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Morfina
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E-book143 pagine3 ore

Morfina

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Friedrich Glauser (1896-1938), autore “maledetto”, succube della morfina, è vissuto tra un ricovero in cliniche psichiatriche e carcere, tra una disintossicazione e l’altra. Bisogna partire da qui se si vuole apprezzare questo libro. Ciò che racconta sono i capitoli di un viaggio. Il percorso di una vita disperata. Glauser è alla ricerca di sé. Non trovandosi si offre alla droga. Senza rimpianti, né autocommiserazione. Il suo è un viaggio di cui conosce le tappe.
Sono una ventina i frammenti della sua vita illustrati in queste pagine. Sono scritti come se ne fosse testimone e non protagonista. Un film a episodi commentato da uno spettatore. Non c’è un ordine cronologico. Si va dal rapporto con le droghe al liceo, frequentato al Collège de Genève e da cui fu espulso, oltre che per i pessimi voti, per aver scritto un articolo che massacrava le velleità letterarie di un professore; dalla clinica psichiatrica di Burghölzli, a Zurigo, in cui fu a lungo ricoverato, al periodo vissuto nella Legione straniera, sino al soggiorno a Nervi, in Liguria, dove muore il giorno prima delle sue nozze.
LinguaItaliano
Data di uscita6 nov 2014
ISBN9788897093480
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    Anteprima del libro

    Morfina - Friedrich Glauser

    Nervi

    Il libro

    Friedrich Glauser (1896-1938), autore maledetto, succube della morfina, è vissuto tra un ricovero in cliniche psichiatriche e carcere, tra una disintossicazione e l’altra. Bisogna partire da qui se si vuole apprezzare questo libro. Ciò che racconta sono i capitoli di un viaggio. Il percorso di una vita disperata, una vita dissipata. Glauser è alla ricerca di sé. Non trovandosi si offre alla droga. Senza rimpianti, né autocommiserazione. Il suo è un viaggio di cui conosce le tappe. Lo attrae la sofferenza e lui la sublima. L’accetta senza lamentarsene. I conflitti familiari potrebbero essere la scintilla della sua deriva, ma lui non cerca scuse, né alibi. Quel che fa è frutto delle sue decisioni.

    Sono ventisei i frammenti della sua vita illustrati in queste pagine. Sono scritti come se ne fosse testimone e non protagonista. Un film a episodi commentato da uno spettatore. Non c’è un ordine cronologico. Si va dal rapporto con le droghe al liceo, frequentato al Collège de Genève e da cui fu espulso, oltre che per i pessimi voti, per aver scritto un articolo che massacrava le velleità letterarie di un professore; dalla clinica psichiatrica di Burghölzli, a Zurigo, in cui fu a lungo ricoverato, al periodo vissuto nella Legione straniera, sino al soggiorno a Nervi, in Liguria, dove muore il giorno prima delle sue nozze.

    Glauser è un uomo che ha vissuto sempre al limite. Quando ha cercato rifugio dalla droga, l'ha trovato nella Legione straniera; un rifugio temporaneo, perché la droga l'ha inseguito anche al confine tra Algeria e Marocco, nella terra di nessuno. Prima, la sua vita bohémienne era stata interrotta da ricoveri nei manicomi, arresti, fuga dalla realtà. Fino al tentato suicidio.

    Un uomo maledetto. Che, a un certo punto della sua vita, prima di perdersi nel delirio della follia, incontra un angelo. Dopo quattro anni trascorsi nelle prigioni svizzere, si rifugia in Bretagna con Berthe Bende, un’infermiera che aveva conosciuto nell’ospedale psichiatrico di Müsingen, che per lui abbandona tutto. Con lei, finalmente trova la pace.

    Ecco la sua biografia, come lui stesso la racconta in una lettera al suo amico Joseph Halperin nel 1937: Vuoi i fatti? Eccoli: nato a Vienna 1896, madre austriaca e padre svizzero. Il nonno paterno, cercatore d'oro in California (senza scherzi), quello materno alto funzionario civile, (combinazione fantastica, non ti pare?). Scuola elementare, tre anni delle scuole superiori a Vienna. Poi tre anni alla scuola riformata di Glarisegg. Tre anni al Collège de Genève. Buttato fuori poco prima di presentarmi agli esami di maturità ... che passo a Zurigo. Poi l’incontro con il dadaismo. Mio padre vuole farmi rinchiudere e porre sotto tutela legale. Scappo a Ginevra… vengo ricoverato nell’ospedale psichiatrico di Münsingen per un anno (1919). Fuggito da lì. Un anno ad Ascona. Arrestato per morfina. Rispedito indietro. Tre mesi a Burghölzli (per una seconda perizia, perché Ginevra mi aveva dichiarato schizofrenico). Dal 1921 al 1923 Legione Straniera. Poi Parigi, lavapiatti. Belgio, minatore. Più tardi assistente ospedaliero a Charleroi. Morfina di nuovo. Imprigionato in Belgio. Estradato in Svizzera. Spedito per un anno a Witzwil. Dopo, operaio in un vivaio. Analisi. A Basilea come giardiniere, poi Wintherthur. Durante questo periodo (1928-1929) scrivo il mio romanzo sulla Legione Straniera. Un anno di corso presso il vivaio Oeschberg. Prosegue l’analisi. Dal gennaio '32 al luglio '32, a Parigi come scrittore 'freelance' (come si usa dire). Vado a trovare mio padre a Mannheim… mi arrestano per false prescrizioni mediche. Estradato in Svizzera. Imprigionato da luglio '32-maggio '36. Ecco tutto. Non è molto bello...

    Morfina

    Scrivevo, davo lezioni di tedesco e francese. Mangiavo poco perché quello che guadagnavo lo consegnavo al farmacista

    ***

    Sono arrivato alla morfina quasi per caso. Fu durante la guerra, quando non c’era nulla che confortasse. Il clima era cupo anche nei paesi neutrali. In quel periodo, tolleravo grandi quantità di alcol senza ubriacarmi, allora cercai un’altra sostanza che scacciasse i miei fantasmi e provai con l’etere. Ma il suo sapore era sgradevole. Il suo odore mi rimaneva addosso per giorni e giorni. Difficile liberarsene. L’etere è un veleno che aggredisce anche i polmoni. Una notte sentivo freddo. Una violenta emorragia polmonare, mi costrinse a cercare un medico. Non so come, ma lo trovai. Mi fece un’iniezione di morfina e m’impose di bere acqua e sale, in una soluzione concentrata. Ricordo perfettamente l’effetto di quell’iniezione. All’improvviso ero perfettamente sveglio. È difficile da descrivere. Era una sensazione di felicità, mai provata prima. Tutto il mondo era diventato diverso. La miseria in cui vivevo aveva perso ogni importanza, non c’era più. Mi trovavo in un’altra dimensione. Avevo la fortuna a portata di mano e tutto il mio corpo ‘sorrideva’. Quella ‘prima volta’, rimasi sveglio fino al mattino.

    Una settimana dopo fui ricoverato in ospedale. L’emorragia continuava a devastarmi. Sputavo ancora sangue. In corsia, l’armadietto dei medicinali non era chiuso a chiave. Nessuno lo sorvegliava, né lo custodiva. Ogni tanto rubavo un po’ di morfina e, non avendo siringhe, la inghiottivo. L’effetto era sempre lo stesso. La notte diventava bellissima. Non dormivo, pensavo, scrivevo poesie. Quando mi dimisero, ero già assuefatto, ma non ancora al punto da non smettere. Infatti, per molto tempo non la presi più. Poi mi trasferii a Ginevra. Qui ricominciò la miseria. Qui ricominciò la giostra. Non avevo denaro, mangiavo quando capitava. Così cercai di distrarmi e ricominciai con l’etere. Anche questa volta, però, il suo odore pestilenziale mi fece passare la voglia. I miei padroni di casa non erano proprio felici di quell’effluvio nauseabondo. Il farmacista che me lo procurava mi riforniva anche di morfina, senza ricetta. All’inizio la prendevo per via orale, poi con una siringa.

    Cominciò così la mia sventura. Come ogni sventura, all’inizio fu molto bella. Riuscivo a lavorare tantissimo: scrivevo, davo lezioni di tedesco e francese. Mangiavo poco perché quello che guadagnavo lo consegnavo al farmacista. All’improvviso, quell’uomo si trasformò in un sadico. Cominciò a rifiutarmi la morfina. Forse aveva paura. Superai l’ostacolo scrivendo io stesso le ricette. Un vecchio compagno di scuola, figlio di un farmacista, mi spiegò come: Mo. mur. (morphium muriaticum), acqua distillata e l’indicazione che si trattava di iniezioni….

    Durò fino a quando un farmacista s’insospettì e telefonò al medico di cui usavo il nome. Ricevetti la visita di un poliziotto (aveva un paio di baffi rossi e un odore sgradevole), ebbi un confronto con il farmacista che aveva sporto querela alla presenza di un commissario, firmai un verbale. Dopo avermi ammonito, mi lasciarono andare. È però impossibile disintossicarsi da soli. Trascorsi due giorni ero ancora davanti al commissario. Questa volta ero accusato anche di furto: avevo rubato una bicicletta per procurarmi il denaro di una dose. Finii dentro.

    La prima notte la trascorsi in una cella comune. Era una stanza di circa sei metri per quattro, arredata con assi che dovevano servire da brande. In un angolo aveva una latrina che scrosciava ogni cinque minuti con cronometrica precisione. Quando arrivai, verso le due del pomeriggio, era vuota. Emanava un nauseabondo odore di disinfettante. Qualche ora dopo, verso sera, si riempì di circa venti uomini. Eravamo ammassati gli uni sugli altri: drogati, ubriachi, delinquenti insieme a gente comune che aveva infranto chissà quale divieto.

    La notte fu penosa. Era luglio e faceva molto caldo. Io sentivo freddo, come succede a chiunque abbia una crisi d’astinenza. Verso mezzanotte non ce la feci più. Cominciai a battere i pugni contro la porta. Finalmente arrivò un brigadiere e chiese cosa stesse succedendo.

    Ah, il morfinomane disse semplicemente. Mi fece bere un grosso bicchiere di rum, poi mi accompagnò in un’altra cella e mi consegnò delle coperte. Nella stanza c’era solo un uomo: stava male anche lui. Aveva bevuto troppo e vomitava e piangeva continuamente. Piangeva sulla sua miseria, e temeva che non sarebbe più uscito dalla prigione. Mi costrinsi a consolarlo, e fu un bene, perché per qualche ora dimenticai la mia miseria.

    La mattina dopo mi condussero a St. Antoine, la prigione di stato, e mi rinchiusero una cella singola. Stavo davvero male, malissimo. Ricominciarono tutti i sintomi dell’astinenza: diarrea, vomito, dolori in tutto il corpo, panico. Con la morfina è così. A lungo si utilizza questo stupefacente contro il dolore fisico, il mal di testa e mille altri malanni. Ma i mali non scompaiono mai. Si nascondono. Aspettano il momento in cui manca la droga. Allora si manifestano tutti insieme, aggrediscono il corpo… sembra che lo divorino, a dimostrare che il destino non risparmia le sofferenze.

    Trascorrevo le giornate quasi sempre privo di sensi. Tra uno svenimento e l’altro sentivo la campanella del Collège. Era triste. A me metteva ancora più tristezza: quattro anni prima andavo anch’io in quella scuola, e guardavo spesso le finestre con le sbarre della prigione. Adesso c’ero io dietro una di quelle finestre. In quel periodo avevo ancora una certa passione per la letteratura, e mi ricordai la poesia che Verlaine aveva scritto in prigione:

    Le ciel est, par-dessus le toit,

    Si bleu, si calme!

    Un arbre, par-dessus le toit,

    Berce sa palme.

    Suonavo continuamente il campanello. Lo feci sino a quando la guardia perse la pazienza. Allora mi mise in un’altra cella in compagnia di una spia tedesca e uno scassinatore. Furono entrambi molto gentili: lo scassinatore mi diede delle sigarette, la spia, che era ricca, mi offrì del vino. Rimasi con loro sino a quando non arrivò un medico. Un quarto d’ora dopo ero all’ospedale.

    I sintomi dell’astinenza sono un supplizio. Il naso gocciola, si starnutisce in continuazione, a volte sembra che il cuore quasi si fermi… Qualunque cosa s’indossi, una maglietta, una canottiera o un lenzuolo, la pelle brucia come fossero grandi foglie di ortica. Lo stomaco non tollera alcunché. All’improvviso ci si accorge di avere una cistifellea, un fegato, un pancreas, dei polmoni. Alla fine si ha una certa conoscenza del proprio corpo. La notte, poi, il tormento raggiunge l’apice. Se gli stupefacenti creano paradisi artificiali, la crisi di astinenza procura un inferno artificiale.

    Dopo un paio di giorni fui trasferito all’ospedale psichiatrico di Bel-Air. A quei tempi, una condanna penale era considerata una ‘macchia dell’onore’, perciò grazie ad alcune conoscenze tra i magistrati di Ginevra, amici e parenti riuscirono a farmi dichiarare pazzo. Fui marchiato a vita: ‘dementia praecox’ (schizofrenia).

    Trascorsi un anno a Münsingen, poi ‘emigrai’ ad Ascona. Lì riuscii a vincere la battaglia contro la droga per due mesi, poi la storia ricominciò. Non c’è nulla di meno interessante della vita di un morfinomane. È composta di periodi in cui si prende la droga, e di periodi in cui la società ti costringe a disintossicarti.

    Tutte le motivazioni che si escogitano per giustificare l’assuefazione hanno spesso effetti letterari e poetici; in realtà si tratta di una porcheria che rovina la

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