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Sposa di Guerra
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E-book674 pagine9 ore

Sposa di Guerra

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Info su questo ebook

Seconda guerra mondiale. Nel luglio del 1943 le Forze alleate sbarcano in Sicilia con l'obbiettivo di liberare il Paese dal dominio nazifascista. Angela Robson è una bellissima crocerossina inglese in servizio presso l'ospedale civico di Palermo e che, il caso vuole, fa la conoscenza di un avvenente capitano dell'esercito americano di nome Michele Falconi, di origine siciliana. Tra loro sboccia una istantanea e travolgente relazione amorosa che non potrà essere coronata da giuste nozze prima del termine della guerra in osservanza del regolamento imposto dalle autorità militari americane. Quando Angela rivela a Michele di essere in stato interessante, lui riesce a convincere un parroco di una chiesetta in un piccolo paese sperduto sulle colline a breve distanza da Palermo, a unirli in matrimonio. Ma prima del parto, lei scompare misteriosamente. Lui la crede morta in un bombardamento aereo della Luftwaffe su Palermo, che ha raso al suolo l'ospedale in cui lei prestava servizio. Il suo corpo e quello di molti altri non viene rintracciato, e l'unica certezza che sia deceduta è il ritrovamento tra le rovine di un orologio d'oro che le aveva donato. Divenuto preda della disperazione per la perdita della adorata moglie e del nascituro figlio, si impegna nel conflitto con sprezzo del pericolo nell'intento di cercare la morte. Ma ne esce illeso, e alla fine della guerra è insignito, alla stregua di un eroe, di medaglia al valore militare. Ritorna a New York dove riassume il suo ruolo di rampollo di una delle cinque più potenti Famiglie mafiose della città di cui suo padre é il Capo incontrastato. Ma non smette mai di piangere la perdita dell'amore della sua vita, neppure quando dopo alcuni anni si risposa con l'arrogante e ossessivamente gelosa figlia di un Boss di un'altra potente Famiglia con cui la sua ha stretto un'alleanza di affari. Ma un giorno mentre é a cena con amici in un esclusivo ristorante di Mahhattan, vede un fantasma e ne resta impietrito.
LinguaItaliano
Data di uscita22 nov 2021
ISBN9791220370110
Sposa di Guerra

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    Anteprima del libro

    Sposa di Guerra - Domenico Martusciello

    1

    Nel caldo torrido del primo pomeriggio giunsero, a bordo di una jeep, al villaggio arroccato sulla sommità della collinetta dopo averne scalato lentamente le pendici dai tornanti tortuosi, stretti e accidentati. Era un vasto agglomerato di numerose costruzioni dall’aspetto decadente, che sembravano scolpite nella pietra.

    Lui parcheggiò la jeep nello slargo antistante alla chiesetta e ne discese aiutando lei a fare altrettanto. Presala per mano, la condusse per vicoli acciottolati fino al limitare della piazza principale, deserta e silenziosa nella siesta pomeridiana. Le indicò un edificio fatiscente a due piani di mattoni rossi, che sorgeva sul lato opposto ed era provvisto di altrettanti balconi. Vi girarono attorno lentamente come per ispezionarlo. Sul retro, si estendeva una vasta area recintata di ferro battuto ricoperta di sterpaglie che testimoniavano lo stato di abbandono in cui versava. Lui sapeva che era ciò che restava di quello che un tempo era stato uno splendido e rigoglioso giardino con piante fiorite e alberi da frutto.

    Alcuni vasi di terracotta colmi di rossi gerani e posati sui davanzali, facevano bella mostra di sé. Una lieve brezza soffiava dal mare e agitava i panni del bucato appesi alle ringhiere dei balconi. Allo stabile si accedeva attraverso un massiccio portoncino.

    Questa è la casa dove abitava mio nonno moltissimi anni fa, le disse. Si chiamava Michele come me, e questo è il nome che vorrei imporre a nostro figlio.

    Le sorrise prima di continuare: "Ora è abitata da altri per-

    ché quando lui morì, mio padre la ereditò, ma poi la vendette quando si trasferì negli Stati Uniti con tutta la famiglia, dove io sono cresciuto. Le sorrise di nuovo. Ma ora andiamo in chiesa, cara."

    Quando entrarono nella chiesetta, lei gli si aggrappò di istinto a un braccio. L’ambiente, immerso nella penombra, era deserto se si eccettuava la donna delle pulizie in tuta grigia. La Messa era terminata da poco. Avvertirono una piacevole frescura rispetto alla canicola che li aveva afflitti all’esterno. L’aria era impregnata dell’odore di incenso frammisto a quello della cera fusa che colava dalle candele accese. A breve distanza dall’acquasantiera, era collocata una statua della Vergine che reggeva il bambinello Gesù, e, appesi alle pareti, videro numerosi ritratti di Santi dalle espressioni di beatitudine, e le cui cornici indorate luccicavano debolmente.

    Lei continuò a tenerlo per un braccio mentre percorrevano la navata di destra che conduceva all’altare. Si guardò attorno pensando che quella fosse la chiesa peggiore tra quelle in cui avrebbe immaginato che il loro matrimonio sarebbe stato celebrato. Sostarono per quasi un minuto a osservare, affisso a una parete, un grande crocefisso ligneo e lucido. Si fecero il segno della croce prima di avanzare.

    Lui le disse indicando una delle panche con inginocchiatoio: Siedi qui e aspettami, Angela, mentre vado a cercare il parroco.

    Lei ubbidì.

    La donna delle pulizie, china sul pavimento marmoreo, aveva terminato di lucidarlo strofinandolo con vigore. Sollevò lo sguardo e li osservò con sospetto misto a curiosità, poi si raddrizzò e si premette le mani sulle reni come per alleviare un antico mal di schiena. Aveva un volto inespressivo e rugoso, l’incarnato giallognolo. Radunò i suoi attrezzi di lavoro e li infilò in un cestello, poi si diresse all’uscita. Passando davanti all’altare posò un ginocchio a terra e si segnò. Quindi uscì dalla chiesa chiudendo la porta dietro di sé. Angela si chiese se Michele aveva trovato il parroco. Pensò che avrebbe dovuto pregare ignorando la atmosfera sgradevole che aleggiava nella piccola chiesa, e l’odore disgustoso delle candele che si consumavano lentamente. Non poteva ignorare le sue origini di cattolica praticante, il modo in cui era stata allevata e chiedere la benedizione divina nel giorno delle sue nozze, anche se si rendeva conto che in quella chiesa si sarebbero svolte in modo di gran lunga diverso da come le aveva immaginate da ragazza.

    Aveva sempre pensato che sarebbero state celebrate in pompa magna nella chiesa del suo paese nel Sussex in Inghilterra, dove sua madre avrebbe provveduto agli addobbi floreali. Il padre l’avrebbe condotta all’altare dove il parroco che l’aveva battezzata l’avrebbe unita in matrimonio a un avvenente giovane. Uno stuolo di paggetti, che le reggeva il lungo strascico, avrebbe partecipato alla cerimonia assieme ad amici e parenti elegantemente abbigliati.

    La chiesa sarebbe stata gremita fino all’inverosimile e suo fratello si sarebbe occupato degli invitati per i quali avrebbe organizzato un pranzo luculliano.

    Ma a quell’epoca, la guerra con la Germania nazista non era ancora scoppiata a cambiare la vita della gente e la sua. Quando accadde, il suo promesso sposo fu costretto ad arruolarsi nell’esercito e di lui non ebbe più notizie. Suo fratello, pilota della RAF, rimase ucciso nel corso di un’incursione su Dresda nel 1941 in cui il suo aereo fu abbattuto.

    Lei decise allora di impegnarsi nel volontariato e dopo aver partecipato a un corso di addestramento per infermiera nella Croce Rossa, fu trasferita in Nord Africa prima, e poi in Italia per prestare servizio in un ospedale di Palermo nei pressi della zona dove aveva avuto luogo lo sbarco alleato in Sicilia.

    Aveva visto morire molti giovani. Chiuse gli occhi e cercò di formulare una preghiera muovendo appena le labbra. Io lo amo, sussurrò. Ti prego, Signore, dacci la felicità.

    2

    Il parroco della chiesetta del paese, era un frate domenicano molto anziano, che doveva aver da tempo varcato la soglia degli ottant’anni. In quel momento, stava seduto in Sacrestia a leggere il breviario. Esibiva una piccola chierica sulla sommità del capo, e una sottile frangetta gli ricadeva sulla fronte. Era molto basso e tarchiato di corporatura. Sotto la tonaca sgualcita nascondeva il ventre prominente. Rivolse lo sguardo a Michele in divisa da capitano del- l’esercito americano quando questi fece il suo ingresso dopo aver bussato lievemente sulla porta con le nocche. Lo fissò e fece una smorfia di disappunto. Chiuse il breviario e disse lentamente: So chi sei, e sospettavo il tuo arrivo. Voci in proposito sono circolate in paese. Ma perché sei venuto? Che cosa vuoi? Ora siamo in pace e non ti vogliamo.

    Non è per crearle alcun problema che sono qui, Padre, fu la risposta pacata. E’ per qualcosa che mi riguarda personalmente. Fece una pausa. Amo questo paese poiché vi sono nato e vi ho trascorso la mia infanzia. Lo porto sempre nel mio cuore. Pertanto ho deciso di celebrarvi le mie nozze con la donna che amo. Io non ho niente a che fare con il passato della mia famiglia.

    Il frate disse: Sappiamo che tra le truppe alleate sbarcate sull’isola, vi sono italoamericani come te, membri o parenti di famiglie mafiose originarie di questa regione. Temiamo che avranno comportamenti da predatori sanguinari come coloro che emigrarono negli Stati Uniti moltissimi anni addietro. Tacque e si tolse gli occhiali strofinandone le lenti sopra una manica della tunica. Ma non c’è più niente che possa interessarli in questo paese. Niente di niente. Inforcò gli occhiali.

    Michele scosse il capo contrariato. Lei non mi comprende, padre. Lei non mi vuole ascoltare. Mi ascolti, la prego. Il tono era lievemente supplichevole.

    L’altro non replicò, ma sembrò riflettere per un lungo momento. E’ circolata parola qui ad Altofonte, disse, del recente sbarco di militari italoamericani in Sicilia assieme agli alleati che combatteranno per la liberazione dell’Italia dal giogo nazifascista. Ma temiamo che molti di loro cercheranno di depredare il popolo come facevano nell’isola i loro antenati membri di famiglie mafiose, nei moltissimi anni che precedettero lo scoppio della guerra. Altofonte è un paese poverissimo. Non potete spremerlo così come non potreste spremere un limone. Dillo ai tuoi capi.

    Comprendo le sue motivazioni, Padre, ma le assicuro che da me non ha niente da temere. Io non sono il genere di uomo che lei sospetta. Pertanto, sono determinato nel chiederle di celebrare il mio matrimonio prima della nascita di mio figlio. Non può negarmelo. E’ tutto ciò che desidero da lei. Nient’altro. Ho portato la mia fidanzata. E’ in cinta di sei mesi e adesso è di là in chiesa che attende e prega.

    No! il frate sbottò alzandosi di scatto e facendo scricchiolare la sedia. Non vi sposerò. Io non ti credo, le tue mani sono sporche di sangue come quelle di coloro della tua famiglia che ti hanno preceduto.

    Non è vero, Michele replicò. Io non alcuna colpa per i passati comportamenti della mia famiglia. Per amore di Dio, Padre, la prego di unirci in matrimonio.

    No, il frate ripeté. Andò alla porta della Sacrestia e l’aprì. Angela, in tenuta da infermiera della Croce Rossa, aveva lasciato la panca con inginocchiatoio e ora sedeva nell’ombra di un angolo appartato della chiesa. Poiché non ti credo, non posso perdonare i tuoi peccati, disse e aggiunse puntando l’indice su di lei: Pertanto, prendi la tua donna e lascia la mia chiesa.

    Il giovane gli si avvicinò, dicendo: Se ci sposa, Padre, le prometto che non mi vedrà mai più. Le garantisco che non sarà mai più disturbato.

    Il frate riconobbe la ben nota formula negoziale del do ut des, che tradotto significa: Lei mi fa questo favore e io glielo ricambio con un altro favore. Me lo rifiuta e ne subirà le conseguenze. Capì che non aveva scelta. Non c’era mai una scelta in circostanze del genere.

    Me lo giuri? chiese.

    Sul mio nascituro figlio, fu la risposta.

    Il frate sapeva che in quel genere di famiglia un giuramento non veniva mai infranto e che al pari dell’omertà del silenzio, era sempre mantenuto.

    Ho sentito molto parlare di tuo nonno quando ero un ragazzo, mormorò senza guardarlo negli occhi. So che era un assassino. Tacque un attimo e poi sospirò, dicendo: Che Dio ti perdoni. E aggiunse dopo una breve esitazione: E perdoni anche me per quello che mi accingo a fare.

    La attenderò in chiesa per cinque minuti, Michele disse in un tono divenuto perentorio. "Ha assunto una saggia decisione, Padre, della quale non avrà a pentirsi.

    Uscì dalla Sacrestia e ritornò in chiesa da Angela.

    3

    Il venti settembre 1943, alle sette del mattino, Angela inizio il suo consueto turno di servizio all’Ospedale Civico di Palermo. Nulla avrebbe potuto farle sospettare, neppure lontanamente, quello che la giornata le avrebbe riservato. Le sembrò normale come tutte le altre.

    L’ospedale aveva accresciuto il numero dei ricoveri dal momento dello sbarco delle truppe alleate in Sicilia, che avevano occupato la città. Lei vi era stata trasferita da Tunisi. Le vittime e i feriti provenivano perlopiù dai combattimenti dell’area intorno a Messina, dove anche il contingente inglese era di stanza. Le perdite degli americani risultavano più numerose.

    Il giovane militare americano ferito, di cui lei si stava occupando in quel momento, era stato sottoposto ad amputazione delle gambe poiché col suo carrarmato era passato sopra una grossa mina facendola esplodere. Era privo di sensi e l’esperienza le suggerì che presto sarebbe deceduto. Giaceva pallidissimo e immobile, il respiro affannato come se fosse sul punto di rendere l’anima a Dio. Mentre stava china su di lui per controllargli il polso debolissimo, sentì qualcuno alle sue spalle che le disse: Mi scusi, infermiera, è questo il tenente Galli?

    Angela si raddrizzò e si voltò a guardarlo, dicendo: Sì, è lui. Mi spiace, ma ai non addetti è proibito l’accesso a questo reparto. Deve uscire.

    Era un bel giovane di elevata statura dal portamento atletico, capelli scuri e occhi chiari. Esibiva i gradi di capitano dell’esercito americano. Conosco questo giovane, disse. Siamo cresciuti insieme da amici d’infanzia. Ho saputo che era stato ricoverato per via dell’incidente e sono venuto a trovarlo. Come sta?

    Molto male, Angela rispose con un basso tono di voce. Ha perso entrambe le gambe e molto sangue. Dubito che se la caverà. Gli sorrise debolmente. Ma ora la prego di andare, capitano. Avrebbero dovuto impedirle di entrare.

    D’accordo, ma tornerò. Rimase per qualche secondo a osservare il moribondo. Tornerò domani. La prego di prendersi cura di lui nel frattempo.

    Lo facciamo con tutti. Arrivederci.

    Lui annuì e si voltò dirigendosi all’uscita in fondo alla corsia. Lei si accorse che appariva commosso. Era comprensibile, pensò, se i due giovani erano cresciuti insieme e pertanto si conoscevano da piccoli. Si accostò al lettino per prendere visione della cartella clinica affissa alla spalliera di metallo. Lesse: Alfredo Galli, tenente del decimo corpo di armata, età 23. Che tragedia, mormorò come spesso faceva alla vista di molti giovani feriti che erano ricoverati con gravi ferite o menomazioni e con scarse possibilità di guarigione. Una tragedia come quella di suo fratello che era precipitato nell’oblio quando il suo aereo fu abbattuto dalla contraerea nel cielo di una città tedesca in fiamme.

    Infermiera Robson! La voce della Caposala aveva un tono tagliente. Che cosa sta facendo?

    Mi scusi, ma sto soltanto controllando il polso di questo paziente. E’ molto debole.

    Occorre soltanto qualche minuto per farlo, ma il tempo che lei sta impiegando è eccessivo e pertanto si sta semplicemente gingillando. La prego di venire qui per aiutarmi a sostituire questa fasciatura.

    Quando il giovane capitano dell’esercito americano si ripresentò il mattino successivo, come aveva promesso, lanciò un’occhiata al lettino di Galli e vide che era occupato da un altro degente. Gli si avvicinò e lo osservò. Vide che

    aveva ferite da granata e ustioni di secondo grado al petto e alle gambe, ma riportò l’impressione che non era grave e che sarebbe guarito. Imboccò la corsia dove sapeva che Angela era in servizio. La salutò e le disse: Il tenente Galli non c’è. Deve essere stato trasferito altrove. Sa dove?

    La giovane crocerossina apparve sorpresa. Aveva dimenticato che il giovane capitano aveva affermato, il giorno prima, che sarebbe ritornato. Dopo molte ore di intenso lavoro, accusava sempre grande stanchezza che si ripercuoteva sulla memoria.

    Gli rispose nello stesso modo in cui si era espressa in molte altri casi del genere: E’ morto stanotte, sono molto spiacente. Lui rivolse uno sguardo mesto alla corsia dove l’amico era deceduto, e disse: E’ meglio così per lui. Lo conoscevo bene e so che non avrebbe potuto convivere con la grave disabilità che, se fosse vissuto, gli sarebbe restata. Grazie, infermiera. Grazie di cuore per averlo accudito.

    Avrei voluto fare di più…

    All’improvviso si sentì profondamente rattristata da quelle futili parole che aveva pronunciato. Gli occhi le si colmarono di lacrime che le scivolarono giù lungo le guance.

    Povero ragazzo, mormorò mentre se le asciugava passandosi una mano sul volto e guardando il giovane ufficiale. E aggiunse: La prego di andare, avrò dei problemi se arriva la Caposala e la trova qui.

    Lui attese un attimo prima di dire: Quando termina il suo turno?

    Lei gli rispose quasi senza riflettere mentre ora usava un fazzoletto per detergersi gli occhi. Considerava inaccettabile che un’infermiera qualificata come lei dovesse cedere alle emozioni al punto di piangere. Alle sette e mezza, disse. Ma perché me lo chiede?

    Vorrei attenderla fuori, lui rispose con calma. "Mi chiamo Michele Falconi. Desidero ringraziarla per essersi

    presa cura del mio amico, invitandola a cena in città."

    Lei era riluttante ad accettare di accompagnarsi con un militare americano in auto a Palermo per cenare con lui, ma la riluttanza si dissolse quando, dopo aver accettato l’invito, si recarono in città e lui la portò in un piccolo, modesto ma grazioso ristorante nei pressi del porto dove, a sua detta, era possibile gustare dell’ottimo cibo siciliano di cui lui si dichiarò un intenditore oltre che un estimatore.

    La carne qui è molto buona, le disse dopo che si furono accomodati a un tavolo al piano superiore accanto a un’ampia finestra che offriva una vista suggestiva della zona portuale che si andava illuminando col sopraggiungere della sera.

    Che ne diresti di un’ottima bistecca ai ferri con contorni misti? le chiese.

    D’accordo, mi pare un’idea ottima, gli rispose sorridendo. Lui fece un cenno con la mano al cameriere che accorse armato di taccuino e matita per prendere le ordinazioni.

    "Aggiunga una bottiglia di buon Nero di Avola, lui disse.

    Sarà fatto, signore.

    Dove sei cresciuto con quel povero ragazzo, lei gli chiese. Dove vivevate negli Stati Uniti?

    A New York. Galli era di due anni più giovane di me. Le nostre famiglie si conoscevano e frequentavano. Dopo la laurea in Legge, mi arruolai nell’esercito quando scoppiò la guerra provocata dalla famigerata aggressione a Pearl Harbour da parte dei giapponesi. Lui decise di fare la stessa cosa. Sua madre piangeva con la mia poiché non volevano che partissimo. Si interruppe un attimo. Bevi il vino, è buono. Ti piace la bistecca?

    Lei annuì. Sì, grazie.

    Lui le spiegò che, naturalmente, parlava perfettamente l’italiano. Notò che il proprietario del piccolo ristorante si muoveva sempre nelle vicinanze del loro tavolo. Riportò la sensazione che lo osservasse con un certo interesse. Probabilmente ad attrarlo era l’uniforme che indossava. Michele le parlò a lungo dell’amico scomparso e del fatto che lui aveva promesso alla madre di proteggerlo mentre combattevano insieme. Per la verità, non si aspettava di rivederlo una volta che si fossero imbarcati per Anzio, e pertanto sapeva che quella promessa era difficilmente mantenibile. Sarebbe solo servita da rassicurante conforto per la famiglia del suo amico.

    Siamo cresciuti nello stesso quartiere da grandi amici, Michele continuò. E questa vicinanza era molto importante per le nostre famiglie. Si sporse in avanti e le rabboccò il bicchiere. Era soltanto un ragazzo. Non ha avuto il tempo di conoscere veramente la vita. Dopo averlo visto in ospedale in quello stato, ho pensato che la morte sarebbe stata per lui la soluzione migliore. E ne sono convinto.

    Capisco, Angela disse. Ma io spero sempre nella salvezza a dispetto delle peggiori previsioni. Sono certo che sia il sentimento che provano tutte le infermiere in lotta per la guarigione dei malati. Credo che questo sia il loro unico scopo. Ogni volta che un ferito muore è una sconfitta.

    Lui la fissò, dicendo: Nutri dei sentimenti profondi, non è vero Angela? Vengono dal tuo cuore. Lo so.

    Lei gli sorrise. Credo che tu sia della stessa pasta. Mi sei parso così sconvolto stamattina quando ti ho riferito del decesso del tuo amico. Fece una pausa. Mi ritrovai in un inferno quando cominciai a esercitare la professione in Nord Africa. L’ospedale era pieno di feriti fino all’inverosimile. Ne morivano a centinaia ogni giorno. La notte piangevo a lungo prima di riuscire ad addormentarmi. Alla fine dovetti farmi una ragione della situazione, altrimenti non avrei potuto continuare. Ma sono certa che tu devi aver visto di peggio. Avvertì un senso di colpa nel rendersi conto che fosse soltanto lei a lamentarsi.

    Non sono stato ancora coinvolto in azioni belliche, lui disse quietamente. Ma prima che io abbia esaurito il mio compito qui, sono certo che sarò destinato a fare la mia parte altrove. Assunse un’espressione riflessiva prima di continuare. Ho imparato molte cose da quando mi sono arruolato. Mi sono abituato a gradire la compagnia dei commilitoni che frequento e con i quali mi addestro, nonché a rispettarli. Per la verità, gli ufficiali del mio grado non sono incoraggiati dal Comando ad allacciare amicizie strette al di fuori dei ranghi direttivi.

    Che mi dici delle ragazze? lei gli chiese.

    Lui ebbe un lieve sorriso. Le ragazze che frequento non sono del genere che porteresti a casa per presentarle ai tuoi. Ma nell’esercito è diverso, devi accontentarti di quello che passa il convento.

    Il convento?

    E’ un modo di dire italiano per significare che devi accettare le compagnie femminili che offre l’ambiente se vuoi trascorrere qualche piacevole serata. Sorrise in modo allusivo. Qui sei parte di una comunità molto più ampia e diversa da quella del tuo quartiere negli USA. Ero riluttante all’inizio, ma ora pensò sia stato un bene almeno sotto il profilo dell’esperienza.

    "Hai una famiglia numerosa? gli chiese.

    Lui scosse il capo. Siamo due fratelli di cui io sono il maggiore.

    E i tuoi genitori?

    Lei sperò che lui non avrebbe considerato inopportune quelle domande. Voleva sapere tutto di lui, e questo era un argomento che non avevano mai trattato da quando si erano conosciuti.

    Mio padre è un uomo dal carattere autoritario, disse. Lo amiamo, ma persino adesso che siamo adulti non osiamo contraddirlo o contrastarlo. Tacque un attimo. Tutti lo rispettano e sono molti quelli che si rivolgono a lui per consigli o favori. Assunse un’espressione blanda. Quanto a mia madre, è molto speciale. E’ una brava donna, non farebbe male a una mosca. Non so come farò a scriverle per darle la notizia della morte del povero Galli e pregarla di avvisare sua madre alla quale avevo promesso di proteggerlo. Ma come potevo farlo preso com’ero dal mio incarico? Le rivolse uno sguardo accigliato.

    D’impulso, Angela allungò una mano e la posò sopra la sua. Immagino che non eravate neppure nello stesso battaglione e quindi non potevi tenerlo d’occhio, disse. Nessuno potrà biasimarti. Sono certa che la sua famiglia comprenderà.

    Ne sono convinto anch’io, lui disse annuendo. Ogni essere umano è destinato a morire in qualche modo prima o poi, e la guerra presenta un altissimo rischio. Io mi sono abituato all’idea di doverlo accettare. La fissò sorridendo. Ma ora perché non cambiamo argomento e prendiamo un drink a conclusione di questa ottima cena? La gradiresti una Strega?

    Ti ringrazio, ma si è fatto tardi e dovrei rientrare per andare a dormire. Il mio turno inizia di primo mattino e devo riposare. Sembrò riflettere per qualche secondo. Peraltro, dubito che la Strega sia il genere di bevanda alcolica servita in un locale come questo.

    Michele non replicò, ma fece un cenno al cameriere di avvicinarsi, mentre le diceva: Sono certo che ne abbiano almeno una bottiglia da qualche parte.

    E aveva ragione.

    Furono serviti con due piccoli calici di cristallo e presero a sorbire quel liquore noto per la sua alta gradazione. Continuarono la conversazione osservando a tratti la candela sul tavolo che si consumava lentamente e dovette essere sostituita.

    Persero il senso dello scorrere del tempo. Per suscitare la sua ilarità, lei gli parlò di banali e buffi aneddoti che aveva sperimentato nel suo lavoro da crocerossina. Ma lui non rideva granché. Aveva occhi di un blu intenso come non ne aveva mai visti, belli e penetranti, incastonati in un volto dai tratti perfettamente regolari. Era un uomo quanto mai attraente, non facile da ignorare o dimenticare. Parlava sommessamente con tono incerto come se l’inglese fosse una lingua a lui non del tutto familiare, che usava con una certa difficoltà.

    Lo studiava standogli seduta di fronte in quel locale scarsamente illuminato. Avvertiva la sensazione che il suo corpo sprigionasse una virilità sensuale tanto potente da farle tremare le gambe. Era l’effetto, pensò, della sua personalità fortemente carismatica.

    Non aveva inteso fare molto tardi, ma continuarono a chiacchierare piacevolmente e il tempo passo veloce senza che lei se ne rendesse conto. Era quasi mezzanotte quando lui la riportò in ospedale.

    Tornerò domani, le disse nell’accomiatarsi. Alla stessa ora, va bene?

    Domani non lavoro, Angela gli disse. E’ il mio giorno di risposo.

    Allora potremmo andare a fare una gita in montagna, se ti va.

    Stavano fermi accanto alla jeep senza toccarsi, ma avvertendo scorrere tra loro come una sorta di fluido magnetico. Lei parve riflettere prima di dire: Hai benzina a sufficienza?

    No, ma posso procurarmela senza problemi. Vorrei mostrarti questa parte dell’isola. E’ bellissima. Ti piace la montagna?

    Non lo so, lei rispose. Non vi sono mai stata.

    Possiamo fare un’escursione, lui continuò. Porterò del cibo e una bottiglia di vino. Che ne dici?

    Che mi sembra una splendida idea, gli rispose tendendogli una mano in un gesto spontaneo di effusione. Lui la prese e la attirò gentilmente a sé

    Ti ringrazio, per la cena, gli disse.

    Figurati. Grazie per essere venuta. A domani.

    A domani, lui rispose continuando a tenerle la mano. Allora buona notte, Angela, disse, e la abbandonò. Buona notte, Michele. Lei si incamminò e si voltò un attimo prima di svoltare l’angolo dello stabile che alloggiava il reparto delle infermiere. Lo vide che stava fermo a osservarla. Gli fece un cenno con la mano che lui ricambiò.

    La porta della sua camera non era stata chiusa a chiave dall’interno da Brenda, la sua compagna di stanza. La chiuse lei appena entrata.

    Sperava di trovare l’amica addormentata. Per qualche ragione, non era in animo di rispondere alle sue domande sulla serata. Ma Brenda era desta. Era un’infermiera professionista di tre anni più anziana di Angela. Erano amiche da molto tempo a dispetto dei diversi stili di vita che conducevano.

    La prima non faceva alcun segreto del suo gradimento per gli uomini e del piacere che il sesso le procurava. Nessuno l’aveva mai vista versare una lacrima per i numerosi decessi di giovani che si verificavano nella corsia. Pensava che Angela fosse dotata di un’indole eccessivamente mite e bisognosa di qualcuno che si premurasse per lei. Era tempo che si trovasse un ragazzo, pensava. Considerava la vita troppo seriamente.

    Devi esserti divertita un sacco, le disse. E’ mezzanotte passata. Che cosa avete fatto di bello?

    Abbiamo cenato e chiacchierato, Angela le rispose mentre si svestiva in fretta. Grazie per non aver chiuso la porta a chiave.

    Che tipo è? L’altra persistette con le domande. Scommetto che è il tipico Yankee? Ti ha fatto delle avance?

    Niente di tutto ciò, ci siamo soltanto stretta la mano nell’accomiatarci. Che tu ci creda o meno, è un tipo simpatico e pacato, ma … un po’di vecchio stampo, direi.

    L’istinto mi dice che ti è piaciuto, l’altra disse. Così mi sembra dal tono di voce con cui ne parli. Lo rivedrai?

    Domani, Angela ripose. Mi ha invitato fuori per una gita in auto. Si infilò nel letto.

    Oh! Allora può rivelarsi un’avventura in piena regola. Come si chiama?

    Michele Falconi, l’altra mormorò. "Devo alzarmi alle

    cinque e mezza per il mio turno in corsia e sono stanca morta. Ti dirò tutto domani."

    Domani vedrò il mio nuovo ragazzo, Brenda disse mentre spegneva la luce. Gli chiederò se per caso lo conosce. Tendeva ad assumere atteggiamenti quasi materni e protettivi nei riguardi delle amiche più giovani.

    Il nuovo ragazzo lo aveva conosciuto il mese precedente. Era sposato, ma lei sosteneva che tutti i giovani attraenti lo erano. Era un tenente dell’esercito dal tratto molto allegro, e, soprattutto molto generoso, lei diceva. Angela aveva scoperto, rovistando nel cassetto del suo comodino, calze di seta e stecche di cioccolato, nonché alcune bottiglie di whiskey.

    Si chiamava Walter Grant, e prestava servizio nei ranghi direttivi del governo militare a Palermo. Ma questo era un dettaglio che a Brenda non interessava. Paradossalmente, lei era intenta a trarre il maggior svago possibile dalla guerra, e un giorno, al suo termine, avrebbe accalappiato qualcuno con cui sistemarsi. Ma fino ad allora si sarebbe trattato soltanto di relazioni transitorie motivate dal sesso. Godeva di una grande popolarità e di certo, grazie al suo fascino, non le mancavano gli ammiratori. Pensò all’ufficiale con cui Angela era uscita. Frugò nella memoria per ricordare qualcuno che conosceva e che denotava un comportamento di vecchio stampo come l’amica lo aveva definito.

    Quando era rientrata aveva distintamente notato nei suoi occhi una sorta di espressione sognante. Non gliela aveva mai vista prima. Eppure c’erano stati alcuni ufficiali a Tripoli con cui era uscita e sapeva, perché lei gliene aveva parlato, che uno di loro si era innamorato di lei.

    4

    Dopo che Brenda si fu addormentata, Angela rimase desta a lungo a rivoltarsi di continuo nel letto in cerca del sonno. Era stata una eccitante ma strana serata della quale pensò che avrebbe dovuto confidarsi in dettaglio con l’amica, dal momento che neppure lei ne aveva compreso l’esatta portata. La sua unica certezza era che nessun uomo prima d’allora le aveva procurato simili, struggenti sensazioni.

    In passato, aveva avuto una brevissima storia a Tripoli con un giovane militare scozzese. Aveva pensato di riuscire ad amarlo col trascorrere del tempo, ma, malgrado l’impegno che vi aveva profuso, non era accaduto e pertanto aveva troncato il rapporto con profondo rammarico di lui che invece si era perdutamente innamorato.

    Sospettava fortemente che non sarebbe stata la stessa cosa con Michele se mai lei avesse consentito che la relazione progredisse fino a uno stadio molto avanzato. Non sarebbe riuscita a toglierselo dalla testa.

    Perfino adesso non riusciva a smettere di pensare a lui e alla gita in montagna programmata per l’indomani. Presto avrebbe albeggiato, e lei si sarebbe alzata per la consueta, rapida ispezione alla corsia.

    Alla fine riuscì a prendere sonno, ma durò poco. Si riscosse svegliandosi di soprassalto. Si alzò e andò alla finestra a sbirciare attraverso i listelli semichiusi della tapparella. Scrutò in lontananza. Il cielo in fondo al viale si andava tingendo di rosa per l’imminente sorgere del sole.

    Nel primo pomeriggio, puntualmente all’ora concordata, Michele la attese con la Jeep davanti all’ingresso del- l’ospedale e si misero in marcia verso nord alla volta di Messina. Da lì si sarebbero diretti al monte Soro la cui cima distava una cinquantina di chilometri. Dopo circa un’ora di guida, Michele si rese conto che, oltre un certo punto, il tragitto stretto e accidentato presentava notevoli difficoltà.

    La stradina in salita che aveva imboccato e che portava alla vetta, si rivelò quasi impraticabile persino con la Jeep. Riusciva con grande difficoltà ad avanzare lungo i tornanti tortuosi e scoscesi. Come se non bastasse, il sole era cocente.

    Decise allora di fare una sosta per riposare. Svoltò a destra in un viottolo deserto e si fermò in un boschetto sotto un albero dal folto fogliame, che proiettava sul terreno erboso un’ampia ombra di fresco. Aveva portato panini imbottiti e vino, e pertanto discesero dalla macchina e si sedettero a terra per consumare una merenda.

    Ogni volta che posava lo sguardo su di lui, Angela notava che la fissava intensamente come se la studiasse. Alla fine gli disse: Perché mi guardi in quel modo?

    Perché sei bella, rispose. Mi piace guardarti. Ti disturba?

    Lei mandò giù quel po’ che restava del vino nel bicchiere prima di dire: Mi imbarazza, più che altro.

    Perché?

    Mi fai sentire come se avessi una grossa voglia sulla guancia. Rise divertita. Comunque, non sono affatto bella. Non devi dirlo.

    Allora come ti consideri? Che cosa ti dicono gli uomini? Fece per versarle altro vino, ma lei sollevò una mano con il palmo rivolto verso di lui. No, basta, non ne voglio più, disse. Ne ho bevuto abbastanza. Fa troppo caldo e rischio di addormentarmi.

    Non mi hai ancora detto che cosa ti dicono gli altri ragazzi, lui insistette. Non ho altri ragazzi, gli rispose. Tu sei il primo con cui esco da quando ho lasciato Tripoli. In famiglia mi dicono che non sono brutta. Fine della storia.

    Hai usato il classico understatement inglese, lui disse lentamente. Dimmi di te, Angela. Dove vivi con la famiglia? Come sono i tuoi genitori?

    Oh. Incrociò le braccia e sospirò. Viviamo in un paesino del Sussex chiamato Haywards distante da qui un ‘milione’ di chilometri, ma non abbastanza da questa sporca guerra con le sue tragedie. E’ una zona tranquilla piena di verde. Non abbiamo montagne, ma soltanto basse colline e pianure ondulate. Mio padre è medico, come lo era mio nonno. Esercita la professione in paese. Mia madre è nata in India, il padre era un ufficiale dell’esercito inglese di stanza in quella colonia. Siamo gente semplice, Michele, non siamo niente di speciale.

    Hai fratelli e sorelle?

    Avevo una sorella che è morta da piccola prima che io nascessi, e un fratello che militava nella RAF. Perse la vita durante una missione in Germania. Ci volevamo molto bene. Ero più vicina a lui che ai miei genitori.

    Mi spiace, lui disse. Perché hai scelto di fare l’infermiera della Croce Rossa? Sarà forse per assecondare un desiderio di tuo padre?

    No, no davvero. E’ una decisione che ho assunto dopo la morte di mio fratello. Desideravo impegnarmi nella guerra come volontaria, ma in nulla che avesse a che fare apertamente con le ostilità. Voglio essere d’aiuto senza nuocere a nessuno. Forse il mio non è vero patriottismo. Lui la osservò pensieroso per attimo. Disse: Questa è una guerra maledetta, ma un giorno non lontano finirà con i suoi orrori. Tu potrai tornartene a casa e la dimenticherai.

    Anche tu, lei disse sorridendo. Sembrò riflettere prima di continuare, dicendo: Falconi è un nome italiano, non è vero? Tu parli la lingua perfettamente, non è così.

    Sì, ma parlo anche il dialetto siciliano, precisò. Non è proprio la stessa lingua. Non siamo italiani in senso stretto. Discendiamo da vari popoli: Arabi, Mori, Greci, persino Normanni. Nei secoli scorsi la Sicilia è sempre stata oggetto di invasioni. C’è tanto dentro di noi di quei popoli da cui siamo stati dominati, sia culturalmente che nella mentalità. La mia famiglia è originaria di un piccolo paese non molto distante da Palermo. E’ a nord sulle colline. Mio nonno si trasferì da solo negli Stati Uniti nel 1928 poco prima del crollo di Wall Street che innescò la Grande Depressione durata cinque anni. La famiglia lo seguì qualche anno dopo. Io avevo sette anni. Si fermò per qualche secondo. Tra di noi in America, parliamo per lo più italiano inframmezzando nelle conversazioni parole ed espressioni dialettali, ma spesso vi mescoliamo l’inglese. Preserviamo le nostre tradizioni e abitudini. Andiamo in chiesa e mangiamo gli spaghetti. La guardò sorridendo. Non è esattamente come al tuo paese, immagino.

    No, ma tu ti senti americano, giusto?

    Certo. La mia famiglia è naturalizzata americana, cosa che mi ha consentito di intraprendere la carriera militare. Ho frequentato scuole americane e ho conseguito la laurea in Legge ad Harvard, un’università privata situata a Cambridge nel Massachusetts, nell’area metropolitana di Boston. Amo questo Paese dove sono cresciuto, ma anche l’Italia dove sono nato. Mi sento americano, ma in parte anche italiano.

    Restarono in silenzio per qualche tempo avvolti dal caldo torrido lievemente mitigato dall’ombra dell’albero frondoso sotto il quale sedevano. Angela disse: Ho cambiato idea. Ho sete e berrò del vino, se ne è rimasto.

    Ma non fu una buona idea. La bevanda aspra e pesante non fece che accentuarle l’arsura. Fece una smorfia disgustata e con un gesto brusco, capovolse il bicchiere rovesciandone sul terreno il liquido rosso che conteneva.

    Ti rendi conto, Angela, della gravità del gesto che hai appena compiuto? lui le chiese con tono indispettito.

    Lei scosse il capo. No.

    "Hai gettato via un bicchiere del vino più tra i più pregiati

    della Sicilia, degno di un brindisi per festeggiare un grande evento. E’ frutto di tanta fatica. Ancora oggi viene prodotto col metodo tradizionale. Migliaia di vignaioli raccolgono l’uva al tempo della vendemmia e poi si spaccano la schiena per pestarla coi piedi nei tini, trasformandola in mosto che viene lasciato a fermentare."

    Lei rimase in silenzio mentre osservava il vino versato che scompariva rapidamente assorbito dal terreno.

    D’un tratto, lui le si accostò e la prese tra le braccia stringendola a sé. Prese a baciarla sul volto, timidamente dapprima e poi con crescente passione anche sulle labbra. Lei lo assecondò. Si spogliarono in fretta e poi giacquero abbracciati e nudi sul terreno duro e accalorato. Lei gli si concesse senza opporre la benché minima resistenza. Muovendosi nell’amplesso a un ritmo serrato, raggiunsero insieme il piacere, i corpi ormai madidi di sudore. Mentre lei si rivestiva, lui sussurrò: Ti amo. E poi la abbracciò baciandola di nuovo sulle labbra.

    Davvero? gli chiese guardandolo negli occhi. Ne sei proprio certo? Avverti la necessità di dirmelo?

    Ti amo, lui ripetette. Dimmelo tu adesso quello che provi per me, ma in italiano.

    Non ne conosco che poche parole.

    "Provaci.

    Lei impiegò qualche minuto per riuscire a comporre la frase con difficoltà: Io ti amo, tesoro mio.

    Era il loro secondo incontro, e la prima volta che facevano l’amore.

    5

    Da quel giorno presero in affitto una cameretta al primo piano di una modestissima pensioncina a Palermo, situata accanto al ristorantino in cui avevano cenato la sera della loro prima uscita. Era un ambiente angusto e spartanamente arredato: un piccolo guardaroba, un letto a due piazze dalla struttura metallica, e un divanetto affiancato da una poltroncina.

    Vi facevano l’amore a ogni incontro. Riuscivano spesso a pranzare o a cenare insieme in città, per poi ritirarsi nella loro piccola alcova. Lui si produceva in acrobazie sessuali che la sbalordivano e la lasciavano esausta al tempo stesso, ma profondamente appagata. Sapeva trattarla sempre con estrema gentilezza, anche se era uso a occasionali mutamenti di umore e a idee bizzarre.

    Una volta, le ricoprì il corpo nudo con una coltre di petali di rose rosse che aveva acquistato da un fioraio nei pressi della pensione. Glieli aveva poi rimossi a uno a uno in una sorta di gioco perverso lasciandola del tutto scoperta, con il risultato che il gesto le aveva innescato un urgente desiderio di lui.

    Altre volte manifestava improvvise esigenze. Le chiedeva di spogliarsi subito per consentirgli di prenderla in fretta supplicandola a voce alta, durante la copulazione, di dichiarargli il suo immenso amore.

    Erano momenti di estasi e insieme di follia, ma, al tempo stesso, di nuove esperienze per entrambi. Non era infrequente che soddisfatte le loro pulsioni erotiche, prendesse ro a conversare. Lui le parlava con un linguaggio pacato e dolce, che non aveva mai usato con una donna prima d’allora. Soprattutto, le riaffermava con veemenza il suo incrollabile amore spiegandole che, se malauguratamente l’avesse persa, nessun’altra donna al mondo avrebbe potuto sostituirla nel suo cuore.

    Era in quelle circostanze che la fissava negli occhi con fare interrogativo, come si aspettasse la sua assicurazione che lo ricambiava poiché nutriva per lui lo stesso sentimento. E lei, immancabilmente, lo assecondava.

    Una sera sull’imbrunire mentre passeggiavano lungo la banchina del porto, lui le disse: Mi hai chiesto una volta se mi sento davvero americano. Ricordi?

    Lo ricordo, rispose. Era trascorsa soltanto qualche settimana, ma a lei sembrava una vita.

    Ci ho pensato, lui riprese. e ho riflettuto che dovrei narrarti in dettaglio la storia della mia famiglia. Fece una pausa. "Mio nonno si trasferì da solo in America viaggiando su una di quelle enormi navi stipate di emigranti sottocoperta, come sardine. Portò con sé quel poco che possedeva in un grosso fagotto. Quando giunse a New York era affamato.

    "Aveva degli indirizzi di amici e parenti che si mise a cercare. Una famiglia italiana, che lo conosceva, lo accolse calorosamente e lo ospitò per tutto il tempo che lui impiegò per reperire un lavoro.

    Trovò casa e si costruì un discreto tenore di vita. Fu allora che decise di trasferire l’intera famiglia composta da mia nonna, mia madre e mio padre con i loro due figli di cui io sono il maggiore. Mia madre mi disse una volta che lei non desiderava lasciare la Sicilia.

    Non avreste potuto restare? Angela chiese.

    No, le rispose dopo una breve pausa. "Erano tempi duri in Sicilia per gente come noi. Vivevamo in povertà estrema

    Mio nonno lavorava senza sosta nel suo lavoro di manovale riuscendo a stento a sfamare la famiglia. Questa la ragione

    per la quale decise, a un certo punto, il trasferimento negli

    Stati Uniti a caccia di fortuna. E la trovò.

    Nel giro di alcuni anni, intraprese un’attività molto redditizia che migliorò a dismisura la nostra vita. Vivevamo nel benessere. Io imparai rapidamente l’inglese che mi servì per diventare quello che sono oggi nel servizio militare. Una posizione che in Sicilia non sarei mai riuscito a raggiungere. Fu mio padre a insegnarmi a usare il cervello. Lui credeva nell’istruzione e mi iscrisse all’università dove studiai sodo per laurearmi in Legge. Era orgoglioso di me e desiderava che io conseguissi il successo. A mio fratello Piero non piaceva studiare, quindi non andò all’università, ma coadiuvava mio padre nella sua attività, come anch’io facevo prima di iniziare la carriera militare.

    Si fermarono sulla banchina a osservare una enorme portaerei che entrava lentamente in porto. La sottile brezza marina scompigliava loro i capelli procurandogli una sensazione di refrigerio dal caldo afoso della sera.

    Sono certo, lui riprese prendendole una mano, che vorresti bene a mia madre, e che lei ti ricambierebbe. La fissò in volto, dicendo: Ma perché arrossisci? Intuisci forse quello che sto per dirti?

    Non ne sono sicura, lei rispose. Che cosa intendi? Lui l’abbracciò e le sollevò il mento per guardarla bene negli occhi. La baciò delicatamente sulle labbra.

    Ti amo e desidero sposarti, disse.

    Non possiamo, Michele, lei sussurrò. L’esercito non te lo consentirebbe per via della guerra.

    Se dobbiamo attendere, allora attenderemo. Ma ci sposeremo. Non avrò un’altra donna all’infuori di te. Questo lo capisci, no? Lei chiuse gli occhi e gli appoggiò il capo sulla spalla in un gesto di abbandono.

    Si sentiva al sicuro e amata. In quel momento, tutto le sembrava possibile, persino la fine della guerra. Sì, lo so, disse. anch’io la penso allo stesso modo. Ti amo, Michele, e ti aspetterò. Desidero trascorrere con te il resto della mia vita. Saremo felici.

    Non ho un anello di fidanzamento da darti, lui disse. Prima di partire, lasciai a mia madre quello che ricevetti in dono per la laurea pregandola di custodirlo fino al mio ritorno. Ora le scriverò per chiederle di inviarmelo. Le dirò che è per te.

    No, lei protestò. Non ne ho bisogno, Michele. Lascia che lei lo tenga in serbo per quando conoscerò la tua famiglia. Ma ora baciami perché devo andare. Domattina presto ho il turno di servizio in corsia.

    Ti amo alla follia, lui disse e prese possesso della sua bocca.

    6

    Che cosa accadrà quando sarà imbarcato? Brenda chiese ad Angela.

    Tutti lo saranno non appena il tempo volgerà al bello, Angela rispose.

    Non hai risposto alla mia domanda, l’altra replicò. Walter dice che lo sbarco ad Anzio sarà un bagno di sangue. Metti che lui ci lasci le penne… e tu resti sola con un marmocchio da allevare! Storse la bocca. Abbi buon senso, Angela, ti prego. Questa è una faccenda che non puoi portare avanti. Saresti costretta a lasciare il lavoro e tornartene a casa. Lascia che ti aiuti.

    Come?

    Non lo immagini?

    Stai pensando all’aborto, naturalmente.

    Sì, di quante settimane sei incinta?

    Di otto. Ieri ho fatto il test per avere conferma della gravidanza.

    Allora te la caveresti con qualche giorno di assenza dal lavoro: il tempo che dura una mestruazione. Nessuno sospetterà niente.

    Erano da sole nella saletta dell’ospedale adibita al riposo delle infermiere. Angela si alzò in piedi da uno dei tre lettini su cui era distesa.

    Era da poco rientrata dal bagno dopo aver rimesso, ma la terribile nausea era passata.

    Non avrei dovuto dirtelo, disse. Non avrei dovuto aprire bocca. Si fermò per qualche secondo. Hai una sigaretta, Brenda? Ho finito le mie.

    Certo. Le porse il pacchetto, dicendo: Tienilo pure. E proseguì: Devi ringraziare il Cielo per esserti confidata con me, Angela. Puoi passare inosservata se vomiti una sola volta. Ma come ti giustificherai se dovesse succederti ogni giorno? La Direzione dell’ospedale ti imporrà di sottoporti a una visita di controllo, e, accertato che sei in stato interessante, ti darà il benservito e tu dovrai tornartene a casa. Mi chiedo come la prenderebbero i tuoi genitori. La fissò. Te ne rendi conto, sì o no?

    Lui vuole sposarmi, lei replicò. Si accese una sigaretta e inspirò la prima boccata. Aveva un gusto amaro.

    Non può farlo, e lo sa benissimo, l’altra la rimbeccò in tono secco. Non otterrà mai il permesso dal momento che è in servizio e siamo in guerra. Basterà un suo solo accenno al matrimonio con un suo superiore e lo trasferiranno, Dio solo sa dove, nel giro di quarantotto ore. Vorrei che tu mi consentissi di parlargli. Se davvero ti ama, non ti permetterà di portare a termine la gravidanza.

    Non lo conosci, Angela disse. Michele non è come i tuoi amici Yankee. E’ diverso. Sono certa che il bambino lo vorrebbe, ma non gli ho ancora detto che sono incinta. Nelle quattro settimane prima del test, non ero neppure certa di esserlo.

    Non è diverso dagli altri uomini, Brenda replicò non fare impaziente. Oh, capisco, ti ama e desidera sposarti. Esitò prima di proseguire. Mi spiace, ma devo essere crudele. Mi odierai per ciò che sto per dirti, ma lo ritengo necessario per il tuo bene. Quando lui salperà per Anzio con la flotta di invasione, è probabile che sarà l’ultima volta che lo vedrai. Così avrai mandato in pezzi la tua vita.

    Non mi libererò del bambino, Angela disse lentamente ma in tono risoluto. Non sei nel giusto, Brenda, ma anche se lo fossi io non ucciderò mio figlio. Sicché non parliamone più, ti prego. Stasera vedrò Michele e gli dirò tutto.

    Cristo! l’altra sbottò. Non è un bambino; a questo stadio è un feto poco più grosso di un uccellino che ancora non vola. Si fermò un attimo. Va bene, parlane con Michele, ma se dovessi cambiare idea, fammelo sapere subito. Non potrei avere nulla a che fare con una gravidanza di tre o quattro mesi. Ora devo tornare in corsia. Riferirò che stai dormendo. Uscì e chiuse la porta sbattendola per sfogare la frustrazione per l’insuccesso di non essere riuscita a persuaderla.

    Angela schiacciò la sigaretta nel posacenere. Non ne avvertiva più la voglia, anzi il fumo la disgustava. Per un momento si accarezzò l’addome. Non coglieva segni di cambiamenti nel suo corpo, ma le restava il ricordo del senso di repulsione per il cattivo odore che aveva invaso il bagno quando aveva vomitato quel mattino. I conati erano del tutto scomparsi. Non aveva timori per ciò che le stava accadendo.

    Riteneva che Brenda, con il suo spregiudicato pragmatismo, non potesse capirla. Pensò che fosse irresponsabile e irrealistica. Lei aveva contrastato le sue argomentazioni per convincerla ad abortire, ma aveva rinunciato a spiegarle il suo punto di vista e cioè che quel feto sarebbe divenuto un bambino – suo figlio e di Michele –, probabilmente concepito in quel boschetto dove si erano fermati durante la gita in montagna o nel loro nido d’amore: la cameretta affittata nella pensione. Non aveva la più pallida idea del momento o del luogo del concepimento, e comunque era un dettaglio che non la interessava. Ciò che contava era l’intensità del loro amore. Su questo non nutriva alcun dubbio. Neppure che lui non potesse sposarla, la preoccupava. Avrebbero trovato il modo di farlo quando la guerra fosse finita. L’invasione alleata dell’Europa era imminente. Lei non credeva che lui sarebbe rimasto ucciso.

    Chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi per qualche minuto. Decise che gli avrebbe detto tutto. Avrebbe colto il momento più opportuno. Si alzò, indossò la sua tenuta bianca da crocerossina e ritornò in corsia. La caposala le lanciò un

    breve sguardo indagatore mentre lei ritornava al suo lavoro.

    Le chiese: Infermiera Robson, è certa di stare meglio adesso?

    Sì.

    Bene, c’è molto da fare, sa?

    Angela andò al suo tavolo da lavoro e si sedette. L’altra la osservò che fingeva di esaminare alcune carte. Adesso la corsia era mezza vuota. I feriti più gravi erano deceduti oppure erano stati trasferiti ad altri ospedali meglio attrezzati per curarli. Non era mai stata ammalata prima di allora. Era ritenuta una brava infermiera. Tutti sapevano della sua relazione con il capitano dell’esercito americano. Lo si vedeva spesso all’ingresso dell’ospedale ad attenderla.

    Una delle suore che la stimava e le era amica, sperava che non avesse ceduto a quell’uomo, commettendo l’atto inconsulto che la avrebbe esposta allo scandalo e al ludibrio di tutto il Personale.

    7

    Michele si distese sopra di lei. L’unica lampadina al neon che penzolava dal soffitto, spandeva una luce vivida sopra i loro corpi nudi e sudati per via del caldo. Angela sollevò le braccia e gli fece scorrere le mani dalle spalle fino alla vita.

    Ti voglio, gli disse. Ti desidero da morire.

    Sei bellissima, lui disse con voce arrochita. Anch’io ti voglio e devo averti subito.

    Allora prendimi, lei disse. Sollevò il capo e lo baciò a lungo sulla bocca. Durante l’amplesso,

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