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La bisbetica domata
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E-book186 pagine2 ore

La bisbetica domata

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1560
Tutto si sarebbe immaginato sir Leon tranne che dover sopportare la presenza inopportuna di Felicia, giovane impicciona, caparbia e volitiva, durante i lavori ristrutturazione dell'abbazia di Wheatley, proprietà della corona inglese e acquistata da poco da lord Deventer, patrigno della fanciulla. La giovane baldanza di lei finisce però per essere messa a dura prova dall'intransigenza di Leon, che pretende di domare le sue bizzarrie e...
LinguaItaliano
Data di uscita10 set 2021
ISBN9788830534216
La bisbetica domata
Autore

Juliet Landon

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    La bisbetica domata - Juliet Landon

    Copertina. «La bisbetica domata» di Landon Juliet

    Immagine di copertina:

    Graziella Reggio Sarno

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    A Most Unseemly Summer

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2001 Juliet Landon

    Traduzione di Alessandra De Angelis

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2002 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3053-421-6

    Frontespizio. «La bisbetica domata» di Landon Juliet

    1

    Lady Honoria Deventer si riparò gli occhi con la mano contro il riverbero del sole mentre lord Philip Deventer apriva la finestra della camera da letto.

    Sotto di loro il giardino si stava già coprendo di un sottile manto di verde, tuttavia i due coniugi non stavano ammirando il paesaggio; la loro attenzione era concentrata su una ragazza alta e snella, immobile sotto il sole del mattino.

    La massa scura dei suoi capelli folti e morbidi era raccolta in maniera approssimativa sul capo e la curva del suo vitino e dei fianchi era aggraziata anche senza l’aiuto del busto con le stecche di balena. Non guardava verso la casa, ma sua madre era sicura che la sua espressione fosse malinconica.

    «Chissà che cos’ha mai in questi giorni!» sospirò sottovoce. «È sempre corrucciata e silenziosa.»

    «Ieri non mi sembrava tanto taciturna... Ha dato una bella lavata di capo al figlio del giardiniere» osservò suo marito.

    «Se l’era meritata quel monello, visto che si era arrampicato su un albero e stava buttando le uova degli uccellini giù dal nido per darle da mangiare al gatto. Comunque hai ragione, Philip. Fino a poco tempo fa non era così severa. Forse dovrei trovarle un nuovo precettore.»

    «Quello di cui ha bisogno è un marito, una famiglia, dei figli» brontolò lord Deventer, allungando la mano per accarezzare in un gesto affettuoso il ventre già leggermente gonfio della moglie.

    Il lieto evento era previsto per l’estate e il nascituro avrebbe portato alla ragguardevole cifra di diciannove i pargoli dei Deventer. Grazie agli undici figli che la defunta moglie gli aveva dato e ai sette dell’attuale lady Deventer, nati dai suoi due precedenti matrimoni, la famiglia era decisamente numerosa e destinata ad aumentare ancora.

    Lady Honoria poggiò la testa contro la spalla del marito e gli strinse forte la mano. «Però la sua casa è questa. Ha soltanto diciannove anni, dopotutto, anche se è sempre stata molto matura e competente nella gestione domestica. Be’, almeno fino a quando non ci siamo trasferiti qui a Sonning House» aggiunse, pensierosa.

    «Allora mandiamola a Wheatley» propose lord Philip. «Lì potrà esprimere liberamente il suo talento per l’amministrazione.»

    «Come?» Lei sollevò la testa e si voltò a guardarlo con un’espressione perplessa. «All’abbazia di Wheatley? Ma lì non c’è nessuno.»

    «Invece sì. Dopo la pausa per l’inverno, ormai saranno ripresi i lavori e Gascelin sarà già arrivato. Mi ha mandato un messaggio la scorsa settimana, in cui diceva che era in procinto di tornare a Wheatley. Felicia potrà sistemarsi nella foresteria, dove c’è tantissimo spazio, e ci sarà anche utile, perché potrà cominciare a preparare le nostre stanze, che troveremo pronte quando ci trasferiremo. Se Felicia e Gascelin s’impegneranno a fondo, saremo lì in autunno.»

    «Dici sul serio?» Lady Deventer sembrava scettica. «So che tu e Felicia non avete ancora avuto molto tempo per conoscervi, ma non intendo mandarla nell’Hampshire da sola per lavorare accanto a quell’uomo. Sono sicura che ci sarebbero dei problemi tra loro.»

    «Hai ragione, però quell’uomo, come lo chiami tu, è il miglior costruttore e capomastro del paese, nonché una persona intelligentissima. Inoltre l’Hampshire confina con la nostra contea, non è certo all’altro capo del mondo. Felicia potrebbe tornare qui in poco tempo se dovesse trovare l’incarico troppo impegnativo.»

    Lady Deventer reagì esattamente come lui aveva previsto. «Impegnativo?» s’indignò, difendendo l’amata figlia. «Per Felicia niente è troppo difficile! Il vero problema è quell’uomo, lo sai. Non è piacevole collaborare con lui, è un tale perfezionista!»

    Lord Deventer aveva scelto sir Leon Gascelin proprio per quel motivo ed era consapevole che lui non avrebbe affatto apprezzato la presenza di una ragazza come lady Felicia Marvelle, che avrebbe potuto intralciarlo e intromettersi nel suo lavoro. Tuttavia di sicuro avrebbe trovato un modo per aggirare quell’ostacolo.

    «Anche Felicia è un tipo pignolo, se è per questo» puntualizzò. «Però la proprietà è così vasta che non avrà problemi a tenersi alla larga da lui. E neppure Gascelin vorrà avere dei contatti con una fanciulla. Secondo quello che sono venuto a sapere, ha delle mire su Levina.»

    «Levina? Ah!» Lady Honoria fece una smorfia ironica. «Se dovessimo contare i suoi spasimanti a corte...»

    Lord Philip cominciò a ridere e sua moglie si affrettò a chiudere la finestra per non farsi sentire dalla figlia.

    «Ti prego, manda immediatamente un messaggio affinché le preparino le stanze migliori» lo esortò in tono ansioso. «Farai di tutto perché stia comoda, vero?»

    «Non dubitarne, amor mio» la rassicurò lui con dolcezza, chinandosi a baciarla sul collo. «Manderò qualcuno oggi stesso.»

    «Oggi? Così presto?»

    «Perché rimandare?» L’abbracciò per cercare di lenire la sua pena.

    Lady Honoria sospirò e suo marito pensò che era davvero un peccato che la figlia non fosse altrettanto arrendevole.

    Lady Felicia Marvelle aveva sorpreso il patrigno dimostrandosi inaspettatamente conciliante riguardo alla proposta di recarsi a Wheatley. Anzi, era entusiasta per aver trovato finalmente il modo di andarsene da Sonning House. Nelle ultime settimane, infatti, non aveva pensato ad altro ed era contenta che lord Philip avesse risolto inconsapevolmente il suo problema, offrendole una ottima via di fuga.

    Tuttavia le sue aspettative s’infransero davanti all’imponente edificio di pietra attraverso il quale si entrava nel complesso di Wheatley: l’interno era un cantiere in costruzione, per niente accogliente come le aveva prospettato sua madre.

    Lady Felicia fu accolta dall’economo, un uomo elegante e dall’espressione piena di sussiego, che con una mano si appoggiava a un bastone e con l’altra reggeva forte il collare chiodato di un grosso mastino.

    «In realtà, sir Leon non mi ha affatto preannunciato la vostra visita» le disse in un tono cortese che però non riusciva a mascherare la profonda diffidenza.

    La nobile fanciulla in sella a una bella giumenta rimase impassibile, dando immediatamente prova della propria forza di carattere. Ricambiò lo sguardo fissando imperturbabile l’uomo con i suoi grandi occhi nocciola bordati da lunghe e folte ciglia scure. Alla fine fu lei ad avere la meglio e lui fu costretto ad abbassare lo sguardo vacuo.

    «Ciò nondimeno mi trovo qui con trenta domestici di lord Deventer e una considerevole quantità di oggetti di sua proprietà» dichiarò, gelida. «In assenza di sir Leon potrete prendere ordini da me. Sono lady Felicia Marvelle, la figliastra di lord Deventer. È sufficiente?»

    «Milady, vi chiedo umilmente scusa» mormorò l’uomo inchinandosi impacciato. «Però resta il fatto che sir Leon...»

    «Resta il fatto che siamo in viaggio da due giorni» gli fece eco lei, interrompendolo. «Mi era stato assicurato che avremmo avuto degli alloggi a nostra disposizione nella foresteria. È così?»

    A dire il vero, Felicia cominciava a dubitare che quella fosse una sistemazione adeguata. Nonostante il complesso del quattordicesimo secolo sembrasse in buone condizioni, era troppo vicino al cantiere ed era inevitabile che dei lavori di ristrutturazione su scala così grande comportassero dei fastidi, oltre alla polvere e allo sporco. I blocchi di pietra originali dell’abbazia erano riutilizzati per le costruzioni ma le proporzioni dell’impresa erano così vaste che tutta l’area circostante, un tempo immersa nella quiete, si era trasformata in un deposito a cielo aperto dove regnava il caos.

    Sul piazzale tra l’ingresso, la foresteria, la chiesa e gli edifici appartenenti al monastero erano sparsi detriti, pietre, travi di legno, impalcature e corde, mucchi di sabbia e breccia. Ad aumentare la confusione c’erano i capanni dal tetto impagliato utilizzati da muratori, carpentieri, intonacatori e piastrellatori.

    A quell’ora quasi tutti avevano terminato la giornata di lavoro, ma era rimasto un capannello di giovani operai impolverati e scarmigliati che indugiavano per osservare il battibecco con curiosità e vedere chi dei due l’avrebbe avuta vinta, se l’economo Thomas Vyttery, oppure la bella ragazza a cavallo.

    I giovani guardarono Felicia e le sue due cameriere a bocca aperta e con gli occhi sgranati, finché la loro attenzione fu distolta dal minaccioso mastino dell’economo che improvvisamente notò due grossi levrieri vicino alle zampe del cavallo di Felicia.

    I cani erano grandi come asini e ringhiavano a testa bassa all’indirizzo di Vyttery che, colto di sorpresa, non riuscì a trattenere il mastino che si liberò di scatto dalla sua presa ma non aggredì i rivali come tutti si sarebbero aspettati, preferendo darsi alla fuga e riparare in casa.

    L’economo rimase perciò privo del suo principale sostegno e guardò Felicia con aria perplessa. «Milady, prima che prendiate una decisione, mi permetto umilmente di suggerirvi di recarvi a guardare la locanda del paese di Wheatley» la invitò in tono formale. «Sicuramente ci siete passata davanti. È lungo la strada per l’abbazia e sarebbe confacente alle vostre esigenze.»

    Lei non lo stava ascoltando. Aveva lo sguardo fisso su un gruppo di costruzioni situate sulla destra, oltre la chiesa. Gli antichi edifici in pietra un tempo erano usati dai monaci come dormitorio e refettorio, prima che la dissoluzione degli ordini monastici li costringesse ad abbandonare la loro sede. Ricordava che, la settimana prima, lord Deventer aveva ricevuto un messaggio dal direttore dei lavori, sir Leon Gascelin, in cui si diceva che alcune stanze dell’abbazia erano quasi pronte e sarebbero state arredate ben presto.

    «Quella sarà la nuova residenza di lord Deventer, immagino» osservò, indicando le costruzioni.

    «Gli uomini non hanno ancora terminato i lavori, milady» rispose l’economo. «Comunque sir Leon si trasferirà nella casa dell’abate al massimo entro un paio di giorni.»

    «Il vostro nome, prego.» Il tono di Felicia era carico di alterigia.

    «Thomas Vyttery, milady.»

    «Signor Vyttery, consegnatemi le chiavi della residenza dell’abate, per favore» gli ordinò, con voce ferma e sicura.

    Lui le lanciò un’occhiata preoccupata e timorosa. «Imploro il vostro perdono, ma debbo rifiutarmi di obbedirvi. Non posso acconsentire alla vostra richiesta o sarò licenziato.»

    «Sarete licenziato se non farete come vi ho detto. Chiederò a lord Deventer di sostituirvi con qualcuno che abbia maggiore dimestichezza con le più elementari norme dell’ospitalità» lo minacciò. «E adesso obbedite» insistette stendendo la mano. «Datemi le chiavi. Le voglio tutte, nessuna esclusa. Devo avere libero accesso anche alle cucine e alle stalle.»

    Esprimendo il proprio dissenso attraverso il silenzio, l’economo le porse il mazzo di chiavi.

    «Grazie.»

    Furibondo, il signor Vyttery le voltò le spalle e se ne andò senza dire una parola.

    Dietro Felicia si mise in moto il seguito di carretti, cavalli da soma, carri coperti, stallieri e carrettieri, valletti e cuochi, garzoni, domestici e attendenti. Tra scricchiolii e cigolii, la lenta processione attraversò il cantiere, seguendo una stradina coperta di detriti e calce.

    La residenza dell’abate, che risaliva al quattordicesimo secolo, era situata al limitare degli edifici che formavano il comprensorio dell’abbazia, racchiuso dall’ansa del fiume. L’edificio era più lontano dal cantiere e più grande di quanto Felicia avesse immaginato: c’erano tracce visibili di modifiche e ampliamenti; le finestre erano state allargate e un bel portico conduceva alla massiccia porta di legno e ferro.

    La fanciulla mandò i carri e i cavalli alle scuderie sul retro, poi consegnò il pesante mazzo di chiavi al suo maggiordomo, il signor Peale, che, prendendo l’incarico molto sul serio, fece strada alla padrona all’interno dell’edificio.

    Le stanze avevano le pareti rivestite da pannelli di legno e soffitti con graziosi fregi che avevano l’odore pungente dello stucco ancora fresco. La luce del tardo pomeriggio diventava rapidamente sempre più fioca per cui Felicia dovette rimandare un sopralluogo più approfondito.

    Tuttavia decise che la camera più grande al primo piano sarebbe stata più che adeguata per passare la prima notte a Wheatley, mentre i domestici si sarebbero sistemati ovunque fosse possibile accamparsi.

    La velocità con cui i servitori scaricarono il necessario per la notte lasciando il resto sui carri fu un esempio lampante dell’efficienza di Felicia, che aveva radunato un manipolo di domestici prendendoli dal personale di servizio del suo patrigno a Sonning House, scegliendo quelli di comprovate capacità e di cui si fidava di più. Il gruppo si mise al lavoro di buona lena, come un meccanismo perfettamente oliato.

    Era troppo tardi per montare il letto di Felicia, ma dopo aver dato una pulita sommaria le stanze sembrarono più accoglienti. Alla fine furono accese le candele e le torce, ma la giovane non era ancora soddisfatta.

    «E queste erano le comodità che il mio patrigno mi aveva assicurato!» brontolò rivolgendosi a Lydia, la sua cameriera.

    «Ben presto sarà tutto perfetto, vedrete» la rassicurò l’altra. «A proposito, dov’è sir Leon? Non doveva farsi trovare al nostro arrivo?»

    «Oh, soltanto il cielo lo sa!» Sospirò profondamente. «È chiaro che lord Deventer non è affatto al corrente degli spostamenti del suo direttore dei lavori, che, addirittura, temo non abbia proprio ricevuto il messaggio in cui gli si annunciava il nostro arrivo.»

    Stese le braccia e la cameriera le sfilò le maniche dell’abito, poi l’aiutò a togliersi la sottoveste e i calzoni di morbida pelle che aveva indossato sotto il vestito per proteggersi le gambe dallo sfregamento contro la sella.

    «Tu ed Elizabeth prendete la camera accanto» le ordinò. «Terrò i cani qui con me.»

    Felicia si svegliò di

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