Sangue di madre sulle labbra: Trilogia delle donne perdute 1
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Anteprima del libro
Sangue di madre sulle labbra - Antonio Bocchi
Antonio Bocchi
Sangue di madre sulle labbra
Romanzo
Prima edizione marzo 2016
ISBN 9788865306048
© 2016 Antonio Bocchi
Copertina: Carlo Felice Corini
Edizione ebook © 2016 Delos Digital srl
Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano
Versione: 1.0
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
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Indice
Il libro
L'autore
Sangue di madre sulle labbra
Dedica
Citazione
Prologo
Capitolo primo
Capitolo secondo
Capitolo terzo
Capitolo quarto
Capitolo quinto
Capitolo sesto
Capitolo settimo
Capitolo ottavo
Capitolo nono
Capitolo decimo
Epilogo
Delos Digital e il DRM
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Il libro
Svelare il mistero della scomparsa di una donna nella sonnacchiosa provincia parmense: un incarico per il detective Lomax più complesso e pericoloso del previsto
Una donna non dà sue notizie da giorni. Il marito decide di rivolgersi a un investigatore privato per ritrovarla. Fuggita con un amante? Rapita a scopo estorsione? Uccisa? L'indagine si rivela più complessa di quanto ci si aspettava. E perché del caso si interessa anche quello strano prete dall'aspetto maledetto?
Torna sulla scena l'investigatore musicista Bruno Lomax, amante del buon vino e della buona musica, con tutto il suo seguito di personaggi indimenticabili: il modesto Pilleggi, il mangione Triffi, la bella Jette. Per un giallo dai risvolti occulti da cui non riuscirete a staccarvi fino all'ultima pagina.
L'autore
Antonio Bocchi è nato nel 1958 a Parma dove vive. Lavora come chirurgo plastico presso l’Ospedale di Parma. Negli anni 90, ha realizzato alcuni film che hanno partecipato a diversi festival di cinema indipendente. Dal 2007 è il leader di una band di rock elettronico (Lux Anodyca) che ha al suo attivo quattro dischi. Il suo primo romanzo che ha come protagonista Bruno Lomax è stato pubblicato da Salani nel 2011.
Dello stesso autore
Antonio Bocchi, Le donne della casa sul fiume Trilogia delle donne perdute (in preparazione) ISBN: 9788865306055 Antonio Bocchi, Sei una donna cattiva Trilogia delle donne perdute (in preparazione) ISBN: 9788865306062
A Claudia Morel…
perché la luce più fulgida scaturisce dal dolore più cupo
Love like blood
Flows from the heart
Are blood and love related?
Does a heart pump blood
As it pumps love?
Is love the blood of the universe?
L’amore come il sangue
Viene dal cuore
L’amore e il sangue
Sono forse in relazione?
Il cuore pompa amore come sangue?
È l’amore il sangue dell’universo?
David Lynch e Mark Frost, Twin Peaks, Episodio 20
Prologo
Strisce di china nerastra appiccicate al contorno del cielo. Crepuscolo inghiottito dalle fauci insaziabili della notte incipiente. Sospiro strozzato del bosco, aria intrappolata tra le fronde immobili.
Alvise Rubiali avanzò lungo la strada sterrata scavata tra la vegetazione. Passi lenti, affondati nell’aria leggera. Sguardo fisso sul suolo grigiastro, mani conficcate nelle tasche di una giacca scura, troppo larga. Raggiunse la sommità della collina. Ampia radura, incastonata di ofioliti corrosi dal tempo. Il bosco si era mantenuto a distanza, come se avesse timore. La casa si stagliò sui residui di luce del cielo. L’uomo raggiunse la soglia, si voltò indietro, per un attimo. Luci fioche del paese, in fondo alla vallata, lontane e irraggiungibili, disperse nell’abbandono spettrale dell’oscurità. Rubiali si frugò in tasca ed estrasse una lunga chiave. La infilò nella serratura. Porta spalancata sul buio compatto dell’ingresso. Venne inghiottito in un unico boccone malsano. Restò a inalare il pulviscolo inerte che sapeva di carbone combusto. Fece alcuni passi, poi accese una lampada appoggiata su un vecchio comò. Brandelli di luce giallastra sui pochi oggetti appoggiati sul mobile. Attraversò il salone con passi strascicati sul pavimento di legno antico. Salì una scala che portava ai piani superiori. Si fermò sul ballatoio e restò in ascolto. La casa gli alitò addosso frammenti di silenzio. Fece alcuni passi in direzione di una porta. Afferrò la maniglia e la ruotò verso il basso. Un’ondata di buio gli si rovesciò addosso.
– Floriana! Sei qui?
Fruscio di membra divorato dall’oscurità.
– Sono qui, Alvise. Sei già tornato?
– Sì… non c’era nulla, per noi, che ci potesse servire.
– Hai parlato con Tito?
– Certo, ma non ci può aiutare per il momento.
– E allora? Tutto il materiale che ci siamo fatti spedire…
– Ne ho parlato con un tale del paese… un certo Amilcare.
– E cosa potrà fare per noi?
– Vedremo.
La donna scese dal letto. Sottoveste nera sulle membra smagrite. Pelle diafana e sottile. Naso adunco piantato sopra una bocca sottile. Fece alcuni passi verso l’uomo. Gli posò le labbra sul collo. Inalò il suo profumo di carne macerata. Gli morse un labbro, come se glielo volesse staccare. Lingua conficcata tra i denti giallastri. Masticò il suo alito mefitico. L’uomo restò immobile, lasciò che la donna si contorcesse intorno al suo corpo rigido, simile a un pupazzo imbalsamato e frusto. Gli cominciò a sfilare i vestiti. Poi gli conficcò i denti nella pelle macilenta, lo morsicò più volte, per fargli male, fino a sentire i tessuti lacerarsi e il sapore del sangue scorrerle in bocca. Rubiali contorse le labbra sottili ed esangui, senza emettere un gemito. Floriana ringhiò e gli addentò un capezzolo, quasi staccandolo dal torace sfibrato. Un rivolo di sangue le colò dalle labbra. Trascinò Alvise sul letto disfatto. Ansimi contorti come imprecazioni. Lei continuò a morderlo fino a che l’uomo la afferrò alla gola e la separò dalle sue carni straziate. La scaraventò di fianco e la schiacciò con il suo peso. La donna cominciò a ridere, coi denti rossastri, quasi dello stesso colore delle gengive. Rubiali le strappò la sottoveste, le afferrò le gambe scheletriche e le divaricò fino a sentire lo scrocchio delle anche. La donna urlò quando venne penetrata. Sentì le mani di lui stringerle il collo fino quasi a soffocare. Continuò a ridere. L’uomo si dimenò sopra di lei con un ghigno agghiacciante sul volto. Lei gli piantò le unghie nella pelle del dorso e le trascinò verso il basso. Lunghe strie rossastre cominciarono a gemere preziose gocce di sangue. La donna non si accorse che l’uomo si era contratto dal piacere dentro di lei. Lo sentì abbandonarsi al suo fianco ansimando pesantemente. Lei riprese a ridere. Si succhiò le dita bagnate del sangue di lui.
– Smettila di ridere, adesso.
Alvise restò sprofondato nell’oscurità a sentire il bruciore delle sue membra martoriate. Rivoli sottili di sangue gli colarono dal tronco e imbrattarono il lenzuolo.
Silenzio squarciato da un grido improvviso. Proveniva dal bosco, dalla sua oscurità compatta e impenetrabile. Floriana si alzò di scatto e cercò di perforare il buio della stanza con i suoi occhi piccoli e allungati. Alvise le strinse una mano.
– È lui?
– Credo di sì.
– Ha avuto una ricaduta?
– È probabile.
Capitolo primo
Luce inghiottita dalle nuvole dense. Grigiore compatto dell’aria, fuori dalle finestre. Bruno Lomax si rigirò nel letto e restò a guardare lo scorcio di cielo senza colore. Testa sprofondata nell’abbraccio morbido del cuscino. Ripensò al sogno che gli aveva attraversato il sonno, poco prima del risveglio improvviso. Era restato a rimuginare l’angoscia che gli aveva intriso la mente e che faceva fatica a disperdersi nonostante il sollievo di essere uscito dai tentacoli dell’incubo Afferrò il taccuino appoggiato sul comodino. Scrisse alcuni appunti, malamente, di traverso sul letto. Uomini vestiti di nero, con le facce diafane, degli zombie gotici ed inespressivi. Lo inseguivano, senza correre, senza affrettarsi, muovendo pochi passi alla volta. Lui non riusciva ad allontanarsi, le sue membra erano devastate da uno sforzo immane e inutile. Sensazione di impotenza trasformata in affanno. Li sentiva vicini, sempre di più. Ansimavano su di lui, a pochi centimetri dal suo volto. Poi cominciarono a morsicarlo. Fiotti di sangue scuro sgorgavano dalle sue membra inerti. La sua voce era bloccata nella gola, non riusciva nemmeno ad urlare il suo terrore, a invocare aiuto.
Gettò il notes sul ripiano del comodino. Restò a pensare cosa potesse significare quel sogno. Cervello tormentato da residui di inquietudine. Cacciò via il lenzuolo spiegazzato. Si divincolò nell’aria viziata della notte appena trascorsa. La casa gli sembrò senza vita. Molecole di luce grigiastra abbarbicate agli oggetti e ai mobili, come polvere stantia. Entrò in cucina e aprì le ante della dispensa. Frugò tra le scatole di infusi e tè aromatizzati. Scelse una miscela di rabarbaro e lamponi. L’acqua bollente si trasformò in un liquido rossastro, simile a sangue diluito. Ne bevve alcuni sorsi e versò il resto nel lavandino. Aprì il getto del rubinetto con un colpo sulla leva d’acciaio. Restò a scrutare l’acqua bollente disperdere il liquido scarlatto. Uscì dalla cucina. Spalancò le finestre sulla Chiesa sconsacrata di S. Elisabetta. Piccioni appollaiati sui tetti antichi. Emettevano cupi segnali di richiamo, di tanto in tanto.
Lomax uscì dall’appartamento e si ritrovò in una penombra asfittica, oltre la soglia di casa. Discese le scale fino all’atrio del palazzo. Fremiti di umidità incollata ai gradini di pietra antica. Passò davanti alla porta dell’ufficio senza pensare di entrare. Uscì oltre il portone d’ingresso e si diresse verso Piazzale Salvo D’Acquisto. Si lasciò cadere su una panchina. Ombre di persone in transito davanti ai suoi occhi. Si guardò intorno, come se avesse paura. Un uomo attraversò il piazzale. Capelli lunghi, bianchi, fino quasi alle spalle. Occhiali rotondi con lenti rossastre. Cute del volto cerea, come se fosse fatta di cartapesta. Si sedette sulla panchina accanto alla sua. Panino estratto dalla tasca del soprabito leggero. Cominciò ad addentarlo. Rumore ovattato dei denti che biascicavano il cibo. Della carne macinata fuoriuscì dalle fette di pane e ricadde sull’impiantito. L’uomo continuò a masticare senza allontanare la bocca dal pasto. Si voltò verso Lomax. Gli sorrise. Denti malandati infarciti di brandelli di carne rossastra. Rimuginò il bolo immondo, come se non volesse mai deglutire. Lomax distolse lo sguardo. Sentì squillare il telefono nascosto nella tasca dei pantaloni.
– Dove sei?
– Nel piazzale.
– E cosa diavolo fai nel piazzale, a quest’ora?
– Prendevo una boccata d’aria. Ho avuto una notte difficile.
– C’è un signore che ti aspetta in sala d’attesa.
– Aveva un appuntamento?
– No… dice che è urgente. –
– Senti cosa vuole.
– E tu?
– Non sono in forma questa mattina. Se sono le solite cazzate pensaci tu, Jette.
– Come vuoi.
Lomax richiuse il telefono. L’uomo stava ancora masticando. Dopo qualche minuto si alzò e si allontanò dirigendosi verso Borgo Delle Colonne. Lomax sentì ancora il telefono squillare.
– Non sono le solite cazzate, Bruno.
– Arrivo.
Lomax si diresse verso il suo ufficio. Sfiorò la porta con le nocche, alcuni piccoli colpi delicati. Rumore di tacchi sul pavimento di legno. Jette aprì la porta e ondeggiò impercettibilmente sulle lunghe gambe avvolte da una corta gonna di tessuto elasticizzato. Si portò all’indietro i capelli biondi fluenti e lo fissò preoccupata.
– Be’? Che ti succede?
Lomax scrollò le spalle. Fissò la sua figura snella e sensuale come se fosse un miraggio. Jette lo guardò trascinarsi verso il suo studio. Attese qualche minuto poi annunciò il cliente. Si chiamava Orlando Neri. Lomax rimase sprofondato nella sua poltrona e gli fece cenno di accomodarsi.
L’uomo si sedette, col busto proteso in avanti. Tensione a fior di pelle, occhi stralunati, pomo d’Adamo sul punto di schizzare fuori dalla pelle. Parole biascicate, saliva al minimo sindacale.
– In cosa posso esserle utile?
– Mia moglie è sparita.
– Da quanto tempo?
– Tre giorni… sono tre giorni che non ho nessuna notizia di lei.
– Si è già rivolto alla Polizia?
– Dicono che è ancora presto per avviare un’indagine ufficiale. Mi hanno detto di fare il giro degli amici e dei parenti…
– E lei lo ha fatto?
– Nessuno l’ha più vista da diversi giorni.
Balbettio impercettibile. Gocce di saliva addensata sul labbro inferiore.
– Mi parli di sua moglie.
– Si chiama Giovanna Vespri, ha trent’anni, siamo sposati da tre anni, non abbiamo figli. Si occupa della casa, ama la lettura… e…
Parole inghiottite dalla gola contratta. Orlando Neri si coprì il volto con le mani e iniziò a singhiozzare.
– Si calmi, signor Neri, la prego. Disperarsi non serve a nulla, al momento.
– Certo… mi scusi… ma non è mai successo che Giovanna sparisse senza avvertirmi, nemmeno una telefonata.
– Il vostro è un matrimonio felice?… intendo dire…
– Sì, sì, cosa crede? Che sia scappata con un altro?
Lomax respirò a fondo. Cambiò posizione sulla poltrona.
– Ha notato qualcosa di insolito nel suo comportamento, di recente?
– Era stanca, molto stanca, ed era sempre svogliata, sembrava pensasse ad altro.
– Le sembra che ultimamente avesse modificato le sue abitudini?
– Be’, sì… andava più spesso nella nostra casa di collina. Prendeva la corriera, di solito. A mia moglie non piace guidare la macchina.
– E dove si trova questa casa?
– A Vardiano, nella Val Baganza. Vicino a Pregnano.
– Ha controllato che non sia lì?
– È stata la prima cosa che ho fatto ma non c’era alcuna traccia di lei.
– Ha una foto di sua moglie?
– Oh, certo, eccola.
Giovane donna, mora, bella, sorridente. Lomax fissò la foto per alcuni secondi.
– Cosa vuole che facciamo per lei, signor Neri?
– Tutto quello che potete per trovarla. Avete carta bianca. Il denaro non è un problema.
– Posso sapere che lavoro fa, signor Neri?
– Ho dei prosciuttifici.
– Non ha pensato a un rapimento?
– Oh, Dio, no… non sono così ricco… e poi non ho ricevuto nessuna richiesta di riscatto.
Lomax scrutò quell’uomo abbacinato dalla tensione. Invecchiato di anni, in pochi minuti.
– Mi serviranno le chiavi della sua casa di collina.
Mazzo di chiavi estratto dalla tasca e lasciato cadere sul ripiano della scrivania.
– Bene. Si accomodi dalla mia segretaria per i dettagli economici dell’operazione. Le faremo sapere al più presto.
Lomax guardò Neri alzarsi e trascinarsi fuori dallo studio. Udì la voce di Jette squillare nell’aria rarefatta. Piccolo tonfo ovattato della porta d’ingresso, dopo alcuni minuti. Jette entrò nello studio e si sedette. Lomax lasciò che il suo sguardo scivolasse sulle sue splendide gambe mentre le accavallava.
– Chi abbiamo libero in questo periodo?
– Luzzi.
– Bene. Mandalo a compiere un’indagine preliminare in quel paese di collina. Poi digli di indagare anche sul marito. Bisogna sapere se Neri ha dei nemici, delle amanti, dei debiti, qualsiasi cosa.
Jette terminò di scrivere sul suo blocco per appunti, poi si alzò e rimase ferma di fronte a lui. Penna appoggiata sulle labbra rosate, appena dischiuse, come se fosse un leccalecca rubato a un bambino.
– Ho altri impegni, oggi?
– Nient’altro, Bruno.
– Bene. Chiamami la dottoressa, allora. Le devo parlare subito di un fottuto sogno che ho fatto questa notte.
Jette lo vide trascinarsi nello studio e chiudersi la porta alle spalle.
Sera incuneata negli interstizi tra i palazzi antichi dove l’aria faceva fatica a liberarsi dalle scaglie di calore accumulate durante il giorno. Lomax si era asserragliato nella stanza adibita a studio musicale, tra le distese di sintetizzatori affastellati sui supporti metallici. Accese tutte le sue macchine sonore e impostò il computer sul programma di registrazione. Icone di apertura di Cubase scaricate in rapida successione sullo schermo illuminato.
Suono del citofono esterno. Volto di Pilleggi abbarbicato al piccolo schermo del videocitofono. Lomax lo attese sulla soglia di casa mentre i suoi passi lenti e pesanti risuonavano lungo la rampa delle scale. Pilleggi si fermò un attimo sul pianerottolo e spalancò i suoi occhi sempre velati da un fremito di imbarazzo. Mani strette intorno alla custodia del violino.
– Ehi, Pilleggi! Sei in forma?
– Speriamo, dottor Lomax.
– Non sarebbe ora di smetterla con questo dottor Lomax? Non puoi chiamarmi Bruno?
– Non ce la faccio.
– E poi non sono più un medico. È acqua passata, per me, ormai.
– Non importa.
– Va be’, fa come vuoi.
Pilleggi seguì Lomax nella stanza della musica. Appoggiò la custodia su una poltrona ed estrasse il violino.
– Ti posso offrire un goccio di vino?
– Grazie, ma quei vini costosi che beve lei io non li capisco.
– Ho della malvasia.
– Allora sì, grazie dottor Lomax.
Lomax si diresse in cucina sorridendo della timidezza di Pilleggi. Suoni di accordatura del violino rimbalzarono tra le pareti. Lomax tornò con una bottiglia di malvasia e un bicchiere. Versò il vino per Pilleggi e gli porse il calice.
– Lei non beve?
– Dopo, Pilleggi, dopo.
Lomax non osò dirgli che la malvasia gli faceva schifo. Pilleggi ingollò il vino giallastro e poi riprese ad accordare lo strumento. Lomax si sprofondò su una