Elegia per angeli e cani
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Anteprima del libro
Elegia per angeli e cani - Walter Jon Williams
a cura di Sandro Pergameno
Walter Jon Williams
Elegia per angeli e cani
Traduzione di Enzo Verrengia
Prima edizione giugno 2014
ISBN versione ePub: 9788867753697
© 1990 Walter Jon Williams
Titolo originale: Elegy for Angels and Dogs
Traduzione: Enzo Verrengia
Copertina: Tiziano Cremonini
Edizione ebook © 2014 Delos Digital srl
Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano
Versione: 1.0
Font Exo Sans by Natanael Gama, SIL Open Font Licence 1.1
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Sono vietate la copia e la diffusione non autorizzate.
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Indice
Walter Jon Williams
Elegia per angeli e cani
Nota dell'autore
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
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Walter Jon Williams
Nato nel 1953 a Duluth nel Minnesota, Walter Jon Williams si è laureato in letteratura inglese all'università del Nuovo Messico, dove attualmente vive e lavora.
Autore di una ventina di romanzi, tra cui ricordiamo Hardwired (1986), La voce del vortice (1987), Stazione Angelica (1989), Aristoi (1992), Metropolitan (1995), di sceneggiature cinematografiche e televisive e di numerosi racconti, ha vinto due volte il premio Nebula, la prima nel 2001 con il racconto Daddy's world e, successivamente, nel 2004, con L'era del flagello (The Green Leopard Plague), pubblicato in Italia nella collana Odissea Delos.
Autore eclettico e dotato, Walter Jon Williams ha attraversato varie fasi nella sua carriera. Dopo un inizio influenzato da Roger Zelazny, è poi diventato uno degli esponenti di spicco del cyberpunk degli inizi degli anni novanta con il gradevole I guerrieri dell'interfaccia (Hardwired), per poi raggiungere la piena maturità con opere come La voce del vortice, Stazione Angelica, Aristoi.
Questo Elegia per angeli e cani, del 1990, è uno splendido omaggio a Roger Zelazny. Scritto in origine come seguito del classico The Graveyard Heart di Zelazny, rappresenta uno dei momenti più alti della carriera di WJW, sia per lo stile lirico ed evocativo sia per la magnifica narrazione di un vicino futuro dove, ai drammi della normale umanità, si contrappone la vita spensierata di un gruppo di ricchi aristocratici che vivono in un mondo fatato, alternando decenni di ibernazione a momenti di feste sfarzose.
Nota dell'autore
Questa storia è ambientata, con il permesso di chi rappresenta l’autore, nell’universo del racconto The Graveyard Heart di Roger Zelazny.
1
Gli angeli spesso sono incapaci di capire se si muovono tra i vivi o tra i morti
Le luci si spensero e la festa (o la Festa) cominciò (o ricominciò). Cao Cao offrì un sigaro a Lamoral.
– È un maschietto – disse con la sua lieve, affascinante cadenza blesa di Oxford. Il complesso attaccò un ballabile lento, dato che la gravità ridotta non consentiva altro.
Lamoral infilò il sigaro nella sua corazza a polimeri. Attraverso le lenti a intensificazione visiva computerizzata, la pelle di Cao Cao risultava di un arancione brillante e i denti erano verdi. Il suo nome, almeno per un occidentale, si pronunciava come quello di una razza di cani cinesi dalla lingua scura.
– Il bambino non è ancora nato.
– Oggigiorno, 1A, è solo una formalità.
– Questo ballo è per me – disse Carolly, e Lamoral se la portò via, lasciando dietro di sé l'arancione di Cao Cao.
Sulla Terra e dovunque, era il compleanno di Shakespeare.
Il punto era segnato da una X. Il punto era Ariele e la X un grosso rilievo che spiccava sulla sua superficie. La luce del sole arrivava piuttosto fioca a quella distanza. Visto senza occhiali Urano appariva di un azzurro vellutato e indistinto, Ariele fosco, con gli anelli scuri, e Titania, Miranda e Umbriele, sospesi ai vari angoli del cielo, erano nero su nero. Con le lenti, invece, era come se Oberon, il re delle fate attualmente eclissato da Urano, avesse creato con un gesto magico della mano regale un miracolo di policromia. Il gigantesco Urano splendeva abbagliante per metà del cielo, verde e rosso, con piccole nubi argentee che fluttuavano sulla sua superficie. Gli anelli, una serie di fedi nuziali che univano il vecchio Creatore castrato alle sue consorti, erano di uno sfolgorante colore dorato. Il gelo accendeva d'argento i bastioni ammassati della X. I satelliti in alto parevano ribollire di colore.
– Cao Cao è un gran bastardo – disse Carolly. – Mi stai pestando i piedi.
– Scusa. Guardavo il cielo.
– Una volta non avevi occhi che per me.
Lamoral la guardò: – Era prima che la tua pelle prendesse questa sfumatura color carota.
– Spegni gli occhiali.
Lamoral obbedì. I membri del Giro delle Feste, tutti agghindati da personaggi delle commedie shakespeariane, danzavano dolcemente nell'oscurità. Una scena da Il bardo all'inferno, pensò Lamoral.
– Mi stai di nuovo pestando i piedi.
– Chiedo scusa. Adesso non ci vedo proprio.
– Hai perso il tempo, Lamoral.– Lei sospirò. – E anch'io. Andiamo a bere qualcosa.
Sentiva uno spiffero persistente alle ginocchia. Lui era Teseo, e lei invece una speranzosa Rosalinda in calzamaglia verde, anche se un po' troppo attempata per la parte. La corazza di Sua Maestà Attica risuonò mentre le porgeva una bibita dalla tinta vivace. Andarono verso l'orlo del Battello Cerimoniale. Con una piroetta, sfilò accanto a loro una Miranda cinta di anemoni, inseguita da un voglioso Aguecheek. Carolly inarcò un sopracciglio.
– Ci sono tantissime Mirande stasera- fece con aria civettuola.
– Secondo te che cos'ha?
– Cao Cao?
Una risatina nervosa si levò al di sopra della musica: era una delle Mirande. Il suono era un po' troppo convulso, per una serata che non era ancora entrata nel vivo.
– Effetti del Lilt– disse Carolly, in risposta alla sua domanda. La voce trasudava acidità.
Alexander, il fratello gemello di Lamoral, travestito da duca di Vienna travestito da frate, volteggiò accanto a loro con Indira Balish, un frammento della costellazione di Mirande. In seguito, nel corso della serata, Alex si sarebbe rivelato nella sua maestà ducale: da sotto la tonaca un merletto occhieggiava argenteo.
– Tuo fratello balla meglio di te.– La voce di Carolly era ancora pungente.
– Non è così distratto.
– Meno male che non dai la colpa alla tua partner. Grazie tante.
Sul bordo della cupola trasparente del Battello Cerimoniale si stagliava una sagoma. Una cuffia di broccato in stile Tudor incorniciava una cascata di capelli scuri.
– Sandy– disse Lamoral.
Lei si voltò con un frusciare della gonna. La sua faccia bruna spiccava nettamente sullo sfondo delle pareti della X di Ariele ricoperte di polvere nera. Teneva le mani dalle lunghe dita incrociate con grazia sul ventre.
– Che costume delizioso– disse Carolly.
– Grazie– rispose Sandrea Salazar.
– Però non si capisce subito a chi è ispirato.
– Alla regina Ermione.
Seguì una pausa carica d'attesa in cui cercarono di ricordare l'opera d'appartenenza.
– Scusatemi.– Sandrea accennò un inchino e si allontanò verso i membri del Giro, che ondeggiavano senza posa.
Lamoral la osservò allontanarsi. – Chissà in che opera è – disse, con la mente un po’ assente.
– Il racconto d'inverno– disse una nuova voce. E apparve Wayne Unger vestito da Robin Goodfellow. Gli occhiali hi-tech rafforzavano l'illusione, anziché sminuirla.
Lamoral non era sicuro di aver letto anche quella commedia.
– La regina Ermione– suggerì Unger. – Povera signora. E, oltretutto, una donna oltraggiata.
Questo, decise Lamoral, riassumeva tutto.
Il Giro delle Feste era tornato, più in forma che mai! Era stato quello il messaggio inviato dal Battello Cerimoniale, in escursione tra le lune di Urano. Dimenticate il Crollo del '30! Il Decennio Nero era finito, e il gusto e l'eleganza regnavano di nuovo incontrastati.
O almeno lo facevano il gusto e l'eleganza dei membri del Giro. Scelti in base alla bellezza e ai successi ottenuti, disponibili solo per poche escursioni all'anno, ibernati fra un impegno e l'altro, ai membri del Giro erano assicurati eterna giovinezza, eterno fascino, eterne ricchezze ed eterna invidia da parte di quelli che seguivano in video tutti i loro istanti di veglia.
– Non hai voglia di darti di nuovo alle scalate, Lamoral?– Era Puck, che, gingillandosi con gli occhiali scuri, faceva capolino da quello che Lamoral aveva battezzato Battello Cerimoniale. Dietro di lui, Carolly fissava agitata il panorama immutabile.
– Inerpicarsi lungo quei dirupi extraterrestri?– proseguì Unger. – Metter piede in cima a quei picchi senz'aria?– Quella sera gli era entrato fra le labbra un oceano di roba, che lo faceva ondeggiare come per effetto della marea.
– Neanche per sogno.
– E tu saresti il conquistatore del K2, del Monte Olimpo? La visione di quelle pareti non ti fa morire dal desiderio di riformare una nuova versione del vecchio triumvirato?
– Hormayr è morto.
– Lo so, ma…
– È pur sempre morto.
Unger si lasciò sfuggire un forte sospiro: – Sono deluso.
– Scalare a bassa gravità è fin troppo facile. Probabilmente arriverei sui fianchi della X con un paio di salti. Potrei perfino finire in orbita.
Unger sorrise: – Gli scalatori dovrebbero avere sempre un cavo di sicurezza.
Lamoral contemplò il drink e pensò a Hormayr: – Infatti.
– Speravo volessi provarci, per convincerti a portarmi con te. Mi piacerebbe sostituire Hormayr, almeno per questa scalata.
Lamoral lo fissò per un momento e si domandò se prenderlo o no sul serio. il suo interlocutore pareva davvero sincero, e la cosa lo sorprendeva un po'.
– Perché Ariele?– disse alla fine.
– Credo sia per via di quella neve nera. E un'idea così… fredda, priva di passione, non so se mi spiego. Tutta quell'energia sprecata soltanto per metter piede sulla cenere. Giorni finiti in fumo… E nient'altro che silenzio, lassù. A parte l'idrogeno che ti gracida negli auricolari.
– Pensieri in secca di una stagione secca – disse Carolly. Seccamente.
Unger le diede un'occhiata in tralice.
– Non devi far altro che metterla in versi – suggerì Carolly.
– A volte serve l'esperienza diretta.
– Potevi chiederlo ad Alex – disse Lamoral. – Come scalatore, vale quanto me.
– Il tuo gemello è un tipo troppo spassoso. Sarebbe invadente. – Unger sembrava mortificato per il rifiuto.
– Spiacente -disse Lamoral, nient'affatto spiacente. Non lo sfiorava il benché minimo desiderio di avventurarsi in quel crepuscolo che ti svuotava l'anima.
Unger prese dal giustacuore un sigaro di Cao Cao. Lo accese e guardò la cupola della nave.
– Ho il bicchiere vuoto – disse Carolly.
– Tocca riempirlo.
Il poeta restò indietro a giocherellare con gli occhiali, mutando la luce in oscurità e viceversa.
In fondo era il suo lavoro.
2
Le danze del Giro divenivano sempre più lunghe e complesse, in base alla teoria che dovessero consistere in qualcosa di cui solo i membri della cerchia ristretta fossero capaci. Una teoria ingannevole, dato che il resto della gente aveva molto più tempo per esercitarsi, non dovendo dormire per mesi tra un impegno e l'altro. Le mosse dei danzatori non erano proprio impeccabili, ma almeno gli errori si commettevano con stile, ed era difficile distinguere un autentico sbaglio da un'ispirata improvvisazione. I balli erano stati adattati alla gravità ridotta: le coppie formavano piccoli sistemi solari, una in orbita attorno all'altra, gomito a gomito, con le opposte velocità che tenevano tutti ancorati nello spazio, impedendo loro, in un eccesso di entusiasmo, di finire sparati come palle di cannone contro la cupola del Battello Cerimoniale.
– Hai fatto due chiacchiere con l'unico assassino riconosciuto?
Thomas Edwardes e la sua compagna erano usciti dal gruppo principale, in attesa di rientrare nella danza all'inizio della figura successiva. Edwardes era abbigliato da nobile elisabettiano, con un cappello piumato sulle ventitré e una spada appesa al fianco.
– Parli come se ce ne fosse qualcuno non riconosciuto – commentò Lamoral.
Edward gli dedicò una strizzatina d'occhio.
– Riflettevo su una cosa – disse Carolly. – Quest'omicidio è un atto troppo intimo perché il nostro vi abbia preso parte in prima persona. Sono certa che ha assoldato qualcun altro.
Edwardes fece una risatina nervosa e fin troppo confidenziale: di nuovo il Lilt. Arrivò la figura che aspettava, e lui rientrò nella danza. Carol e Lamoral riempirono i bicchieri e guardarono orbitare quelli del Giro.
Il ballo terminò. Alex e Indira Batish si avvicinarono ridacchiando al bar. – Dicevo ad Alex – fece Indira a Lamoral – che voi due vi sareste dovuti vestire come gli Antifolesi di Efeso e Siracusa. O si dice Antifoli?
– Antipholoi, credo – disse Lamoral.
– Comunque sia, avreste dovuto farlo.
– Già così ci scambiano fin troppo l'uno per l'altro.
– Io no.
Alex fece un sorrisetto: – Davvero, cara? Era buio, quella vigilia del solstizio d'inverno. Almeno, così mi ha raccontato Lamoral.
Indira inarcò un sopracciglio: – Vi ho già distinto al buio altre volte. Perché non avrei dovuto farlo anche allora?
Alex si strinse il petto, fingendosi trafitto. Indira rise e ordinò del vino.
L'orchestra ricominciò. Lamoral sbirciò nell'oscurità l'oltraggiata regina siciliana.
Chiese scusa e