Una corona per due
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Una corona per due - Cristiano Pedrini
Capitolo Primo
Un principe non ordinario
Immagine che contiene schizzo, illustrazione, disegno, Viso umano Descrizione generata automaticamenteNonostante la ricca colazione che Lake aveva davanti ai suoi occhi, il semplice starsene seduto a quel tavolo, riparato dal sole di quella mattina di primavera, sotto l’imponente porticato della reggia, non riusciva a vincere la sua mancanza di appetito. Tuttavia, sapeva che sua madre, che vide avvicinarsi, avrebbe obiettato alla sua decisione di soprassedere alla colazione. Si versò del succo d’arancia nel bicchiere di cristallo e lo sorseggiò con malavoglia.
La regina madre si accostò al figlio baciandolo sulla fronte, augurandogli un buon giorno. «Oggi visiterai il Prince Stephen College», osservò la donna sedendosi davanti a lui, assaggiando la mousse di mela. Era una delle sue preferite e più volte aveva suggerito al figlio di provarla, ricevendo ogni volta un cortese ma fermo rifiuto. Lake odiava quella pappetta marrone preferendole la frutta esotica che riempiva la grande coppa di cristallo al centro della tavola.
«Sarà una visita informale. Ho chiesto di non essere accompagnato dal solito seguito di giornalisti e curiosi» annuì il ragazzo prendendo il frutto giallo posato accanto a delle banane. Sua madre spesso si chiedeva come potesse apprezzare quello che tutti chiamavano mano di Buddha, un agrume i cui spicchi crescevano formando dei prolungamenti molto simili a delle dita.
Lake adorava quel suo sapore delizioso che somigliava poco a quello di un agrume e che giungeva, settimanalmente dalle piantagioni dell’India del Nord.
«Ieri Alexandra mi ha chiesto dei preparativi per la tua incoronazione. Mancano pochi mesi e vorrebbe sapere se vorrai attenerti alla cerimonia classica. Come si augura» sorrise Victoria ripulendosi con cura le labbra con il tovagliolo, facendo un lieve cenno del capo inviando uno dei camerieri in livrea in attesa, schierati per poter esaudire tempestivamente i compiti che erano stati preparati a svolgere con cura maniacale.
In realtà agli occhi di Lake quello stuolo di aitanti giovani aveva più l’aspetto di un plotone di esecuzione, pronto a ricordargli che quella vita dorata nascondeva una somma infinta di insidie e di manifesta ipocrisia che mal sopportava. "Il principe indocile,
l’erede bisbetico" erano solo alcuni dei titoli dei giornali che apostrofavano il suo senso di distacco dalla vita di corte eppure, nonostante quella sua caratteristica, attorno a lui v’era un sentimento comune di affetto e di tolleranza, la stessa che aveva avvolto ogni membro della famiglia reale che da secoli guidava la ricca nazione di Hollandia.
«Non ho ancora deciso come organizzare la cerimonia. Credo di avere ancora del tempo. Tuttavia, se avrai la compiacenza di ricordare al nostro Primo Ministro che non deve necessariamente preoccuparsi di ogni singolo aspetto della mia vita, te ne sarò riconoscente.»
Victoria sorrise a quell’ennesimo scatto d’orgoglio. In fondo Lake somigliava molto al padre, anche lui insofferente all’etichetta, catapultato in quel mondo dopo averla sposata, lasciando la professione di avvocato in un noto studio legale. Rivedere il suo sguardo imbronciato scatenava in lei mille ricordi piacevoli e divertenti del suo matrimonio, purtroppo conclusosi anzitempo con la morte prematura dell’uomo.
«La tua incoronazione non è un aspetto insignificante, non credi?»
«Oh sì, a venticinque anni passerò da principe ereditario a sovrano… come da tradizione del resto», ricordò il giovane tagliando alcune fette del suo frutto preferito. Fortunatamente quel gusto riusciva ad addolcire quei momenti.
«Non prendertela con me. Se proprio devi fallo con Stephen I, il nostro illustre capostipite che giunse al trono nel suo venticinquesimo compleanno. Da allora è tradizione che ogni nuovo sovrano salga al potere al compimento di quell’età. E tu sarai il prossimo»
Lake continuò a degustare la sua colazione. In fondo sua madre aveva ragione.
Victoria sospirò attendendosi la reazione alla sua successiva osservazione. «Il Primo Ministro mi ha anche chiesto se e quando deciderai di rendere pubblica la tua… situazione sentimentale.»
Il giovane posò malamente le posate sul piatto infrangendo il silenzio che aleggiava sul porticato. Sollevò il capo verso l’alto guardando le alte colonne di marmo che lo sorreggevano. «Risponderò io a quella donna, quando e come lo riterrò più opportuno.»
La regina madre si rivolse ai camerieri, invitandoli ad allontanarsi, scatenando in Lake un sorriso ironico che mascherava il risentimento per quella situazione Quel suo tentativo di proteggerlo ai suoi occhi era amabile, quando inutile. Non aveva intenzione di celare ancora a lungo quello che sentiva e provava.
«Nascondermi… è quello che vorresti che faccia?» chiese alla donna.
«No. Toccherà a te decidere quando mostrare a tutti i tuoi sentimenti. Cerco solo di preservarti da chiacchere e illazioni prima che giunga il momento.»
Bastarono quelle poche parole per spegnere l’animosità che lo aveva pervaso. Se lo era ripetuto decine di volte, eppure non era il rendere pubblico la sua inclinazione sessuale il problema. Lo era riuscire a trovare qualcuno che non lo vedesse unicamente come il sovrano di quel Paese e temeva che non lo avrebbe mai trovato, costringendolo ad una vita solitaria.
Vide sua madre alzarsi e percorrere il lungo tavolo fermandosi accanto a lui. Posò la mano sotto il suo mento sollevandolo verso il suo sguardo. Gli occhi tersi di Lake tradivano i suoi pensieri. Lei lo conosceva più di chiunque altro, nonostante gli impegni della sua posizione aveva cercato di passare con lui più tempo possibile, sottraendolo a precettori e governanti. Il suo desiderio di essere madre non era mai stato intaccato dalla vita che le era stata donata, né aveva permesso che i suoi doveri sfiorassero e influenzassero oltremodo l’esistenza del figlio. Ma ora, alle soglie del passo più importante della vita di Lake sentiva che il suo compito fosse rassicurarlo ancora di più.
«Troverai qualcuno capace di vedere in te quello che molti ora non comprendono, o che ti rendono poco adatto a sedere sul trono. Forse pensano che circondarti di consiglieri potrà infonderti un buonsenso ipocrita. Ma tu risponderai ai loro dubbi mostrando quello che davvero vali. Ed io sarò sempre al tuo fianco, per ricordare loro che dovranno rispettare la tua persona, prima del tuo ruolo.»
Lake si sentì pervaso da una insolita sensazione. Sapeva di non essere amato da certi ambienti della corte; al contrario, l’idea di erede ribelle che si era diffusa lo aveva reso agli occhi della gente comune diverso e singolare da tutti i suoi predecessori.
Prese la mano della madre baciandola delicatamente. «Quindi l’idea di fuggire e di nascondermi è da scartare, non è vero?» domandò sfoggiando un sorriso beffardo.
***
Un forte scossone costrinse Xavier ad aprire gli occhi mettendo a fuoco il suo braccio, disteso sul letto disfatto. Si inumidì le labbra secche accompagnando i movimenti delle spalle intorpidite con uno lungo sbadiglio. Si voltò fissando il volto arrabbiato di Helena che prese la sveglia posata sul comodino mostrandogliela. «Oggi niente lezioni?» domandò.
Gli occhi castani del ragazzo si spalancarono di colpo non appena lesse l’ora sul display. Le otto e mezza. Non era possibile! Balzò fuori dal letto cercando i pantaloni, che, come il resto dei suoi vestiti, erano disseminati per tutta la stanza. «Oh, cazzo! Arriverò di nuovo in ritardo per la terza volta questa settimana!» esclamò saltellando mentre infilava le gambe nei calzoni neri.
«Che cosa è successo qui? Il tuo disordine sta peggiorando in modo esponenziale», osservò la donna raccogliendo dei boxer sgualciti. Li mostrò al ragazzo ridendo. «Questi sono davvero carini», disse indicando il disegno di Snoopy stampatovi.
Xavier glieli strappò dalle mani nascondendoli dietro la schiena. «Me li hanno regalati e non volevo essere maleducato nel rifiutarli» replicò entrando in bagno per rinfrescarsi. Si guardò allo specchio notando le vistose occhiaie. Sì, Helena aveva ragione; il suo imperante disordine stava assumendo contorni inquietanti e quello era solo uno dei risultati delle ultime settimane, da quando si era deciso a trasferirsi in quella casa. Si risciacquò il viso più volte sperando che l’acqua fredda facesse scomparire i segni delle poche ore di sonno che si era concesso.
Uscendo dalla stanza notò la donna raccogliere pazientemente gli indumenti prima di aprire l’armadio da cui tolse una camicia azzurra. «Scusami… non ti dovrei pagare per farti raccattare tutto quello che lascio in giro per casa», le disse abbottonandosela.
Helena si voltò posando sul letto disfatto quello che aveva in mano. Rispose a quelle parole con un sorriso disarmante, lo stesso che l’aveva spinto, una settimana prima ad assumerla. Un ricordo che era rimasto impresso nitidamente nella sua mente riemerse veloce.
Era stato davvero uno scherzo del destino. Era la prima volta che andava in quel supermercato, uscendo la incontrò, in piedi a pochi metri dall’ingresso con quella scritta su un cartone. Teneva lo sguardo chino, come se avesse demandato unicamente a quelle poche parole il compito di mostrare la sua fragilità.
Xavier strinse il manico della borsa osservando quello che aveva acquistato. Si sentiva a disagio. Ecco riaffiorare quella parte di sé capace di incolparlo dei suoi natali, e più cercava di non pensarci maggiore era il desiderio di poter, prima o poi, rispondere a quelle sensazioni con un gesto plateale quando definitivo. In fondo trasferirsi a Green Sky lasciando la residenza in cui era nato e cresciuto per vivere in un luogo più spartano era stato il primo passo.
Si incamminò verso la donna che indossava un cappotto grigio, sotto il quale si intravedevano una camicia a scacchi e dei pantaloni alquanto consumati. Si fermò davanti a lei e lesse con attenzione il cartello. Con la coda dell’occhio vide molte persone passargli accanto senza neppure accorgersi della sua presenza, l’ennesimo fantasma che non doveva né poteva disturbare le loro apparentemente tranquille esistenze.
«Buongiorno, mi chiamo Xavier» si presentò allungando la mano verso di lei.
La donna esitò. La prima cosa che i suoi occhi notarono furono l’anello d’argento all’anulare. Quando sollevò lo sguardo rimase a fissare gli occhi castani dello sconosciuto che non mostravano pietà o indulgenza. Le sue labbra, sottili si aprirono donandole un sorriso, preludio a quelle parole che mai avrebbe pensato di udire. «Io sto cercando una persona per un lavoro. Mi farebbe piacere se valutasse la mia proposta.»
Helena scopri solo dopo chi fosse quel ragazzo che si era spinto ad offrirle un lavoro e non smise mai di ringraziare l’Onnipotente per averle dato la forza di mettersi davanti all’ingresso di quel supermercato per raccogliere qualche spicciolo. Era la prima volta che lo faceva ma nella sua situazione non avrebbe potuto fare diversamente.
«Non preoccuparti. Ora vedi di muoverti o prenderai una ramanzina per il ritardo» lo ammonì la donna.
Xavier si sedette sul letto infilandosi dapprima delle calze bianche, poi e le scarpe da tennis nuove di zecca. Uscì dalla stanza, rinunciando alla colazione salutando Helena e, dopo aver preso lo zaino dalla sedia del tavolo della cucina uscì velocemente scendendo la lunga scala a chiocciola che permetteva di entrare nella spaziosa casa sull’albero appesa a quel grande cedro rosso che si innalzava fiero nel parco da sempre proprietà della sua famiglia.
Percorse solo pochi metri prima di voltarsi a fissare per l’ultima volta quell’edificio insolito che suo padre gli aveva regalato per il suo sedicesimo compleanno. Le ampie vetrate e le pareti rivestite di legno chiaro riuscivano a fondere in modo perfetto la costruzione con l’ambiente circostante. I riflessi degli altri alberi che la circondavano