Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Rime mortali a Camogli: Una nuova indagine per taglie forti
Rime mortali a Camogli: Una nuova indagine per taglie forti
Rime mortali a Camogli: Una nuova indagine per taglie forti
E-book313 pagine4 ore

Rime mortali a Camogli: Una nuova indagine per taglie forti

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Una donna anziana priva di documenti viene trovata sul lungomare di Genova in stato confusionale. Pochi giorni dopo, a Camogli, nel parco di Villa BouganVilla, buen retiro della famosa attrice Giulia De Magistris, divampa un incendio dalle cui ceneri emerge un cadavere. Cosa lega i due eventi? Forse nulla, forse molto, chissà. E non è che l’inizio. Di sicuro, per le amiche e socie della boutique di moda oversize “Tutta Curve” Clara, Patti e Rosanna si prospetta un’indagine pericolosa, disseminata di cadaveri, intrighi, false piste e improbabili sospetti, su cui incombe un’operazione immobiliare che potrebbe mettere in pericolo la riserva protetta del Parco di Portofino. Invitata dalla diva Giulia a trascorrere una vacanza nella sua residenza da sogno, Rosanna si troverà circondata da personaggi bizzarri, poeti emergenti, giardinieri scorbutici, un’enigmatica argentina e un fisioterapista molto sexy, per non parlare del marito dell’attrice, un famoso musicista che nessuno ha mai visto. Intanto, alcuni loschi individui si aggirano nei dintorni sotto lo sguardo di misteriosi droni, mentre la conduzione del caso viene ufficialmente affidata a una vecchia conoscenza, l’ispettore capo Belinazzi. Che sia tutta opera di un piromane? O si tratta di una faida di poeti? Tra roventi summit in spiaggia, suicidi sospetti, aggressioni, cene indiane e picnic a base di focaccia, le tre amiche non si faranno intimidire, fino a scoprire una sconvolgente verità.

Adelaide Barigozzi lavora come giornalista nella redazione attualità del settimanale “Elle”. Cresciuta a Genova, ha abitato per alcuni anni in Brasile. Da tempo vive a Milano. Per Fratelli Frilli Editori ha pubblicato Vico dell’Amor Perfetto e Una sfilata rosso sangue.
LinguaItaliano
Data di uscita26 gen 2023
ISBN9788869436727
Rime mortali a Camogli: Una nuova indagine per taglie forti

Leggi altro di Adelaide Barigozzi

Correlato a Rime mortali a Camogli

Ebook correlati

Noir per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Rime mortali a Camogli

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Rime mortali a Camogli - Adelaide Barigozzi

    Capitolo I

    La passeggera solitaria

    È l’alba, ma il cielo plumbeo fatica a schiarirsi. Dopo una notte di tregenda la città è oppressa da strati di nuvole scure che si rincorrono addensandosi. Il largo marciapiede di via V Maggio è sferzato dal vento; oltre il parapetto, qualche metro più sotto, il mare ribolle spumeggiando minacciosamente. Sembra piovere ancora, ma sono gli spruzzi salmastri della mareggiata a lambire le auto parcheggiate oltre il curvone.

    In giro non c’è anima viva, come se quella nottata di diluvio universale avesse sciacquato via ogni traccia del genere umano. Eppure, i lampioni ancora accesi gettano una luce giallastra su una Mini Cooper color panna illuminando un passeggero solitario. È una donna di una certa età, indossa un abito di lana e una giacca, nonostante sia primavera inoltrata. Siede alla destra del posto del guidatore, come se lo stesse aspettando. Ha una postura rigida, il profilo aguzzo dal naso pronunciato e il mento appuntito, i capelli rigonfi in una cotonatura anni settanta. Tiene la borsa in grembo tra le mani strettamente intrecciate. Se qualcuno passasse di lì e si prendesse la briga di dare un’occhiata dentro l’abitacolo attraverso il finestrino, probabilmente si accorgerebbe del rivolo di sangue ormai secco sulla tempia destra. Ha gli occhi semichiusi, come se fosse sul punto di addormentarsi. La bocca sottile ogni tanto si arriccia e poi si stende, ed è l’unico segno che è viva.

    Cosa ci fa quella donna tutta sola a quell’ora, in un’auto parcheggiata in una via deserta? Chi l’ha ferita? Da quanto tempo si trova lì? Chi sta aspettando?

    Il vento cambia direzione. Ora soffia verso il mare. Le onde si placano, le nuvole si squarciano, l’aria è già più tiepida. A levante, oltre il profilo irregolare del promontorio di Portofino, ecco che appare il sole, e la sua luce dorata avvolge, riscalda e rischiara ogni cosa. La tempesta notturna è solo un ricordo, prosciugata dal rassicurante abbraccio del giorno.

    Pochi istanti dopo, come se una mano invisibile avesse premuto un interruttore, tutti i lampioni si spengono. Il campanile dell’orrido chiesone in cemento e acciaio cromato che si erge sopra la collina suona le sei. Passa un autobus, il 15 sbarrato. Sul senso di marcia opposto transita sferragliando un camion della spazzatura. Il flusso di auto dirette verso gli uffici del centro città sta già crescendo e continuerà a farlo finché, a una cert’ora del pomeriggio, dopo un lento diradarsi, invertirà direzione. Il mare si è calmato, ora è liscio come l’olio, quasi denso: sulla linea dell’orizzonte è diventato blu cobalto, mentre sotto costa resta color fango, pieno com’è di sabbia, alghe e detriti della tempesta notturna. Il gommista della stazione di servizio sul curvone sta sistemando il cartello Aperto in bella vista dalla strada. Sul marciapiede del lato mare appaiono i primi esseri umani in tuta e auricolari, gli inarrestabili cultori della corsa mattutina.

    Dovranno passare altre due ore prima che due corridori esausti decidano di fermarsi proprio davanti alla Mini per tirare il fiato. Poco più tardi, tradendo una certa delusione, diranno ai poliziotti accorsi prontamente con la volante di aver creduto si trattasse di un cadavere.

    Invece la passeggera solitaria era viva, e la ferita sulla fronte poco più di un graffio. Piuttosto, pareva sotto shock. La povera donna, volto scavato e aspetto trasandato, età apparente sui settantacinque-ottant’anni, fissava un imprecisato punto all’orizzonte che vedeva solo lei farfugliando parole senza senso. Nonostante vari tentativi, i poliziotti non erano riusciti a cavarle alcuna informazione utile sulla sua identità né, tantomeno, sul motivo per cui era lì. Un agente, a fatica, le aveva sottratto la borsa per cercare almeno un documento d’identità, ma senza risultato.

    Da quando l’avevano trovata non si era praticamente mossa, era ancora seduta in auto, il viso girato verso il mare. Attraverso la portiera spalancata il vento di tramontana soffiava impetuoso scompigliandole una messa in piega che, vista da vicino, appariva un po’ sospetta. Dietro ai ciuffi sulla nuca, si intravedeva una specie di cordolo. Più tardi si sarebbe scoperto che si trattava di una parrucca: la donna era completamente calva. Questo particolare, chissà perché, la rese ancora più enigmatica agli occhi dei suoi soccorritori. Più che la sopravvissuta a una notte di calamità naturali, sembrava l’unica depositaria di chissà quali segreti.

    Non sapendo che pesci prendere, i poliziotti decisero di chiamare un’ambulanza. Quella donna aveva subìto un trauma, era evidente, e forse si trovava in uno stato di denutrizione: ci avrebbero pensato i medici del pronto soccorso a rimetterla in sesto. E una volta ristabilita, sarebbe stata senz’altro in grado di parlare e, quindi, di rivelare la propria identità. Del resto, cos’altro avrebbero potuto fare? Non era certo un reato starsene seduti in un’auto, peraltro parcheggiata in modo del tutto regolare. Piuttosto, la donna aveva l’aria di una probabile vittima di un atto violento, sebbene la ferita sulla fronte fosse superficiale e non pareva avere altri segni di maltrattamento. Ma anche di quello si sarebbero occupati i medici.

    Intanto, sul marciapiede si era radunata una piccola folla di curiosi. Le auto sul lungomare rallentavano, gli autisti distratti dalle luci blu della volante parcheggiata in seconda fila. Nella sorpresa generale, qualcuno si mise a canticchiare un lalala con una vocetta stridula, ma intonatissima. I poliziotti sussultarono: a chi poteva venire in mente di cantare in simili circostanze? Ci misero qualche secondo a realizzare che era proprio lei, la passeggera misteriosa. Avvolta nella sua nebbia mentale, intonava una sorta di inno. I suoi occhi erano meno spenti. Sembrava felice.

    Quando arrivò il mezzo della Croce Verde, gli agenti tirarono un respiro di sollievo. Non erano abituati a gestire casi così poco chiari da non poter essere nemmeno classificati come reati. Poiché erano coscienziosi, però, controllarono che nella vettura non ci fosse un qualche documento che potesse aiutarli a risalire almeno alla proprietà del mezzo e, non trovandone, presero nota della targa. Avrebbero fatto immediatamente i controlli alla banca dati della motorizzazione, se non che in quel momento arrivò una chiamata urgente per una rissa al porticciolo di Nervi. I poliziotti risalirono di corsa sulla volante, accesero la sirena e si allontanarono sgommando. All’auto della smemorata ci avrebbero pensato a fine turno.

    Capitolo II

    La boutique Tutta Curve va in trasferta

    – Rosanna, passami una spilla.

    – Aspetta Clara, fammi assaggiare un’altra fetta di questa deliziosa crostata, prima che Patti cambi idea e la tenga da parte per il maritino.

    – Tranquilla, per Pierparide ne ho fatto un’altra uguale.

    – Sul serio? Ne hai preparate due? Non dirmi che lo fai ogni volta che ci porti un dolce…

    – Be’ se cucino il castagnaccio no, a Pierparide non piace…

    – Ma tu non ci hai mai fatto il castagnaccio.

    – Appunto.

    Clara e Rosanna alzarono gli occhi al cielo. Patti era una moglie devota e una cuoca seriale, non c’era che dire. Sulla prima virtù nutrivano qualche riserva, ma la seconda era una manna dal cielo. Grazie a Patti, almeno un paio di volte la settimana la boutique Tutta Curve, il piccolo, raffinato regno dell’outfit extralarge che le tre amiche avevano aperto nel centro storico di Genova qualche anno prima, si trasformava in una pasticceria. E che pasticceria! Tra variopinti abiti oversize, stole grandi e vaporose come veli da sposa e colorate come bandiere, e ogni sorta di vezzosi accessori giganti, era tutto un cozzare di piattini da dessert, tazze di tè e cucchiaini d’argento per fare la festa al dolce di turno in un infaticabile lavorio di mascelle. Crostate alla frutta, fondant al cioccolato, baci di dama, lingue di pappagallo, charlotte ai frutti di bosco, torte frangipane, cheese cake, clafoutis, tiramisù. Patti sfornava ogni volta un dolce diverso a seconda dell’umore. Lo impacchettava con cura, manco fosse un vaso di cristallo, lo infilava ben dritto nella capace borsa in modo che non si rovesciasse durante il tragitto, e attraversava la città come una messaggera d’amore. Giunta in negozio, riponeva il prezioso carico in un luogo fresco e asciutto, di solito il piccolo frigo sul retro, fino all’ora del tè, quando lo avrebbe distribuito alle fortunate presenti, amiche e clienti. Che, dolci o non dolci, non mancavano mai.

    Nell’ultimo anno gli affari della boutique Tutta Curve erano inesorabilmente cresciuti, tanto che Rosanna, Patti e Clara avevano iniziato a parlare di aprire una succursale in Riviera, magari a Camogli o a Portofino. Per il momento, erano solo chiacchiere, ma chissà… Che da quelle parti ci fosse molta richiesta era un dato di fatto. Del resto, di negozi come il loro, capace di soddisfare le esigenze di ogni donna curvodotata che si rispetti, senza limiti di taglia, modello o colore, ce n’erano pochissimi al mondo, figuriamoci in Liguria. E poi loro si erano create una fama che andava ben oltre i confini cittadini, e questo anche grazie a una cliente davvero speciale, l’immensa Giulia De Magistris, attrice drammatica di rara sensibilità, mattatrice nei migliori teatri nazionali ed esteri, che le aveva scoperte per caso in un giro di shopping a Genova, e da allora era diventata loro cliente affezionata. La diva Giulia, infatti, pur essendo spesso in tournée, e possedendo varie magioni sparse per il mondo, a Roma, Parigi, Marrakech, d’estate non mancava mai di trascorrere alcune settimane in Liguria, a Ruta, amena località sopra Camogli, a pochi chilometri da Genova. Lì aveva una villa molto amata anche dal marito, il noto musicista misantropo Giuseppe Meraviglia, che prima di chiudersi in un misterioso autoisolamento era stato il pluripremiato autore di Amore mio, perdonami, la canzone romantica più ascoltata al mondo negli ultimi cinquant’anni e di altri brani di straordinario successo che gli avevano garantito una rendita milionaria vita natural durante. Villa BouganVilla, così battezzata per le rigogliose piante rampicanti dai fiori viola e fucsia che ne ricoprivano parzialmente la facciata, era un castelletto bianco e rosa che si ergeva nella parte più alta di Ruta, confinante con il Parco di Portofino, un’area naturale protetta ricca di biodiversità che si estendeva lungo il golfo Paradiso orientale e il Tigullio fino al mare. Giulia l’aveva ereditata dalla sua famiglia, ci veniva in villeggiatura quando era bambina. Costruita sulla sommità di una collina, godeva di una vista spettacolare sul mare ed era circondata da ettari di terreno terrazzato, in parte coltivato a ulivi e limoni, e da un bosco di noccioli e castagni che si estendeva a Nord Est fino a una parete di roccia sovrastante. C’erano pure una serra di piante tropicali, una piscina a forma di fagiolo, fatta costruire recentemente da Giulia e, al limitare del bosco, un rustico cottage usato come foresteria e un vezzoso capanno per la legna, che in realtà era ingombro di mobili vecchi e cianfrusaglie. Pur essendo al centro di una zona turistica, grazie alla posizione isolata vi regnava una pace assoluta, per questa ragione l’attrice, che quell’inverno aveva subìto una complessa operazione alla schiena, aveva deciso di trasferirvisi per il tempo della convalescenza. Ed era stato allora che Bonni, la sua segretaria da oltre vent’anni, aveva telefonato alla boutique Tutta Curve. Giulia voleva un abito da cocktail appariscente ma comodo: non è che potevano portargliene un paio tra cui scegliere? Al momento camminava ancora a fatica con il bastone, non se la sentiva di uscire… Detto fatto, le tre amiche un mercoledì pomeriggio avevano chiuso un po’ prima e, schiacciate dentro la nuova Panda grigia metallizzata di Rosanna, erano partite per Villa BouganVilla con una favolosa scelta di abiti scenografici da indossare come una seconda pelle, uno in giallo limone e turchese con una ruche sul davanti, un altro in crêpe de chine blu cadetto e un altro ancora rosso fuoco con le balze. Dopo interminabili prove e altrettanto interminabili riflessioni, Giulia li aveva acquistati tutti.

    Da allora, il mercoledì da Giulia era diventato una specie di appuntamento fisso. Più volte quell’inverno Clara, Rosanna e Patti avevano portato all’attrice una scelta di outfit su misura, cappe damascate, abiti dal décolleté a cuore, gonne con lo spacco e camicie con il fiocco, da provare ed eventualmente comprare. Ormai era primavera inoltrata e loro conoscevano perfettamente i suoi gusti.

    Così anche quel pomeriggio si erano messe in viaggio. Nonostante fosse una splendida giornata, calda e luminosa, la via Aurelia era poco trafficata. Giunte a Recco, presero la strada per Camogli, s’inerpicarono verso Ruta e poi girarono per la stretta viuzza privata che dopo poche centinaia di metri terminava in una piazzola rotonda dove si fronteggiavano due cancelli incuneati in alti muri di cinta. Sulla destra spuntava la torre di villa BouganVilla, mentre la dimora sul lato opposto restava nascosta dietro una verde barriera di rincospermo, che cresceva rigoglioso anche lungo il muro sulla strada. Rosanna eseguì un parcheggio creativo guidata dalle istruzioni di Patti, che pur non avendo la patente amava consigliare gli autisti, e le tre amiche recuperati gli abiti dal bagagliaio, si diressero verso la villa portando un sacchetto ciascuna, come una versione femminista dei Re Magi. Un uomo scheletrico in precario equilibrio su una scala stava potando la siepe dei vicini, mentre un altro rastrellava i rami caduti con estrema indolenza. Avendoli notati distrattamente mentre scendeva dall’auto, Patti non aveva potuto fare a meno di scuotere la testa. Perfino lei sapeva che non era stagione di potature.

    – Oggi Giulia è un po’ indisposta – le avvertì Bonni, facendole entrare nel salottino delle visite attraverso la porta finestra sul giardino.

    – Oh, ci spiace, vuoi che torniamo un’altra volta? Basta che ce lo dici, anche domani… – partì subito Patti, già calata in una tipica reazione passiva aggressiva.

    – Ma no, Giulia tiene tantissimo a quell’abito. La prossima settimana darà una festicciola e non ha niente da mettere, o almeno così dice.

    Bonni si produsse in una risatina deliziata. Aveva il vezzo di trattare la sua datrice di lavoro come un’adorabile bambina viziata.

    – Carissime!

    Era l’attrice dalla stanza accanto.

    Bonni si precipitò ad aprire la porta e la divina Giulia fece la sua entrata, immensa e ahimè ancora sofferente. Poiché si rifiutava di usare le orrende stampelle, appoggiava tutto il considerevole peso del corpo su un bastoncino di canna indiana dall’impugnatura d’argento che pareva spezzarsi a ogni passo. Vederla procedere così pericolosamente tra tavolini da tè, ninnoli di porcellana e lampade a stelo era davvero penoso. Riuscì a raggiungere senza incidenti una poltrona e vi si abbandonò in un sussulto di stoffe preziose. Del resto, era un tragitto che conosceva bene, visto che era anche l’unico che percorreva da mesi. La camera da letto padronale si trovava al primo piano, ma se già negli ultimi tempi salire le scale era stato una tortura, dopo l’operazione era diventato addirittura un’impresa impossibile, così Giulia aveva fatto sistemare un letto nello studiolo accanto al salottino e si era installata lì.

    – Bonni ci stava dicendo che oggi non stai molto bene, ci spiace… – osservò Clara.

    – Lo sai che Bonni esagera sempre! Ho dormito male, tutto qui. Stanotte il Maestro ha avuto un attacco di fame nervosa, è andato in cucina a farsi un panino, ha fatto un chiasso spaventoso e mi ha svegliato. Erano le quattro e un quarto e non sono più riuscita ad addormentarmi.

    L’attrice venerava il marito, che chiamava rigorosamente Maestro, ma Clara, Rosanna e Patti in tutte le volte che erano andate a trovarla non l’avevano mai incrociato, tanto che tra loro scherzando ne avevano messo in dubbio l’esistenza. Sapevano che aveva quindici anni più della moglie: forse a un uomo di vecchio stampo come lui la prospettiva di affrontare un assembramento di donne e molti abiti in una sola stanza poteva incutere un certo timore. Normale che volesse starsene alla larga. Il Maestro era famoso per avere un carattere schivo al limite dell’ombroso, da tempo si era ritirato a vita privata dedicandosi alla composizione di una monumentale opera sinfonica di nuova concezione oltre alla dodecafonia. Dall’ultima volta che si era palesato a una prima teatrale della moglie dovevano essere passati almeno dieci anni. E ora che si erano stabiliti in Riviera, Giuseppe Meraviglia componeva in assoluta solitudine nello studio ricavato nella torretta all’ultimo piano. Lì teneva i suoi preziosi spartiti e gli strumenti, un pianoforte, una tromba, un’arpa, due violini, una chitarra, un contrabbasso, una serie di timpani, nacchere, ocarine e bonghi, una collezione di flauti amazzonici e un raro esemplare d’epoca di Theremin, un apparecchio elettronico sovietico che il Maestro suonava agitando le mani in aria. La stanza era insonorizzata, ma spesso Meraviglia lasciava le finestre aperte e nelle fasi creative di particolare intensità cascate di suoni stridenti si diffondevano nell’aria facendo accapponare la pelle a chiunque li sentisse. Sicuramente avevano un perché, sebbene si facesse fatica ad afferrarlo.

    – Anch’io sono giorni che non dormo… – osservò Rosanna, che sfoggiava due occhiaie color melanzana, intonate con l’abito chemisier.

    Per quanto la riguardava, non era certo colpa della fame nervosa, la quale non aveva nulla da lamentarsi visto che veniva appagata regolarmente nel corso di numerosi pasti e spuntini diurni. A tenerla sveglia a rigirarsi nel letto era un’ennesima delusione amorosa.

    – Rosanna ha un sesto senso per innamorarsi della persona sbagliata – s’intromise Patti dall’alto della sua esperienza di donna felicemente sposata con Pierparide, l’uomo giusto se non altro per lei se non per tutte.

    – Che ne sai tu? Facile dare giudizi quando non sai nemmeno cosa significa innamorarsi perdutamente!

    Un rumore di stoviglie in frantumi interruppe lo screzio sul nascere. Bonni aveva urtato inavvertitamente il vassoio con il servizio da tè e una tazzina era caduta a terra in mille pezzi. Accanto a lei una giovane donna indiana in abiti europei contemplava i cocci inorridita, mentre un barboncino bianco privo di sensi di colpa si precipitava giulivo tra le gambe della padrona di casa.

    – Petit Diable, bricconcello. Hai fatto inciampare Bonni, eh? – disse Giulia deliziata. I disastri sembravano eccitarla come una bambina.

    – Amiche mie, questa è Alisha, la nostra domestica! È appena arrivata con suo marito Rajesh, che è il nuovo cuoco, ed è anche un uomo bellissimo – l’ultima frase l’aveva pronunciata a bassa voce, ma era evidente che l’avevano sentita tutte.

    – Non preoccuparti, Alisha. Petit Diable ha già rotto decine di queste tazze, vero Bonni? Una più, una meno non fa alcuna differenza...

    Ora Giulia aveva assunto un tono melanconico, appena venato di triste allegria. Era incredibile come riuscisse a trasmettere sensazioni diverse modulando appena la voce.

    – Ecco, il mio cuore è spezzato come quella tazza… – osservò Rosanna melodrammaticamente, come se volesse rubare la scena alla sola prima donna presente.

    – Ma dai Rosanna, adesso non esagerare. Con quel tipo, come si chiama più? Con quel Franco ti sarai vista due volte, escludo che il tuo cuore sia così fragile! – replicò Patti con acido buonsenso.

    – Che ne sai tu del mio cuore? Che ne sai? Che ne sai?

    – Ragazze, che ne dite di mostrare a Giulia quel favoloso monospalla di crêpe de chine blu cadetto? – esclamò Clara per cambiare discorso. Lanciò un’occhiataccia di avvertimento alle amiche: non era il momento di litigare. Forse l’atmosfera amichevole le aveva indotte a parlare liberamente come quando erano tra loro, ma si trattava pur sempre di un appuntamento di lavoro. Non era professionale!

    – Cos’è, l’amore infelice non ti sembra un argomento appropriato? Tu che hai sposato un folle che se n’è andato a vivere in mezzo alla giungla senza dare notizie di sé? Dovresti sapere che al cuore non si comanda!

    Rosanna ormai era partita per la tangente e niente l’avrebbe fermata. Clara rinunciò a puntualizzare che dal Principe, il suo primo marito, aveva divorziato da anni, mentre Totò, il suo attuale compagno, era l’uomo più adorabile del mondo. E che se il Principe, nonché padre di due dei suoi quattro figli, non si faceva sentire a volte per mesi, era perché lavorava come medico d’emergenza in luoghi remoti, interessati da conflitti internazionali, spesso isolati dal mondo.

    – Mia cara, quanto hai ragione! Più ami più sbagli, e più sbagli più ami! È il paradosso che ci fa vivere. Che tristezza sarebbe senza l’amore! – sentenziò Giulia con voce flautata, guardando Rosanna negli occhi. – Vi adoro ragazze! Non avete idea di quante persone poco interessanti ci siano al mondo, gente che sono costretta a frequentare, capace di ucciderti dalla noia. Una noia mortale! E invece voi siete così divertenti. Vi ringrazio di esistere! – non si capiva se stesse recitando o parlasse sul serio, ma aveva lo sguardo illuminato di autentica gioia.

    Rosanna era al settimo cielo: finalmente qualcuno che parlava la sua stessa lingua!

    – Giulia, tu sì che mi capisci! Mi sforzo di continuare come se niente fosse, ma è un tormento. È vero, lo conoscevo poco, ma è naturale: la nostra storia era solo agli inizi. E tutti sanno che è all’inizio che la passione è più forte! Se solo potessi, partirei per un lungo viaggio in Cina, magari, o in Finlandia.

    – Cina? – chiese Clara.

    – Finlandia? – si stupì Patti.

    – Ma allora parti, cara. Fai le valigie! Che aspetti? – la incitò l’attrice.

    – Non posso! Come farei con i turni al negozio? Non potrei mai lasciarle in difficoltà proprio ora che gli affari vanno a gonfie vele.

    Giulia prese la tazza di tè e restò meditabonda per qualche secondo, prima di berne un sorso.

    Aveva mani piccole e ingioiellate, grandi anelli in oro, argento e bronzo, con pietre dure o a forma di animali, uno scarabeo, un serpente, una medusa, le ornavano tutte le dita tranne i pollici.

    Allungò distrattamente una carezza a Petit Diable che era ancora sdraiato ai suoi piedi.

    – Pensavo… Perché non ti trasferisci qui?

    – Qui? – Rosanna la guardò senza capire.

    – Ma sì, qui in villa per qualche settimana. Una villeggiatura, come si faceva una volta. Si sta d’incanto, credimi. Vicino al boschetto di castagni, c’è un delizioso cottage con le stanze per gli ospiti, potrai avere tutta la privacy che desideri.

    Giulia sembrava un agente immobiliare impegnato a illustrare le virtù di un immobile di pregio.

    – È una vera oasi di pace, ma senza la noia. Ci sono un mucchio di cose da fare: c’è la piscina, il solarium, il giardino, sentieri immersi nella natura e un cuoco indiano terribilmente sexy che prepara squisiti pranzetti. E se hai proprio voglia di spiagge affollate e bagni di mare, puoi sempre scendere a Camogli.

    – Ma non vorrei disturbarti, ora che ti stai riprendendo dall’operazione… – disse Rosanna, più che altro per educazione.

    – Ma che disturbo! Stanno anche per arrivare altri ospiti interessanti, la mia cara amica Josephine, che è argentina e mi porterà in dono suo cugino, un autentico fisioterapista argentino come lei, tanto per cominciare. Altro che Cina o Finlandia, ti offro un paradiso a portata

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1