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Un istitutrice per il visconte
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Un istitutrice per il visconte
E-book268 pagine3 ore

Un istitutrice per il visconte

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Info su questo ebook

The Governess Swap 1

Inghilterra, 1816.
Mentre viaggia sulla nave che la sta portando in Inghilterra per sposare uno sconosciuto impostole dal fratello, l'ultima cosa che Lady Rebecca Pierce si aspetta è che il destino le offra una via di fuga facendole incontrare Claire Tilson. La donna, che le somiglia moltissimo, ha un lavoro che l'aspetta come istitutrice di due bimbe rimaste orfane. Per gioco, Rebecca scambia con lei abiti e identità, ma quando la nave naufraga a causa di una tremenda tempesta la finzione diventa improvvisamente realtà. Scampata per miracolo alla morte, e certa che Claire non sia stata altrettanto fortunata, Rebecca continua a fingersi chi non è divenendo l'istitutrice delle nipoti del sensibile e attraente Lord Brookmore. L'inganno, però, si rivelerà presto un'arma a doppio taglio.
LinguaItaliano
Data di uscita20 nov 2018
ISBN9788858990940
Un istitutrice per il visconte
Autore

Diane Gaston

Diane Gaston's dream job had always been to write romance novels. One day she dared to pursue that dream and has never looked back. Her books have won Romance's highest honours: the RITA Award, the National Readers Choice Award, Holt Medallion, and Golden Heart. She lives in Virginia with her husband and three very ordinary house cats. Diane loves to hear from readers and friends. Visit her website at: https://www.dianegaston.com/

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    Anteprima del libro

    Un istitutrice per il visconte - Diane Gaston

    successivo.

    1

    Giugno 1816

    Lady Rebecca Pierce seguiva il marinaio che portava in spalla il suo baule e la domestica dal volto severo che l'accompagnava in quel viaggio non gradito, attraverso il mare d'Irlanda, per sposare un uomo che detestava.

    Il marinaio le guidò attraverso il ponte, al seguito di altri passeggeri: una donna con figli, un gentiluomo, un commerciante. Mentre scendevano al corridoio di accesso alle cabine, Rebecca inalò l'odore salmastro che permeava il legno della nave, chiedendosi se avrebbe dovuto respirare quell'aria stantia per tutta la durata del viaggio. Forse Nolan, la cameriera che il fratellastro, il Conte di Keneagle, aveva assunto per accompagnarla, le avrebbe permesso di trascorrere un po' di tempo sul ponte? Amava stare a prua, con la brezza marina sul viso, a guardare il vascello che fendeva le acque color inchiostro.

    Rallentò il passo e si guardò alle spalle, ma non c'era modo di fuggire dalla nave, ancorata in mezzo al porto. Anche se avesse potuto nuotare fino a riva, il fratello aveva fatto in modo che non le restasse niente, se non avesse sposato Lord Stonecroft.

    «Lady Rebecca!» la chiamò Nolan con voce stridula. «Affrettatevi. La vostra cabina è pronta.»

    Lei serrò le labbra e si bloccò sui propri passi, finché la cameriera non tornò a riprenderla.

    «Lady Rebecca!»

    Seppur riluttante, Rebecca la seguì lentamente fino alla cabina.

    Una volta all'interno, sedette al piccolo tavolo ancorato saldamente al pavimento, e rimase a guardare attraverso l'oblò la nave che usciva dal porto. Il vento era favorevole, senza dubbio avrebbero raggiunto l'Inghilterra al mattino.

    In mare aperto le onde si fecero più alte, e la nave cominciò a beccheggiare.

    «Oh» gemette Nolan, premendosi le mani sullo stomaco e lasciandosi cadere sulla sedia di fronte a Rebecca. «Sto per sentirmi male.»

    Non qui, pensò Rebecca. «Venite.» Si alzò e aiutò la donna a rialzarsi. «Vi accompagno nella vostra cabina, dove potrete riposare.»

    La cameriera aveva una piccola cabina accanto a quella di Rebecca, nient'altro che una cuccetta e, fortunatamente, un secchio. L'aiutò a mettersi a letto.

    «Oh» gemette di nuovo la donna più anziana, pallida in volto, prima di voltarsi contro il muro.

    «Posso portarvi qualcosa?» si informò Rebecca. «Mangiare qualcosa aiuta, contro il mal di mare.»

    Nolan si dimenò sul letto. «No, no, niente cibo. Lasciatemi sola.»

    Rebecca posò il secchio vicino alla cuccetta. «Qui c'è un secchio, se ne avete bisogno. Verrò più tardi a vedere come state.»

    «No, lasciatemi sola.»

    Con enorme piacere, pensò Rebecca.

    Comunque sarebbe tornata a vedere come stava. Lei non aveva mai sofferto il mal di mare, ma quando aveva attraversato il mare d'Irlanda, durante gli anni della scuola, aveva visto molte persone ridotte in quelle condizioni.

    Risalendo il corridoio, si sentiva come se le fosse stato tolto un peso dalle spalle. Era libera di fare ciò che voleva. Entro i confini della nave, se non altro. Era il momento perfetto per recarsi sul ponte.

    Arrivata alle scale, vide una giovane donna che scendeva, avvolta in un mantello con cappuccio che era umido e sapeva di mare. Dovette aspettare perché c'era posto solo per una persona alla volta. La donna la superò a capo chino, e Rebecca cominciò a salire.

    «Avete intenzione di andare sul ponte, signorina?» le chiese la donna, che si era fermata. «Il guardiamarina mi ha mandata giù.»

    Rebecca si voltò.

    La donna si tolse il cappuccio. «C'è mare mosso...» Si interruppe, sgranando gli occhi.

    Rebecca trasalì.

    Quella sconosciuta aveva i suoi stessi occhi nocciola, identici capelli castani e lineamenti molto simili. Si assomigliavano anche per altezza, corporatura ed età. Perfino il mantello aveva la stessa sfumatura di grigio. Aveva l'impressione di guardarsi nello specchio, l'unica eccezione era che l'immagine che la stava fissando aveva i capelli acconciati in uno stile semplice, e l'abito era di un marrone scialbo.

    Quando Rebecca ritrovò il fiato, scosse il capo. «Siete identica a me!»

    L'altra fece una risata nervosa. «Io... non so cosa dire.»

    «Nemmeno io. Cosa si dice al proprio sosia?»

    «È sconcertante.» La giovane donna raddrizzò le spalle. «Permettete che mi presenti. Sono Miss Tilson, un'istitutrice. Non potete conoscermi.»

    Rebecca tese la mano. «Lady Rebecca Pierce. È un piacere conoscervi.»

    Miss Tilson le strinse la mano. In quel momento il portello si aprì, e scese un gentiluomo. Si spostarono di lato per farlo passare, e Miss Tilson distolse il viso.

    L'uomo le guardò mentre le superava. «Voi signore dovreste rimanere in cabina. Il mare è molto mosso, ma non temete. Un cameriere vi porterà il pasto.»

    Aveva notato la somiglianza?, si chiese Rebecca. Giunsero in fondo alle scale, e nessuna delle due parlò finché il gentiluomo non scomparve in una delle cabine in fondo al corridoio.

    «Credo che dovremmo fare come dice.» Miss Tilson aprì la porta di una cabina piccola come quella di Nolan. «Io sono arrivata.»

    «Mi piacerebbe parlare con voi» si affrettò a dire Rebecca, prima che la lasciasse. «Mi sento un po' sola. La mia cameriera soffre il mal di mare, ed è rimasta nella sua cabina.»

    La giovane donna abbassò lo sguardo. «Il mare non mi ha mai dato problemi. Penso di avere una costituzione forte, da questo punto di vista.»

    Come Rebecca.

    «Vorreste chiacchierare un po' con me? Forse c'è qualche spiegazione a questa strana coincidenza.»

    «Vi inviterei volentieri» rispose Miss Tilson, «ma la mia cabina è molto piccola.»

    «Venite nella mia, allora. Saremo più comode.»

    Sedettero una di fronte all'altra al piccolo tavolo. Dall'oblò entravano schizzi di schiuma bianca.

    «Dove siete diretta, Miss Tilson?» si informò Rebecca.

    «Presso una famiglia del Lake District. Devo prendermi cura di due bambine che hanno perso i genitori in un incidente e che adesso sono affidate allo zio, il Visconte Brookmore.»

    «Povere piccole!» Rebecca era poco più che una bambina quando aveva perso la madre e pochi anni dopo anche il padre.

    «E voi, Lady Rebecca, dove siete diretta?» Miss Tilson aveva un accento irlandese, notò Rebecca, simile al suo, prima che glielo facessero perdere, al collegio di Reading. «A Londra» rispose.

    «Londra!» Miss Tilson sorrise. «Emozionante. Ci sono stata, una volta. Era così... piena di vita.»

    «Già.» Solo che Rebecca non aveva nessuna voglia di andarci. Londra sarebbe diventa la sua prigione, una volta che avesse sposato Lord Stonecroft.

    Miss Tilson aggrottò la fronte. «Non sembrate entusiasta.»

    Rebecca incrociò il suo sguardo. «Non lo sono. Vado lì per sposarmi.»

    La giovane donna inarcò le sopracciglia. «Sposarvi?»

    «Si tratta di un matrimonio combinato» le spiegò agitando una mano. «Una decisione di mio fratello.»

    «E voi non volete sposare quell'uomo?»

    «Per niente.» Il matrimonio con Stonecroft era l'ultima cosa di cui voleva parlare. «Possiamo cambiare argomento, per favore?»

    Miss Tilson batté le palpebre. «Perdonatemi. Non intendevo essere indiscreta.»

    Rebecca si strinse nelle spalle. «Forse vi racconterò tutta la storia più avanti.» Protendendosi verso di lei, riprese: «Per il momento sono incredibilmente curiosa. Come mai ci assomigliamo tanto? Com'è possibile? Forse abbiamo qualche parentela in comune».

    Si raccontarono le rispettive storie, ma niente pareva collegarle. I genitori di Miss Tilson venivano dalla nuova borghesia; la madre era morta dandola alla luce, e il padre l'aveva affidata a bambinaie e istitutrici, prima di mandarla a scuola a Bristol. Alla sua morte era rimasta sola a badare a se stessa, così era andata in Irlanda come istitutrice e adesso stava per assumere un nuovo incarico.

    Rebecca, invece, era figlia di un conte inglese che aveva i suoi possedimenti in Irlanda, ma aveva trascorso gran parte della vita in Inghilterra, nel collegio di Reading.

    «Così non siamo imparentate...» concluse con un sospiro di delusione.

    «Eppure ci assomigliamo molto. Una coincidenza singolare?»

    C'era uno specchio appeso alla parete. Si alzarono entrambe e si guardarono.

    «Non siamo identiche» osservò Miss Tilson. «Guardate.»

    I due incisivi superiori di Rebecca erano leggermente più prominenti, le sopracciglia più arcuate, gli occhi un po' più grandi.

    «Nessuno se ne accorgerebbe, se non ci vedesse una accanto all'altra» osservò Miss Tilson.

    «Quello che ci distingue sono i vestiti.» Rebecca si allontanò dallo specchio per voltarsi verso la giovane. «Se indossaste i miei abiti, scommetto che chiunque vi prenderebbe per me.»

    «Non riesco a immaginare di indossare abiti così eleganti» si schermì l'altra con un sospiro.

    «Allora dovete provarli» ribatté impulsivamente Rebecca. «Scambiamoci d'abito e fingiamo di essere l'altra per la durata del viaggio. Sarà divertente vedere se qualcuno se ne accorge.»

    Miss Tilson scosse il capo. «I vostri abiti sono troppo belli per me. I miei sono miseri.»

    «Per l'appunto. Credo che le persone prestino più attenzione al vestire che ad altri tratti della personalità, e in ogni caso non ci trovo niente di male nell'indossare abiti semplici.»

    L'altra sfiorò la morbida lana di vigogna dell'abito da viaggio di Rebecca. «Devo confessare che mi piacerebbe indossare un vestito come questo.»

    «Allora dovete farlo!» Rebecca le voltò le spalle. «Slacciatemi.»

    Si spogliarono a turno e si scambiarono i vestiti, poi Miss Tilson legò i capelli di Rebecca in un semplice nodo alla nuca, e Rebecca le fece un'acconciatura più ricercata, sistemandole i boccoli intorno al viso.

    Controllarono di nuovo le loro immagini allo specchio e risero.

    In quel momento vi fu un colpo alla porta.

    Rebecca sorrise. «Rispondete come se foste me.»

    Miss Tilson sbiancò in volto. «Non posso!»

    «Certo che potete!» la incitò, dandole una piccola spinta.

    Mentre Miss Tilson assumeva un portamento regale e apriva la porta, Rebecca tornò al suo posto al tavolo.

    Un marinaio teneva in equilibrio un vassoio contro il rollio della nave. «Il vostro pranzo, milady» annunciò.

    «Grazie» rispose Miss Tilson sollevando il mento.

    Rebecca lanciò una rapida occhiata al marinaio prima di distogliere il viso.

    «Miss Tilson si trattiene un po' con me. Potete portare qui il suo pranzo?»

    «Certamente, milady.» Il marinaio entrò nella cabina e posò il vassoio sul tavolo. Poco dopo tornò con altri due vassoi. «La vostra cameriera, milady?»

    Miss Tilson cercò con lo sguardo Rebecca, che fece finta di non accorgersene. Alla fine rispose: «La mia cameriera sta riposando. Potete lasciare qui anche il suo vassoio? Glielo porteremo noi».

    Il marinaio fece un inchino. «Molto bene, milady» pronunciò posando entrambi i vassoi sul tavolo.

    Quando se ne andò, le due giovani si guardarono con gli occhi spalancati.

    «Avevo paura che notasse la somiglianza, quando ha lasciato i vassoi» osservò Rebecca.

    Miss Tilson scosse il capo. «Un'istitutrice non è abbastanza importante da essere notata, milady.»

    Il pranzo consisteva di due fette di pane, un po' di formaggio e un boccale di birra coperto. Mentre mangiavano, continuarono a parlare come se si conoscessero da una vita.

    «Credo che dovremmo chiamarci per nome e darci del tu» osservò Rebecca. «Sembra sciocco essere formali con la propria immagine speculare.»

    Miss Tilson abbassò le ciglia. «Se lo desideri... Rebecca. Allora io sono Claire.»

    «Claire!» A Rebecca pareva di aver trovato una sorella.

    Anche Claire doveva sentirsi a suo agio, perché trovò il coraggio di chiederle: «Ora che non siamo più in rapporti formali, vuoi dirmi perché non desideri sposarti?».

    Rebecca fissò il boccale di birra che teneva con entrambe le mani per evitare che si rovesciasse. Come poteva spiegare ciò che provava?

    «Una donna rinuncia a tutto sposandosi» dichiarò. «A qualsiasi ricchezza o proprietà possieda. Al diritto di decidere da sola quello che desidera fare. Se devo rinunciare a tutto, dovrebbe essere per un uomo che mi ama e mi rispetta, non per uno che mi isolerà dal resto del mondo.»

    Claire inarcò un sopracciglio. «E il vostro promesso sposo...?»

    Rebecca fece una smorfia. «L'ho incontrato una sola volta. Tutto quello che gli interessava era assicurarsi che fossi in grado di dargli un erede.»

    «È naturale che desideri un erede, soprattutto se ha un titolo e dei possedimenti.»

    «Sì, è così.» Rebecca picchiettò il boccale di peltro con l'unghia.

    «È abbastanza ricco da provvedere a te?»

    «Sì, così si dice. E dev'esserlo, perché è disposto a sposarmi con una misera dote.»

    Claire fece un cenno di approvazione. «Vuoi dirmi chi è?»

    Rebecca non vedeva motivo per non farlo. «Il Barone Stonecroft di Gillford.»

    «Ah.» Un bagliore di comprensione apparve sul viso di Claire. «Forse confidavi in un titolo più alto, visto che sei figlia di un conte.»

    «Non mi importa niente del titolo.»

    Claire si mostrò sorpresa. «Ti è sembrato un uomo crudele, allora? È per questo che non ti piace?»

    Non crudele. Indifferente.

    Rebecca sospirò. «Non credo ci sia qualcosa che non va, in lui. Semplicemente, non desidero sposarlo.»

    «Allora rifiuta.»

    Oh, come le sarebbe piaciuto poterlo fare! «Mio fratello... il mio fratellastro dice che sono un peso troppo grande per lui perché possa aspettare che trovi un marito di mio gradimento. Finora ho rifiutato tutti quelli che mi ha proposto. Ha minacciato di lasciarmi senza un penny se non sposo Lord Stonecroft, e non dubito che lo farebbe.» Eppure si lambiccava ancora il cervello in cerca di un modo per evitare il matrimonio senza ritrovarsi sulla strada.

    Nessuno era praticabile, comunque.

    Claire le mostrò la sua comprensione. «Che storia triste. Ci si aspetta che un fratello capisca, non è così?»

    Rebecca la guardò, incuriosita. «Hai fratelli o sorelle? Qualche parente?»

    L'altra scosse il capo. «Sono sola al mondo. I pochi parenti sono troppo lontani per preoccuparsi di me.»

    Un ulteriore motivo per sentire un'affinità nei suoi confronti. «I miei genitori sono morti» le confidò Rebecca. «E mio fratello è come se fosse morto. Ha detto che non vuole più rivedermi, nemmeno se dovesse visitare l'Inghilterra.»

    Il fratellastro aveva sempre nutrito risentimento per lei e per sua madre. Probabilmente perché il padre aveva amato la seconda moglie più dei figli.

    Ci fu una pausa di silenzio, poi Claire dichiarò in tono deciso: «Ritengo tu sia fortunata a sposarti, Rebecca. Da quanto ho capito, possiedi ben poco, quindi hai solo da guadagnare con il matrimonio. Avrai una casa tutta tua, dei figli. Agi e sicurezza. Persino una posizione di rispetto in società».

    Rebecca distolse lo sguardo.

    Era tutto vero. Ma a Lord Stonecroft sembrava interessare solo che fosse giovane e in buona salute per procreare. Non aveva fatto alcuno sforzo per conoscerla. Come poteva sopportare quella specie di deserto emotivo? Come poteva sopportare di vivere accanto a un uomo simile?

    Claire cercò di consolarla. «Forse non sarà così terribile essere Lady Stonecroft.»

    Rebecca si sforzò di sorridere. «Forse no.»

    Come di comune accordo, cominciarono a parlare d'altro. Libri. Teatro. Arte. Musica. Di tanto in tanto Claire, fingendosi Rebecca, controllava come stava Nolan, la quale non parve accorgersi della sostituzione. Le due donne parlarono fino a tarda sera, quando il mare agitato sembrava nero come inchiostro.

    Claire si alzò. «Dovrei tornare nella mia cabina per dormire un po'. Ti aiuterò a togliere il ??vestito, e tu mi aiuterai con questo.»

    Rebecca si alzò e lasciò che la sua sosia le sciogliesse i lacci dell'abito modesto. Peccato. Le era piaciuto sentirsi un'altra per qualche tempo, una donna con una vita più semplice, più padrona di se stessa.

    Voltandosi verso Claire, le propose: «Vediamo fino a che punto possiamo portare avanti questa messinscena. Stanotte dormirai nel mio letto, con la mia camicia da notte, e io continuerò a essere te».

    L'altra si mostrò scandalizzata. «Non puoi dormire nella brandina striminzita che mi hanno assegnato!»

    «Perché no?» ribatté Rebecca. «Sarà una specie di avventura, per me. E tu avrai in cambio le comodità di questa cabina. Domattina, quando verrà Nolan, vedremo se ti scambierà ancora per me.»

    Rebecca tirò fuori una camicia da notte di finissima mussola. «Ecco.»

    Claire accarezzò il morbido tessuto. «Forse... Se è questo che vuoi.»

    «Sì, lo voglio» insistette Rebecca aiutandola a spogliarsi. «Lo desidero moltissimo.»

    Al mattino il mare era ancora più agitato e il cielo aveva assunto una minacciosa tonalità di grigio. Rebecca convinse Claire a indossare i suoi vestiti e a continuare a impersonarla. Nolan, che era rimasta a letto con il mal di mare, e i marinai che portarono i pasti, non si accorsero di nulla. Frettolosi e preoccupati, sembravano non notare la somiglianza nemmeno quando le due donne erano insieme. Si stava preparando una tempesta, le avvisarono, quindi dovevano restare sotto coperta.

    Con il passare delle ore, Rebecca e Claire parlarono più che altro del tempo. Uscivano dalla cabina solo per andare a vedere Nolan, che soffriva al punto da non reagire neanche quando ad accudirla andò Rebecca, vestita da istitutrice.

    Nel tardo pomeriggio si scatenò la tempesta, e la nave venne sballottata con maggior violenza.

    «Dovremmo essere vicini alla costa» osservò Rebecca.

    «Sempre che la nave possa accostare, con questa tempesta» mormorò Claire, pallida in volto.

    A un tratto sopra di loro risuonarono delle grida e un calpestio concitato, poi si udì un forte schianto, che fece tremare le travi sopra le loro teste. Le due donne si strinsero le mani. Il loro gioco perse ogni importanza quando il vento e il mare cominciarono a far rollare la nave in modo così violento da rendere impossibile scambiarsi d'abito.

    Il gentiluomo che avevano incontrato il giorno prima aprì la porta senza bussare. «Venite di sopra» le incitò in un tono fermo al quale non osarono disobbedire. «Dobbiamo abbandonare la nave. Non portate niente con voi.»

    Rebecca lo sfidò, afferrando la borsa a rete che conteneva tutti i suoi averi. Quando raggiunsero le scale, spinse la borsa nelle mani di Claire. «Prendi questa. Io vi raggiungo subito. Vado a prendere Nolan.»

    «Signorina!» gridò il gentiluomo. «Dobbiamo abbandonare subito la nave.»

    «Torno subito!» gridò Rebecca oltre la spalla.

    Si precipitò nella cabina di Nolan e trovò un marinaio davanti alla porta. «Si rifiuta di venire» la informò l'uomo. «Presto! Dobbiamo andare di sopra.»

    Rebecca l'oltrepassò e corse dalla cameriera. «Nolan! Venite con me.»

    La donna più anziana indietreggiò, rannicchiandosi contro la parete. «No. Sto male. Lasciatemi sola.»

    «Venite, signorina!» gridò l'uomo dell'equipaggio. «Non c'è tempo da perdere!»

    «Non posso lasciarla!»

    Il marinaio la trascinò via, portandola praticamente di peso fino alla scala.

    Sul ponte, la pioggia cadeva a rovesci, oscurando la scena caotica che si presentò agli occhi di Rebecca. L'albero maestro si era spezzato in due

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