La leggenda di Lylyth: Il dono del bene
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Anteprima del libro
La leggenda di Lylyth - ALESSANDRO TEDDE
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EDITRICE GDS
Alessandro Tedde
La leggenda di Lylyth Il Dono del Bene
EDITRICE GDS
di Iolanda Massa
Via G. Matteotti, 23
20069 Vaprio d’Adda (MI)
tel. 02 9094203
email: edizionigds@hotmail.it ; iolanda1976@hotmail.it
Collana ©AKTORIS
Illustrazione in copertina di © Alessandro Tedde
A Silvia,
dal sogno alla realtà.
Come noi due.
01
Chiuse gli occhi e sospirò.
02
Quando li riaprì, Lylyth vide la nuca di Penny che quasi le sfiorava il naso. Magari avesse potuto chiudere le orecchie, per non sentire tutta quella confusione. Tra musica, tamburi e chiacchiericcio da banchetto inoltrato, sentiva di sopportare sempre meno le feste mondane a corte, anche se erano organizzate per il suo compleanno. E le acrobazie del nano non la aiutavano affatto.
Si voltò e vide suo padre parlare animatamente con Icilijo, il capo della guardia reale, ma era impossibile anche solo cogliere una sillaba intellegibile in mezzo a quel frastuono. Sua madre era andata chissà dove. Uno dei privilegi di essere Regina era quello di potersi assentare senza troppe spiegazioni per qualche minuto, un po’ di sollievo da una situazione che dopo quattro ore diventava francamente insostenibile. La ciotola d’argento davanti a lei era mezza piena di zuppa di verdure. ‘Fantastico’, pensò, ‘siamo ancora all’antipasto’. Doveva trovare il modo di sgattaiolare via! Ed ecco ancora la nuca di Penny a sfiorarle il naso.
Papà!
urlò.
Nessun cenno di risposta, la discussione sembrava concitata.
Papà!
Lylyth tirò la manica della veste del padre.
Il padre si voltò stizzito, ma subito corresse l’espressione e sfoderò un sorriso dolce alla vista della figlia.
Sto parlando, tesoro. Cosa ti serve?
Fai spostare il circo, per favore. Ci manca poco che Penny mi rompa il naso. Hanno a disposizione una piazza, qui davanti, che cavolo!
Vilker abbozzò e fece cenno a Penny di indietreggiare. Lo spazio interno alle tavolate disposte a quadrato era effettivamente enorme, nessuno ci avrebbe rimesso. Poi, tornò a parlare con Icilijo.
Lylyth tornò invece alla sua zuppa, calda e saporita. A giudicare dalle sorsate sonore che si levavano dai quattro tavoli non era la sola a gradirla, anche se era certa che gli uomini presenti stessero aspettando lo stinco di maiale che sarebbe arrivato di lì a poco. Lei aspettava le verdure del contorno.
Svuotata la ciotola, si buttò sullo schienale della sedia, lasciando che il caldo le fluisse nel corpo. Per un attimo le parve di non avere nulla intorno, una sensazione che la riportò con la mente al suo ritiro accanto alle cascate. Chiuse ancora gli occhi. Si concentrò.
Fu riportata alla realtà dalle labbra umide della madre che le baciavano la fronte. Era tornata con un baule rettangolare di legno con gli angoli rivestiti di eleganti decori in rame. Sembravano gigli, ma la cultura floreale della ragazza non era il suo vanto. Re Vilker si alzò dallo scranno e la stanza, a quel movimento, si ammutolì, come fosse gelata. Quando il Re parlava, non lo faceva mai a sproposito.
Grazie a tutti di essere qui, questa sera. I governatori delle nove città del Regno,
alcuni, attorno al tavolo, annuirono solennemente, per ricambiare la gentilezza del Re, mio fratello Parris
il Re porse la mano in direzione dello zio di Lylyth, che si alzò con un grande sorriso dal tavolo opposto e sollevò la coppa, e naturalmente la mia splendida cognata Firanka.
Vilker sorrise alla donna e si voltò verso la propria moglie, che lo squadrò con uno sguardo severo e un broncio giocoso.
Saluto Kece, che da oggi onorerà la nostra famiglia e mia figlia con i suoi insegnamenti,
l’anziano Priore rimase immobile, avvolto nella tunica scura, e Lexis, cui affido la sua vita a corte e di cui auspico saggi e benevoli consigli.
Lexis, fino a poche ore prima consigliere di Parris, venne investito consigliere della Principessa quello stesso pomeriggio. Un grande onore, con davanti una grande carriera a corte. I lineamenti affilati dell’uomo erano compiaciuti e gli occhi scuri tradivano l’ansia per l’inizio delle sue mansioni. Nonostante la carriera, era ancora giovane e non prendeva alla leggera un’investitura su così lungo periodo.
Non dimentico naturalmente tutti gli ospiti di questo banchetto, i membri del mio consiglio, e gli invitati tutti. Con il vostro calore onorate questa casa e il mio nome. Oggi Lylyth compie sedici anni. Da domani inizierà il suo percorso di studi che, come saprete, la porterà a prendere le redini del Regno. Non voglio togliere quindi troppo tempo ai suoi festeggiamenti.
Il Re si volse verso la figlia.
Auguri tesoro.
Le prese la testa tra le grandi mani e la baciò in fronte con solennità e amore. I calici si levarono al cielo e un urlò proruppe dalla mensa. I musici e i giocolieri ripresero ad intrattenere gli ospiti, aumentando il volume e il ritmo, mentre una fila di camerieri introdusse i maialini da latte al forno e depose le grandi pirofile sui tavolacci. Lylyth vide con la coda dell’occhio quello che le pareva uno dei dieci governatori chinarsi sull’animale dorato e unto e baciarne la cotenna come fosse la veste di un santo. Poi si voltò e bacio con passione la moglie. Tutti risero, la festa continuò.
Dentro quel baule c’è il regalo di compleanno di tua madre e mio, Principessa.
Grazie papà.
sorrise Lylyth.
Auguri tesoro.
Lylyth guardò oltre il padre e vide lo sguardo pieno d’amore della madre, che osservava una figlia ormai cresciuta, non più una bambina, che dal giorno successivo si sarebbe preparata a diventare Regina. Le scese una lacrima che lasciò asciugare all’aria, come a volerla conservare per sempre sulla sua pelle.
Lylyth vide il baule come un’ottima scusa per assentarsi un po’ dal clamore. Lo trascinò quindi per una maniglia verso il fondo del salone, e lo sistemò a terra con un tonfo. Aperto il coperchio vide, alla scarsa luce che giungeva fin lì dalle fiaccole, la più bella sella che avesse mai osservato.
È cucita a mano dagli artigiani di Shinta, oltre le montagne.
le sussurrò sua madre, che l’aveva raggiunta nell’ombra.
Mamma, è stupenda!
Il seggio era di cuoio chiaro, lucido e ben tirato. I quartieri ospitavano due scene di corte: una nella sala del trono, in cui una bambina era levata di fronte al trono da un uomo fin troppo somigliante a Re Vilker, con accanto Florel; l’altra nella sala araldica, dove una bambina era vista di spalle con i lunghi capelli biondi che le accarezzavano la schiena mentre osservava lo stemma reale. Paletta e arcione erano rifiniti d’avorio lucido e liscio, passarci sopra la mano sembrava come accarezzare un’anguilla. Sui due falsi quartieri erano raffigurati due draghi, uno per parte, maestosi e fieri, sullo sfondo delle grandi montagne da cui provengono. Per Lylyth i draghi erano sempre stati una leggenda, capace di proteggerla quando si sentiva sola, al freddo della grande stanza da letto. Ma quelli erano i più realistici che avesse mami visto, come fossero stati imprigionati con un sortilegio. Li accarezzò e sentì il ricamo ruvido sotto le dita.
Sono lì per proteggerti. Questa sella è unica, tesoro mio. Come te.
Florel sorrise, trasmettendo amore e protezione come solo una madre sa fare.
La proverò domani! Voglio andare alle cascate, a studiare.
La Regina annuì. Ora goditi la tua festa, e non far caso al baccano, fra poco saranno troppo ubriachi per urlare.
Tornata al tavolo, Lylyth trovò ad attenderla Lexis, il suo consigliere, un uomo ancora giovane, alto e dai capelli color paglia cotta dal sole. Aveva un fascino particolare, riflessivo e sempre pensieroso. Si sarebbe aspettata almeno un cenno da Kece, ma a quanto pareva il sacerdote si era addormentato, perché non cambiava posizione da almeno un’ora.
Principessa, i miei auguri per questo evento e per la vita che inizieremo domani.
Grazie Lexis.
Sono a corte da molti anni, ma l’investitura di oggi mi ha fatto molto riflettere sulle responsabilità che ho e su quello che attende entrambi.
Lylyth sorrise, per alleggerire lo sguardo preoccupato che aveva velato gli occhi del suo consigliere ed amico.
Lexis, è da quando ho memoria che ti vedo al fianco di mio zio e di mio padre. Sarà facile, vedrai.
Lylyth gli sorrise, cercando conforto più per lei che per il consigliere.
Tredici anni sono passati come passano le nuvole in cielo. Da qua giù sembrano così lente, ma volano via in un attimo di distrazione.
considerò Lexis.
Ecco perché non voglio distrarre te, questa sera. Lascia a domani le preoccupazioni. Lasciale al Re, che sembra averne anche quando tutti si divertono.
La Principessa buttò un occhio al padre, che era tornato a discutere con Icilijo, e spinse leggermente Lexis verso il tavolo, mentre si avvicinava quel nano indemoniato che rispondeva al nome di Penny e che sembrava non riuscire ad esaurire il veleno della tarantola che, secondo Lylyth, l’aveva punto portandolo a convulsioni grottesche che tutti chiamavano arte. Una acrobazia per sfiorare il viso della Principessa, per incontrare la spalla di Lexis, che scattò di lato, portando la mano a colpire il calice di Lylyth e riversarlo a terra, mentre il nano per il contraccolpo bilanciò i piedi andando a finire sopra l’acqua mista a vino appena caduta e capitombolò a terra. La Principessa rise, assieme agli ospiti, mentre Lexis arrossì di timidezza e Vilker non si accorse di nulla, preso com’era dalle sue discussioni.
La festa andò avanti fino a tarda notte, ma Lylyth riuscì a ritirarsi con largo anticipo usando la scusa della dura giornata di studio che l’avrebbe attesa l’indomani. Chiuse le porte e restò sola nella sua stanza, con l’eco delle risa in lontananza.
Qualcuno aveva portato la sella nella camera, e l’aveva adagiata su una cassapanca. Era splendida, illuminata dalla luce delle candele. I colori brillavano e i disegni sembravano vivi, mentre le ombre seguivano il tremolio delle fiamme. Tutta la camera le sembrò stupenda, una protezione di cui sentiva di aver bisogno ora più che mai, quando ad ondate iniziava a sentire il peso delle responsabilità che avrebbero cominciato ad accumularsi e che neanche le lunghe cavalcate fuori città avrebbero mai cancellato del tutto. Il letto a baldacchino, sul lato sinistro della stanza, era immacolato, fresco, con lenzuola di seta e orli cuciti a mano dalle sarte di Ashford. Gli arazzi alle pareti erano stati cambiati, per accordarsi con la biancheria, e questo la rese soddisfatta di come tutto si fondesse a creare un nido intimo e forte. Lì dentro sapeva di essere al sicuro. I tavoli, cesellati e intarsiati da mani esperte, erano un dono alla corte da parte del Governatore di Hadda, uno dei tanti doni che ogni tanto viaggiavano dal Regno al Sud e viceversa, per mantenere una pace che sembrava sempre più labile, tenuta insieme forse dal solo matrimonio di Parris con Firanka, figlia di Lucio Beritooz, autore di quei regali e da molti anni eletto Governatore dei territori a sud delle montagne. Democrazia, la chiamavano.
‘Indubbiamente’ pensò Lylyth passando la mano sopra al suo scrittoio, ‘il legno della foresta di Orga è il migliore del mondo intero’. Scuro, liscio e duro come il marmo.
Un dono per una Principessa
.
Lylyth si voltò verso la voce profonda che proveniva dalle sue spalle. Kece, il Priore, era sulla soglia, immobile. La ragazza abbozzò un sorriso.
La prego, entri.
propose con reverenza.
Non è necessario, Principessa. Domani, all’alba, la attendo nei giardini sul retro del palazzo. Inizieremo lì il suo cammino. Buona notte.
Senza attendere replica, il sacerdote richiuse le porte.
Lylyth rimase qualche secondo ad osservare l’ingresso della stanza, incredula.
‘Diretto, di poche parole e ancor meno simpatia. Sarà uno spasso!’ disse fra sé. Gettò poi i vestiti su una poltrona d’angolo accanto al letto e si infilò sotto le lenzuola. La seta fresca le abbracciò il corpo e la ragazza si addormentò senza pensare a nulla, abbandonandosi ad un sonno senza sogni. Ci sarebbe stato tempo per gli incubi in futuro.
03
I giardini del castello di Ashford, capitale del Regno, si avvicinavano più ad un bosco. Sul retro del castello una bassa fontana circolare, simile ad una vasca interrata con un orlo rotondo a cingerla, sembrava creare un lago artificiale in mezzo ad un prato tenero e sottile in cui i giardinieri avevano ritagliato aiuole dal disegno di petali di tulipano. La quiete era assoluta, e i viottoli di ghiaia bianca erano riservati alla sola famiglia reale. Fatta eccezione per gli attendenti dei membri della famiglia, affaccendati in qualche commissione, e i membri della guardia reale, non si vedeva nessuno in giardino fino al tramonto, quando i giardinieri iniziavano il turno che li avrebbe condotti fino all’alba a curare ogni singolo fiore del parco. Dalla parte opposta rispetto al castello, un’alta siepe separava i giardini dal bosco. Questo muro verde era stato fatto crescere accanto e sopra una serie di tunnel di pietra grigia, fino ad inglobarli del tutto. La natura dei tunnel era tradita solo quando il sole riusciva ad entrare nei passaggi, illuminandone il soffitto ormai annerito dal tempo e dalle fiaccole, e punteggiato del verde e del panna dei licheni. Attraverso questi passaggi si entrava nel terreno di caccia del Re, un bosco fitto e accuratamente trasandato. Era stato progettato quattrocentoventidue anni prima dall’architetto di Re Colman. Un luogo dove cacciare cervi e cinghiali, ricco di nascondigli ed edifici sotterranei in cui ritirarsi in caso di attacco diretto al castello. Ma quei nascondigli erano da tempo dimenticati, bloccati dalle radici o franati sotto il peso della terra e degli anni. Inutilizzati, erano stati abbandonati al loro destino. Ma il bosco, fitto e a tratti addirittura impenetrabile, restava una sorta di ultima roccaforte naturale. Era facile perdersi, lì dentro, ed era facile morire. Vilker non era amante della caccia, come suo nonno, ma ogni tanto percorreva sentieri non segnati per il puro gusto dell’avventura, seguito da una corte di sei uomini addestrati per la sua protezione, la crema della Guardia Reale, e dal suo attendente. Lylyth non si era mai addentrata nel bosco, a piedi o a cavallo. Preferiva galoppare nelle pianure subito fuori città, o passeggiare per le strade di Ashford al piccolo trotto fino alla Cascata delle Lacrime, dove si era fatta costruire un piccolo rifugio per riflettere e studiare.
Sul fronte, il castello sembrava quasi finto, con il suo corpo centrale rettangolare e le ali distese per quasi duecento metri a destra e a sinistra, terminanti da un lato in una torre di trenta metri, sede della guardia armata del castello, e dall’altro in un mastio a pianta quadrata in cui risiedeva la famiglia reale e la corte. Il fronte era protetto da un passaggio sul fiume con ponte in pietra, sacrificabile in caso di attacco. Un’eventualità remota non solo per la posizione del castello al centro della città, a monte delle cascate, ma anche perché non vi erano attacchi da oltre quattrocento anni, a seguito della tregua con Hadda e i suoi Governatori, che veniva rinnovata ad ogni nuova elezione tramite una cerimonia a cui comunque il Re non prendeva mai parte, essendo ormai diventata una mera formalità, non più sentita dalle nuove generazioni che cercavano di dimenticare, per quanto possibile, la presenza degli invadenti confini. Più che di tregua vera e propria si poteva parlare di tacita sopportazione.
Il matrimonio tra Parris Magreen, fratello del Re, e Firanka Beritooz, figlia del Governatore di Hadda, aveva rafforzato un’alleanza di facciata, legando di fatto il trono del Reame alla democrazia del Sud