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Unico Indizio... Un'armilla d'argento
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E-book247 pagine3 ore

Unico Indizio... Un'armilla d'argento

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In una notte di pioggia, un cadavere con i vestiti inzuppati, viene rinvenuto ai bordi di una strada isolata. Pochi minuti dopo la Polizia lo trova completamente nudo.

Inizia così un incubo spaventoso e denso di pericoli: seguono nuovi omicidi e il rituale è sempre lo stesso: i morti sono tutti nudi e senza identità, solo al polso sinistro un’armilla d’argento.

Frattanto nell’etere si intrecciano misteriose telefonate tra persone lontane e fra loro diverse ma legate da un comune denominatore: lucrosi affari che hanno l’odore della Morte.

Un brillante giornalista ed una affascinante agente immobiliare sapranno risolvere il mistero ma la turpe Morte pretenderà un oneroso pedaggio. Ancora una volta il Male tenterà di raggiungere i suoi obiettivi utilizzando situazioni apparentemente legali e persone deboli, incapaci di resistere alle tentazioni del Maligno in una avventura tanto incredibile quanto spaventosa.
LinguaItaliano
Data di uscita8 nov 2015
ISBN9788892515710
Unico Indizio... Un'armilla d'argento

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    Unico Indizio... Un'armilla d'argento - Oivatto Dream

    In una notte di pioggia, un cadavere con i vestiti inzuppati, viene rinvenuto ai bordi di una strada isolata. Pochi minuti dopo la Polizia lo trova completamente nudo.

    Inizia così un incubo spaventoso e denso di pericoli: seguono nuovi omicidi e il rituale è sempre lo stesso: i morti sono tutti nudi e senza identità, solo al polso sinistro un’armilla d’argento.

    Frattanto nell’etere si intrecciano misteriose telefonate tra persone lontane e fra loro diverse ma legate da un comune denominatore: lucrosi affari che hanno l’odore della Morte.

    Un brillante giornalista ed una affascinante agente immobiliare sapranno risolvere il mistero ma la turpe Morte pretenderà un oneroso pedaggio. Ancora una volta il Male tenterà di raggiungere i suoi obiettivi utilizzando situazioni apparentemente legali e persone deboli, incapaci di resistere alle tentazioni del Maligno in una avventura tanto incredibile quanto spaventosa.

    CAPITOLO PRIMO

    Era un normale venerdì di metà mese, di quelli per intenderci, che arrivano a guastare i piani di quanti pensano di avere programmato un meraviglioso fine settimana. Per la verità le previsioni atmosferiche del primo mattino lasciavano poche speranze, sebbene prevedessero solo ‘tempo variabile con pochi e leggeri fenomeni atmosferici’.

    Nella tarda mattinata però, i ‘leggeri fenomeni’ si erano già trasformati in violenti piovaschi e neri nuvoloni di minacciosi nembo-strati e cumulo-lembi, carichi di pioggia andavano addensandosi al punto che il cielo aveva finito per essersi completamente rabbuiato.

    In molti uffici, chi poteva, aveva cercato di anticipare l’ora di uscita per arrivare a casa prima dell’ormai imminente nubifragio.

    Già dalla prima metà del pomeriggio, le strade erano piene di automezzi e la violenza della pioggia aggravava le condizioni del traffico. Anche la tangenziale cittadina consentiva una velocità di marcia così rallentata da far pentire quanti la avevano scelta in alternativa ai percorsi provinciali.

    Nella sede del più importante quotidiano nazionale, l’attività degli impiegati e delle impiegate, sembrava non fossero minimamente impressionati dalle condizioni atmosferiche: le segretarie battevano freneticamente le notizie che i corrispettivi corrispondenti dettavano dalle loro sedi esterne. I cronisti ed i reporter, rileggevano le proprie cronache ed i ‘servizi’ che avevano appena finito di scrivere mentre le macchine compositrici e linotype con le rotative, si tenevano pronte a stampare in forma di altezza, corpo, occhio e nei tipi di carattere, aldino, bodoni, elzeviro, garamond, gotico, romano, elvetico, con i segni e fregi tipografici che la Direzione aveva stabilito.

    Tutto il personale, compreso i compositori, i linotipisti, stampatori, impaginatori, revisori e correttori, sino ai Direttori, con l’intero corpo redazionale, lavorava per la nascita del frutto più genuino della Democrazia, ovvero la carta stampata, il giornale. Anche se il suo sviluppo risulta più che altro legato alla evoluzione tecnologica che negli anni ha consentito di portare al pubblico le notizie quanto più fresche possibili e quindi ad offrire ai cittadini un servizio di informazioni.

    Non si può dunque non rimanere allibiti, al pensiero di quanta strada abbia fatto, sino ai giorni nostri, questo strumento di informazione, dagli ‘Acta diurna’ di Giulio Cesare dove le deliberazioni pubbliche venivano rese note, insieme a tutte le novità legislative e anche una specie di cronaca cittadina.

    Pur tuttavia anche per i giornalisti c’è un tempo per lavorare e un tempo per riposare.

    Il protagonista di questa nostra storia, approfittando di una temporanea pausa del violento temporale, dopo aver velocemente messo ordine sulla scrivania del suo ufficio e salutata la segretaria, si appresta a far ritorno a casa, naturalmente dopo avere con precisione organizzato, per il giorno successivo il proprio lavoro e fissato gli appuntamenti per l’intera settimana.

    Una breve indecisione viene presto superata: scegliere la tangenziale oppure optare per la strada Provinciale? La scelta cade sulla Provinciale… Si tratta di una decisione veloce, si potrebbe dire non razionale ma neppure emotiva: dunque chi ha deciso per lui?

    Alla guida della propria vettura, con i sensi vigili, la tensione al massimo per evitare i più imprevedibili ostacoli come pedoni distratti e inzuppati, pozzanghere piene d’acqua e fango, pericolose perché difficili da individuare e costanti minacce per gli ammortizzatori, è evidente che i tempi di reazione siano ridotti al minimo, quindi il giornalista non può aver fatto una scelta razionale. Inoltre la strada Provinciale, di solito più lunga, con notevoli rallentamenti, dovuti ai semafori e attraversamenti pedonali ad ogni piccola contrada, paese o frazione, lungo il percorso, non poteva di certo costituire una scelta emotiva, dunque sarebbe stato più logico escluderla.

    Allora chi o che cosa aveva influito sulla opzione due in luogo dell’opzione uno? Sta di fatto che questa scelta condurrà il giornalista ad un incontro fatale che lo obbligherà a conoscere persone straordinarie e vivere fatti e vicende che finiranno per cambiare la sua vita.

    Sebbene la strada Provinciale si presenti meno trafficata della Tangenziale ma richiede una guida molto più attenta: curve improvvise, manto stradale pieno di buche, alberi squassati dal vento che con i loro rami ombreggiano e danno vita a improvvisi sprazzi e giochi di luci ed ombre alla già fioca opalescenza dei lampioni stradali. Improvvisi attraversamenti zebrati obbligano l’autista a violente frenate, per evitare inzuppati pedoni, più attenti a governare i propri ombrelli, strapazzati dal vento, che non alle autovetture che sopraggiungono.

    Mano a mano che ci si allontana dalla città, le case diventano più piccole ed isolate, al posto dei grandi condomini popolari, ora si susseguono villette dalle fioche luci che la pioggia sembra voler prima assorbire, per poi inghiottire. Ad un certo punto anche i lampioni spariscono e la notte è soltanto buio, una materia fisica e palpabile che avvolge ogni cosa. I fari dell’auto non riescono ad oltrepassare la coltre della pioggia che cade a scrosci, i tergicristallo non fanno in tempo a liberarsi dell’acqua che è così abbondante che non scorre più sul parabrezza ma sembra quasi stazionarvi senza alternativa tra quella liberata e quella nuova sopraggiunta.

    L’auto ora percorre un tratto di strada senza la striscia spartitraffico, la guida diventa pericolosa…all’improvviso, una macchina, un grosso SUV, arriva in senso contrario ma la fitta coltre della pioggia ne ha concesso la visuale solo a poche decine di metri ed il giornalista si accorge all’improvviso di avere invaso la corsia opposta. Ormai è troppo tardi per una razionale decisione, è l’istinto a decidere: una frenata brusca e subito dopo una rapida accelerata. Non c’è tempo per sterzare a destra e tornare sulla propria corsia. Un attimo e poi il giornalista sterza tutto a sinistra, evitando per un soffio la macchina che, sulla propria corsia, viaggiava comunque ad elevata velocità e l’auto del reporter finisce fuori strada, con il muso a ‘pascolare’ l’erba di un prato vicino.

    Non c’è tempo per scusarsi, l’altra vettura è già lontana, i fanalini posteriori finiscono per annullarsi nel buio della tempesta.

    Le mani dl giornalista sono ancora avvinghiate al volante ma tremano per la tensione nervosa, il battito cardiaco gli rimbomba nelle orecchie e la ventilazione polmonare rivela una tremenda scarica di epinefrina. L’uomo resta immobile, con la testa reclinata sul petto in attesa che il corpo assorba, diluendola, la grande quantità di adrenalina che la ghiandola surrenale ha prodotto. Lo spavento ha modificato il metabolismo glucidico e lipidico mentre il sangue è stato invaso dall’ormone epinefrinico.

    In quel punto la strada non è affiancata dal solito fosso di scorrimento delle acque, dunque per fortuna le ruote dell’auto sono solo affondate nell’erba alta e bagnata, un paio di tentativi sono sufficienti a riportare la vettura sulla carrozzabile. Riconquistata la giusta corsia, il giornalista può riprendere la sua corsa.

    Il temporale è sempre più violento, la strada buia e pericolosa, il manto stradale è invaso dall’acqua e il rischio di acqua-planning è ormai una costante possibilità. Il cielo è ora attraversato da lampi frequenti che a irregolari intervalli illuminano il percorso. La differenza fra il tempo intercorso tra il fulmine e il rombo del tuono è notevole, il che lascia supporre al giornalista che le scariche elettriche avvengano lontano. Con il passare dei minuti, il reporter, per distrarsi, cerca di calcolare la distanza in cui il fulmine si è scaricato.

    Poi l’attenzione ritorna sulla strada, dopo il sottopasso dovrebbe esserci un distributore di benzina. Proprio in quel momento, un lampo accecante illumina a giorno la carrozzabile e quasi contemporaneamente il tuono fa vibrare i vetri dell’auto. La saetta ha attraversato la strada e il fulmine deve avere scaricato la sua spaventosa potenza a poche centinaia di metri di distanza. Non c’è stato il tempo per la paura. Il turbamento, la preoccupazione e l’inquietudine, sono stati d’animo che richiedono un certo spazio temporale perché il soggetto possa avere la constatazione e consapevolezza del pericolo e questo viene sempre dopo.

    Così avrebbe potuto essere per il giornalista ma un fatto assolutamente nuovo intervenne a modificare la normalità e la sua condizione psicologica fu attratta da una immagine insolita se pure reale che, nell’attimo in cui il fulmine ha illuminato la strada, ha colpito la sua retina, trasmettendo al cervello una immagine definita nei suoi contorni ma strana nella sostanza.

    Il tempo di frenare l’auto, una breve retromarcia e poi una lieve manovra per far sì che i fari vadano ad illuminare un punto preciso ai bordi della strada. Là dove la massicciata confina con il fuori-strada, frammisto di terra ed erba, quasi accostato ad un cespuglio di rovi, i fari illuminano una forma che potrebbe definirsi un semplice ammasso di materiali che la pioggia imbeve e non consente di meglio precisare.

    E’ una forma strana che potrebbe essere un mucchio informe di qualunque cosa, forse anche di un animale o di una persona. Il giornalista non ha un attimo di esitazione, potrebbe trattarsi di un uomo, forse bisognoso d’aiuto: scende dall’auto, la pioggia è ancora più violenta, i piedi sembra non possano toccare il selciato in quanto l’acqua scorre come nell’alveo di un fiume. L’aria per via delle numerose scariche elettriche, trasforma l’ossigeno in ozono, il suo stato allotropico.

    Il tatto cerca di supplire alla vista che è ostacolata non solo dalla poca luce ma anche dall’acqua che inonda il volto e gli occhi del soccorritore. Le mani bagnate cercano di aprire, scartocciare l’ammasso di stoffe che, più che coprire, aderisce, quasi incollato al corpo dell’uomo. Le braccia conserte ed irrigidite, impediscono una possibile auscultazione toracica, inoltre la maglia e la camicia, con gli indumenti intimi, sono così saldati tra di loro, per via della pioggia, che il giornalista desiste da ogni ulteriore tentativo mentre con mano esperta va ad esplorare il collo, subito sotto la mascella e mandibola, per cercare di indovinare un segnale di vita, nella vena giugulare, che però è latitante.

    La pioggia continua a cadere, ora il vento è più violento ed al giornalista non resta che ricomporre, in un gesto pietoso, gli indumenti del morto e risalire in macchina.

    Al dovere umanitario ora si aggiunge un obbligo civile: avvertire la Polizia dell’esistenza di un cadavere. La tensione e il nervosismo rendono difficili anche le azioni più comuni. Un nuovo inconveniente contribuisce ad aumentare le difficoltà: la tasca della giacca, utilizzata dal giornalista per riporre il cellulare è chiusa. Il bottone di sicurezza che, allacciato, impedisce una casuale fuoriuscita del telefonino, rivela che ora la tasca è vuota. Che fine può avere fatto il cellulare?

    Non può essere caduto, scivolato…no! C’è una sola risposta: è rimasto dimenticato in ufficio! Non può esserci alcun’altra spiegazione, eppure la scrivania era libera, se fosse rimasto sulla scrivania, lui non avrebbe potuto evitare di vederlo. Più che una semplice esercitazione mnemonica, il giornalista cerca una spiegazione razionale che tenti soddisfare il suo bisogno di chiarezza: il feed-back è semplice, il pomeriggio di ogni venerdì è dedicato alla Riunione con tutti i suoi collaboratori. E’ una Riunione importante, si fa il punto sulla settimana appena conclusa e si crea un ordine di priorità per il lavoro della settimana successiva. Si analizzano i ‘casi’ non ancora conclusi e si ripartiscono i compiti e le responsabilità.

    Ogni collaboratore interno ed esterno, illustra il proprio punto di vista sui ‘casi’ più importanti: è la semplificazione di un vero e proprio ‘brain storm’ dove ciascuno cerca di portare il proprio contributo ai singoli problemi. Alla fine la segretaria compila il verbale che sottopone al giornalista per eventuali correzioni o modifiche e anche quel venerdì il verbale gli fu sottoposto. Una veloce lettura, il visto di approvazione per poi essere abbandonato sul tavolo e successivamente essere distribuito alla ‘leader list’.

    Ecco la soluzione del mistero: il verbale fu abbandonato sulla scrivania ma probabilmente fu appoggiato sopra il cellulare che in questo modo rimase nascosto alla vista del giornalista.

    Occorreva però telefonare alla Polizia, per un elementare principio di umanità non solo cristiana, non si poteva infatti abbandonare ulteriormente il corpo di quel povero disgraziato all’ingiuria del nubifragio.

    Nel cassetto dell’auto, il reporter conservava, per un previdente scrupolo, una tessera telefonica che spesso lo aveva aiutato nei casi in cui, una temporanea mancanza di ‘campo’ gli aveva impedito di comunicare con il suo ufficio con il telefonino.

    Poco più avanti, a circa trecento metri, dopo il sottopasso della tangenziale, il giornalista ricordava la presenza di un ampio piazzale con diverse pompe per l’erogazione della benzina.

    Anche se il distributore fosse stato chiuso, subito sotto la pensilina di accesso al piccolo bar, era collocato un apparecchio telefonico funzionante a schede. Messa in moto la vettura, il reporter, dopo un ultimo pietoso sguardo all’informe resto mortale, decide di avviarsi verso questa nuova destinazione. Come previsto, data l’ora tarda, il distributore è chiuso, un desolato abbandono circonda le pompe di erogazione ed il piccolo bar. Il vento fa sbattere qualche infisso di porta o finestra che un maldestro inserviente probabilmente non aveva fissato a dovere.

    Un tavolino di ferro è abbandonato sullo slargo antistante il punto di ristoro e che il vento ha rovesciato ed ora, con le gambe scheletriche rivolte verso il cielo, subiva la violenza della pioggia che batte contro la superficie metallica con monotona regolarità.

    Il telefono è nell’angolo più interno della piccola veranda, in posizione strategica, lontano dalla pioggia e riparato da una tettoia di lamiera.

    Pronto Polizia?

    Sì, mi dica

    Desidero fare una segnalazione…

    Chi parla? Come si chiama?

    Non ha importanza, la prego di non interrompermi e prenda nota dell’indirizzo.

    Segue una dettagliata informazione della località e poi…

    Desidero segnalare la presenza di un corpo, un uomo morto, presumibilmente da qualche ora, abbandonato sul ciglio della strada.

    Senza consentire all’interlocutore di replicare, il giornalista chiude la conversazione e ritornato in macchina cerca un punto da dove, strategicamente, senza poter essere visto, sia comunque in grado di poter vedere, nonostante la distanza dal corpo del misterioso morto, l’oscurità e soprattutto la curva della strada, consentano una certa possibilità di anonimato.

    L’attesa si protrae per diversi minuti, prima cinque, poi dieci. Incomincia a nascere nel reporter, il sospetto che la sua segnalazione non sia stata presa in considerazione.

    C’è tutto il tempo perché il giornalista possa domandarsi chi potesse essere il morto: certamente una persona di sesso maschile, dell’apparente età di cinquant’anni. La pelle scura, forse nera, labbra grosse e naso largo, lasciavano supporre un africano.

    Nel mezzo di queste riflessioni, l’attenzione del giornalista è distratta dal suono lacerante dell’auto della Polizia e probabilmente anche di una ambulanza. Ora il suo senso civico è soddisfatto, il morto non sarà più solo e qualcuno provvederà ad assicurargli quelle cure che ogni essere umano, anche dopo l’ultimo sonno ha il diritto di avere.

    Adesso la macchina può riprendere la sua corsa verso casa. L’andatura è modesta, sebbene la strada sia molto più sicura, il manto asfaltato non presenta più rischi di acquaplaning, la pioggia è cessata e il forte vento di prima ha finito per spingere le nuvole verso Sud. Ampi spazi di cielo sono sgombri e talora occhieggiano stelle luminose che poi, improvvise velature di nuvole residue, giocano un poco a nascondere ed un poco ad appalesare in estemporanee apparizioni.

    La guida è sicura e rilassata, allo stesso modo che ‘la quiete dopo la tempesta’ ha conciliato i turbamenti della natura con la serena quotidianità. Anche il reporter finisce con l’abbandonarsi a quel dolce rilassamento che segue sempre ad una violenta esperienza.

    I fatti della serata sono stati ormai metabolizzati, la parte razionale è tornata a dominare la parte emotiva ed è inevitabile per il giornalista ritornare con il pensiero agli ultimi avvenimenti e scivolare a ritroso, con la mente, dal presente al passato.

    Il suo personale Zibaldone, così ricco di persone, circostanze ed avvenimenti, lo riporta a vivere una vita intensa, piena di esperienze talora positive, altre tragiche. La morte, sempre violenta ed improvvisa, ha incrociato il suo cammino e sovente sfiorato la sua stessa esistenza.

    Certi volti delicati, sorrisi e tenerezze non sono mancate nel suo passato ed ora non può evitare di pensare che la sua personale privata contabilità, risulti positiva da un punto di vista professionale ma sicuramente lacunosa se non addirittura negativa per quanto riguarda la sfera affettiva.

    Quella meravigliosa condizione psicologica che arricchisce di gioia e serenità ogni momento, anche delle più difficili giornate e che si chiama amore, non è mancata nel corso della sua esistenza, eppure qualcosa, un che di ineffabile ed imponderabile, ha sempre posto la parola fine in un percorso che forse avrebbe potuto non finire mai. In effetti la vita professionale del giornalista ha sempre finito per incrociare, sovrapporsi e confondersi con la vita privata ed affettiva e quello che al momento era parso naturale e giusto, all’esame del tempo non appariva più così naturale e giusto. Purtroppo, come sovente gli accadeva, più che cercare di assolversi o condannarsi, finiva per domandarsi: esisteva una concreta alternativa? C’era un modo diverso di affrontare i problemi? Esiste mai un’altra vita terrena?

    Domande che sempre turbavano la sensibilità del giornalista che riteneva fosse un dovere morale, o quanto meno cercare di dare una risposta al mistero della vita e della morte.

    Certo il corpo che poc’anzi era stato trovato sul ciglio della strada, aveva finito per incrociare la sua esistenza e il giornalista aveva la certezza che quello non poteva essere un incontro casuale, ma certamente una tessera del misterioso mosaico della sua vita. La morte non è mai casuale ma un reale ingranaggio capace di condizionare un’altra esistenza, così all’infinito, dall’inizio dell’umanità sino alla fine dei tempi, con il congiungimento dell’ultimo fine coincidente con il primo principio.

    Nulla però impediva al reporter di chiedersi chi potesse essere il morto. Come

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