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Tutti i Colori del Buio
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E-book252 pagine2 ore

Tutti i Colori del Buio

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Info su questo ebook

"Questa è una fiaba e come ogni fiaba, anche un racconto del terrore."

Ray Pitbury è uno scrittore di fantascienza dal discreto talento e dalle pessime vendite. Vive su una barca e per ritrovare l'ispirazione decide di trasferirsi sul lago di Gorey, un luogo incantevole dove è sempre primavera. Ma quando arriva, insieme ai prati fioriti, trova anche un fiume in cui galleggiano carcasse di mucche. Questo non lo distoglie dal suo progetto, anzi i misteri lo hanno sempre incuriosito, e perciò decide di addentrarsi nel fitto della foresta, dove si dice viva una creatura disumana. Là non incontra nessun mostro, solo una persona che aveva dimenticato chi era. Ray non sapeva ancora che negli anni a venire Kolor Feresferatu, questo il nome dello sconosciuto, sarebbe diventato il suo più grande amico.
Tutti i colori del buio è la storia di una creatura degli incubi che, vissuta tra le pagine dei libri, cade a terra come una foglia secca, ed è costretta ad affrontare le cose belle della vita. Una fiaba gotica che Maurizio Temporin scrive all'età di 14 anni, fino ad oggi inedita.
LinguaItaliano
Data di uscita1 ott 2013
ISBN9788898475162
Tutti i Colori del Buio
Autore

Maurizio Temporin

Maurizio Temporin nasce a Broni (PV) l'1 agosto 1988.rascorre l’infanzia vicino ad Alessandria, iniziando a coltivare la passione per l’arte, la letteratura, il cinema e il numero otto. In seconda liceo scrive il suo primo romanzo, Tutti i colori del buio, nel 2007 si trasferisce a Barcellona , dove esordisce con Il Tango delle Cattedrali (Rizzoli). Nel 2010  torna in Italia e inizia la trilogia urban-fantasy IRIS - Fiori di cenere, I sogni dei morti, I risvegli ametista – pubblicata da Giunti, sulla quale è in fase di realizzazione un film. I suoi libri sono pubbicati in diversi paesi, tra cui Spagna, Germania, Austria, Russia e America Latina. Collabora inoltre a progetti cinematografici e teatrali con Fabio Guaglione e Andrea Lanza. Non se ne conosce ancora la data di morte. “Una lente per l’arte. Una lente per la scienza. La terza per chi sa che le prime due non bastano.”  // Maurizio Temporin nace en Italia en el año 1988. Trascurre su niñez en una pequeña ciudad del noroeste, empezando temprano a cultivar la pasión por el arte, la literatura, el cine y el numero ocho. A los quince años escribe su primera novela, Tutti i colori del buio. En el 2007 se muda a Barcelona y hace su debut en el mundo editorial publicando El Tango de las Catedrales (Rizzoli). En el 2010 vuelve a Italia y empieza la trilogía urban-fantasy IRIS publicada por Giunti y traducida al español por Libros de Seda, sobre la cual es en fase de desarrollo una obra cinematográfica. Sus libros han sido publicados en diferentes países, entre cuales España, Alemania, Austria, Rusia y America del Sur. Colabora ademas a proyectos cinematográficos y teatrales con Fabio Guaglione y Andrea Lanza. Todavía no se conoce su fecha de muerte. “ Una lente para el arte. Una lente para la ciencia. La tercera para quien sabe que las primeras dos no alcanzan.”

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    Anteprima del libro

    Tutti i Colori del Buio - Maurizio Temporin

    © Maurizio Temporin

    © 2013 VandA.ePublishing S.r.l.

    Sede legale e redazione: Via Cenisio, 16 - 20154 Milano

    ISBN 978-889847-516-2

    Prima edizione: Ottobre 2013

    Illustrazioni: Maurizio Temporin

    Cover: Maurizio Temporin

    Edizione elettronica: eBookFarm

    www.vandaepublishing.com

    Quest'opera è protetta dalla Legge sul diritto d'autore.

    È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

    "L’uomo è innamorato

    e ama ciò che svanisce."

    W. B. Yeats

    "Colui che vive più di una vita,

    dovrà morire più di una morte."

    Oscar Wilde

    "Non esistono fiabe che non siano cruente.

    Tutte le fiabe provengono

    dalla profondità del sangue e dell’angoscia,

    ma attraverso di esse

    si attira l’attenzione degli uomini

    sulla verità."

    Franz Kafka

    Precisazione ai Lettori

    Sono molto affezionato a questo romanzo. Tutti i colori del buio è stato il mio primo libro. Diciamo che è stato grazie ad esso se ho scoperto d'essere un regista su carta.

    Avevo sì e no quindici anni quando l'ho scritto e rileggerlo adesso mi fa quasi sorridere. Nonostante possa contenere alcune ingenuità sono ancora molto convinto della forza di questa storia e nel riprenderlo in mano per la pubblicazione ho deciso di non apportare molte modifiche. Farlo avrebbe significato snaturarlo, tradirlo, e in qualche modo rinnegare me stesso. Nessuno guarda un album di fotografie di dieci anni prima e si mette a ritoccarlo con Photoshop per vedersi come vorrebbe essere stato.

    Tutti i Colori del Buio, più che essere un romanzo, è diventato quasi un personaggio. Non avendo mai visto la luce della pubblicazione ha come esteso la sua lunga ombra all'interno delle altre mie opere. Compare nel Tango delle Cattedrali ed è diventato addirittura il prequel della saga di IRIS scritto dall'immaginario Ray Pitbury. La protagonista, Thara, lo legge per scoprire qualcosa sul proprio passato. Questa è la quarta di copertina:

    L'ultimo romanzo dello scrittore Ray Pitbury, prima della sua uscita dal mondo dell'editoria. La falsa storia vera di un uomo che diventa amico di un suo personaggio. Mai nessuno, prima d'ora, aveva scritto così bene della propria morte.

    Ai lettori della saga va una precisazione in particolare. Molte delle domande troveranno risposta in queste pagine, ma è bene ricordarsi che le risposte sono state formulate in precedenza. Se alcuni dati sembreranno essere inesatti, non si tratterà di incoerenza, ma di estrema coerenza.

    I nuovi lettori invece potranno conoscere la storia così come è iniziata.

    Entrambi potranno constatare quanto io sia negato a scrivere una precisazione ai lettori.

    new-00.jpg

    Prologo

    Questa è una fiaba e come ogni fiaba, anche un racconto del terrore.

    Non importa da quale dei due generi inizi la storia, per entrambi, si può cominciare parlando di un castello, di quel castello buio e nero non molto lontano da casa. Una strada fra i boschi, qualche albero secco, foglie e poi eccolo, mura e silenzio. Pietre appoggiate l'una sull'altra sostenute dal vento, aperture, incrinature, porte e finestre, botole, torri, passaggi segreti. Camere scure e fredde, sussurri di soffitte dimenticate, spifferi di storie sospese, come è giusto che siano o siano destinate ad essere tutte le storie.

    Se qualcuno si trovasse a camminare per i corridoi e l’ombra, capirebbe di essere nel posto sbagliato. Dovrebbe veramente credere che quelle scale abbiano una fine per salirle. Non potrebbe nemmeno guardare i soffitti senza pensare che una manciata di notte sia rimasta intrappolata tra le arcate.

    Al mio caro amico Feresferatu, che mi raccontò quanto sia difficile credere che una singola goccia d’inchiostro possa colorare di nero un intera bottiglia di acqua purissima, voglio ricordare che sono stato io, per quanto nel nero si fosse avvolto, a fargli finalmente vedere tutti i meravigliosi colori del buio.

    new-01.jpg

    L'Oasi di Aprile

    Galleggiavano come boe e da lontano lo potevano anche sembrare. Andavano lentamente su e giù, allargando cerchi ipnotici nell’acqua, mentre la barca di Ray Pitbury si muoveva lenta sul fiume. Il vento, che filtrava fra i vapori e gli alberi ai margini, spingeva quegli ammassi di carne rigonfi l’uno conto l’altro, facendoli scontrare in flaccidi rimbalzi.

    Ray si sporse un poco dalla cabina per poter scrutare oltre la prua. Era da molto che guidava quella barca, ormai non aveva più bisogno di prestare troppa attenzione, ma quel giorno i suoi occhi erano distratti, troppo impegnati per poter far attenzione a dove andare. Un odore nauseante, violento, gli ridusse i polmoni a due piccole piaghe.

    -E’ stato gentile ad accompagnarmi signor Brooks.-disse Ray.-

    Il passeggero raggiunse Ray trascinando le scarpe infangate sulle assi umide dello scafo. Era un tipo strano, un vecchio con la barba ispida, lunga e grigia. Indossava una logora pelliccia marrone che lo avvolgeva dai piedi fino al collo, facendo spuntare a malapena la testa. Quello che colpiva più di tutto era lo sguardo; duro, denso, sul fondo nascondeva qualcosa di inquieto.

    -Sei la terza persona che passa di qui quest’anno, sarei impazzito se non ti avessi incontrato.-

    -Ha idea di come sia successo?-

    -Cosa? Le mucche?-

    -Sì, dico, come è cominciato? E' strano che i giornali non ne abbiano parlato.-

    Brooks respirò profondamente, osservando il proprio fiato confondersi con la foschia del fiume.

    -Forse. Il mondo di fuori non è interessato a quello che succede qui. Immagino che nemmeno nei tuoi libri hai immaginato una cosa simile-

    Con una mano ossuta indicò un bovino gonfio come una spugna che galleggiava accanto a loro.

    -Guarda, guarda i suoi occhi... coperti di muschio.-

    La pesante testa della mucca stava ondeggiando a pelo d’acqua, facendo continuamente scomparire e riaffiorare l’occhio bianco. Le zampe, contratte in una posa innaturale, rimanevano rivolte al cielo, dondolando.

    -Sono veramente tante…-

    Sentendo quel commento l’uomo alzò le mani sopra la testa, insieme al riporto.

    -Tante!? Guardati intorno Ray, sembra che uno stabilimento di macellazione sia esploso. Forse Gorey non è il luogo tranquillo che credevi.-

    Ray cercò di calmarlo.

    -A me bastano un po' di silenzio e pace per lavorare.

    -Lavorare...- grugnì il vecchio -Fai lo scrittore. Il lavoro è fatto di sudore e fatica. Non dirmi che la penna pesa.

    Ray fece ruotare il timone di legno verso destra, per seguire il corso del fiume.

    -In questo periodo come un macigno. Sa, il blocco dello scrittore... Sono venuto al lago di Gorey per questo. Me l'ha consigliato un amico dicendo che era un bel posto...-

    Un forte colpo lo interruppe e qualcosa di pesante scosse l’imbarcazione. Entrambi persero l’equilibrio; Ray scivolò all’indietro afferrando il timone, mentre Brooks, riuscì solamente ad aggrapparsi a un’imprecazione. La barca si piegò su un lato, oscillò dall’altro e dopo qualche sussulto, tornò alla posizione originale. Ray si guardò intorno.

    -Come sta signor Brooks?-

    L’uomo steso in terra, nascosto dalla pelliccia, si rialzò facendo forza sui gomiti. Una frecciata scoccò dagli occhi di Brooks.

    -Comodo.-

    Il Signor Brooks sapeva essere fastidioso come il pezzettino di popcorn che si incastra fra i denti, ma lo scrittore, oltre che essere una persona saggia per metà, visto che i suoi anni erano trentacinque e li contava sulle dita, era anche un uomo silenzioso.

    Nei minuti che seguirono, il motore fu l’unico a borbottare, mentre lui approfittò della pausa per guardarsi attorno. Si trattava di una strana giornata e come aveva calcato il signor Brooks, si trattava di uno strano posto. Pur se la nebbia era densa, della consistenza d’un raffreddore, il cielo sopra di loro rimaneva limpido e azzurro; mentre gli alberi che li affiancavano, sembravano cuciti fra loro per mezzo dei rami a formare l’intreccio d’un sacco di iuta sfilacciato. Da quando erano partiti, a parte le mucche, peraltro poco vive, non avevano visto animali; forse solo qualche pesce assonnato fra i ciottoli, ma non un uccello, non un insetto, non un gufo o un corvo. Ovunque c’era morte, nemmeno il ronzio di una zanzara vicino alle orecchie; più che morte però, era assenza di vita, desolazione. Quel grigio irrespirabile, lattiginoso e ovattato, annebbiava tutti i sensi.

    Ray strizzò gli occhi. Gli alberi si stavano sfoltendo e in fondo al fiume si iniziava a vedere più luce.

    Si affacciò allora al parapetto. L’acqua era diventata limpidissima e mentre osservava il proprio riflesso scorrere sulla lieve superficie, ne vide quello del Signor Brooks comparire di fianco al suo. Le secche fauci degli alberi si stavano aprendo sopra di loro lasciando schiudersi bagliori celesti. I capelli neri di Ray si incresparono come le onde del torrente, agitati da un forte colpo di vento. Lo scrittore si raddrizzò, mentre la felicità si allargò sul suo volto e il calore improvviso del sole gli fece evaporare i pensieri.

    -Ma è fantastico!- urlò con i capelli che si agitavano nascondendo le nuvole.

    Poco dopo il vento si placò, mutando in una piacevole brezza. Allora i profili si definirono, i colori riempirono il tutto e il Lago di Gorey fu dipinto. Un lago azzurro e sereno come il cielo, abbracciato da basse colline verdi, disseminate d’alberi di pesco. Era un lago come lo si immagina quando si ascolta la parola; non troppo grande, ma abbastanza per sentirsi piccoli. Un oasi di Aprile smarrita nei boschi d’Ottobre.

    -Credo che mi fermerò qui per un bel po’, molto più di quanto pensavo.-

    Tutto era più giovane, più vivo, più presente, ma sono i luoghi che suggeriscono sempre uno stato d’animo che permette di capirli. La voce del vecchio impellicciato era cambiata radicalmente e per un momento divenne sorridente, quasi piacevole. Ray non pensava che un luogo potesse fare un simile effetto ad una persona, forse solo nel caso ci si trovasse su di un altro pianeta, lontani da casa in un posto mai visto; ma dal signor Brooks non si sarebbe ugualmente aspettato una reazione simile. Una reazione, esatto, perché proprio di una reazione si trattava, d’un qualcosa di chimico. E proprio un altro pianeta doveva essere il lago per il signor Brooks, il pianeta in cui da bambino sbarcava con l’astronave del padre a fine settimana, dove esplorava e scavava, dove correva e dove magari, ogni tanto, faceva anche un picnic insieme a un marziano o a una zia.

    -Continua Ray, senti! Respira!-

    Fu solo una scintilla. Dopo l’incendio il viso del vecchio tornò ad essere una corteccia bruciata.

    -E’ veramente un peccato che questo posto non sia conosciuto.-osservò Ray mentre Brooks dava il permesso al sole e al vento di smuovere il manto della pelliccia.

    -Non ci facciamo troppa pubblicità. Se vogliono venirci, che se lo cerchino. La verità; è quello che ha di particolare questo posto, la verità. Ed è qualcosa che si deve cercare per meritarla.-

    Impossibile smentirlo. Quel posto era l’essenza di ogni cosa bella; un paradiso, una gigantesca serra nascosta dalle nuvole.

    -Non la facevo così sentimentale signor Brooks.-

    -Non lo sono, ma è evidente che i turisti sarebbero peggio delle vacche morte. Quelli non li puoi allontanare con un bastone.-

    Ray accarezzò il legno consunto del timone, ormai mancavano pochi metri per poter ormeggiare.

    -Eccolo, quello è il molo di cui ti parlavo, là potrai stare tutto il tempo che vuoi. Nessuno ti verrà a disturbare. Di sicuro non io.-

    Il molo non era nelle migliori condizioni, mancava qualche asse e forse sarebbe rimasto intatto giusto il tempo per attraccare. Il signor Brooks nel frattempo si era accomodato su una panca con le mani incrociate sopra lo stomaco e studiava Ray armeggiare coi comandi.

    -Ecco fatto, parcheggio perfetto.- disse lo scrittore uscendo dalla cabina.

    Brooks controllò l’orologio.

    -E’ tardi, ho fame. Cosa mangiamo?-

    Ray non fece caso a quella frase sbagliata in genere, numero e caso, e gli propose una vecchia piastra mai lavata.

    -Barbecue…- sussurrò il signor Brooks degustando la parola -Beh, almeno non sei uno di quegli scribacchini salutisti che si bevono carote e melanzane.-

    new-02.jpg

    La Passeggiata sul Molo

    -Le uova sono nutrienti…-

    Una frase caduta nel piatto esattamente come l’uovo.

    -Già… Nutrienti.- rumoreggiò Brooks infilandosi un boccone in bocca -Spero che non ti metterai mai a scrivere libri di cucina.-

    Nell’aria c’era ancora un forte odore di fumo, che fece voltare Ray per dare un’occhiata ai pezzi di carbone, originariamente pensati come bistecche, gettati poco prima nel cestino.

    -Allora Signor Brooks, lei ha trascorso tutta la sua vita qui a Gorey?-

    -Non ancora.- rispose cinicamente il vecchio e scostando il piatto da davanti, quasi fosse quello a impedire la conversazione, entrò nel dettaglio -La mia famiglia è nata qui. Proprio qui, in paese. Siamo stati e siamo noi Gorey. Poche anime di cattivo umore.-

    Ray preferì stare al gioco prima che l’uomo tornasse a fare la parte dell’orso.

    -Dovrebbero dedicarle un monumento.-

    -Lo dico anch'io!- la modestia li salutò da lontano -E finché sono vivo. Le statue dei morti se le godono solo i piccioni.

    -Appena avrò un po’ di tempo organizzerò una petizione per un tempietto...-

    Ray si interruppe bruscamente guardando lontano. Qualcosa aveva attirato tanto la sua attenzione da farlo alzare in piedi e puntare un dito verso la collina.

    -Cos’è quello?-

    Il signor Brooks si irrigidì.

    -Il castello di Gorey…-

    -A Gorey c'è un castello?-

    -No.-

    -Ma se lo ha detto lei adesso?-

    -No, non andare là, non andarci mai!-

    Il signor Brooks assottigliò la voce e gli occhi divennero due fessure cupe.

    -Mai! Quel posto è maledetto, infestato, nessuno è mai tornato vivo! E’ un luogo di disperazione, di lamenti, orrore, morte e cimiteri, con una tomba sempre aperta… per te!-

    La vena pulsante che era comparsa sulla fronte del vecchio si nascose di nuovo sotto la pelle.

    -Ti ho spaventato?-

    -No... Più che spaventato mi ha incuriosito. Le do un consiglio. La prossima volta usi frasi più concise e un tono più serio.-

    -Secondo me per un momento hai pensato che dentro a quei vecchi ruderi ci sia qualcosa di più terribile che un pugno di lombrichi.-

    -Forse, per un attimo solo...-

    Brooks rise dondolandosi con la sedia all’indietro.

    Stavano cominciando ad intendersi, quando le loro risa furono interrotte da un boato. Un clacson annunciò l’arrivo di qualcosa di terribile.

    Ray e Brooks si alzarono di scatto; il vecchio riuscì anche a rovesciarsi un bicchiere di vino addosso e imprecare.

    L’uomo che si nascondeva dietro ai vetri neri della macchina era nervoso, molto nervoso, come chiunque ne possieda un modello di quel costo. Picchiava i pugni sul clacson continuando a farlo strillare, mentre Brooks seguiva la scena dall’alto della barca, finendo di tamponarsi la pelliccia. Quando vide lo scrittore scendere dal molo gridò;

    -Ray! Lo conosci?-

    Lui accennò a voltarsi

    -Sì, sì, è il mio editore.- e accelerò il passo verso colui che sembrava aver rubato il vestito alla morte e trasformato la falce in una penna stilografica.

    -Signor David L.? Come mai è venuto fin qui?-

    Lo scrittore poteva vedere solo il proprio

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