La forza della necessità: Antologia del radicalismo inglese dei secoli XVIII e XIX
Di Mauro Cotone
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Anteprima del libro
La forza della necessità - Mauro Cotone
Mauro Cotone
La forza della necessità
Antologia del Radicalismo inglese dei secoli XVIII e XIX
ATENA
COLLANA DI CULTURA GENERALE
Per intermediazione di
Bennici&Sirianni Agenzia Letteraria
2020
Rogas Edizioni
© Marcovaldo di Simone Luciani
viale Telese 35 – 00177, Roma
e-mail info@rogasedizioni.net
sito web: rogasedizioni.net
Facebook: Rogas Edizioni
Instagram: @rogasedizioni
ISBN: 9788845294778
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Ringraziamenti
A Luciano Russi, indimenticato maestro
indice
Ringraziamenti
Prefazione
1. Il contesto storico-politico
1.1. LʼInghilterra fino alla fine del secolo XVII
1.2. LʼInghilterra dal secolo XVIII alla regina Vittoria
1.3 Riepilogo cronologico
2. Lineamenti del pensiero radicale
Antologia del Radicalismo inglese
Gli autori presentati
Robert Wallace
William Ogilvie
Thomas Spence
La London Corresponding Society
William Godwin
Mary Wollstonecraft
William Hazlitt
Caricatura e satira
Charles Hall
3. Conclusioni: dal Radicalismo al Socialismo
ATENA
Note
Prefazione
di Adolfo Noto
Lʼattenzione che Mauro Cotone dirige verso lʼoggetto di questa antologia, data da lungo tempo. Il primo articolo dedicato ad uno degli autori qui presenti, e cioè William Godwin e al suo concetto di giustizia politica
, venne pubblicato sulla mai troppo rimpianta rivista Trimestre
, allora diretta da Luciano Russi, nel 1976. Da allora, egli ha dedicato numerosi articoli, oltre che a Godwin, a Spence, Thelwall, Wollstonecraft, Malthus, Hall, ai temi dellʼinfluenza della rivoluzione francese in Inghilterra e della rivoluzione industriale inglese, apparsi ancora su Trimestre
e sul Calendario del popolo
, poi ha tradotto lʼopera di Godwin scritta nel 1793 Enquiry concerning Political Justice, and its influence on general Virtue and Happiness ( La giustizia politica, Editrice Trimestre, Chieti 1990), e raccolto in un volume i suoi saggi ( Il pensiero sociale inglese fra il XVIII e XIX secolo, ilmiolibro.it, Roma 2013). A compimento di questo suo personale viaggio in una Inghilterra scelta come teatro privilegiato per assistere alla rappresentazione della modernità politica, vi è la proposizione per la prima volta in Italia dellʼopera del geniale cronista dellʼetà vittoriana, fonte di Dickens come di Marx, Henry Mayhew, da lui ottimamente tradotta e filologicamente curata ( Il lavoro e i poveri nella Londra vittoriana, Gangemi Editori, Roma 2012).
Lʼesigenza di presentare unʼampia scelta di testi tradotti in italiano per la prima volta, risponde a due criteri sostanziali. Il primo è quello di riunire in un percorso ben indirizzato autori e contesti storici cui si era da sempre dedicato, in modo da fornire una lettura unitaria del pensiero sociale inglese. Dalle origini individuate nel turbolento Seicento inglese, quando nel corso di pochi decenni si sono succedute due rivoluzioni, di cui la prima ha condotto alla decapitazione del re Carlo I con la dittatura di Cromwell e la seconda, la Gloriosa rivoluzione
del 1688, allʼavvento della monarchia costituzionale inglese, fino ad arrivare alle soglie dellʼetà vittoriana, quando unʼulteriore rivoluzione, quella industriale, avrebbe modificato profondamente le condizioni di vita materiale delle classi più marginali e povere, evidenziando una questione sociale da cui muoveranno le moderne teorie socialiste. Il secondo criterio cui risponde questo libro, è quello di rendere questo complesso di fatti e idee che attraversano tre secoli, dando a Gran Bretagna e Occidente molti connotati del loro modo di essere ancora oggi, intellegibile a chiunque si avvicini alla lettura, senza perdere niente del rigore storiografico. Insomma unʼopera divulgativa, ma dallʼandamento solido, con i testi degli scrittori utilizzati a fare da bussola per cercare la strada della comprensione.
Cʼè un ulteriore aspetto che rende interessante il lavoro di Mauro Cotone, ed è nellʼindividuazione dei riferimenti principali, nella scelta degli autori proposti, che riduce il ruolo di alcuni tradizionali capisaldi del radicalismo (come Jeremy Bentham e John Stuart Mill per intenderci), per esaltare il passaggio attraverso altri normalmente meno considerati come Thomas Paine (ritenuto più americano e giacobino che inglese), o lo stesso Godwin che verrà considerato (o forse sarebbe meglio dire poco considerato) in quanto fondatore del pensiero anarchico. Nella scelta delle ascendenze culturali e storiche, se il riferimento ai Levellers (livellatori) di John Lilburne e ai Diggers (zappatori) di Gerrard Winstanley sembra un passaggio dovuto, pensando anche solo alla radicalità delle loro rivendicazioni, risulta più ardito sul piano politico, ancorché ineccepibile secondo una linea storico-filosofica che connette empirismo e illuminismo, il richiamo a quello che viene unanimemente considerato il padre nobile del liberalismo politico moderato, cioè John Locke.
Luigi Pareyson, curatore di unʼimportante edizione italiana dei Two Treatises of Government, lʼopera politica di Locke manifesto del costituzionalismo inglese, disse che essi furono allo stesso tempo una polemica, unʼapologia e una dottrina: polemica contro i realisti fautori del diritto divino, apologia della rivoluzione e del partito whig, infine una dottrina dellʼorigine consensuale del governo, fondato sul potere legislativo del parlamento. Il principio che, in unʼopera legata comunque a un progetto costituzionale inteso a risolvere la crisi inglese, restava saldo era quello della separazione del potere, che secondo unʼespressione di Nicola Matteucci, egli formulava sia in modo orizzontale che in modo verticale. Locke indicava la natura mista del governo in cui il potere legislativo doveva essere diviso tra lʼuno (il re), i pochi (la Camera dei Lords) e i molti (la Camera dei comuni). Si dovevano poi aggiungere altri due nuovi poteri, quello federativo e la prerogativa. Il re, partecipe del potere legislativo, esercitava anche il potere federativo e la prerogativa. Il potere federativo era quello di fare la guerra o di stipulare la pace, lasciato alla prudenza del re, che solo sa valutare gli arcana imperii, e per questo era insindacabile; la prerogativa, che era una sfera di arbitrio e discrezionalità, limitata da leggi stabili e positive, veniva riconosciuta al re per consentirgli di fare il bene del popolo, per questo era sindacabile e il popolo poteva ridimensionarla o riappropriarsene. In questa lunga teoria di poteri (legislativo – che rimane il potere supremo –, esecutivo, federativo e prerogativa), non trovava spazio un autonomo potere giudiziario. Eppure il contratto sociale nasceva proprio dalla necessità di ricorrere a un magistrato-giudice, neutrale e indipendente. Invece lʼistanza giudiziaria era rappresentata insieme sia dal potere legislativo (che fa le leggi conformi alla legge naturale) che dal potere esecutivo (dove il re era il sommo giudice vincolato dalla legge). Non era una dimenticanza, perché corrispondeva a tutta la logica dellʼopera imperniata sullʼantico tema della giustizia ( iurisdictio) per una convivenza tutta regolata dal diritto: il diritto naturale, il diritto costituzionale (il contratto), le leggi, al fine di razionalizzare il potere e di soggiogare la forza alla ragione. Allora la sfera del legislativo e dellʼesecutivo, rimanendo nellʼambito della iurisdictio, avrebbero di per sé garantito il rispetto della giustizia; la garanzia di questo rispetto sarebbe comunque provenuta da un controllo operato dal basso. La divisione verticale del potere, infatti, consisteva nel rapporto fra il governo (esecutivo, federativo e prerogativa) e il legislativo da un lato, e, dallʼaltro, fra il legislativo e la società civile, secondo il principio che il potere politico sale dal basso, e quindi ogni potere risultava vincolato e dipendente da quello che lo precedeva. Nel caso vi fosse stato un conflitto fra legislativo ed esecutivo (per un abuso della prerogativa da parte del re), o fra il popolo e il legislativo (perché lʼoligarchia parlamentare agisce contro i diritti naturali dei cittadini), allora non vi sarebbe stato giudice sulla terra capace di ricomporre una simile frattura e non sarebbe restato che il diritto alla rivoluzione, per combattere lʼillegittimità di un potere non conforme ai diritti degli uomini. Contro la tirannia il diritto di ribellarsi era un antico diritto naturale che precedeva ogni legge positiva, da esercitarsi come extrema ratio, (in questo stabilendo un ponte fra le teorie monarcomache e quelle democratico-rivoluzionarie). Sembra una contraddizione che ci si appelli a un diritto a compiere unʼazione violenta mentre il diritto ha per suo obiettivo primario quello di risolvere pacificamente i conflitti. Ma questo derivava proprio dal fatto che non cʼè magistrato adibito a dirimere la contesa. In questo caso diritto significa soltanto che il popolo non era dalla parte del torto, perché esso era il giudice in quanto era il mandante mentre gli altri erano i mandatari.
Rispetto dei diritti naturali, ruolo del parlamento e apoditticità delle soluzioni proposte contro chi abusa dei diritti, sono dunque i risvolti che temperano in Locke la moderazione frutto dellʼuso della ragione, con la radicalità delle soluzioni in situazioni estreme. E si può affermare che le tracce di questi temi vengono seguite passo per passo da Cotone in questa antologia.
Se Locke rappresenta lʼautore, per così dire, a quo, da cui parte il lavoro di Mauro Cotone, il termine ad quem, il punto di arrivo è il Robert Owen a cui bisogna accordare il titolo di essere fra coloro che coniano la parola socialismo
, sulle pagine della rivista The cooperative Magazine
a partire dalla fine degli anni Venti dellʼOttocento. Poco dopo, a partire dal 1832, sulle pagine del foglio francese di ispirazione sansnimoniana Le Globe
lo stesso lemma veniva ripetutamente adoperato da Pierre Leroux. Ma se per Leroux esso aveva una valenza filosoficamente anti-individualista e anti-liberale, in Owen e nei radicali inglesi, in forza della loro tradizione, avrà contenuti più spiccatamente economici e sociali, rimanendo legato al problema della condizione delle classi subalterne.
Negli stessi anni, nel 1835, continuando la straordinaria innovatività lessicale del tempo, Alexis de Tocqueville pubblicherà il primo volume della sua Démocratie en Amerique (uscendo poi il secondo volume nel 1840), in cui la locuzione democrazia viene per la prima volta utilizzata non per indicare un modello politico storico legato alla Grecia classica, ma una condizione sociale e un modello politico contemporaneo, dando vita a nuovi ulteriori sviluppi di alcune linee di pensiero politico che cominceranno così a definirsi e a essere definite democratiche
.
Adolfo Noto
Università di Teramo
1. Il contesto storico-politico
1.1. LʼInghilterra fino alla fine del secolo XVII
Risale al 1215, in un periodo storico caratterizzato dallʼimperante assolutismo regio, il primo atto tendente a limitare, in Inghilterra, il potere del Re: la Magna Carta Libertatum ( Grande Carta delle Libertà), che la classe baronale impone a Giovanni senza Terra, riuscendo a introdurre nellʼordinamento principi fondamentali, fra i quali:
né noi né i nostri balivi ci impadroniremo di alcuna terra o di rendite di chiunque per debiti, finché i beni mobili del debitore saranno sufficienti a pagare il suo debito (art. 9);
nessun pagamento […] sarà imposto nel nostro regno se non per comune consenso (art. 12);
nessun uomo libero sia punito per un piccolo reato, se non con una pena adeguata al reato; e per un grave reato la pena dovrà essere proporzionata alla sua gravità senza privarlo dei mezzi di sussistenza (art. 20);
nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, multato, messo fuori legge, esiliato o molestato in alcun modo, né noi useremo la forza nei suoi confronti o demanderemo di farlo ad altre persone, se non per giudizio legale dei suoi pari e per la legge del regno (art. 39, che introduce nellʼordinamento il principio-cardine dellʼ habeas corpus);
che la Chiesa dʼInghilterra sia libera e che i nostri sudditi abbiano e conservino tutte le predette libertà (art. 63).
Fino ad allora il Re, per assumere le proprie determinazioni, era coadiuvato da un proprio Consiglio, che nel 1264, a seguito dellʼentrata in vigore dei principi della Magna Carta, si trasforma in Parlamento. Questo organismo assume nel tempo la fisionomia che è tuttora in vigore: Camera Alta ( House of Lords), composta da nobiltà e clero, [¹] e Camera Bassa, o dei Comuni ( House of Commons), eletta su base territoriale.
La durata del Parlamento, fissata inizialmente in tre anni, viene portata nel 1716 a sette anni con il Septennial Act ( Legge del Settennato).
Inizialmente la Camera Alta – che, essendo in gran parte ereditaria, resta più legata al sovrano – mantiene il predominio sullʼaltra; nel tempo però, la Camera Bassa aumenta costantemente la propria rilevanza, costituita comʼè da cavalieri e mercanti che, con il progredire della classe borghese, ottengono nel tessuto sociale una valenza sempre maggiore: da qui lʼimportanza crescente che assume il Parlamento nei confronti del potere regio. La svolta si attua nel 1649, con lʼesecuzione di Carlo I Stuart, il re cattolico intenzionato a regnare come un monarca assoluto, in continuo conflitto con il Parlamento, da lui sciolto in più di una occasione. La sua spinta verso il Cattolicesimo lo pone in contrasto con la maggioranza protestante e puritana: alla scoperta di alcune lettere della moglie Enrichetta Maria di Borbone, che fanno pensare a una sua alleanza con i regni cattolici del continente, cerca di fare arrestare i membri più estremisti del Parlamento, ma finisce per fuggire al nord, dove raduna un esercito. Scoppia la prima guerra civile (1642), nella quale le truppe di Carlo I vengono sconfitte da Oliver Cromwell nella battaglia di Naseby (1645). Il re si riorganizza, con lʼaiuto degli Scozzesi, ma anche la seconda guerra civile si conclude con la vittoria di Cromwell nella battaglia di Preston (1648). Carlo I viene processato e giustiziato (30 gennaio 1649).
Da quellʼanno lʼInghilterra è una Repubblica, retta dal puritano Oliver Cromwell, che nel 1653 scioglie a sua volta il Parlamento, per poi ricostituirlo; nel 1657 gli viene offerta la corona, ma lui preferisce proclamarsi Lord Protettore. Muore nel 1658, lasciando come successore il figlio Richard, ma il Parlamento, su pressione degli Scozzesi, opta per la restaurazione della monarchia, chiamando al trono Carlo II, figlio di Carlo I.
Il nuovo re, che viene riconosciuto virtualmente dal 1649 – anno di esecuzione del padre – ma che di fatto regna dal 1660, è costretto dal Parlamento a promettere di perdonare i nemici politici e mantenere in funzione il Parlamento stesso. Il suo regno è funestato da avvenimenti tragici (la Grande peste di Londra del 1665, nella quale muoiono quasi 100.000 persone, e il Grande Incendio di Londra del 1666) e vede ben tre guerre contro lʼOlanda. Quando nel 1672 emana la Royal Declaration of Indulgence ( Atto di Indulgenza), che consente la libertà di culto ai Cattolici, si scontra con il Parlamento che gli impone la revoca della disposizione. Regna così in una continua ambiguità, manifestando tendenze cattoliche ma conservando formalmente la religione anglicana voluta dal Parlamento.
Nella seconda parte del regno, nomina successore Giacomo, il fratello minore, anchʼegli cattolico, entrando in conflitto con il Parlamento, che vuole invece portare al trono il figlio illegittimo, protestante. Arriva a sciogliere il Parlamento (alcuni membri del quale ordiscono una congiura per eliminarlo, ma senza successo), governando così, negli ultimi anni, quasi come un sovrano assoluto.
Muore nel 1685 e in punto di morte si converte definitivamente al Cattolicesimo.
Gli succede il figlio Giacomo II Stuart, che dopo lʼesecuzione di Carlo I era andato esule in Francia. Alla sua incoronazione, viene accettato perché promette di rispettare la religione anglicana; presto però entra in contrasto con il Parlamento, quando nomina magistrati, funzionari e rettori cattolici. La situazione precipita nel 1688, quando Guglielmo dʼOrange, della casata olandese degli Orange-Nassau, che nel 1677 aveva sposato Maria Stuart, sbarca in Inghilterra con truppe olandesi, per rovesciare Giacomo II. Il re, prima di arrivare allo scontro aperto, decide di fuggire in Francia: il rovesciamento dellʼultimo re cattolico passa alla storia come la gloriosa Rivoluzione
. Il nuovo sovrano protestante sale al trono nel 1689, con il nome di Guglielmo III.
Nello stesso anno il Parlamento, scottato dalla recente esperienza con la dinastia cattolica, spinge il re alla adozione del Bill of Rights ( Carta dei diritti), che costituisce la base del sistema costituzionale inglese, riallacciandosi in qualche modo alla Magna Carta. Entrano così nellʼordinamento ulteriori principi che danno allo Stato la fisionomia laica di una monarchia costituzionale:
il preteso potere di sospendere le leggi o lʼesecuzione delle leggi, in forza dellʼautorità regia, senza il consenso del Parlamento, è illegale;
levare tributi per la Corona o per il suo uso […] senza la concessione del Parlamento […] è illegale;
le elezioni dei membri del Parlamento debbono essere libere;
la libertà di parola […] non può essere posta sotto accusa o in questione in qualsiasi corte o in qualsiasi sede fuori dal Parlamento.
La Dichiarazione si conclude con lʼespresso rifiuto di qualunque futuro re cattolico, a cui il popolo si ritiene autorizzato a non obbedire: [²] tale principio è ribadito nel successivo Act of Settlement ( Atto di Disposizione) del 1701, il quale prevede che, alla morte di Guglielmo III e della cognata Anna (che sarebbe poi salita al trono nel 1702), la Corona debba passare a Sofia di Hannover, figlia di Giacomo I e sorella di Carlo I.
Da questo momento inizia una fase della storia inglese contrassegnata dalle continue pretese al trono di Giacomo II, i cui sostenitori prendono il nome di Giacobiti. Nello stesso 1689 il re deposto sbarca in Irlanda con un esercito francese e occupa quasi tutta lʼisola, ma lʼanno successivo viene sconfitto dalle truppe reali nella battaglia del fiume Boyne, e ripara nuovamente in Francia. Muore nel 1701.
Le sue rivendicazioni sono riprese dal figlio Giacomo, che i Giacobiti chiamano Giacomo III e che passa alla storia come il Vecchio Pretendente: da piccolo segue i genitori nellʼesilio in Francia, e viene riconosciuto re da Luigi XIV. Nel 1708 e nel 1715 sbarca in Scozia per riprendere il regno, ma viene anchʼegli sconfitto.
A fianco di Guglielmo III regna la moglie Maria, figlia di Giacomo II, fino alla morte avvenuta nel 1694. Guglielmo combatte contro la Francia di Luigi XIV, riuscendo a frenarne la politica imperialista. Muore nel 1702 a seguito di una caduta da cavallo.
1.2. LʼInghilterra dal secolo XVIII alla regina Vittoria
A Guglielmo III succede Anna, figlia di Giacomo II, ultima sovrana del casato Stuart. Nel 1707 Inghilterra e Scozia vengono unite nel Regno di Gran Bretagna: Anna ne è la prima sovrana, e lʼultima della dinastia Stuart, in forza del citato Act of Settlement. Durante il suo regno scoppia la Guerra di successione spagnola; si accentua il bipartitismo tra gli schieramenti dei whig e dei tories. Per la definizione di questi raggruppamenti, valgano le parole di Friedrich Engels: " È noto che in Inghilterra i partiti si identificano con i ranghi e le classi sociali: che i tories sono identici con la nobiltà […], che i whigs sono industriali, commercianti e dissenters , provenienti totalmente dalla classe medio-alta, che la classe medi a inferiore esprime i cosiddetti ‘radicaliʼ e che infine il cartismo ha la sua forza nei working men , nei proletari ". [³]
Alla morte del re (1714), in base allʼ Act of Settlement dovrebbe salire al trono Sofia di Hannover, che però muore due mesi prima della morte di Anna: sale dunque al trono suo figlio Giorgio I. Con lui inizia la sovranità della casata Hannover.
Nel 1715 il partito whig vince le elezioni: i tories si alleano con i Giacobiti, nel tentativo di riportare sul trono Giacomo III. Dopo la loro sconfitta, Giorgio I appoggia il partito whig e, in politica estera, partecipa alla Triplice Alleanza, con Francia e Olanda (poi diventata quadruplice con lʼingresso del Sacro Romano Impero) contro la Spagna, per contrastare Filippo V che mira a diventare re di Francia. Filippo V appoggia la ribellione giacobita e invia truppe spagnole in Inghilterra, sconfitte nella battaglia di Glen Shiel (1719).
Durante il regno di Giorgio I si accentua il ruolo sempre più influente del Primo Ministro Robert Walpole (1676-1745), che passa alla storia inglese come il primo Primo Ministro
.
Il sovrano muore nel 1727 durante una visita alla natia Hannover: gli succede Giorgio II (1683-1760), che nel 1739 entra in guerra a fianco dellʼImpero Austro-Ungarico contro la Francia, nella Guerra di successione austriaca. La decisione viene presa contro lʼopinione di Walpole, che viene allontanato dallʼincarico di Primo Ministro.
Nel corso della guerra riprendono vigore le pretese giacobite quando, nel 1743, Giacomo III nomina reggente il figlio primogenito, Carlo Edoardo, detto il Giovane Pretendente, con lʼincarico di restaurare il trono degli Stuart. Il principe sbarca in Scozia nel 1744 ma viene definitivamente sconfitto a Culloden, nel 1746. La guerra di successione austriaca termina con lʼeffimero trattato di Aquisgrana (1748), ma dopo pochi anni il conflitto si riaccende nella Guerra dei sette anni (1756-1763): Giorgio II non ne vede però la conclusione, morendo nellʼottobre del 1760.
Gli succede Giorgio III (1738-1820), sotto il cui lungo regno si conclude la Guerra dei sette anni, sancendo lʼaffermazione dellʼInghilterra come grande potenza coloniale nel nord America e in India, a scapito della Francia. Nel 1775 scoppia la Guerra dʼindipendenza americana, che porta alla perdita delle colonie. Per un breve periodo, nel 1783, il re crea un governo di coalizione a cui partecipa, insieme