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Il pasticciaccio: Gadda e la filosofia
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E-book158 pagine1 ora

Il pasticciaccio: Gadda e la filosofia

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Il volume racchiude gli Atti del Convegno di Studi che si è tenuto il 28 Novembre 2013 all'Università di Bologna. A quarant'anni dalla morte dello scrittore e a vent'anni dalla pubblicazione dell'ultimo volume delle Opere complete (Garzanti 1993), torniamo a riflettere sulla figura di Gadda, sull'eterogeneità della sua formazione e l'ecletticità dei suoi scritti. In particolare, i sei interventi qui raccolti mirano a considerare le interazioni fra Gadda e la filosofia, quest'ultima intesa sia come bagaglio di conoscenze che ha influenzato i testi e lo stile dell'Ingegnere, sia come esercizio di un sapere polimorfo e complesso che egli ha saputo perseguire nei suoi lavori, letterari e non.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2015
ISBN9788891188687
Il pasticciaccio: Gadda e la filosofia

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    Anteprima del libro

    Il pasticciaccio - Lucia Lo Marco

    Prefazione

    di Lucia Lo Marco

    La figura di Carlo Emilio Gadda è forse una delle più intriganti e insieme esplosive del Novecento italiano. Ingegnere per formazione, prosatore «per carattere» e filosofo per vocazione, Gadda non si lascia contenere in un unico ruolo e in un’unica «funzione». Come la sua scrittura egli si colloca oltre, o meglio, «tra» ogni denominazione che si voglia far definitoria e stigmatizzante: ingegnere-scrittore, saggistapoeta, scrittore-filosofo…

    Le celebrazioni per il centenario della nascita, nel 1993, lo hanno consacrato come uno dei massimi prosatori italiani; la pubblicazione del quinto ed ultimo volume dell’edizione dell’Opera completa (Garzanti, 1988-1993) ne ha sancito ufficialmente l’ingresso tra i «classici» della letteratura italiana e ha dato avvio a nuove riflessioni sulla sua opera sotto un profilo non esclusivamente letterario. Negli ultimi anni è stata raccolta una messe di studi considerevoli sulle implicazioni della sua produzione narrativa in altri campi del sapere, come la psicanalisi, le arti visive e la fenomenologia. È stato inoltre riconsiderato il contributo della Meditazione milanese che, spesso usata per spiegare la sua poetica e piegata alla comprensione della sua opera narrativa, vede solo in tempi recenti un riconoscimento filosofico in senso proprio in quanto opera teoreticamente autonoma ed originale.

    Oggi si è così risvegliato un interesse filosofico per la produzione dell’autore e, accanto alla «funzione Gadda per la letteratura» (secondo la formula coniata da Gianfranco Contini), viene a delinearsi una «funzione Gadda per la filosofia»: il 2002 vede una riedizione della Meditazione milanese in volume unico¹, mentre nel 2006 Riccardo Stracuzzi cura l’edizione delle pagine preparatorie alla tesi di laurea in filosofia², da Gadda mai discussa e mai ultimata.

    A tali osservazioni occorre aggiungere, inoltre, una considerazione stilistica: in Gadda l’indecidibilità tra una «prosa filosofica» e una «filosofia narrativa», in cui collaborano competenze tecnicoscientifiche e psicanalitiche, riferimenti storico-autobiografici e letterari, riflette la tendenza moderna di un sapere interdisciplinare e connettivo, e fa della sua Opera il paradigma di una nozione ampia di filosofia.

    In questo orizzonte nasce l’idea di organizzare una giornata di studi presso il Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell’Università di Bologna³. Gli atti di tale giornata qui raccolti sono volti a considerare il carattere composito della produzione gaddiana proprio a partire dai riconoscimenti «extra-letterari» e filosofici degli ultimi anni.

    Gli interventi del convegno non si sono limitati a considerare solo gli aspetti dichiaratamente filosofici dell’opera dell’Ingegnere, ma hanno spaziato in molteplici direzioni, affrontando la complessità degli scritti gaddiani sotto profili diversi. Il saggio di Alberto Godioli, che apre il volume, indaga il valore dei riferimenti filosofici nei testi letterari gaddiani (a partire dal Pasticcaccio come caso paradigmatico), mentre Marcos Rico Dominguez e Gianmaria Merenda esaminano i rapporti tra l’opera narrativa e alcune tematiche più propriamente artistiche e psicanalitiche (vedi il tema della «moltiplicazione» rispettivamente nel barocco e nell’io, considerato anche nel riferimento ai lavori di Gilles Deleuze). I contributi di Lucia Lo Marco e di Igor Pelgreffi si soffermano invece sulle relazioni fra Gadda e i dispositivi del cinema e della radio (postulando in esse la presenza di problematiche di portata e spessore filosofici, specialmente sul piano della relazione tra linguaggio, stile ed espressione). Il saggio di chiusura, di Manlio Iofrida, restituisce infine la figura di Gadda come quella di un «pensatore in proprio» a tutti gli effetti, capace di confrontarsi direttamente con personalità che hanno segnato in modo decisivo la filosofia del XX secolo (primo fra altri Maurice Merleau-Ponty, ma non solo).

    Nel confronto e nelle reciproche implicazioni tra questi aspetti della produzione gaddiana, che nel complesso degli interventi si rivelano nei loro tratti teorico-filosofici, critico-autobiografici e stilisticolinguistici, prendono forma problemi di natura epistemologica, estetica e etica. Il convegno ha così potuto svolgere due funzioni importanti: da un lato quella di mostrare che la relazione tra Gadda e la filosofia è, come la sua stessa opera, prismatica, multiforme e abbordabile da prospettive diverse; dall’altro lato quella di riflettere sulla potenzialità della filosofia stessa di farsi punto di raccordo tra discipline e linguaggi eterogenei che, seppur diversi dalla filosofia, contribuiscono alla diffusione e alla circolazione di idee filosofiche e scientifiche.

    A vent’anni dal primo centenario che ne ha ufficializzato la celebrità in campo letterario, e nella ricorrenza dei quarant’anni dalla sua morte, una riflessione su Gadda e la filosofia mira dunque a comprendere la figura dell’Ingegnere alla luce di questi nuovi approfondimenti, riconoscendogli un pensiero filosofico autonomo ed innovativo.

    1    C.E. GADDA, Meditazione milanese, note al testo di P. Italia, Garzanti, Milano 2002.

    2    La teoria della conoscenza nei «Nuovi saggi» di G.W. Leibniz e Abbozzi per tesi di laurea, entrambi a cura di R. STRACUZZI, in «I quaderni dell’ingegnere. Testi e studi gaddiani», 4 (2006), pp. 5-44 e 45-68.

    3    Il Convegno di Studi si è tenuto il 28 Novembre 2014.

    «Non datur saltus».

    Racconto e filosofia nel Pasticciaccio

    di Alberto Godioli

    1. Il mondo come continuum: Kant e il modernismo

    L’interrogatorio di Ines Cionini, nel settimo capitolo del Pasticciaccio, segna una svolta nella ricerca dei colpevoli sia del furto Menegazzi, sia dell’omicidio di Liliana⁴. Eppure, come il narra-tore tiene a sottolineare, Ines era stata coinvolta nelle indagini per una serie di casi (almeno a prima vista) fortuiti:

    Il caso (non datur casus, non datur saltus) be’ viceversa pareva esser proprio lui quella notte a sovvenire i perplessi, a raddrizzare le indagini, mutato spiro il vento: il caso, la fortuna, la rete, un tantinello smagliata, un tantino sfilacciatella del pattuglione, più che ogni sagacia d’arte o capillotomica dialessi.

    Il tono del passo è perlomeno ambiguo: da una parte, il principio del non datur casus sembra contraddetto dagli eventi, dato il carattere fortuito del coinvolgimento di Ines; dall’altra parte, per un autore convinto che la materia del reale sia tutta implicata in un groviglio di concause, riesce difficile pensare che la categoria del puro caso abbia una qualche valenza ontologica – piuttosto, il caso sarà un’idea alla quale la ragione ricorre quando i legami tra i fenomeni sono troppo complessi o sotterranei per essere percepiti⁶. Del resto, Gadda ci avverte: pareva esser proprio il caso, non fu il caso, a raddrizzare le indagini.

    Le locuzioni non datur casus – non datur saltus, dunque, vengono smentite solo superficialmente dal corso degli eventi, anzi rinviano a un principio di poetica fondamentale per Gadda anche nel Pasticciaccio. Varrà quindi la pena interrogarsi sulle origini e sulle implicazioni dell’inciso gaddiano, malgrado la sua apparenza dimessa. Non datur saltus richiama anzitutto, naturalmente, la massima di origine aristotelica natura non facit saltus, ripresa peraltro anche da Leibniz in un passo dei Nuovi saggi che avrà senz’altro catturato l’interesse di Gadda: «Tout va par degrés dans la nature et rien par saut, et cette règle, à l’égard des changements, est une partie de ma loi de la continuité»⁷. Il luogo del Pasticciaccio sembra però legato in modo più diretto a una pagina della Critica della ragion pura. In chiusura alla sezione terza dell’Analitica dei principi, Kant riporta a distanza ravvicinata entrambe le formule citate da Gadda:

    Tutto ciò che accade è ipoteticamente necessario […]. Pertanto, la proposizione: «nulla avviene per un cieco caso (in mundo non datur casus)», è una legge a priori della natura; lo stesso vale per la proposizione: «nessuna necessità nella natura è cieca, bensì condizionata, quindi è una necessità intelligibile (non datur fatum)». […] Il principio della continuità vietava nella serie dei fenomeni (mutamenti) ogni salto (in mundo non datur saltus), ma anche ogni vuoto o lacuna tra due fenomeni (non datur hiatus) nell’insieme di tutte le intuizioni empiriche nello spazio; infatti, la proposizione si può esprimere così: nell’esperienza non può rientrare nulla che dimostri un vacuum. […] [Queste proposizioni] si unificano esclusivamente per non ammettere niente nella sintesi empirica che possa arrecare danno o pregiudicare l’intelletto e la connessione continua di tutti i fenomeni, cioè l’unità dei suoi concetti⁸.

    Come prevedibile, nell’edizione della Critica conservata presso il Fondo Roscioni e annotata da Gadda tra 1923 e 1929, questa pagina reca numerose sottolineature; la stessa formula non datur saltus verrà inoltre ripresa da un appunto di Gadda in margine a un passo della Dialettica trascendentale⁹.

    Non sembra fuori luogo, d’altronde, che in un punto così cruciale del romanzo riaffiori proprio quell’«Emmanuele Kant» che fin dalle prime pagine veniva incluso tra i principali interlocutori filosofici di Ingravallo¹⁰. Come accade per altri aspetti del pensiero di Kant¹¹, le pagine della Critica dedicate alla connessione e alla continuità del reale vengono senza dubbio riformate – o meglio deformate – dalla rilettura gaddiana; nondimeno, la loro influenza pare tutt’altro che secondaria. Un’ulteriore conferma viene da un altro luogo dell’Analitica dei principi, nel quale Kant espone in forma più estesa la legge del non datur saltus:

    Tra la realtà che si trova nel fenomeno e la sua negazione sussiste una connessione continua, fatta di molte possibili sensazioni intermedie […]. Quella proprietà delle quantità, secondo cui tra le parti di queste ultime non ve n’è alcuna che sia la più piccola possibile (cioè non vi è alcuna parte semplice), si chiama la continuità delle quantità. Spazio e tempo sono quanta continua […]. Quantità di questo genere si possono chiamare anche fluenti, poiché nel produrle la sintesi (della facoltà produttiva di immaginazione) è un procedere nel tempo, e in particolare la continuità di quest’ultimo viene designata solitamente con il termine fluire (scorrere). […] Il fenomeno, inteso come unità, sarà un quantum, e come tale sarà sempre un continuum.¹²

    Il passo è degno di nota per vari motivi: in primo luogo perché Kant si rifà in modo diretto alle teorie di Leibniz sulle petites perceptions, che pure Gadda conosceva bene¹³; in secondo luogo per l’affiorare della sfera semantica del fluire, in Gadda onnipresente (sebbene declinata in termini più nettamente eraclitei)¹⁴; ma soprattutto perché il termine usato a più riprese da Kant qui e altrove – quantum – non può non suonare familiare al lettore del Pasticciaccio.

    Le teorie di Ingravallo sul «quanto di erotia» alludono certo, com’è ormai noto, al lessico della meccanica quantistica¹⁵. Tuttavia, sulla base degli indizi raccolti finora, sembra molto probabile che anche Kant abbia influito sulla scelta terminologica del commissario: anzi, si direbbe che Gadda colga implicitamente una sorta di paradossale compatibilità tra la fisica kantiana e le teorie di Schrödinger e Heisenberg, anticipando così un’ipotesi che solo in anni recenti la filosofia della scienza ha reso oggetto di studi sistematici¹⁶. Del resto, la stessa giustapposizione da parte di Gadda dei due principi kantiani non datur casus e non datur saltus sembra alludere a una concezione binaria dei fenomeni, non lontana dal dualismo onda-particella contemplato dalla fisica quantistica: la realtà è al contempo un groviglio di quanta discreta infinitamente e caoticamente connessi tra loro (gli «gnocchi unti, agglutinati, filamentosi» della Meditazione, SVP 887), e un flusso di quanta continua trascorrenti l’uno nell’altro. Non a caso, commentando un paragrafo della Dialettica trascendentale in cui si ribadisce appunto come ogni quantum possa essere considerato sia come continuum che come discretum, Gadda glossava a margine: «Bene | Atomi, molecole»¹⁷.

    Che l’Analitica dei principi sia un punto di riferimento nella riflessione gaddiana sul mondo come flusso continuo, peraltro, è suggerito anche dal paragrafo La materia

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