Sulle tracce di un Dio che non so darti
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Anteprima del libro
Sulle tracce di un Dio che non so darti - Vanio Garbujo
Su tracce invisibili cercando il volto
A volto scoperto
Londra Brucia (Negramaro)
Strade che ho perso
dentro i tuoi occhi neri di fango,
stanchi di tutto e fatti di niente
ora le cerco in ogni parola detta per sbaglio
da chi non sa bene come passare
ad altra sorte io vivo disperso nei sotterranei
di questi tuoi giorni non resta
più niente dei tuoi rimpianti
solo il ricordo di alcuni istanti
stretti a dovere intorno alla pancia
come una cinghia per non dimenticare
il tempo che fugge verso i tuoi giorni
che sono niente ora che anch’io non ho direzione
e vago nel buio, non ho destinazione
e dammelo tu un nuovo indirizzo
dove trovarmi appeso a uno specchio,
a ogni ritorno un nuovo ritratto,
ad ogni ritorno appeso,
a uno specchio un nuovo ritratto
ad ogni ritorno un nuovo ritratto
appeso a uno specchio, ad ogni ritorno […].
Su tracce invisibili
Sul mare passava la tua via,
i tuoi sentieri sulle grandi acque
e le tue orme rimasero invisibili.
Salmo 77,20
Non c’è timore nel cuore perché è ancora
possibile camminare,
quando il tempo trova occhi accoglienti capaci
ancora di creare e narrare.
E fu così che il tuo Passo
segnò la via da percorrere
– sentiero invisibile –
che non fa che manifestarsi
sulle palme delle tue mani
dove Tu,
non smetti
di dipingermi e cantarmi.
Come perle d’Oceano, Vanio Garbujo, 2007
Il volto di Dio
Il tuo volto, Signore, io cerco, non nascondermi, il tuo volto.
Salmo 26,8
Nel Primo Testamento, è presente una continua e, a volte, drammatica ricerca del volto di Dio. Come non pensare a Mosè quando si trova davanti a Dio che si vela la faccia per non vedere il suo volto, perché si affermava che chiunque avesse visto il volto di Dio avrebbe perso la vita?
Nel Libro dell’Esodo 33,22-23 leggiamo: «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo». «Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere».
Poi, come non citare il re Davide che canta al Salmo 26: Di te ha detto il mio cuore: «Cercate il suo volto» il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto
.?
E nel Libro dei Numeri, al capitolo 6,25-26, dove il volto di Dio diventa una benedizione e una custodia per il popolo: «Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace».
E così, a un certo punto della storia biblica, Dio si è fatto carne, si è fatto occhi, bocca, naso, orecchie, capelli. Dio, nel grande mistero della Trinità, ha deciso di farsi volto in Cristo Gesù. Di più, i fratelli ortodossi, parafrasando la creazione dell’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio, dicono che Dio Padre ha creato l’uomo guardando il volto del Figlio.
Che cos’è un volto
Il tuo sorriso e il tuo sguardo,
il tuo passo e la tua voce erano materia e spirito?
L’uno e l’altra, ma inseparabili.
Le temps d’un soupir, A. Philipe
Se Dio ha ritenuto che il volto fosse così importante per mettersi in relazione con lui e fosse perfino questione di vita e di morte, a tal punto che, poi, si è incarnato in Gesù per togliere ogni velo tra Dio e gli uomini, allora non possiamo eludere la domanda sul nostro volto e sul volto degli altri per incontrare il volto di Dio.
Con semplicità, cercheremo di far memoria sull’importanza dei volti così da poter accompagnare la personale esperienza di ciascuno nel possibile incontro del volto di Dio.
Di questo Dio che non so darti, toglieremo un po’ di sabbia del deserto per scoprirne qualche traccia della sua presenza guardandoci allo specchio, contemplando un’icona, amando gli occhi della persona amata. Il nostro tentativo sarà di dare espressione e spessore e significato rinnovato al volto.
Da mille e mille anni, infatti, da che il volto umano parla e respira, si ha ancora l’impressione che non abbia ancora cominciato a dire ciò che è e ciò che fa.
Le visage humain, Antonin Artaud, luglio 1947
Il volto umano è respiro, è vita che si comunica. È mistero che si schiude e scrigno che si sigilla e difende. Il volto non è sola carne. È spazio, è possibilità, è porta aperta, è capacità di relazionarsi sempre, sia negandosi che offrendosi. Il volto è identità che si rivela velandosi e si vela svelandosi. Il volto è espressione di un’identità all’incrocio tra il visibile e l’invisibile. Possiamo affermare, con le parole del Re Davide, non solo il tuo volto, Signore, io cerco
, ma pure il tuo volto, amico che vedo allo specchio, ogni giorno io cerco
, il tuo volto, amato che vivi con me, io cerco
.
Il volto è spazio, è possibilità d’incontro tra persone e se è incontro tra le persone, il volto è una carne
in cui convivono una parola e uno sguardo, una forma e un contenuto, un’anima e un corpo. Il volto è irriducibile a qualsiasi categoria, ma allo stesso tempo è imprescindibilmente legato alla parola (io parlo, io ascolto) e allo sguardo (io vedo, io sono visto). Se il volto è tutto questo come allenarsi a viverlo in pienezza, così da poter vivere pienamente il rapporto con il Dio che si rivela in un volto?
Approcci al volto
Mai finora mi ero reso conto
di quanti volti ci siano.
I. Prose, R. M. Rilke, Oeuvres, Parigi 1966
Unicità e identità
Se è vero per tutti che il volto è uno spazio di possibilità di relazioni, è altrettanto vero che ogni volto è unico, originario. Non c’è un volto uguale all’altro. È esperienza irriducibile. Sebbene ciascuno sia un volto, nessuno può ritenersi maestro del volto dell’altro e, in realtà nemmeno del proprio volto. L’uomo si affaccia al mondo con il suo volto. È il suo biglietto da visita
al di fuori di qualsiasi confusione con altri. È luogo di unicità e, quindi, espressione d’identità. E, poiché, il volto è l’accesso al mondo dell’uomo, significa che l’uomo deve esercitarsi ad accogliere quest’unica identità di sé stesso per mettersi faccia a faccia con l’altro.
Non c’è altra via per un’autentica relazione se non in questi luoghi (volto) che s’incontrano, in questa carne fatta di parola e di sguardo che si affaccia a una medesima carne. Di più, perché questa identità prenda sempre più forma, richiede un tu che lo veda, che lo confermi, che gli corrisponda (nel senso per assonanza: rispondere con il cuore).
Il faccia a faccia è il luogo originario in cui ciascuno si crea tramite il riconoscimento dell’altro. Nella relazione vis-a-vis c’è una fecondità che ricorda che io ricevo il mio volto in parte dagli altri
. Ecco che, se è vero che il volto è unico e rivela la mia identità, è altrettanto vero che la mia identità non è compiuta ma è in continua relazione ed evoluzione con l’iterazione del volto degli altri. In fondo conosco la mia unicità visitando il volto di chi mi sta di fronte.
Lettura, io imparo a vedere
Se il volto, spazio/parola/sguardo di relazione, matura, attraverso l’incontro con l’altro che mi conferma o meno, che mi riconosce o meno, allora serve imparare a leggere il volto, perché inevitabilmente si presenterà con moltissime sfaccettature.
Come un unico diamante che attraversato dalla luce produce molti colori, così è il volto dell’uomo e può accadere, con sorpresa, che ci si può accorgere di quanti siano i nostri personalissimi volti e quelli degli altri.
L’ho già detto? Io imparo a vedere. Sì, incomincio. Va ancora male. Ma voglio mettere a profitto il mio tempo. Non mi era mai capitato di accorgermi, per esempio, di quanti volti ci siano.
C’è un’infinità di uomini, ma i volti sono ancor più numerosi poiché ciascuno ne ha più d’uno. Vi sono persone che portano un volto per anni, naturalmente si logora, diviene laido, si piega nelle rughe, si sforma come i guanti portati in viaggio.
Queste sono persone econome, semplici; non mutano di volto, non lo fanno pulire neppure una volta.
Va bene così, sostengono, e chi gli può dimostrare il contrario? Solo, viene da chiedersi: poiché hanno più volti, cosa ne fanno degli altri? Li mettono in serbo.
Li porteranno i loro figli. Capita anche, però, che li portino i loro cani. E perché no? Una faccia è una faccia. Altri, si mettono un volto dopo l’altro con rapidità inquietante, e li logorano. A tutta prima sembra loro di averne per sempre; ma sono appena sui quaranta, e già arriva l’ultimo. Questo naturalmente è una tragedia.
Non sono abituati a tener da conto i volti, il loro ultimo se ne va in otto giorni, ha dei buchi, in molti punti è sottile come la carta, e allora a poco a poco vien fuori il rovescio, il non-volto, e vanno in giro con esso.
I quaderni di Malte Laurids Brigge, Rainer Maria Rilke
Colpisce l’incipit del testo di Rilke, quando scrive: Io imparo a vedere. Sì, incomincio. Va ancora male. Ma voglio mettere a profitto il mio tempo. Non mi era mai capitato di accorgermi, per esempio, di quanti volti ci siano. C’è un’infinità di uomini, ma i volti sono ancor più numerosi poiché ciascuno ne ha più d’uno
. C’è un educarsi a vedere, un’iniziazione all’incontro dell’altro e del volto dell’altro, un imparare. Certo, all’inizio può andar male e ammettere questo è già umiltà, ma poi, gli occhi lentamente si aprono e per la prima volta si accorgono veramente del viso, dello guardo, dello spazio dell’altro che chiede ospitalità.
Rilke, solo dopo essersi messo con umiltà a imparare a vedere, scopre un modo di sguardi, un’infinità di volti, una varietà di espressioni, di ritratti, di dolori e di gioie, di nomi, di falsità e, insieme, di bellezza.
Al di là di sé stesso
Entrando sempre più in profondità in questa riflessione, ci accorgiamo come la molteplicità dei volti, la loro unicità e la rivelazione della singolare identità di ciascuno, ci conducano a compiere un successivo passaggio. Il volto è sempre nell’atto di