opinione? Direte..tanto.
Eppure a volte anche il più umile dei cani randagi cittadini sa dire il vero, ancor meglio dei mezzi lupi di razza, di matrice autarchica americana da milioni di dollari al pelo.
Forse però un cane impiegherebbe troppo a scrivere un libro, per vari motivi, banali o meno.
E che ne può sapere un cane degli uomini? Forse quanto ne sanno gli uomini stessi, e anche più.
(Si apre il sipario. E’ notte. Marcus è seduto in un angolo sul suo gabinetto chiuso, con lo sguardo immerso nel vuoto. Si capisce che è un bagno. Indossa un pigiama. Il Cane entra in scena dall’angolo opposto e si ferma davanti ad una ringhiera. Si trova su un balcone. Osserva Marcus dall’esterno).
IL CANE: Ebbene sì, ci sta pensando di nuovo. Ai momenti passati, e a quelli che verranno.
Pensa a questa catapecchia di casa dove abita ora, al quarto piano di una palazzina che sembra bombardata in centro città, e a quella dove invece abitava da ragazzo. Pensa a sua figlia e a quando era lui il bambino. Pensa alla moglie di suo padre, sua madre, e a quanta differenza ci sia con la donna che ora sta dando un educazione a sua figlia.
MARCUS (scrollandosi le spalle e sbuffando): Beh, se io sono venuto così bene con una madre del genere, di certo mia figlia sarà un genio! (Appoggia la testa sulle mani, e i gomiti sulle ginocchia, tornando a fissare il vuoto)
Silenzio.
IL CANE: Ci sono momenti in cui si sorride pur sapendo che c’è poco e niente di allegro di cui ridere; lui lo sa (indica Marcus con un cenno del capo) ed infatti non sorride. Ma, ugualmente, uno strano ghigno gli si forma sulla faccia contrita, un sorriso rimasto appeso, mentre cerca di non pensare a quella famiglia che così male, eppure così bene, lo ha formato, e di pensare che c’è sempre qualcosa di bene in un mare di male.
Riflette sulla famiglia che aveva lui all’età di sua figlia. Quanta differenza ci sia tra la famiglia creata dai suoi genitori e quella che ora lui stesso sta rappresentando.
(Marcus ha un sussulto, un tremito, che dura pochi secondi, per poi tornare con lo sguardo fisso davanti a sé, sempre seduto sulla tazza chiusa)
Odia dover pensare alle cose che gli erano care, per paura che la sua mente possa andare dove ancora c’è sofferenza, dove ancora ci sono i ricordi. Quegli stessi ricordi che ogni notte lo fanno rigirare fra le coperte sudate, estate e inverno, e che lo fanno stare male come fosse un reduce della guerra del Vietnam. Lui (indicando Marcus e ammiccando verso il pubblico) che ha sempre odiato la guerra e che l’unico muso giallo che ha visto in casa sua è stata la scamorza nel piatto con un sorriso formato da uno spicchio di pomodoro.
Squallido pensare a mente lucida e calma alle priorità della vita.
Ciò che colpisce me può non colpire te, e ciò che ti fa tanto soffrire stasera, forse domani mattina..ti farà ridere. (Alza le spalle con aria interrogativa).
Intanto Marcus non fa che pensare, pensare, pensare…
Probabilmente sta pensando a quell’abitazione che sapeva di casa, sapeva d’ infanzia, come dice sempre lui stesso. Dove la mattina presto, d’estate, la luce filtrava forte dalle finestre della sua camera da letto. (Facendo l’imitazione di Marcus) "Una luce divina perché tra lo spazio della finestra attraverso la quale passava, e la parete sulla quale si fermava, in quello spazio, si poteva vedere il raggio di luce, e tentare di afferrarlo (fa il gesto di afferrare con la mano) senza mai riuscirci, spezzandolo con le mani.
(Anche Marcus cerca di afferrare nell’aria qualcosa che non c’è, come un raggio di luce)
Quando si svegliava c’erano sempre gli stessi suoni e odori ad accoglierlo: pentole che sbattevano in cucina, un telegiornale alla televisione che parlava da solo nel salotto vuoto, un profumo di acqua sulla terra bagnata nei vasi che penetrava dal terrazzo, dove la notte prima la madre aveva annaffiato le piante. Annaffiava sempre in quel momento in cui tutti dormono e non serve la luce della lampadina, perché c’è la luna ed è forte ogni sera.
Marcus su quel terrazzo avrebbe poi passato le seguenti ore della mattina, cercando di prendere il sole, sdraiato sulle mattonelle roventi, sentendo il calore sulla pancia, e sulla schiena, in compagnia del poco vento e delle lucertole che uscivano dai buchi sui muri per mettersi al sole. Proprio come lui.
Oppure a turbarlo a volte è il ricordo di una classica cena, sempre su quel terrazzo, prima che la madre desse l’acqua a quelle stesse piante che la sera, invece, emanavano un’aura fresca, ed il cui colore dei fiori rallegrava il grigio dei muri, ed il tono morto dei vasi.
MARCUS(con aria assorta, ricordando): Lì, in mezzo allo spazio vuoto, si apriva il tavolo bianco per fare posto a tutti. Lo si poteva pulire con la vecchia pompa di plastica e vecchi stracci, ed era strano sentire come da un tubo caldo ed indurito dal sole e dal tempo potesse uscire un forte getto d’acqua fredda. Quell’acqua, madre di tanti scherzi, e di tanti raffreddori.