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Tesi luterane sul partito di classe
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E-book358 pagine4 ore

Tesi luterane sul partito di classe

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Radicalità vuol dire andare alla radice dei problemi. Questo libro vuole indagare sulla crisi della rappresentanza dei partiti della sinistra anticapitalista e sulle loro contraddizioni. Fenomeni come lo spostamento dei fini, i processi di omologazione, le doppiezze politiche, le continue scissioni, il ruolo dei quadri intermedi, la vocazione governista sono tra gli indicatori ricorrenti. L’emergere di paradigmi organizzativi alternativi ai partiti (i movimenti) crea inevitabilmente nuovi attori sociali e nuovi conflitti: i cambi di paradigma non sono un 'pranzo di gala'"
LinguaItaliano
Data di uscita16 mag 2013
ISBN9788895758145
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    Anteprima del libro

    Tesi luterane sul partito di classe - Alberto Bianchi

    P

    ARTE PRIMA

    L A RIFORMA LUTERANA

    I L PARTITO E GLI ANNI CRUCIALI DEL DIBATTITO

    Rosa Luxemburg

    Ernest Mandel e Leone Trotskij

    Robert Michels

    Bukharin

    Gramsci e il partito

    Gramsci e Michels

    I L PARTITO DI CLASSE IN I TALIA

    Raniero Panzieri e Lucio Libertini

    1 968-69, la nascita dei movimenti

    Il partito e il movimento delle donne

    Il Pci e l’eroica omologazione

    P

    arte seconda

    90 tesi: rapporti di proprietà nei partiti comunisti e nei partiti della sinistra

    Le definizioni proprietarie dei partiti di classe

    Come si costruiscono i rapporti di proprietà all’interno di un partito comunista o della sinistra

    Il mediatore delle coscienze

    La potenza della mediazione gerarchica

    L’espulsione del marxismo e le strategie di lungo periodo

    Decomposizioni

    Trasformismo e nichilismo governista

    La mobilità verticale

    P

    arte terz a

    I soggetti sociali del pluralismo partecipato: alcune questioni organizzative

    Agli studenti e alle studentesse,

    alle ricercatrici, ai ricercatori

    e ai docenti delle facoltà di fisica

    per la loro difesa della laicità,

    dei diritti e della scuola pubblica

    e per il disincantamento dei dogmi.

    Da cinquecento anni ci rallegrano la vita

    Introduzione

    Gli argomenti trattati in queste pagine non riguardano la crisi dei partiti in generale, bensì quella dei partiti della sinistra cosiddetta anticapitalista, basati sulla forma–partito novecentesca, che propongono alternative di società come: il Partito della Rifondazione Comunista, il Partito dei Comunisti Italiani, Sinistra Ecologia Libertà e altri minori, in difesa degli interessi delle classi lavoratrici, popolari e dell’ambientalismo.

    Il loro agire politico è stato coerente con i loro fini? Quali anomalie e quali paradossi sono emersi durante gli anni della loro azione politica? Queste anomalie e questi paradossi sono legati alle situazioni oggettive e contingenti, alle scelte politiche, oppure sono fenomeni ricorrenti all’interno del paradigma organizzativo dei partiti di classe della tradizione politica del Novecento? Siamo di fronte a nuove trasformazioni di questi partiti, oppure il loro paradigma organizzativo è ormai in un avanzato stato di putrefazione?

    All’interno di questi partiti, gli argomenti sulla forma–partito e sulla reale democrazia interna sono stati sempre un tabù e hanno avuto un andamento carsico: sporadicamente emergevano nei congressi e poi di nuovo scomparivano per lunghi periodi. I motivi di questa censura latente sono stati esposti in questo libro, rintracciabili nell’agire politico delle élite dirigenti e dei quadri intermedi.

    I giudizi di valore vengono esplicitati fin dall’inizio del lavoro, assumono alcuni punti di vista dei movimenti e spingono più a fondo la critica al vecchio paradigma organizzativo, mentre nella parte finale del testo vengono avanzate alcune ipotesi di proposte politiche e organizzative.

    L’armamentario teorico utilizzato fa riferimento a tre tipi di approccio diversi e integrati tra loro. Si adotta innanzitutto un metodo d’indagine materialistico il cui presupposto è riconducibile all’assunto di Marx che non è la coscienza degli uomini a determinare l’essere ma, al contrario, è l’essere sociale che determina la coscienza; segue il suo contributo sulla mediazione del denaro e i suoi meccanismi estesi alle forme organizzative.

    Si pone poi particolare attenzione alla Riforma luterana come la prima, radicale e unica esperienza storica sulla crisi della rappresentanza religiosa, contro il potente apparato organizzativo e piramidale della Chiesa di Roma: una frattura profonda all’interno della chiesa medievale che ha visto, per la prima e unica volta nella storia dell’Occidente, la rimessa in discussione e il superamento del vecchio paradigma organizzativo di tipo gerarchico, del ruolo di mediazione del clero tra Dio e l’uomo, e la nascita di un nuovo modo di associarsi dei fedeli riformati.

    Infine, si adotta il metodo di analisi delle rivoluzioni scientifiche di Thomas Kuhn sulla crisi dei vecchi paradigmi e la nascita di nuovi applicati ai fenomeni sociali, mentre altre parti del testo si inseriscono nella tradizione della sociologia del partito politico.

    Questa cassetta degli attrezzi viene da subito applicata alla Riforma luterana, a una breve esposizione degli eventi politici e sociali nell’Italia del Novecento, al femminismo, al processo di omologazione che investì l’ex Pci e a una nuova rilettura del compromesso storico.

    Poi, nella seconda parte, alle tesi sul partito di classe e all’agire organizzativo dei suoi dirigenti. è il tentativo di spiegare, nel modo più semplice possibile, che la forma–partito novecentesca non è affatto neutra, ma carica di conseguenze politiche e sociali.

    A più di un secolo dalla pubblicazione del testo di Robert Michels, La sociologia del partito politico (1911), è ancora in fieri la vecchia questione delle oligarchie, e occorre di nuovo tornare sull’argomento, nonostante sia passata molta acqua sotto i ponti. La presente ricerca prova a rispondere anche alla seguente domanda: nel 2008, dopo l’espulsione dal Parlamento dei partiti della sinistra radicale, cosa aveva capito la sua base elettorale per negare, a livello di massa (quasi il 10 per cento), il suo consenso? Quali le radici profonde del disastro?

    Non basta indicare la crisi della rappresentanza dei partiti della sinistra e le loro scelte politiche contingenti, ma occorre scandagliare i meccanismi organizzativi delegati e decisionali e provare a dare delle spiegazioni.

    Un altro settore di riferimento riguarda l’esperienza quarantennale dei movimenti, i soggetti sociali del pluralismo partecipato, le loro esperienze, le loro contraddizioni, i loro punti di vista, le battaglie e la rimessa in discussione della vecchia forma–partito. Movimenti alla ricerca di salti di scala, nuovi modi di associarsi, fare politica e tentativi di riappropriazione della rappresentanza politica; anche dopo i fatti di Genova del 2001 venne ribadito che lo sbocco del movimento è il movimento stesso.

    Sono state rivisitate, in forma breve, alcune parti del dibattito sul partito che si svolse agli inizi del Novecento, uno sforzo per alcuni forse un poco impegnativo ma utile per recuperare pezzi di memoria storica e la consapevolezza che non si parte da zero.

    Si è voluto evitare di reinterpretare il pensiero di soggetti politici, studiosi e autori vari coinvolti nell’impresa, si è preferito dare loro voce diretta con alcune citazioni, un metodo sicuramente più aderente al loro pensiero.

    Alberto Bianchi

    albertobianchi5002@hotmail.com

    Parte prima

    La Riforma luterana

    Perché Lutero e la sua Riforma?

    La crisi della rappresentanza politica dei partiti della sinistra e la rimessa in discussione della forma organizzativa gerarchica e piramidale del partito novecentesco ha un precedente storico di tutto rispetto nella Riforma luterana.

    Un evento religioso nato all’interno della Chiesa stessa e rivelatosi come il più grande e duraturo fenomeno storico, sociale e culturale contro il possente e millenario dominio delle gerarchie della Chiesa di Roma. Un taglio netto con la tradizione della Chiesa medievale, una rimessa in discussione radicale della sua forma organizzativa e la confutazione delle fonti teologiche che ne legittimavano la millenaria organizzazione.

    La Riforma pose alla base della sua impresa la radicalità del principio d’uguaglianza tra tutti i fedeli di fronte a Dio – un principio recuperato dall’antico cristianesimo – e lo contrappose alle gerarchie della Chiesa del suo tempo, che di quel principio erano la palese contraddizione. Con il successo della Riforma si aprì per la prima volta la crisi della forma organizzativa gerarchica e piramidale della Chiesa romana e della sua imperiale egemonia, di cui questa modalità organizzativa era l’espressione.

    Ancora oggi le Chiese riformate, pur senza una gerarchia pletorica e un papa, continuano a vivere e operare. Con un metodo di lavoro analitico e moderno, Lutero mise a nudo le contraddizioni esistenti nell’organizzazione della Chiesa, soprattutto in riferimento alla relazione mezzi-fini, attuando una cesura epocale e una lezione di storia arrivata fino ai nostri giorni. Il 31 ottobre 1517 Lutero ruppe ogni indugio e, forte della giustezza delle proprie idee teologiche, espose le sue 95 tesi sul portone della chiesa di Wittenberg in Sassonia, per sollevare un dibattito tra i dotti della sua Università.

    Com’è noto, all’origine del contendere vi era la vecchia questione delle indulgenze che la Chiesa di Roma chiedeva venissero versate nelle proprie casse. Lutero non immaginava quale sviluppo avrebbero avuto le sue critiche. Al principio il suo intento era semplicemente correggere quelli che riteneva essere errori e peccati determinati dalla natura imperfetta dell’uomo, non demolire l’istituzione della Chiesa romana. Intraprese dunque la difficile strada riformatrice attraverso processi, scomuniche e condanne a morte, da cui si salvò grazie alla protezione di potenti locali che avevano i propri interessi da tutelare e vedevano nel monaco di Eisleben l’occasione per riscattarsi da Roma.

    In quegli anni precedenti alla Riforma, un intellettuale come Erasmo da Rotterdam portava avanti una critica ormai esplicita nei confronti della Chiesa di Roma; si trattava tuttavia di una critica ancora basata sulla mediazione per riformare la Chiesa dal di fuori, ma non contro di essa, riconosciuta come unica depositaria del volere divino. Erasmo condensò le sue idee di riforma nel suo libro De libero arbitrio , ma venuti meno i presupposti di un dialogo e un sostegno alla Riforma, Lutero gli risponderà con un suo scritto polemico De servo arbitrio .

    Con l’inevitabile confronto di Lutero con Erasmo da Rotterdam e la questione sociale dei contadini di Thomas Muntzer, il mondo cristiano visse la sua prima grande battaglia teologica e sociale sul terreno dell’uguaglianza e del cambiamento della Chiesa; fu questa la vera apertura alla modernità dell’Europa, non certo la scoperta dell’America. Anche altri intellettuali vi contribuirono, come il francese Lefèvre, l’inglese Colet, lo svizzero Zwingli, i quali auspicavano un cambiamento della Chiesa di Roma.

    Nel periodo che precedette la Riforma, uno dei temi al centro dell’attenzione erano le Epistole di Paolo di Tarso, nelle quali erano presenti alcune anomalie dell’impalcatura teologica della Chiesa che, in seguito, sarebbero state usate come grimaldello dallo stesso Lutero durante le sue dispute teologiche. Queste anomalie riguardavano la giustificazione per sola fede. Uno di questi passi dell’apostolo Paolo recita:

    sapendo tuttavia che l’uomo non è giustificato dalle opere della legge, ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; poiché dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessuno. ¹

    La questione delle indulgenze e il conflitto teologico tra Lutero e Roma riscossero un successo travolgente e trovarono un seguito numeroso; sulla stampa dell’epoca i sostenitori di Lutero arrivarono a definire il frate agostiniano l’Ercole germanico, il possente frate che colpisce con la clava gli esponenti e gli ordini della Chiesa di Roma, una metafora profetica delle guerre di religione che attraverseranno l’Europa nei decenni successivi. Alcune significative tesi di Lutero:

    6) Il papa non può rimettere alcuna colpa, se non dichiarando e garantendo che è stata rimessa da Dio.

    10) Agiscono male e con ignoranza quei sacerdoti che riservano ai moribondi pene canoniche in Purgatorio.

    21) Errano perciò quei predicatori di indulgenze, i quali dicono che per opera delle indulgenze papali l’uomo è liberato da ogni pena e salvato.

    62) Il vero tesoro della Chiesa è il sacrosanto Evangelo della gloria e della grazia di Dio.

    63) Ma questo tesoro è a ragione odiosissimo, perché fa dei primi gli ultimi.

    64) Ma il tesoro delle indulgenze è a ragione il più gradito, perché fa degli ultimi i primi.

    65) Perciò i tesori evangelici sono reti con le quali in passato si pescavano uomini ricchi.

    66) Ma i tesori delle indulgenze sono reti con le quali si pescano le ricchezze degli uomini.

    Lutero evidenziava una stringente e affilata logica con il gusto del paradosso. Sembra quasi di udire l’eco, ancora lontanissima e nello stesso tempo vicina, di Marx che, come vedremo, risponderà a Lutero quattro secoli più tardi con una pioggia di giudizi altrettanto taglienti, anch’essi giocati sulla dialettica del paradosso, che sembrano sottolineare un profondo debito culturale nei confronti del monaco tedesco. Il giudizio ambivalente di Marx:

    Lutero, in verità, vinse la servitù per devozione mettendo al suo posto la servitù per convinzione. Egli ha spezzato la fede nell’autorità, restaurando l’autorità della fede. Egli ha trasformato i preti in laici, trasformando i laici in preti. Egli ha liberato l’uomo dalla religiosità esteriore, facendo della religiosità l’interiorità dell’uomo. Egli ha emancipato il corpo dalle catene, ponendo in catene il cuore. Ma se il protestantesimo non fu la vera soluzione, fu tuttavia la vera impostazione del problema. Adesso bisognava non più che il laico lottasse contro il prete al di fuori di lui, ma contro il proprio prete interiore, contro la sua natura pretesca. ²

    Gli eventi storici innescati dalla Riforma si spinsero fino al cuore della questione agraria e alla rimessa in discussione dell’ordine feudale, che poi sfociò nella guerra dei contadini. Se si trattasse di tracciare un bilancio esclusivamente politico secondo i parametri attuali, le simpatie per Thomas Muntzer sarebbero scontate, ma la Riforma con i suoi messaggi destabilizzanti percorse anche altre strade dando spunto a diverse riflessioni e inediti percorsi.

    Fin dall’inizio apparve chiaro che le critiche alle indulgenze non erano di facile assimilazione per il papato: già in passato altri ordini religiosi ed eretici avevano tentato proposte riformatrici ed erano finiti omologati all’interno dell’istituzione, oppure condannati al rogo. La Riforma divenne il contenitore e il vettore in grado di veicolare rivendicazioni e desideri di cambiamento, come il ricorrente appello al ritorno alla Chiesa delle origini, l’autonomia da Roma, la questione agraria e la rivolta dei contadini che ne seguì.

    La forza della Riforma consisteva nell’essersi incuneata all’interno delle contese tra la nobiltà tedesca, le autorità laiche borghesi e i contadini tedeschi: un blocco sociale contro la nobiltà italiana, in particolare romana, di cui la Curia di Roma era l’espressione politica e religiosa, difendendone gli interessi. Le idee forti dell’impianto teologico di Lutero e i validi predicatori convertitisi fin dalla prima ora alle idee del monaco conferirono la qualità dello scontro.

    Intellettuali organici come il grecista Melantone, i docenti di lingua ebraica Matthäus Aurogallus, Justus Jonas e Carlostadio, artisti come Cranach con le sue xilografie, e da Martin Bucer a Crotius Rabianus, da Capitone a Osiander, da Miconio a Conrad Pelican: una vasta rete di predicatori che con i loro discorsi infiammarono il popolo con un’irruenza mai vista prima, una moderna teologia della liberazione, un evento epocale che vedeva, per la prima volta nella storia, partecipare come protagonisti attivi gli studenti dell’università di Wittenberg dentro l’onda travolgente della Riforma, un indicatore della sua modernità.

    A tutto ciò contribuì un’attività editoriale poderosa che utilizzava appieno le nuove forme della comunicazione della carta stampata, con la diffusione di numerosi testi e scritti vari che favorirono non poco il sostegno popolare. Era l’apertura di un durissimo e difficile scontro di classe tra i contadini e la nobiltà feudale terriera tedesca, insieme alle spinte e alle insofferenze della borghesia urbana per l’autonomia da Roma e per l’appetibilità dei beni ecclesiastici: infatti, il funzionamento della Chiesa di Roma nella Germania di cinque secoli fa era strettamente legato alle servitù feudali dei contadini tedeschi, in particolare al pagamento delle decime, una sorta di tassa sui prodotti della terra che veniva devoluta per il mantenimento dei parroci.

    Le tasse venivano riscosse dalla nobiltà feudale; quando in occasione della rivolta i contadini avanzarono la proposta di nuove forme di pagamento e di gestione delle decime puntarono il dito sugli interessi stessi della nobiltà feudale e delle gerarchie religiose; inoltre, riappropriandosi della gestione delle decime, essi rivendicarono anche l’elezione dei parroci della comunità.

    All’inizio del Cinquecento la vendita delle indulgenze era diventata una delle forme abituali del finanziamento della Chiesa accanto alle decime, alle elemosine e alle rendite patrimoniali [...]. Se le decime dovevano essere, come richiesto, divise tra il parroco, la gente povera, venivano allora minati alla base tutti i poteri superiori dell’istituzione ecclesiastica. ³

    I primi tre articoli dei contadini della Svevia rivendicavano:

    1) Un’intera comunità deve avere la facoltà di eleggere il proprio parroco e di deporlo;

    2) le decime devono essere divise tra il parroco e la gente povera, il resto va trattenuto per la necessità del paese;

    3) nessuno dovrebbe essere servo della gleba, perché Cristo ci ha fatto tutti liberi.

    I contadini tedeschi avevano dunque perfettamente capito l’importanza politica della Riforma religiosa. Nella iniziale e piena coerenza con le idee di Lutero, proponevano in primo luogo l’autogoverno della comunità ecclesiastica e la libera elezione dei parroci. Il controllo democratico della Chiesa era una rivendicazione immediatamente politica, in una società in cui le istituzioni religiose avevano una posizione centrale. Infatti, i due gruppi privilegiati della società medievale, l’alto clero e la nobiltà feudale, si erano contesi per secoli la designazione dei parroci… le decime non servivano solo a mantenere i parroci, ma assicuravano la sopravvivenza di tutto l’enorme apparato gerarchico della Chiesa.

    La nobiltà tedesca era insofferente ai periodici prelievi delle ingenti risorse economiche provenienti dalle rendite feudali della Chiesa. Le indulgenze venivano in parte inviate a Roma per riavviare i lavori della grandiosa fabbrica di San Pietro, fermi da tempo, e in parte erano trattenute in Germania e utilizzate per finanziare le chiese locali, tra cui la parrocchia e l’università di Wittenberg dove operava Lutero. Lutero però non si fece condizionare da tali considerazioni pratiche e pose come questione primaria la disputa sui principi religiosi minati dal mercimonio delle indulgenze; le sue tesi erano rivolte ai dotti della Chiesa.

    Lutero non aveva in programma una diffusione in larga scala delle sue tesi che invece, a sua insaputa, vennero prontamente date alle stampe da ignoti, in un gran numero di copie. Il risultato fu un grande impatto sulla società tedesca di allora. Ma chi sostenne i costi di tale operazione? Cui prodest una simile operazione politica? L’ipotesi più plausibile è che i responsabili siano stati settori della nobiltà e della borghesia, ben motivati ad aizzare le critiche che uscivano dal seno stesso della Chiesa, a sostegno delle loro rivendicazioni di autonomia.

    La risonanza avuta dalla pubblicazione delle Tesi poneva Lutero come il nuovo riformatore, il vessillo del riscatto nazionale benché egli non ne avesse ancora una piena consapevolezza: «era come un uomo che saliva nelle tenebre per la scala a chiocciola del campanile di un’antica cattedrale. Nell’oscurità tese la mano per mantenersi in equilibrio e si afferrò a una corda. Trasalì nell’udire il rintocco di una campana» ⁵ . Le critiche diffusesi in Germania sulla mondanità del papato e gli sfarzi della sua corte si mescolavano con questioni di carattere morale, religioso e fiscale.

    Numerosi furono i momenti di duro confronto, come la disputa di Lipsia del luglio 1519 tra il teologo Eck, su posizioni papaline, e Lutero, con i rispettivi gruppi di seguaci. Con dovizia di particolari, lo storico Roland H. Bainton ne fa un dettagliato e colorito resoconto.

    Per prepararsi alla disputa con Eck e a confutare il primato papale, Lutero si accinse a studiare le decretali pontificie degli ultimi quattro secoli, uno studio che mise in evidenza la loro inattendibilità e che l’avrebbe portato a radicalizzare ulteriormente le sue posizioni, fino a resuscitare l’anatema dell’Anticristo, già usato da alcune sette medievali nei confronti di certi papi del passato. Lo storico Thomas Kaufmann chiarisce ulteriormente l’interpretazione del papato secondo Lutero:

    rappresenta quel potere ostile a Dio che, come annunciato dai testi apocalittici della Bibbia, si erigerà alla fine dei tempi sopra tutto ciò che rappresenta Dio o il suo culto. Tale potere prenderà possesso del tempio di Dio e fingerà di essere Dio: l’Anticristo dunque.

    Lo stesso Bainton sottolinea una differenza importante:

    Mentre costoro [le sette, N.d.A. ] identificavano con l’Anticristo determinati papi per la loro cattiva condotta, Lutero sosteneva che tutti i papi erano Anticristi, anche se personalmente avevano una vita esemplare, perché l’Anticristo è collettivo, è una istituzione; il papato è un sistema che corrompe la verità di Cristo. Perciò Lutero poté ripetutamente rivolgersi a Leone X in termini di rispetto personale appena pochi giorni dopo avere inveito contro di lui chiamandolo Anticristo.

    Queste spiegazioni, alla luce degli strumenti teorici qui adottati, si possono decodificare nel seguente modo: innanzitutto con l’accusa di Anticristo Lutero metteva in evidenza l’avvenuto cambiamento dei fini nell’operato della Chiesa; in secondo luogo affermava che il fenomeno, in quanto tale, non era ascrivibile alle scelte sbagliate o alla malvagità di alcuni papi, bensì a un dato strutturale interno all’organizzazione della Chiesa di Roma: fu un’intuizione rivoluzionaria.

    Si consumava in questo modo il passaggio epocale da una critica luterana ancora interna alla Chiesa, presente nelle 95 tesi, alla critica netta e antagonista che d’ora in poi Lutero avrebbe mosso dall’esterno a tutto il papato e che presupponeva la crisi del suo paradigma organizzativo, la sua delegittimazione e la necessità di rielaborarne un altro completamente nuovo. Si presentava a Lutero la consapevolezza di dover dare vita a un’impresa titanica: non più la disputa teologica sulle 95 tesi ma il superamento dell’intera impalcatura della Chiesa di Roma; era la rimessa in discussione del secolare diritto canonico e la sua forma organizzativa che generava profonde disuguaglianze dentro il popolo dei cristiani.

    Oggi si resta perplessi di fronte ad alcune analisi sulla disfatta politica della sinistra alle elezioni del 2008 e alla sua espulsione dal Parlamento; secondo queste analisi tutto si spiega scaricando le responsabilità sulle scelte politiche sbagliate dei dirigenti e ignorando la falsa neutralità della forma organizzativa del partito che era, invece, il meccanismo che aveva innescato il loro trasformismo.

    In altri termini, si preferisce occultare il dato di sistema a forte determinazione formale, presente fin dalla fondazione di queste organizzazioni politiche, e i suoi meccanismi strutturali per privilegiare un approccio tutto politicista basato solo sulle questioni di linea politica e quindi sulle colpe dei dirigenti, un metodo fin troppo facile e meno impegnativo, ma pericoloso perché presuppone e legittima la logica del tradimento e occulta altre cause più profonde.

    Lutero, cinquecento anni prima, era arrivato a comprendere un fenomeno che alcuni analisti attuali ancora non vedono, oppure non vogliono vedere, fino ad arrivare ai ben noti professionisti della politica che lo vogliono premeditatamente occultare per continuare a mantenere i loro privilegi, il loro potere e il ruolo di mediatori, i cardinali della rappresentanza politica.

    L’alleanza con la nobiltà e il limite invalicabile della Riforma

    Nell’estate del 1520, preoccupato dalla piega degli eventi e dal timore di essere condannato a morte, Lutero decise di rivolgersi ai laici e ai nobili chiedendo loro protezione, ben sapendo che l’avrebbe trovata. Lo scontro con la Curia romana, con il Papa e con la nobiltà romana e italiana si dispiegò in tutta la sua virulenza. In questa fase della contesa Lutero pubblicò il testo Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca , uno scritto fortemente accusatorio sull’inutilità della Curia romana ma che, cosa più importante, sanciva l’alleanza con la nobiltà tedesca e nello stesso tempo stabiliva il limite invalicabile della Riforma, che si espresse in un’intesa con la nobiltà terriera, nella forma dominante di una rivoluzione religiosa, politica e culturale; nello stesso tempo gettava le premesse della frattura e dello scontro con il teologo Thomas Muntzer, il profeta armato e la rivolta dei contadini che esploderà tra il 1524-25 con esiti drammatici.

    Qualche mese dopo scrisse il testo La prigionia babilonese della Chiesa , in cui minava le funzioni di alcuni sacramenti: fu un poderoso sforzo di elaborazione e di revisione teologica e culturale, che diedero al messaggio riformatore i necessari rapporti di forza militari, teologici, etici e ideologici, nonché la determinazione e la sicurezza per poter affrontare lo scontro.

    Lutero ridusse in un solo colpo il numero dei sacramenti da sette a due, eliminando la cresima, il matrimonio, l’ordine sacro, la penitenza e l’estrema unzione. Rimasero soltanto la Cena del Signore e il battesimo  [...]. Negando che l’ordine sacro sia un sacramento, si veniva a demolire il sistema di casta del clericalismo e si offriva una base solida al sacerdozio universale.

    Lo storico Bainton cita direttamente Lutero:

    Tutti noi che fummo battezzati siamo, senza distinzione, dei sacerdoti, ma quelli che chiamiamo sacerdoti sono ministri, scelti tra di noi finché compiano certe cose in nome nostro, ed il loro sacerdozio non è altro che un servizio. ¹⁰

    Anche in questo caso, una lectio magistralis per gli odierni e passati segretari politici papalini dei partiti della sinistra e per la loro corte di lunga durata.

    Nell’ottobre 1520 si alza ancora di più il livello dello scontro: arriva la bolla papale Exurge Domine che iniziava la sua invettiva contro Lutero, nel seguente modo: «Sorgi o Signore, e giudica la tua casa; un cinghiale ha invaso la tua vigna», nella quale si confutavano 41 delle tesi di Lutero ritenute eretiche. Gli veniva dunque intimato di ritrattare e di sottomettersi all’autorità della Chiesa. Con la coerenza e la determinazione che gli veniva data dalle proprie convinzioni e dal sostegno di cui godeva, Lutero rovesciò l’evento: scomunicò il Papa e le sue gerarchie, ritenendolo in preda all’eresia e all’errore, e bruciò pubblicamente la bolla papale insieme ad alcuni testi di diritto canonico e della Scolastica. «Hanno bruciato i miei libri, e io brucio i loro. Il codice canonico è stato incluso, perché fa del papa un dio in terra»

    ¹¹ .

    Era la

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