Marica
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Anteprima del libro
Marica - Manuela Di Blanca
27
Manuela Di Blanca
Volo di farfalla
Romanzo
A mia madre e a mia figlia,
a chi ha voluto fortemente
la pubblicazione di questo libro
e a me, che se non scrivo,
non vivo.
1
Devo dirglielo. Non posso più aspettare. Ma sì che adesso glielo dico.
Chiara è la tua migliore amica. Capirà. Lei ha sempre capito.
Me lo ripeto da mezz'ora. Ma stavolta è diverso.
Siamo sedute sull'altalena. Su due sedili, separati ma vicini. Guardiamo le nostre figlie mentre giocano al parco. Siamo ancora in marzo, ma da circa una settimana il sole scalda la città.
La mia bambina, Giulia, ha quattro anni. E la sua, Noelia, ne ha cinque. Stanno in groppa a un cavallo di legno con una grossa molla sotto. Insieme. Dondolano avanti e indietro, e scivolano giù ogni due per tre. Un po' una, un po’ l'altra. E ridono. Sono grandi amiche.
Oggi non sono soltanto io a lasciare un'amica, lo fa anche mia figlia. Ma per lei è tutto più semplice. Le ho detto solo che partiamo. E Giulia è abituata a viaggiare.
Chiara ha gli occhi sulle bimbe. Io li ho bassi sui miei piedi, che strofinano la terra creando due solchi.
Devo dirglielo. Non posso più aspettare.
Dio, quant'è difficile! Preferirei morire pur di non dare un dolore a Chiara. Ma proprio questa mia filosofia di vita, mi ha portato dove sono adesso. Alla morte di me stessa. E Chiara non vuole che io muoia. Lo so. Quindi anche a costo di soffrire, mi lascerà andare. O almeno
spero. Forse non approverà. Spero solo che capisca.
Le bambine urlano: <
Chiara si diverte a osservarle.
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Io alzo gli occhi e li riabbasso.
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Si volta lentamente a guardarmi mentre il sorriso le si spegne in volto. Tenta di leggere nel mio sguardo quanto di vero e doloroso ci sia in quelle parole, che forse suonano più assurde alle mie orecchie che alle sue.
Mai al mondo avrei pensato di lasciare mio marito. Se mi avessero detto quando l'ho sposato che sarebbe finita così, non ci avrei mai creduto. Nemmeno per un secondo.
E invece adesso, dopo cinque anni, devo essere io a farlo credere alla mia amica.
Durante il primo istante Chiara è perplessa. Poi ci guardiamo negli occhi e noto un fremito sulle sue labbra. Ha capito che è tutto vero. E doloroso.
Non guarda più le bambine. E non guarda più nemmeno me. Ora ha lo sguardo diritto, come fissasse un punto indistinto di fronte a sé.
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parole si sono esaurite nell'ultimo anno. Anno in cui ho cercato di fargli capire. Di far mi capire.>>
Chiara fa sì col capo. Un sì di chi sa cosa voglio dire. E di chi se lo aspettava prima o poi. Lo conferma subito.
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Continuo a scavare coi piedi i due solchi
sulla terra. Poi sembro volerli ricoprire. Poi insisto di nuovo creando due fosse verticali.
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Lei non dice nulla. Alza il viso in alto e strizza gli occhi per i raggi del sole che filtrano dagli alberi.
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La mia amica non risponde.
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Adesso non le rispondo io. Questa è la parte più difficile del mio discorso.
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Mi guarda come chi tenta di elaborare il motivo di tanto mistero.
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Chiara è scioccata.
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Chiara mi ascolta con attenzione. Ha ingoiato ogni mia parola.
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La bocca di Chiara s'increspa in un mezzo sorriso. Ma è tirato, poco spontaneo.
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E' sarcastica. Quasi pungente.
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Resta in silenzio per qualche secondo.
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Le rispondo in modo blando.
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E' accalorata. Una nota di rimprovero nella voce; una nota che mi ferisce.
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Lei non dice una parola. Gli occhi di nuovo sulle bimbe.
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Lei mi guarda.
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Chiara è a testa bassa. Fa no col capo. Ma più che un segno di negazione, sembra un segno di rassegnazione.
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Adesso mi uccide.
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Sgrana un po' gli occhi.
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Non voglio ribattere.
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Chiara annuisce.
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Chiara mi guarda con espressione amara. Poi fa un grande respiro. Magari le viene da piangere e prova a trattenersi. O forse sta tentando di digerire questo discorso così indigesto.
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<ti capisco. Ma probabilmente è normale. Perché quasi quasi, non mi capisco nemmeno io.>>
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Questa domanda sembra aprire uno squarcio tra le fitte nubi dei miei pensieri.
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Ci guardiamo per un attimo. Stupite entrambe dalla mia risposta e incapaci entrambe di darci una spiegazione logica.
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<
2
Il volo per Barcellona è stato tranquillo. Giulia mi ha chiesto perché papà non veniva con noi e io le ho risposto che lui andava da un'altra parte. E' vero. Andrea è partito per Lugano stamattina presto. Ha uno studio legale in Svizzera e una volta al mese va per seguire i suoi clienti lì. Resta uno o due giorni al massimo e oggi cadeva il suo viaggio mensile. L'ho fatto apposta ad andar via contemporaneamente a lui. Niente addii sulla porta. Niente parole di circostanza da inventare. Quando torna, non mi troverà. Punto.
Gli ho detto solo ieri sera che saremmo partite oggi. Per Barcellona. Ho aspettato che finisse di cenare e gliel'ho detto senza troppi giri di parole. Lui mi ha guardata, era cupo in volto ma non ha detto nulla. Poi è andato in camera della bambina per darle la buonanotte.
Stamattina l'ho sentito andar via. Era ancora buio. Ho avuto l'istinto di alzarmi per andare a salutarlo, come facevo una volta. Come facevo quando eravamo ancora felici. Mi sembra sia passata un'eternità. L'ho sentito temporeggiare qualche secondo sulla porta. Forse anche lui era indeciso se salutarmi o meno. Ma sono stati pensieri inconsistenti come nuvole. Io sono rimasta a letto, e lui è uscito.
Ho avvertito una forte rabbia nei suoi confronti. Ancora una volta. Non ha lottato per il nostro amore. Non ha lottato per me, e nemmeno per sua figlia. Anche ieri sera, nessuna reazione. Mi chiedo come faccia un uomo a viver così passivamente. Suo padre lo ha sempre calpestato, la vita a volte, e adesso anch'io in qualche modo. E lui è ancora lì, in silenzio, ad ingoiare tutto. Lo trovo assurdo, incomprensibile, sbagliato. Ma nonostante ciò, mi sento cattiva, cattiva per la sofferenza che gli causo. In un sol giorno gli dico che non lo amo più, lo lascio e parto per un' altra nazione. Non so come sia riuscito lui ad accettarlo, e neanche come sia riuscita io a farlo. In un sol giorno lascio mio marito, la mia casa e la mia vita.
Ieri ho telefonato a Francesca per informarla che vado via per un po'.
Francesca è stata la nostra collaboratrice domestica da che è nata Giulia. Due o tre mattine a settimana teneva la bambina mentre io davo una mano in ufficio. Anche lei ha una figlia, si chiama Greta e ha circa sei anni. E' una brava ragazza e io le voglio bene. L'ho avvertita per evitare che faccia domande imbarazzanti a mio marito. Forse non dovrei più chiamarlo così.
Chiara ci ha accompagnate in aeroporto oggi. Aveva un 'aria più distesa rispetto a ieri. Sorrideva ed è stata gradevole come sempre. Mi ha alleggerito parecchio vederla così. Almeno lei ha capito che non serve a nulla farmi sentire in colpa o dirmi che sbaglio. Chiara di sicuro era l'unica persona che avrei voluto in aeroporto con me prima di partire. Abbiam pranzato lì. Serene. Come in un giorno qualunque. Quando dovevo andare poi mi ha fatto promettere di tenerla aggiornata su tutto. Ci siamo abbracciate e abbiamo pianto.
Nel pomeriggio io e Giulia siamo all'aeroporto di Girona. Viviana ad aspettarci. La vedo in lontananza mentre trascino la mia valigia. Ieri ho comprato un paio di jeans per la mia nuova taglia e due pigiami, perché i miei erano ormai distrutti dopo cinque anni di usura. Distrutti come me. Mi viene da ridere a questo pensiero, chissà perché. A Giulia non c'è stato bisogno di comprar nulla. Lei ha tutto nuovo e fresco. Come lei.
Viviana è lo stesso ritratto di sempre. Tuta e capelli legati in una coda. Mi sorride. Sembra entusiasta. Quando c'incontriamo si china sulla mia bambina e le fa mille complimenti. Giulia fa un po' la timida ma sento che la mia amica le piace. Per me un abbraccio veloce, pieno di quell'affetto brioso di cui solo Viviana è capace.
Mentre ci avviamo, tento di capire come mi sento ma non ci riesco. Sono un po' confusa forse, e forse triste. O forse no. Sono curiosa. Di sapere cosa accadrà adesso che ho lanciato il mio mondo per aria. Ma senza ansia. O forse sì. Vorrei essere felice ma sono ansiosa per Giulia. Voglio che lei sia felice. Ovunque. E comunque. Forse voglio troppo. Voglio che sia felice più di me. Sempre più di me. Questo non mi sembra troppo.
Camminiamo a passo svelto. Un monumento sul corridoio, un grosso cavallo nero. Faccio fatica a star dietro a Viviana. Una volta non era così. Avevamo la stessa andatura. Con lei passeggiate infinite per anni. Ho già il fiatone dopo soli cinque minuti ma lei continua ad arrancare ed ha pure la mia bambina in braccio.
Circa un'ora dopo siamo al suo appartamento. E' in un quartiere antico e leggermente misterioso, il Barrio Gotico
. La strada è pavimentata, la via stretta. I palazzi sono antichi e alti. Mi ricorda vagamente un qualche vecchio quartiere di Catania. O di Taormina. E forse anche qualcosa che ho visto a Venezia. Ma non sono esattamente una cima in storia dell'arte e forse faccio confusione.
La mia amica apre la porta su un ambiente semplice, ma con un che di suggestivo. Un divano stampa fiori, una tenda leggera, una libreria e un tavolino di legno quasi grezzo. Le pareti sono color crema. Mi piace la luce di questa stanza. C'è un odore particolare, sembra di cedro.
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Viviana schiude una porticina chiara sul corridoio. Non smette di sorridere.
Un armadio a due ante di legno azzurro. Sembra vecchiotto ma restaurato. Un comò marrone con una lampada sopra, una di quelle con i vetri colorati.
Non ho mai apprezzato questo stile ma qui dentro mi sembra bellissimo. A incorniciare gli stipiti della porta, dei fiori dipinti, con tante minuscole foglioline. Questa casa è un giardino segreto. Continuo a guardarmi intorno estasiata e mi scappa una battuta.
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Viviana ride.
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Sorrido anch'io ma devo essermi tradita in qualche modo, perché in un lampo la bocca di Viviana si increspa in un'espressione che somiglia al pentimento.
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Ridiamo di nuovo.
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Chissà perché sapere il nome di una persona me la fa sentire più vicina, anche se si tratta di una sconosciuta.
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Piacere di conoscerti, Dalila.
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Se mi dice di no, giuro che riparto domani.
Lei si acciglia per un attimo.
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Giulia medita per rispondere.
Viviana trattiene una risatina.
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Io e Viviana ridiamo. E pure la bambina sembra divertirsi.
Chiacchieriamo qualche ora del più e del meno mentre Giulia gioca con le pentoline che ha già scovato nella valigia.
La mia amica racconta degli ultimi anni. Mi racconta di José, il suo compagno, che ha trentasei anni e fa il poliziotto, che suo padre è spagnolo e sua madre italiana ma vivono da sempre a Barcellona, e che l'appartamento è della sua famiglia.
Lui e Viviana si sono conosciuti in Italia in occasione di un corso particolare che faceva lui e di uno particolare che faceva lei, però non era lo stesso corso. Degli amici in comune hanno organizzato un'uscita una sera, si son trovati simpatici ma nient'altro. Poi lei ha ottenuto una cattedra come insegnante a Barcellona e lui le ha dato una mano a sistemarsi. E poi più o meno il solito, da cosa nasce cosa e si sono innamorati.
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Lei fa una smorfia di dissenso.
Viviana è sempre stata molto diffidente con gli uomini, fin dai tempi di scuola. Io m'innamoravo continuamente, anche senza che il lui
in questione lo sapesse, ma per lei c'era sempre qualcosa che non andava in ogni ragazzo e possibile pretendente. Trovava dei difetti assurdi a tutti quelli con cui usciva.
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La mia amica alza le mani in segno di resa. Poi mi racconta alcuni aneddoti carini sulla loro storia e su come José per lei sia davvero un uomo speciale.
Mentre parla, gesticola e sorride, io perdo qualche dettaglio della storia perché la mia mente torna irrefrenabile al passato. Al nostro passato, alla nostra giovane amicizia, al primo giorno di scuola.
Cominciavo il liceo. Ero nervosa. Mi aspettavo anni difficili.
Quella mattina stavo sull'autobus, guardavo fuori dal finestrino e canticchiavo un motivo di Raf. Niente parole. Solo una musichetta a labbra chiuse. Incredibile, me lo ricordo ancora perfettamente. E' una mia abitudine, quella di canticchiare a labbra chiuse. O forse lo era. Adesso che ci penso, forse non lo faccio più.
Poco dopo una ragazza si sedette accanto a me, io non feci caso a lei. Continuavo a cantare tra me e me. Finché non sentii che lei canticchiava la mia stessa canzone. Senza parole, a labbra chiuse, esattamente come me. Mi voltai a guardarla non senza una certa incredulità.
Lei mi sorrise, di un sorriso dolce. Mi parse subito molto bella, coi suoi occhi azzurri e la sua coda dorata. La stessa che porta adesso, e lo stesso sorriso che oggi dedica al suo uomo.
Fu una sorpresa ritrovarmela poco dopo nella mia stessa classe! Chiese se potevamo condividere il banco e io accettai volentieri.
La nostalgia mi morde un po' lo stomaco. Mi manca la leggerezza di quegli anni. Vorrei poterci tornare un solo giorno.
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Prima di andare, Viviana mi