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Esperienza estetica. Un approccio naturalistico
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E-book282 pagine3 ore

Esperienza estetica. Un approccio naturalistico

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Declinata secondo molteplici prospettive, la categoria dell’esperienza estetica è oggi più che mai centrale nel panorama culturale globale. Il presente volume ha lo scopo di naturalizzare l’esperienza estetica, ossia di spiegarne le proprietà essenziali alla luce dei risultati della psicologia cognitiva, delle neuroscienze, della biologia. Inoltre, proprio la naturalizzazione dell’esperienza estetica rende possibile comprendere che tipo di entità sono le opere d’arte e che tipo di conoscenza è quella artistica. Al tempo stesso, in quanto l’esperienza estetica costituisce un fenomeno mentale esemplare, la sua naturalizzazione consente di chiarire sia alcune questioni rilevanti interne alle scienze cognitive, sia alcuni snodi problematici di fondo relativi al naturalismo.
LinguaItaliano
Data di uscita15 dic 2010
ISBN9788878534049
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    Anteprima del libro

    Esperienza estetica. Un approccio naturalistico - Gianluca Consoli

    capitolo.

    CAPITOLO I

    MENTE. ESPERIENZA ESTETICA ED ELABORAZIONE COGNITIVA

    1.1 Potere organizzativo

    Per lungo tempo lo spazio delle proprietà estetiche nella cultura occidentale è stato articolato intorno a predicati come ‘bello’, ‘grazioso’, ‘elegante’, ‘sublime’, ‘armonico’, etc. L’arte contemporanea ha poi dimostrato che l’insieme delle proprietà estetiche è indefinitamente aperto. Senza eccedere in affermazioni apodittiche come quelle di Mothersill (2004), secondo le quali la bellezza è un concetto senza tempo e vi sono termini simili in tutti i linguaggi, si può discutere su come sia articolato lo spazio delle proprietà estetiche in forme di vita non occidentali o occidentalizzate. In questa ottica si possono condurre precise indagini empiriche. Resta fuori di dubbio, invece, che l’esperienza estetica caratterizza ogni forma di vita, quale che sia l’organizzazione dello spazio delle proprietà estetiche. Questo perché l’esperienza estetica è un adattamento cognitivo che emerge dall’evoluzione e che ricopre una funzione ben precisa nella mente.

    Per chiarire questo punto occorre distinguere due sensi con cui si può usare la nozione di esperienza estetica. In senso generico, l’esperienza estetica non è altro che una modalità particolare di valutazione affettiva, vale a dire è una valutazione associativa (in base alla quale le rappresentazioni vengono etichettate con un marcatore affettivo), olistica (produce semplici discriminazioni come positivo vs. negativo, buono vs. cattivo), automatica (non viene attivata intenzionalmente), basata sul meccanismo della ricompensa e della punizione (Zajonc, 2000). Come una qualsiasi altra forma di valutazione affettiva di questo tipo, l’esperienza estetica può essere parte del processamento dell’informazione volto alla soluzione dei problemi e alla presa di decisioni (Schwarz, 2000). In particolare, può essere relativa al processo di elaborazione dei contenuti come tale, rilevandone alcuni indici strutturali, oppure può essere relativa ai contenuti stessi, segnalandone alcune caratteristiche significative (Koriat, 2006).

    Come esempio del primo caso possono essere indicati i giudizi di bellezza di base, ordinaria e quotidiana (daily beauty), quali i giudizi di piacevolezza, gradimento, predilezione, nei quali un’esperienza soggettivamente piacevole è relativa a un oggetto senza che vi sia la mediazione di ragioni e argomenti. Questo tipo di piacere è una funzione della dinamica di processamento propria del soggetto percipiente, più precisamente della fluidità (fluency) di questo processo. Tale caratteristica è marcata positivamente, e quindi soggettivamente esperita come piacevole, in quanto è correlata con la disponibilità di conoscenze appropriate, con la velocità e l’accuratezza del riconoscimento (Winkielman et al., 2003).

    Come esempio del secondo caso possono essere indicate tutte quelle situazioni nelle quali la bellezza rappresenta un indizio che attrae l’attenzione su un particolare oggetto, in quanto, pur se sono assenti altri motivi, attribuire un’alta attenzione a esso si rivela vantaggioso in termini evolutivi. Per esempio, nell’attrazione sessuale si registra una preferenza per le facce prototipiche in quanto questa caratteristica rappresenta un segno di benessere e quindi favorisce il vantaggio riproduttivo (Symons, 1995).

    La nozione di esperienza estetica, però, può essere usata anche in modo specifico. In questo senso non è rivolta verso l’esterno, non contribuisce alla soluzione di problemi e alla presa di decisioni. Piuttosto è rivolta verso l’interno, verso l’organizzazione della mente e delle sue diverse capacità. Come sostengono Tooby e Cosmides (2001) all’interno della psicologia evolutiva, la mente è costituita da un numero elevato di subsistemi neurocognitivi specializzati, ognuno dei quali deve essere sviluppato. Per tale motivo ciascuno di questi sistemi può operare in due modi differenti: nel modo strumentale (utilitarian mode), quando realizza la funzione per cui è evoluto; nel modo organizzativo (organizational mode), quando sono attive operazioni volte alla strutturazione del sistema. In questo quadro l’esperienza estetica, intesa in senso specifico, fa parte, insieme al gioco e all’apprendimento, di quell’insieme differenziato di processi volto all’organizzazione degli adattamenti. Un esempio addotto dagli stessi Tooby e Cosmides: molti fenomeni naturali, come le stelle, il fuoco, le facce, i panorami, sono esperiti come belli perché le loro proprietà invarianti consentono loro di funzionare come banchi di prova per calibrare i nostri sistemi visivi.

    Una distinzione simile viene elaborata all’interno della prospettiva di ricerca che concepisce l’esperienza in genere come «enaction», vale a dire come attività basata su capacità (skillful activity) (Varela - Thompson - Rosch, 1991; Hurley, 1998; O’Reagan - Noë, 2004). In questa prospettiva si distinguono due modalità dell’esperienza. Nel primo senso viene intesa come insieme di operazioni senso-motorie, attenzionali, di categorizzazione automatiche e come tali poco accessibili al livello personale. In questo caso, l’esperienza funziona nella modalità della trasparenza (mode of transparency), il mondo si costituisce come dominio di fatti e stati di cose. Nel secondo senso viene intesa come esplorazione delle operazioni mentali in relazione con le disponibilità (affordances) offerte dal mondo. In questo caso, l’esperienza funziona nella modalità dell’attività (mode of activity), il mondo si costituisce come dominio di possibili attività esplorative.

    Intesa in senso non specifico, l’esperienza estetica va considerata nel primo significato. Intesa in senso proprio, l’esperienza estetica va considerata nel secondo significato. In quest’ultima prospettiva, attraverso l’esperienza resa possibile dall’oggetto estetico, vengono appresi nuovi pattern o connessi pattern prima slegati, vengono riorganizzate le capacità cognitive e affettive, soprattutto il soggetto afferra se stesso nell’atto dell’esplorazione. A questo proposito, Noë (2004) sottolinea che gli oggetti estetici rendono possibile l’esperienza nella forma dell’enaction autocosciente: attraverso l’esplorazione dell’oggetto estetico, si prende coscienza di se stessi come soggetti conoscitivi attivi che si confrontano col mondo quale dominio di disponibilità per possibili attività esplorative.

    Sin dall’inizio, tuttavia, occorre svolgere alcune precisazioni importanti. In primo luogo, è opportuno sottolineare che né intesa in senso generico, come forma di valutazione affettiva, né in senso specifico, come esperienza potenzialmente dotata di valore organizzativo, l’esperienza estetica costituisce un effimero coprodotto (byproduct). Al contrario, in entrambi i casi rappresenta un adattamento che contribuisce a produrre cambiamenti vantaggiosi nelle due direzioni verso cui questi possono aver luogo, verso il mondo esterno e verso la mente. Tuttavia, per quanto parte dell’adattamento verso l’esterno, nel primo significato l’esperienza estetica non ha alcuna specificità evolutiva o cognitiva, in quanto rappresenta solo una particolare tipologia di valutazione affettiva. Invece, per quanto apparentemente senza scopo poiché non rivolta direttamente al mondo esterno, nel secondo significato l’esperienza estetica ha una riconoscibile specificità evolutiva e cognitiva. Precisamente, come verrà approfondito nel terzo capitolo, più che di un adattamento, ossia di un tratto modellato dalla selezione per la funzione che ricopre attualmente, l’esperienza estetica dotata di potere trasformazionale rappresenta un esadattamento, vale a dire la rifunzionalizzazione del meccanismo della valutazione affettiva, meccanismo cooptato e convertito alla nuova funzione organizzativa.

    In secondo luogo, occorre precisare che ovviamente l’esperienza estetica non è confinata nell’ambito dei fenomeni naturali invarianti, ma può estendersi agli artefatti in generale, tanto che anche una teoria può essere oggetto di predicazione estetica, e agli artefatti artistici in particolare. Secondo le distinzioni proposte nell’introduzione, questi ultimi possono essere distinti in due categorie, costituite dall’arte transtorica e dall’arte storica. Tra le due sussistono profonde differenze (Dissanayake, 2000). I dati antropologici mostrano che nelle società premoderne l’arte è conservativa, in quanto l’originalità e la creatività vengono scoraggiate. Non è necessariamente bella né è accurata nella rappresentazione. Non è prodotta da alte capacità tecniche né è realizzata da uno specialista. Non è legata all’espressione individuale. Non viene apprezzata singolarmente in un luogo separato come il museo, piuttosto viene vissuta come esperienza di gruppo. Non è composta da oggetti (quadri, sculture, etc.) o attività (danze, performances, etc.) autonome. Le diverse manifestazioni non sono raccolte sotto una categoria superiore.

    Ciononostante, secondo la tesi di Dissanayake (2008), è possibile individuare un denominatore comune tra l’arte premoderna, quella moderna e anche quella postmoderna, condiviso in quanto selezionato come un universale dotato di valore adattivo. Tale denominatore comune è alla base della produzione dell’arte (artify) e consiste nel rendere speciale (making special). In tutte le istanze di questo comportamento, in ogni tempo e in ogni società, l’esperienza ordinaria viene trasformata e resa straordinaria, gli oggetti ordinari vengono resi speciali attraverso una serie di operazioni, come la semplificazione, la riduzione a pattern, la stereotipizzazione, l’esagerazione, la ripetizione, l’inversione. Come terza precisazione, sviluppando e in parte reinterpretando la proposta di Dissanayake, occorre evidenziare che uno dei compiti principali della naturalizzazione dell’esperienza estetica elaborata in questa sede è proprio quello di mostrare come il comportamento del rendere speciale risponde allo scopo generale della conoscenza, in particolare a una specifica configurazione di tale scopo.

    A questo proposito, come ulteriore precisazione, va sottolineato che l’esperienza estetica non è limitata a un singolo processo cognitivo, ma può intervenire nella costruzione della conoscenza nei vari formati simbolici e subsimbolici. Soprattutto, in quanto l’esperienza estetica si basa su una configurazione originale dello scopo generale della conoscenza, il potere organizzativo nell’ambito dell’informazione concettuale e proposizionale non coincide con astrazioni e generalizzazioni, così come nell’ambito dell’informazione incorporata non coincide con mere sensazioni piacevoli. È vero che la funzione dell’arte è rappresentare il costante, il permanente, l’essenziale (Zeki, 1999), tuttavia non certo nella forma delle regolarità nomologiche della spiegazione scientifica. Allo stesso modo, è vero che l’arte è correlata con il piacere estetico, tuttavia non certo nella forma della kantiana «arte piacevole», in cui l’esperienza fenomenica non è correlata alle rappresentazioni come modi di conoscenza.

    Infine, è opportuno anticipare che la spiegazione naturalistica dell’esperienza estetica non solo deve analizzare la specifica configurazione dello scopo della conoscenza, ma deve descrivere anche la continuità con cui questa configurazione si realizza nel passaggio dall’arte transtorica a quella storica. L’esperienza estetica, come si è detto, non coincide con l’esperienza artistica, nel senso che la classe degli oggetti estetici, cioè capaci di suscitare l’esperienza estetica, è più ampia della sottoclasse degli artefatti artistici. Come sottogruppo degli artefatti artistici vanno collocate le opere d’arte, intese come prodotti contingenti dell’arte storica. La naturalizzazione mostra che quest’ultima rappresenta la radicalizzazione delle caratteristiche interne all’esperienza estetica concepita in senso proprio e dotata di potere organizzativo. Se l’esperienza estetica si fonda su una specifica configurazione dello scopo generale della conoscenza, la conoscenza mediata dall’arte (knowing by art) è una radicalizzazione di tale configurazione. Ovviamente, come gli oggetti estetici in generale rendono possibile esperienze dotate di diversi livelli di potere organizzativo, allo stesso modo non tutte le opere d’arte rendono possibile la conoscenza tramite l’arte, almeno concepita in senso forte. Anzi, nell’arte intesa in senso storico, un ampio sottoinsieme di prodotti è esplicitamente lontano dallo scopo della conoscenza: rivolto all’intrattenimento, è finalizzato a suscitare una semplice esperienza vicaria come comunicazione di vissuti di coscienza.

    1.2 Atteggiamento estetico

    Quale che sia il formato del processo conoscitivo in gioco, simbolico o subsimbolico, quale che sia l’oggetto estetico, un fenomeno naturale invariante, un artefatto, un’opera d’arte, l’esperienza estetica intesa come attività organizzativa è un episodio temporalmente esteso in cui intervengono una pluralità di componenti integrate da cicli continui di feedback autorinforzanti. La cornice di fondo che sostiene questa collezione di processi è l’assunzione di uno specifico atteggiamento mentale. Tale atteggiamento precede e rende possibile l’esperienza estetica intesa in senso stretto, come interazione diretta e in prima persona con l’oggetto estetico.

    Spesso l’innesco di tale atteggiamento è automatico, facilitato da alcune proprietà dell’oggetto (per menzionarne alcune: l’armonia, la significatività, la complessità) e/o da alcune convenzioni (per esempio, l’esposizione in un luogo deputato). L’atteggiamento estetico può anche essere attivato intenzionalmente, laddove per esempio ci si confronta con oggetti estetici che hanno caratteristiche nuove e che quindi, per essere riconosciuti e trattati come tali, richiedono un processo deliberato di riflessione. È possibile anche attivare l’atteggiamento estetico con una decisione puramente personale. Come afferma Panofsky (1955), si può anche considerare il rosso di un semaforo esclusivamente sul piano estetico, pur se questo atteggiamento non è conforme all’intentio dell’oggetto, quella di strumento destinato a uno scopo pratico. Al contrario, l’opera d’arte è un artefatto che esige di essere esperito esteticamente e questo anche se ad essa viene attribuito il sovrascopo dell’utilità strumentale. In ogni caso, l’atteggiamento estetico non è un costrutto mitico o misterioso, ma piuttosto rappresenta un funzionamento particolare dell’attenzione, della motivazione, dei processi di elaborazione, che si realizzano secondo modalità specifiche in connessione con una classe di oggetti contraddistinti da una proprietà condivisa.

    In primo luogo, l’atteggiamento estetico riguarda il funzionamento globale dell’attenzione. L’oggetto estetico viene posto al centro dello spazio di lavoro. Le routine che di solito governano l’attività esplorativa vengono sospese: la loro attivazione non è più automatica, ma deliberata e controllata. L’insieme dei processi del primo livello, volti all’elaborazione dell’informazione proveniente dall’oggetto, vengono resi oggetto di coscienza. Si realizza una sorta di distanziamento cognitivo: al centro della metacoscienza non vi è la soluzione diretta di problemi, ma l’intera attività esplorativa di primo livello che si sviluppa in modo deliberato in relazione all’oggetto estetico.

    In secondo luogo, l’atteggiamento estetico riguarda la motivazione che sostiene l’attività esplorativa, organizzata su un doppio livello. Sullo sfondo è attivo lo scopo epistemico relativo all’acquisizione della conoscenza. In generale nell’uomo questo scopo è terminale, ossia non è finalizzato al raggiungimento di scopi ulteriori; è fisso, vale a dire è costantemente attivo; può assumere configurazioni diverse. Nell’atteggiamento estetico, lo scopo della conoscenza supporta gli scopi determinati prodotti dall’attività di esplorazione. A differenza dello scopo epistemico effettivamente attivo, questi scopi non sono genuini, nel senso che funzionano off-line: il soggetto li simula come se fossero realmente voluti e fa finta siano effettivamente perseguiti. In virtù dell’interazione tra lo scopo di fondo della conoscenza e i simil-scopi specifici, l’attività cognitiva oggetto della metacoscienza non è motivata da interessi strumentali, ma si muove liberamente nell’esplorazione dell’oggetto estetico, guidata solo dalla struttura e dalle proprietà di quest’ultimo.

    In terzo luogo, l’atteggiamento estetico riguarda il processamento dell’informazione, che viene realizzato secondo una precisa caratteristica. Le rappresentazioni elaborate, quale che sia il loro formato, motorio, percettivo, sensoriale, affettivo o simbolico, sono comunque distinte e tenute separate (marked-off) dalle rappresentazioni ordinarie in quanto, a differenza di queste ultime, sono disaccoppiate (decoupled) dalla stato effettivo della realtà, a cui possono corrispondere o meno. In questo modo, i processi esplorativi non sono riferiti alla situazione esterna effettiva, ma sono slegati dallo stato attuale del mondo.

    In quarto luogo, l’atteggiamento estetico viene assunto in relazione a una classe di oggetti che, per quanto appartenenti a generi diversi (enti naturali, artefatti in genere, opere d’arte), per quanto caratterizzati da qualità estetiche differenziate, esibiscono (almeno un certo livello di) una proprietà essenziale comune. Precisamente, la configurazione di base nella quale è incorporato il contenuto, nei vari formati possibili, non è un mero veicolo eliminabile, né il contenuto che emerge da tale configurazione è semplicemente universalizzabile in una formula. Piuttosto, l’oggetto si costituisce come una rete di associazioni che, nella sua realizzazione fisica, attrae l’attenzione come tale e alimenta i processi metacognitivi che sono stati descritti. In questo modo l’esperienza estetica è un’esperienza di significatività in cui si è assorbiti da e si è identificati con l’oggetto, in un impegno continuo che coinvolge le diverse facoltà mentali e ha il suo centro esclusivo nell’oggetto.

    Come si vede, l’atteggiamento estetico è implementato da un insieme di operazioni mentali profondamente integrate tra loro e intimamente interconnesse con l’oggetto estetico. Tali operazioni mentali verranno descritte in dettaglio nei paragrafi seguenti dal punto di vista cognitivo, nel secondo capitolo dal punto di vista affettivo, nel terzo capitolo dal punto di vista evolutivo, nel quarto capitolo dal punto di vista neurale. L’ultimo capitolo si occuperà dello statuto ontologico degli oggetti estetici.

    1.3 Forme di coscienza

    Uno dei modi più perspicui per spiegare l’esperienza estetica, in parte già emerso nella descrizione dell’atteggiamento estetico, è quello di evidenziarne la natura di esperienza cosciente complessa, nella quale vi è uno specifico funzionamento dell’attenzione, della struttura centro/periferia della coscienza transitiva, della relazione tra coscienza e metacoscienza. D’altra parte, l’esperienza estetica è in generale esplicitamente conscia, piuttosto che semplicemente registrata in modo inattentivo e inconsapevole. Esemplare in questo senso è l’interazione con le opere d’arte, oggetti di attenzione individuale, afferrati come una singola esperienza distinta, apprezzati come qualcosa che è fuori dal flusso ordinario dell’elaborazione, per lo più implicita e automatica (Dissanayake, 2000). Questo vale anche per quella che Danto (1986) chiama arte della disturbazione, nella quale non si realizza un’esperienza di unità nei termini sottolineati da Beardsley, nel senso che non vi è coerenza, in quanto le fasi dell’esperienza non si accordano piacevolmente insieme, né completezza, in quanto non vi è un senso soddisfacente di completamento.

    Dal punto di vista dell’attenzione, il soggetto dell’esperienza estetica è profondamente concentrato sull’oggetto che la occasiona. Non si verifica, però, semplicemente una concentrazione dell’attenzione. Piuttosto, come sostiene Bullot (2002), vi è l’interruzione del normale corso della percezione, bloccando e alterando la messa in esecuzione delle normali routine che guidano in automatico l’attività esplorativa degli oggetti spazio-temporali. Un esempio di operazione automatica può essere quella di fissare l’entità x e poi manipolarla per determinare se è dentro o fuori dall’entità y. Non si tratta, però, solo di operazioni senso-motorie, in quanto si estendono in generale alle attività in gioco nel riconoscimento e nella categorizzazione. Queste operazioni sono sviluppate attraverso l’apprendimento nella performance di atti ripetuti e sono automaticamente innescate da contesti simili senza controllo volontario e senza la consapevolezza delle operazioni che hanno luogo. Gli oggetti estetici in generale interferiscono con l’applicazione di queste operazioni. Gli oggetti artistici rappresentano congegni intenzionalmente basati su una particolare strategia di inibizione, in modo tale che il soggetto divenga consapevole sia della proprietà a cui di solito l’operazione è applicata, sia dell’operazione stessa.

    Dal punto di vista della coscienza transitiva, l’esperienza estetica è pienamente intenzionale, in quanto mostra tutte le caratteristiche definitorie dell’intenzionalità. È diretta verso un oggetto (directedness), verte su un oggetto (aboutness), il contenuto intenzionale viene presentato secondo modi intenzionali specifici e secondo una certa forma aspettuale (Crane, 2003). In questo quadro, l’esperienza estetica accentua la dinamica focus/fringe, centro/periferia, figura/sfondo propria della coscienza transitiva, in base alla quale nello spazio di lavoro alcune informazioni sono attenzionate, altre processate in modo inconsapevole, altre perse (Searle, 2004). Poiché le capacità della coscienza transitiva sono limitate, le parti e le relazioni dell’oggetto estetico non possono essere esperite all’unisono, interamente elaborate nel centro della coscienza. Piuttosto, l’oggetto estetico viene esplorato in sequenza, muovendo dalla periferia, nella quale vi è solo una comprensione implicita dei contenuti potenziali, verso il nucleo della coscienza attraverso l’esplicitazione di alcuni di questi percorsi potenziali. In tale movimento circolare dalla periferia al centro, i dettagli di contenuto incorporati nell’oggetto estetico funzionano come indizi che attivano associazioni nuove e inusuali, mentre la conoscenza generalizzata di tipo concettuale e proposizionale, insieme alle regole di interpretazione volontariamente richiamate, garantisce discriminazioni precise e accurate. Il contenuto intenzionale viene così veicolato in questo circolo, che a sua volta si fonda nell’oggetto estetico quale rete di associazioni e significati fisicamente incorporati (Epstein,

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