La libellula intrappolata
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Info su questo ebook
Quando l'avviso di sfratto arriva a casa sua, la vita di Kate finisce per cadere a pezzi. Inoltre, scopre che la sua migliore amica di sempre l'ha iscritta su un sito segreto in cui si svolgono aste che vanno oltre le sue conoscenze. All'inizio Kate è terrorizzata, ma vedere la sua famiglia devastata e con un piede in mezzo alla strada la spinge a prendere la decisione...
Andare a letto con qualcuno per poter salvare la sua casa è un prezzo che è disposta a pagare.
Per sua sorpresa, l'asta va bene, incredibilmente bene. In testa c'è sempre lo stesso nome: Obscure. Le sembra misterioso, anche se è preoccupata che la persona che vincerà possa non rivelarsi né giovane e né attraente.
Tuttavia, Obscure conosce Kate, è il suo professore di filosofia all'Università, ma il suo aspetto lì è molto diverso da quello che ha fuori... Perché quel professore quattrocchi, che non sa pettinarsi ed è sempre vestito malissimo, e che però ha uno sguardo che congela il mondo... non può essere quell'attraente e misterioso uomo che presto inizierà a farla impazzire...
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Anteprima del libro
La libellula intrappolata - Maialen Alonso
1
DISASTRO
Kate si trovava nel piccolo bagno della sua stanza. Cercava disperatamente di sistemarsi la chioma scura e ondulata in una semplice crocchia, per stare più comoda. Mentre si metteva l’elastico, i suoi occhi azzurri avevano un’espressione sorpresa, ma un paio di secondi dopo questa svanì, sostituita da una di stanchezza. Le discussioni in cucina la mattina presto erano diventate talmente abituali che non le provocavano più nulla, a parte opprimerla tremendamente.
-Kate...- la chiamò qualcuno con una voce soave.
Questo la obbligò a uscire dal bagno con un finto sorriso.
-Tranquilla, Miranda. Papà è stanco. Sai che questo lo mette di malumore.
La bambina di sette anni si afferrava alla maniglia consumata della porta bianca, e fissava negli occhi la sua sorella maggiore. Soffriva nel sentire le discussioni, e correva sempre da lei in cerca di conforto.
Kate spostò gli enormi libri dell’Università e si sedette sul letto, facendo segno a sua sorella di raggiungerla. Questa lasciò la maniglia e corse a sedersi sulle ginocchia della sua protettrice. Kate la cullò per alcuni minuti mentre le accarezzava i capelli, finché il rumore di una porta sbattuta al piano di sotto indicò che la discussione era finita.
-Vai a vestirti, poi facciamo colazione insieme- disse a sua sorella –Oggi ti porto io a scuola, va bene?
-Fantastico!
Quindi Kate scese al piano di sotto, sapendo quello che avrebbe trovato. L’unica cosa positiva era che non si sarebbe preoccupata né le sarebbe venuta voglia di piangere nel vedere sua madre o suo padre a pezzi. Con il tempo, l’ambiente pesante in casa era diventato un’abitudine, per cui lei si limitava ad accettarlo e cercare di sopportarlo come meglio poteva. Alla fin fine non era cambiato nulla, erano quattro anni che le cose a casa sua non miglioravano.
Quella mattina era la volta di sua madre. Era seduta al tavolo mezzo rotto della cucina, con la testa tra le mani, e sospirava profondamente, nel tentativo di scacciare il soffocamento che sentiva in gola. Kate sentiva un debole pianto, e le sembrò anche di veder cadere una lacrima sul legno grigiastro che, con gli anni, aveva perso la sua brillantezza.
-Mamma...- la chiamò –Stai bene?
-Mio Dio... E ora cosa facciamo? Siamo rovinati, Kate...- mormorò tremando.
-Questa non è una novità. Dai, mamma, tutto si sistemerà. Abbi fede.
-Fede?- ripeté la madre, alzando la testa e lasciando che Kate vedesse il colore scuro e il gonfiore dei suoi occhi color mandorla –Ce l’avrei se quello scervellato di tuo padre avesse pagato quella maledetta ipoteca... Chissà che diamine ha fatto con i soldi!
-Siamo messi così male?- chiese Kate avvicinandosi preoccupata.
-Come non mai- rispose la madre.
Quindi si tirò su, si soffiò il naso con un fazzoletto, si strofinò la fronte con aria stanca e guardò la sua figlia più grande direttamente negli occhi.
-Siamo con un piede in mezzo alla strada- continuò.
-Di cosa parli, mamma?- chiese Kate sedendosi accanto a lei e facendo attenzione alla porta, perché non voleva che Miranda sentisse quella conversazione.
-Menomale che hai la borsa di studio dell’Università- esclamò, per un attimo sollevata, poi continuò gridando –Quel grandissimo idiota di tuo padre sono quasi tre mesi che non paga la banca. Ci hanno appena mandato il secondo avviso: il mese prossimo ci mandano in mezzo alla strada, se non paghiamo tutto quello che gli dobbiamo, interessi compresi. Io non avevo neanche visto il primo avviso!
E diede un colpo pieno di rabbia sul tavolo, che barcollò.
-Quell’idiota codardo l’ha nascosto- concluse.
-Ma... E i soldi? È da Natale che lavoriamo notte e giorno- ribatté Kate, ricordando gli ultimi mesi in cui, a causa della stanchezza, a volte finiva per addormentarsi a lezione.
-Non lo so, e non mi dice che cosa ne ha fatto, quel bastardo. Sicuramente l’ha scommesso. Maledetto idiota- esclamò mentre si alzava –Se non lo amassi tanto, gliela farei vedere.
In quel momento si sentirono i passi di Miranda, e le due smisero immediatamente di parlare. Susan, la madre di Kate, si asciugò velocemente le lacrime, sperando che la figlia piccola non si accorgesse di nulla, o almeno che non capisse la gravità della situazione.
-Dai, dai- gridò Kate sorridendo –L’esame di oggi mi andrà alla grande.
-Certo che sì, tesoro- rispose Susan, baciandole la guancia –Più tardi parliamo, Kate. Vedrò cosa posso fare con la banca.
Quindi accompagnò le due figlie alla porta di casa, e rimase lì ad osservarle mentre si allontanavano.
Kate lasciò Miranda a scuola e continuò a camminare, diretta alla fermata dell’autobus. Aveva la testa piena di preoccupazioni. L’esame di quella mattina sicuramente sarebbe stato il peggiore della sua vita, sapeva che non sarebbe riuscita a concentrarsi.
-Ehilààà!- canticchiò una voce conosciuta alle sue spalle.
-Ciao Jessy- salutò Kate la sua migliore amica.
-Cos’è quella faccia? Hai passato la notte a studiare, vero? Devi proprio imparare a capire quando un esame è importante e quando no. E quello di oggi non lo è.
-Per te non lo è, Jessy, ma io ho una borsa di studio. A ogni esame rischio che me la tolgano, e ora...
E nascose il viso, affondandolo tra le mani.
-Ehi...- esclamò Jessy, avvicinandosi a Kate e afferrandola –Che succede?
-Ci manderanno via di casa, Jessy- le spiegò, trattenendo a fatica il pianto –Cosa faremo con Miranda? Ha solo sette anni. Lei non dovrebbe vivere una cosa del genere...
-Raccontami cos’è successo, ok?- le disse Jessy mentre si sedeva nell’autobus.
Avevano quasi mezz’ora di tempo prima di arrivare.
Una volta arrivate all’entrata dell’Università, scesero dall’autobus. Il luogo era pieno di vita già a quell’ora. Era pieno di studenti mattinieri, pronti per un duro giorno di esami e verifiche. Il sorriso con cui Kate si era svegliata quella mattina era scomparso. Jessy era la sua migliore amica, la conosceva come nessun altro... Conosceva la sua situazione, ed era preoccupata.
-Troveremo una soluzione, Kate, te lo giuro- promise, appoggiandosi affettuosamente sulla sua amica –Lavoreremo entrambe e racimoleremo almeno la somma necessaria per evitare lo sfratto.
-Grazie, Jessy, ma non hai motivo di farlo. Comunque, non possiamo racimolare così tanto in poco più di un mese...
-Sai che c’è?- chiese improvvisamente Jessy sorridendo –Oggi è venerdì. Stasera usciamo.
-Sei pazza?- esclamò Kate quasi arrabbiata –Secondo te ho voglia di uscire?
Jessy si fece seria. Con uno scatto si piazzò davanti alla sua amica e la prese per le spalle.
-Hai bisogno di distrarti, e so che tua madre mi darà ragione. Stasera usciamo, ci divertiamo, e domani cominceremo a cercare soluzioni.
-No.
-Lo dirò a Susan, preparati- la avvertì, iniziando a correre verso l’entrata del suo edificio, mentre tirava fuori il cellulare.
-Ho detto di no, Jessy! Non chiamarla, maledizione!
Pum! Kate cadde a terra, spargendo i libri e gli appunti che aveva in mano. Si mise in ginocchio massaggiandosi il fondoschiena. Aveva preso un colpo che sicuramente le avrebbe lasciato un livido, che le avrebbe fatto male come il morso di una vipera ogni volta che avrebbe provato a sedersi. Alzò la testa con un’espressione arrabbiata, ma questa durò poco più di un millesimo di secondo, per poi lasciare spazio a un’espressione quasi di terrore.
-Mi... Mi spiace... Professore...- mormorò preoccupata.
-Non succede niente, signorina Garrison.
Il suo trasandato professore le tese la mano. Aveva sempre un aspetto disastroso, ma il suo sguardo era fiero, perciò, nonostante sembrasse un tipo trascurato, i suoi alunni lo rispettavano e ne avevano timore. Ed era un timore fondato: lui era implacabile, durante le sue lezioni non si sentiva neanche un respiro, né un innocente starnuto.
Kate accettò la sua mano per non peggiorare la situazione. Lui la tirò su senza sforzo, quindi la guardò, mentre si metteva gli occhiali. I suoi occhi grigi sembravano pugnalarla.
-Spero che starà più attenta.
-Sì, professore, mi spiace molto.
-Mamma mia!- esclamò Jessy, mentre raggiungeva la sua amica trattenendosi dal ridere –Pensavo che ti avrebbe mangiata viva.
-Molto simpatica! Mi è quasi preso un colpo quando ho visto che era il professor Howl. Mi ci manca solo che mi prenda di mira. Questa giornata continua a peggiorare. Maledizione!
Jessy decise di chiudere la bocca prima di fare un’altra battuta. Quando Kate era arrabbiata e frustrata, era meglio lasciarla stare. Lei non era solita essere di malumore, e quando lo era diventava una bomba atomica in miniatura, capace di distruggere tutto quello che la circondava.
Proprio come Kate si aspettava, l’esame di filosofia fu un vero disastro. Anche se dubitava che l’avrebbe superato, aveva bisogno di mantenere la media il più alta possibile perché, se avesse perso la borsa di studio, sua madre avrebbe perso la poca salute mentale che le rimaneva. Per giunta, durante le quasi due ore che impiegò per terminare l’esame, il professor Howl non faceva che osservare quello che scriveva, piazzandosi fastidiosamente alle sue spalle. Sicuramente era infastidito per lo scontro, e non esitò a farglielo sapere.
-A quanto pare, alla fine mi ha presa sì di mira- pensò mentre riordinava le sue cose –Fantastico, questa è la mia fine.
Salutò Jessy con un gesto che sperò non vedesse il professor Howl, e uscì. Andare a casa in quella situazione la deprimeva, ma non aveva molte altre possibilità.
Appena aprì la porta di casa, sentì una nuova discussione.
-Maledizione, Petter, cos’hai fatto?
-Susan... Mi dispiace. Io... Io pensavo di vincere...- rispose lui con la voce spezzata.
-Ti sei giocato i nostri soldi! Ma sei pazzo?
Kate si affacciò, e li vide nel piccolo salotto. Susan lo indicava minacciosamente con un dito. Era un brutto segno: quando faceva così era davvero arrabbiata.
-Hai due figlie!- esclamò ancora.
-Mi spiace, mi spiace davvero. Pensavo di vincere e...
-Sta’ zitto!- gridò lei –Guarda cos’hai ottenuto. Tra quaranta giorni dovremo andarcene dalla casa che ha visto crescere le bambine, e non abbiamo nessun posto dove andare.
-Risolveremo la faccenda, Susan. Fidati di me.
-Fidarmi di te?- rispose ironica –Non intendo darti un solo dollaro. Stai sicuro che non intendo rischiare il cibo delle tue figlie per delle sciocchezze, e ancor meno per farti scommettere.
-Susan...
Tentò di convincerla, ma lei si girò con uno sguardo fiero che gli fece chiudere la bocca improvvisamente.
-Basta...- mormorò triste Kate –Miranda sta per venire con Johana.
-È vero- esclamò Susan, asciugandosi le lacrime e guardando l’orologio da muro –La signora Johnson arriverà da un attimo all’altro con le bambine. Tu, vai a cercare un maledetto lavoro. E tu, Kate, stasera esci con Jessy, hai capito?
-Ma mamma...
Proprio come suo padre, chiuse la bocca appena Susan aggrottò le sopracciglia con aria interrogativa, trasmettendo un Che cosa?
molto diretto e pericoloso.
-Va bene, va bene... Ora finisco il lavoro di filosofia, poi chiamo Jessy...
Quindi andò in camera e si lasciò cadere sul letto. Mantenere la normalità in quella situazione era inutile. Nel giro di quaranta giorni si sarebbero ritrovati in mezzo alla strada, con i ricordi di tutta una vita alle spalle, senza un posto dove vivere e costretti a mendicare anche solo per un pasto caldo. Loro avrebbero potuto cavarsela in qualche modo, ma non avrebbero mai permesso che la dolce Miranda dormisse per la strada, mai. Qualunque altra cosa prima di questo.
Guardò i libri svogliata. Decise che quel pomeriggio non avrebbe fatto nulla, e che si sarebbe occupata la domenica successiva del lavoro. Aveva decisamente bisogno di distrarsi, come