Argonautica
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Fantascienza - romanzo (122 pagine) - Uno splendido romanzo ucronico ambientato durante la Guerra di Secessione americana
Jase Miller è un mercenario della Guerra Civile Americana al soldo degli Stati Confederati. Assieme alla sua ciurma improvvisata, apparentemente alle dipendenze dei capi militari della Marina Confederata, Jase riesce a impadronirsi di una corazzata praticamente invincibile e, sfuggendo a battaglie e imboscate delle navi yankee sui corsi d’acqua del sud, a mettersi alla ricerca di un misterioso tesoro in soldoni d’oro di una banca del Sud, custodito da un’affascinante e bella ereditiera dagli strani poteri…
Argonautica, teoricamente un’ucronia ambientata nel sud degli Stati Uniti ai tempi appunto della Guerra Civile (un periodo storico che ha sempre affascinato e colpito gli scrittori americani), è in realtà un pezzo di bravura, una incredibile riscrittura del mito di Giasone e Medea, e del Vello d’Oro. Un’opera, quasi un romanzo per la sua lunghezza, che solo un autore come Walter Jon Williams poteva concepire, un autore capace di passare nel corso della sua carriera, con eccezionale bravura, dalle suggestione intime e poetiche di opere riecheggianti i capolavori di Roger Zelazny alle tematiche hard e violente del cyberpunk, giungendo infine a una sintesi perfetta dei valori tecnologici e di quelli umanistici che rimane tipica della migliore fantascienza moderna.
Apparso sulla prestigiosa Asimov’s Science fiction Magazine nel 1999, Argonautica è il quinto romanzo breve di Walter Jon Williams che pubblichiamo in questa collana, dopo Emersione, Elegia per angeli e cani, Il giorno dell’incarnazione e La Piramide Sommersa della Dinastia Tang.
Nato nel 1953 a Duluth nel Minnesota, Walter Jon Williams si è laureato in letteratura inglese all'università del Nuovo Messico, dove attualmente vive e lavora.
Autore di una ventina di romanzi, tra cui ricordiamo Hardwired (1986), La voce del vortice (1987), Stazione Angelica (1989), Aristoi (1992), Metropolitan (1995), di sceneggiature cinematografiche e televisive e di numerosi racconti, ha vinto due volte il premio Nebula, la prima nel 2001 con il racconto Daddy's world e, successivamente, nel 2004, con L'era del flagello (The Green Leopard Plague), pubblicato in Italia nella collana Odissea Delos.
Autore eclettico e dotato, Walter Jon Williams ha attraversato varie fasi nella sua carriera. Dopo un inizio influenzato da Roger Zelazny, è poi diventato uno degli esponenti di spicco del cyberpunk degli inizi degli anni novanta con il gradevole I guerrieri dell'interfaccia (Hardwired), per poi raggiungere la piena maturità con opere come La voce del vortice, Stazione Angelica, Aristoi.
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Anteprima del libro
Argonautica - Walter Jon Williams
9788865305478
1
Dove Pelia incontra l’uomo con un solo sandalo
Jase Miller vide per la prima volta il mostro di ferro quando era nel suo bacino di carenaggio improvvisato presso lo Yazoo. La gigantesca creatura aveva il muso a terra e mostrava le chiappe corazzate al fiume. I suoi fumaioli gemelli e la sua casamatta rossa di ruggine torreggiavano nella piatta regione di Old River, incombenti come una manifestazione ultraterrena. I negri al lavoro vi brulicavano come formiche. Nonostante il fragore del motore del General Bee, Jase riusciva a sentire il clangore delle mazze sul ferro delle rotaie,
Eccolo, pensò. E io l’avrò, oppure sarò impiccato.
– Non è grande come pensavo, – commentò il sottotenente Harry Klee, il quale aveva visto la Louisiana prima che bruciasse.
– È abbastanza grande, – rispose Jase, e ancora una volta si domandò come rubarla. Trovar, per vie traverse, la direzione giusta, pensò.
Segnalò avanti adagio alla sala macchine, poi picchiò due volte la campana per mandare uno scandagliatore a prora per misurare la profondità. Il General Bee diminuì la sua onda prodiera e rallentò nell’acqua melmosa. Verso riva, un mocassino d’acqua snudò le zanne, al sicuro sopra un ramo di quercia.
Strana regione, pensò Jase, marinaio d’acqua salata, per nulla avvezzo ai fiumi. La piatta regione dello Yazoo, con i suoi tortuosi corsi d’acqua, era aperta e chiusa al tempo stesso, perché la visuale era preclusa ovunque da fitte foreste di latifoglie: cipressi, salici, pioppi, tutti alberi bisognosi d’acqua, aggrappati alle rive del fiume, e tutti fasciati di rampicanti. Vi si trovavano alligatori e serpenti, e migliaia di aironi e di cormorani a stormi.
E faceva caldo. Faceva caldo come in una sala caldaie, e Jase agognava la brezza marina.
– Tre braccia! – annunciò lo scandagliatore. – Due braccia e mezza! Tre braccia!
Jase manovrò il rimorchiatore verso riva, segnalando indietro adagio, e lo guidò gentilmente ad arenarsi nel fango dello Yazoo. La banchina iniziò ad affollarsi di astanti incuriositi.
Grande e grosso, il sottotenente Klee ostruiva quasi completamente la finestra della timoniera. – Qualcuno di loro ti sembra un senatore, Jase? – domandò.
Jase girò intorno a Klee per scrutare la folla. – Forse il tipo col cappello a cilindro.
Harry Klee guardò di traverso e sputò. – Sembra piuttosto un becchino.
– Credo che sbarcherò per scoprirlo. – Srotolatosi le maniche della camicia, Jase indossò la giacca grigia dell’uniforme, perché incontrare un ex senatore imponeva un certo grado di formalità. Poi si aggiustò il cappello di paglia e si avviò, superando il Parrott a canna rigata da trenta libbre, per recarsi in coperta a prua, dove scoprì che il meccanismo per abbassare la passerella era bloccato.
– Scusi, signore. Lo sistemo subito, – assicurò Castor, uno dei gemelli, nel suo accento cockney.
Jase osservò il gruppo di persone sulla banchina e il suo umore iniziò a guastarsi. Decise di non rimanere a farsi fissare ottusamente in attesa che il meccanismo della passerella fosse riparato, e si lasciò cadere dalla prora, poi si recò a guado sino a riva, infradiciandosi fin sopra il ginocchio. Perdere uno stivale, risucchiato dal fango dello Yazoo, non migliorò il suo umore. Giunse sguazzando a riva e con un balzo montò sulla banchina alta un metro e venti. – Senatore Pendergas? – chiese al tipo in cappello a cilindro.
L’uomo scosse la testa. – Il generale è laggiù. Eccolo che arriva.
Il senatore, ora generale, era un uomo dalle spalle larghe e dalla testa tonda, in maniche di camicia, i calzoni con banda laterale dell’uniforme sostenuti sotto la sua pancia sporgente da un paio di bretelle rosse. La camicia era macchiata di tabacco da masticare. Quando Jase lo salutò, Pendergas gli offrì la propria grossa mano e attese che lui gliela stringesse.
Jase lo assecondò, presentandosi. – Tenente di vascello Jase Miller, marina militare degli stati confederati, comandante del General Bee.
– Felice di conoscervi. – rispose Pendergas, come se Jase fosse un elettore.
Intorno a me voglio solo vedere gente bene paffuta e ben lisciata, e che dorma la notte, pensò Jase, sentendosi interiormente soddisfatto.
– Avete qualche ufficiale di macchina? – domandò il senatore. – Sono in difficoltà con le mie macchine motrici.
– Ho ufficiali di macchina della marina militare – precisò Jase, perché Pendergas era dell’esercito, e così pure il suo naviglio, a quanto pareva. A causa del primo punto, Jase intendeva cambiare il secondo.
Pendergas lo fissò con gli occhietti seminascosti dalle palpebre grasse. – Possiamo escogitare qualcosa, credo…
– Ho ordine di collaborare con voi, signore.
Pendergas sputò un getto di tabacco nell’erba. – Be’, questa è una buona cosa, perché voi e io siamo tutto ciò di cui il Sud dispone per difendere Vicksburg.
Era tristemente vero, rifletté Jase. Alcuni mesi prima, il commodoro Davis aveva preso Memphis con la sua squadriglia fluviale yankee. Farragut aveva conquistato New Orleans con la sua squadriglia d’acqua salata, poi aveva risalito il Mississippi e aveva superato le batterie di Vicksburg per unirsi a Davis a settentrione della città. Il ricongiungimento delle due squadriglie chiariva che il loro prossimo obiettivo era Vicksburg, e il Sud non aveva molto con cui fermarle.
Pendergas abbassò lo sguardo al piede di Jase, protetto soltanto dalla calza. – In questi giorni la marina militare non fornisce più gli stivali a paia?
– La marina militare mi ha distribuito un paio di stivali, ma nessuno mi aveva avvisato che il fiume Yazoo intendeva riscuotere un pedaggio.
A quella misera battuta, Pendergas increspò un labbro. – Speriamo che gli Yankee non si prendano l’altro, insieme al vostro naviglio.
Si udì un fruscio mentre il Bee scaricava vapore. Con gli occhietti che quasi scomparivano nel viso grasso, Pendergas fissò il General Bee. – Che tipo di bastimento mi ha fornito la marina militare, Jase?
Dunque Pendergas pensa che la marina militare gli abbia fornito un bastimento? Jase fu pervaso di gelida ilarità. Be’, vedremo quale naviglio sarà fornito a chi! E rispose: – Un rimorchiatore corazzato fuggito da New Orleans prima della caduta, signore, armato con un pezzo in caccia Parrott da trenta libbre, un Parrott da venti libbre a poppa, e un cannone a canna liscia da ventiquattro libbre a ciascuna banda.
Pendergas increspò di nuovo il labbro. – E corazzato meno di un bordello di campagna.
– Oh, un po’ di più, invece. – Intorno al cannone, Jase aveva installato impavesate di tronchi alte un metro per proteggere i cannonieri. Inoltre aveva ammassato balle di cotone intorno alla timoniera, alla caldaia, e ovunque gli fosse parso utile. Comunque non aveva potuto fare molto altro. Il Bee era stato costruito come rimorchiatore, poi era stato requisito dalla marina militare perché priva di altri bastimenti, infine era stato ribattezzato con il nome di un ufficiale caduto nella prima battaglia di Manassas, e nulla di tutto ciò appariva particolarmente di buon auspicio.
– Be’, seguitemi a vedere l’Arcola, e vi mostrerò il naviglio che l’esercito intende usare per sgombrare il fiume da Farragut. – Pendergas si volse verso il mostro rosso di ruggine che stava costruendo nel suo campo di cotone, e gridò: – Argus! Argus McBride!
Zoppicando a causa del piede senza stivale, Jase seguì il senatore al bacino di carenaggio, dove scoprì che McBride era un vecchio con un cespuglio di folti capelli bianchi e una stretta di mano arida come sabbia.
– Reduce di New Orleans, di Galveston e della Great Northern Railroad, sta ricostruendo l’Arcola per me, – dichiarò fieramente Pendergas.
Con sguardo scettico, Argus scrutò Jase. – Sapete qualcosa di motori marini a tripla espansione, vero?
– Sono l’uomo che fa per voi, – assicurò Jase.
– Bravo ragazzo! – Il senatore gli percosse una spalla. – Sapevo che ci sareste stato utile!
– Se volete, chiamo il mio direttore di macchina, – propose Jase. – Potremmo esaminare i motori insieme.
In attesa che il direttore di macchina Tyrus arrivasse dal General Bee, Pendergas e Argus, fieri, mostrarono l’affondatore corazzato che stavano costruendo sullo Yazoo.
Come Mingo, il suo nome originario, l’Arcola era stato uno degli arieti Ellet che in una decina di minuti avevano colato a picco l’intera flotta confederata messa a difesa del fiume durante la battaglia di Memphis, alcuni mesi prima. Pochi giorni dopo la battaglia, la caldaia era esplosa durante una perlustrazione, così il Mingo era andato alla deriva sul Mississippi fino a incagliarsi in un bassofondo di sabbia, dove era stato catturato da un drappello arrivato a remi dalla riva.
– Il mio drappello! – gridò Pendergas, divertito, tirando una gomitata nelle costole a Jase. Il presidente Jefferson Davis, che era stato senatore del Mississippi insieme a lui, gli aveva conferito all’inizio della guerra una nomina di generale di brigata, ma lui non aveva mai avuto occasione di combattere, forse perché l’esperienza in senato aveva permesso al presidente di valutare abbastanza correttamente le sue capacità. Fino al momento in cui il suo drappello aveva vogato verso il banco di sabbia per chiedere la resa del Mingo, la sua unica esperienza bellica era consistita nell’arruolare reggimenti e nell’ammassare vettovaglie nelle zone sicure delle retrovie, per poi inviarli all’esercito che combatteva nel settentrione.
Quando gli si presentava un’occasione, Pendergas la sapeva riconoscere. Aveva disincagliato il Mingo e lo aveva nascosto più a monte, in una delle sue piantagioni sullo Yazoo. I suoi schiavi avevano scavato notte e giorno per costruire un bacino di carenaggio lì, nel suo campo di cotone, e lui, intanto, aveva raccolto equipaggiamento e uomini per trasformare il naviglio yankee catturato in un mostro capace di divorare la repubblica che gli aveva dato i natali.
Argus mostrò a Jase la prua imbottita di travi per accrescere la potenza dello speronamento e le paratie in legno spesse trenta centimetri che correvano per tutta la lunghezza del naviglio come rinforzo, affinché resistesse ai rostri. Le due macchine a tripla espansione, che azionavano i propulsori a elica, erano rinforzate per assorbire lo speronamento ed erano in grado di far filare il bastimento a quindici nodi.
Costruito unicamente come affondatore, lo yankee Mingo era stato privo di corazza e di artiglierie, ma Argus aveva rimediato. Aveva incastellato il rostro in una casamatta di quercia spessa più di sessanta centimetri, spiovente come un tetto per deviare i proiettili, poi aveva rivestito la quercia di lamiere con due strati di ferro delle rotaie, ingegnosamente laminato e scanalato, ribadito, inchiodato e saldato, in modo da presentare una liscia superficie rossa di ruggine, impenetrabile ai proiettili nemici. Una timoniera era stata costruita sopra la casamatta prodiera, con barre d’acciaio sovrapposte come le travi di una casa di tronchi e saldate in rozza forma piramidale, con la cima aperta.
Quel giovin di Bellona sposo, armato a tutta prova, pensò Jase.
Nel costruire il suo affondatore, il senatore non aveva mancato di procurarsi l’armamento necessario. Un solido Dahlgren a canna liscia da dieci pollici con affusto a bilico, montato a prora, ruotava su