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Sei una donna cattiva: Trilogia delle donne perdute 3
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Sei una donna cattiva: Trilogia delle donne perdute 3
E-book338 pagine4 ore

Sei una donna cattiva: Trilogia delle donne perdute 3

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Info su questo ebook

ROMANZO (200 pagine) - GIALLO - Questa volta è un caso personale per Bruno Lomax: una corsa contro il tempo per scoprire l'identità del misterioso maniaco che vuole uccidere la sua ragazza.

C'è una novità nella vita di Bruno Lomax, ex medico, musicista e investigatore. E la novità si chiama Luz, cantante dalla voce straordinaria, ma con un mistero del passato che è tornato a perseguitarla. Lomax deve proteggerla, ma sente di non poterci riuscire finché non sarà andato in fondo al suo segreto. E anche questa volta salterà fuori il prete tenebroso don Luiso.

Antonio Bocchi è nato nel 1958 a Parma, dove vive e lavora come medico ospedialiero. È appassionato di letteratura, di cinema (ha anche realizzato diversi film e partecipato ad alcuni festival) e di musica, come il suo protagonista Lomax. Nel 2011 ha pubblicato da Salani il romanzo "Blues in nero".
LinguaItaliano
Data di uscita26 apr 2016
ISBN9788865306062
Sei una donna cattiva: Trilogia delle donne perdute 3

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    Anteprima del libro

    Sei una donna cattiva - Antonio Bocchi

    Antonio Bocchi

    Sei una donna cattiva

    Romanzo

    Prima edizione aprile 2016

    ISBN 9788865306062

    © 2016 Antonio Bocchi

    Edizione ebook © 2016 Delos Digital srl

    Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano

    Versione: 1.0

    Font TexGyreHero Condensed, Gust Font Licence

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI

    Sono vietate la copia e la diffusione non autorizzate.

    Informazioni sulla politica di Delos Books contro la pirateria

    Indice

    Il libro

    L'autore

    Sei una donna cattiva

    Citazione

    Prologo

    Parte prima

    Capitolo primo

    Capitolo secondo

    Capitolo terzo

    Capitolo quarto

    Capitolo quinto

    Capitolo sesto

    Capitolo settimo

    Parte seconda

    Capitolo ottavo

    Capitolo nono

    Capitolo decimo

    Capitolo dodicesimo

    Capitolo tredicesimo

    Epilogo

    Delos Digital e il DRM

    In questa collana

    Tutti gli ebook Bus Stop

    Il libro

    Questa volta è un caso personale per Bruno Lomax: una corsa contro il tempo per scoprire l’identità del misterioso maniaco che vuole uccidere la sua ragazza.

    C'è una novità nella vita di Bruno Lomax, ex medico, musicista e investigatore. E la novità si chiama Luz, cantante dalla voce straordinaria, ma con un mistero del passato che è tornato a perseguitarla. Lomax deve proteggerla, ma sente di non poterci riuscire finché non sarà andato in fondo al suo segreto. E anche questa volta salterà fuori il prete tenebroso don Luiso.

    L'autore

    Antonio Bocchi è nato nel 1958 a Parma, dove vive e lavora come medico ospedialiero. È appassionato di letteratura, di cinema (ha anche realizzato diversi film e partecipato ad alcuni festival) e di musica, come il suo protagonista Lomax. Nel 2011 ha pubblicato da Salani il romanzo Blues in nero.

    Dello stesso autore

    Antonio Bocchi, Sangue di madre sulle labbra Trilogia delle donne perdute ISBN: 9788865306048 Antonio Bocchi, Le donne della casa sul fiume Trilogia delle donne perdute ISBN: 9788865306055

    – Linder, abbiamo preso il cattivo

    – Sì… e chi è?

    The Killing, Stagione 2, Episodio 13

    Prologo

    Sospiro della sera trattenuto a stento tra i palazzi antichi. Luce opaca dell’aria scalfita dai bagliori delle vetrine. Mormorio amorfo del traffico indolente. Persone in attesa degli autobus alla fermata accanto al teatro Regio. Concerto di musica elettronica annunciato da un tabellone conficcato di fianco all’ingresso. Il giorno si stava ritirando con discrezione oltre i contrafforti della Pilotta. Uomini di colore seduti sui gradoni accanto al minuscolo laghetto artificiale. Ultime risa, prima del sipario calato sul giorno sgretolato dalla fatica quotidiana.

    Laura Cresci ondeggiò sulle lunghe gambe in equilibrio precario sui tacchi alti. Capelli raccolti in una lunga coda fino a metà schiena. Sguardo proteso in avanti per divorare la distanza. Rumore frenetico dei suoi passi sull’impiantito levigato di via Garibaldi. Laura superò una madre ricurva sul passeggino mentre sistemava la cuffia del neonato. Salì i pochi gradini davanti all’ingresso del Regio. Atrio della biglietteria affollato da una dozzina di persone. Scrutò la lunghezza della fila e diede un’occhiata nervosa all’orologio. Non sopportava le code, anche se aveva tutto il tempo di attendere il suo turno. Un uomo vestito di scuro, subito davanti a lei, si girò. Sguardo fulmineo sulle gambe armoniose messe in evidenza dalla corta gonna nera e sui seni protesi sotto la maglia elasticizzata. Laura avvertì un piccolo brivido di piacere. Era avvezza agli sguardi maschili che si soffermavano sulla sua figura snella e sensuale. L’uomo le diede di nuovo le spalle e rimase immobile a fissare la gente davanti a sé.

    Persone ricurve davanti al vetro della biglietteria. Tasselli colorati dei posti liberi stagliati sulla mappa elettronica del teatro. L’uomo davanti a Laura fece un piccolo passo verso la ragazza seduta dietro il vetro divisorio. Ordinò un solo biglietto. Se lo ficcò in tasca come se fosse la ricevuta di un ristorante. Laura lo guardò sgusciare fuori dalla fila senza più posare gli occhi su di lei. Fremito di delusione dissolto in un attimo. L’addetta alla biglietteria fissò Laura mentre faceva scorrere il suo sguardo di seta verde sulla piantina elettronica del teatro. Carta di credito estratta dal portafoglio e lasciata scivolare attraverso il pertugio del vetro divisorio. Acquistò un solo biglietto. Nessuno aveva voluto accompagnarla a un concerto di musica elettronica. Alva Noto e Blixa Bargled. Risa di scherno dei suoi amici sui suoi gusti musicali alternativi.

    Laura Cresci si ritrovò fuori dal Regio. Non si accorse subito dell’uomo vestito di scuro appoggiato a una delle colonne della facciata. Stava fissando un punto imprecisato sugli edifici di fronte al teatro. Capelli folti e lisci, pettinati tutti da una parte. Indossava una maglia nera, a girocollo. Laura notò una cicatrice che gli attraversava il volto e si arrestava a pochi millimetri dal labbro superiore. Sembrava seguisse il corso dei suoi pensieri senza curarsi del mondo che lo circondava. Nemmeno di quella bella ragazza mora che lo stava guardando in bilico sui suoi tacchi da dieci centimetri. Laura attraversò l’ampio marciapiede di fronte al Regio e si infilò in borgo Angelo Mazza. Sensazione che gli occhi dell’uomo le stessero perforando la schiena. Fece ancora alcuni passi, poi si voltò. L’uomo vestito di scuro era sparito.

    Sera ancora balbuziente e timorosa. Negozianti in procinto di chiudersi la porta alle spalle e lasciare le vetrine illuminate a stimolare i desideri dei passanti. Laura attraversò via Cavour e si immerse nei borghi che portavano verso Piazza Duomo. Camminava con lentezza, come se misurasse ogni suo passo. Era ancora presto. Aveva tutto il tempo per prepararsi prima di tuffarsi nella movida di via Farini. Sentiva già il brivido degli sguardi appesantiti dal desiderio, il profumo dei vini che roteavano nei bicchieri capienti. Aveva voglia di bere parecchio, quella sera, di perdere il controllo. Chi fosse stato più sfrontato avrebbe potuto farle scivolare una mano in mezzo alle sue splendide cosce. Non lo avrebbe fermato, se ne fosse valsa la pena. Vibrazione impertinente dal cuore della sua borsetta. Riuscì ad estrarre rapidamente il telefono. Labbra carnose a pochi millimetri dal ricevitore. Si distesero in un sorriso. Ridacchiò. Si appoggiò a un muro, come se non avesse alcuna fretta di rientrare a casa. Laura continuò a parlare e a ridere, abbarbicata al minuscolo orpello elettronico. Poi ripose il telefono nella borsetta. Sorriso ancora stampato sulla sua bocca perfetta. Raggiunse Piazza Duomo. Note di un suonatore di fisarmonica a blandire gli ultimi strali di luce violacea. La piazza sembrò respirare a fondo, dopo essersi liberata delle ultime colonne di turisti. Laura vide l’uomo vestito di scuro seduto sui sedili di marmo del Battistero. Mani bianche e affusolate appoggiate sulle ginocchia robuste. Laura riprese ad avanzare con la vaga speranza che la chiamasse e la facesse voltare. Il suonatore di fisarmonica terminò la sua melodia e si chinò sul barattolo di plastica ai suoi piedi. Fece scivolare le monete nella tasca dei pantaloni e caracollò stancamente verso via Cavour. Laura si voltò verso il Battistero. L’uomo vestito di scuro non c’era più. Riprese ad avanzare con passo leggero, muovendo armoniosamente le anche. Si infilò in borgo del Correggio e raggiunse la sua abitazione, all’inizio di via Saffi. Chiavi estratte a fatica dal guazzabuglio compresso nella borsetta. Entrò nell’atrio d’ingresso e ne percepì il fiato infeltrito. Poche biciclette malandate appoggiate alle pareti. Salì le scale fino al secondo piano. La porta si aprì sull’oscurità tiepida del suo piccolo appartamento. Si divincolò nell’aria raggrumata dal buio. Accese una lampada a stelo. Porta richiusa alle sue spalle. Chiavi lasciate cadere sul mobile basso di fianco all’ingresso. C’era ancora la posta del giorno prima, abbandonata sul ripiano di legno antico. Prese le buste in blocco e si sedette sul piccolo divano di fronte al televisore. Alcune le aveva già aperte, aveva concesso uno sguardo furtivo alle pubblicità, ai resoconti bancari. E poi c’era quella lettera anonima, con una scritta telegrafica. – Sei una donna cattiva. – L’aveva guardata con un sorriso sornione, pensando a chi gliela avesse potuta mandare. Un uomo che aveva rifiutato. Laura sapeva che a volte giocava al gatto col topo, con gli uomini. Le piaceva scorgere strali di desiderio nei loro occhi eccitati che la scandagliavano sotto i suoi vestiti succinti. Si divertiva a dispensare briciole di disponibilità e a pensare al turgore dei loro genitali costretti nei calzoni aderenti. Rancore covato in silenzio da qualche rampollo intorpidito dall’illusione di portarsela a letto. Lasciò cadere il foglio accanto a sé. Testa reclinata all’indietro, appoggiata allo schienale del divano. L’appartamento l’avvolse col suo silenzio discreto, come se non la volesse disturbare. Laura si alzò e rovistò nella piccola pila di dischi accanto allo stereo. Lasciò scivolare un disco di Shackleton sulla bocca spalancata del lettore cd. Contrappunti elettronici ritmati. Laura chiuse gli occhi. Scarpe sfilate dai piedi e gettate lontano. Si raggomitolò su se stessa, come se volesse essere avvolta da quell’involucro sonoro. Musica lasciata fluire senza interruzione. Quando riaprì gli occhi il disco era terminato. Sentì il rumore di una porta che veniva aperta, al piano di sopra. Passi nervosi e risa non trattenute da gole incandescenti. Studenti universitari in agguato con pezzi metal. Aria masticata dalla musica dei Sepultura. Laura decise che era ora di rifugiarsi sotto la doccia.

    Lasciò scivolare i vestiti sul pavimento di legno, di fronte alla porta del bagno. Miscelatore ruotato sul massimo del calore. Nube di vapore appiccicata alle ante del box. Laura si lasciò inondare dalla pioggia bollente prima di cospargersi il fisico sinuoso con del sapone liquido. Pensò per un attimo alle mani diafane dell’uomo vestito di scuro e se le immaginò mentre esploravano il suo corpo prima di morderle i seni eretti. Bagliori di piacere le attraversarono la mente. Chiuse il rubinetto. Scroscio della doccia interrotto di colpo. Frastuono di bassi, in sottofondo, dall’appartamento di sopra. Aspettò che le gocce cadessero sul ripiano di marmo grigio. Ante spalancate sul tappeto di spugna. Vi appoggiò i piedi madidi e si avvolse in un candido accappatoio di spugna. Specchio sopra il lavabo oscurato dal vapore. Vi passò sopra una mano e tracciò una striscia che riflesse parte del volto. Lasciò ricadere i capelli bagnati sulle spalle. Si guardò la fila di denti perfetti al di sotto delle labbra rosate. Carezza della lingua sulle superfici smaltate. Uscì dal bagno e si lasciò cadere sul letto. L’accappatoio scivolò di lato. Laura sentì l’aria coatta della camera accarezzarle il pube. Si alzò. Si preparò una bevanda calda, colorata. La sorbì sul divano, senza nulla addosso. Squillo impertinente del telefono, guardò il numero prima di premere il pulsante di accettazione della chiamata. Voce languida lasciata scivolare dentro il microfono puntiforme. Parlò per mezz’ora con una sua amica. Quando chiuse la comunicazione era già ora di prepararsi.

    Trucchi lasciati cadere come una valanga multicolore sul ripiano del lavabo. Dita sottili a cercare gli ingredienti necessari per confezionare un dipinto facciale come solo lei sapeva fare. Uscì dal bagno indossando solamente ombre di colore sulle guance, sugli occhi, sulle labbra. Rumore delle grucce spostate nervosamente all’interno dell’armadio come se nessun vestito fosse adatto alla serata che si era prefigurata. Scelse un mini abito rosso. Lo indossò sulla pelle nuda come se fosse la muta di un sommozzatore. Si issò su tacchi da dodici centimetri, afferrò una piccola borsa e si diresse verso la porta. Il telefono di casa squillò ma Laura decise di ignorare la chiamata. La notte peccaminosa era cominciata, chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori. Si ritrovò nel buio impervio delle scale. Luce delle plafoniere con un retrogusto di tristezza. Odore terrificante di aglio, dal piano di sopra, mischiato alla musica degli Slipknot.

    Discese le scale senza fretta. Tacchi sull’orlo di spezzarsi, ad ogni passo. La strada la accolse con il barrito meccanico di una motocicletta di grossa cilindrata. Si avviò lungo la via, incrociando i fari giallastri delle auto in transito. Svoltò per Borgo delle Colonne, lasciandosi alle spalle gli sguardi arrapati degli avventori del bar d’angolo. Rumore secco dei suoi passi sotto le volte basse dei vecchi portici. Luci distanti e irreali di Piazzale Salvo D’Acquisto. Laura si diresse verso la mischia imminente con un sorriso sprezzante sul volto.

    L’ombra schizzò fuori da un anfratto di buio celato in un minuscolo vicolo laterale. Laura sentì un calore metallico esploderle nel basso ventre. Fiato sfuggito dalla gola come un piccolo singhiozzo ovattato. Rigurgito di liquido sul suo vestito leggero. Sentì una fitta improvvisa quando la lama si ritrasse dalle sue viscere lacerate. Poi ancora quel calore infernale e l’urto tremendo della mano che impugnava il coltello. Scarpe inondate dal sangue che colava a fiotti dal suo addome aperto. Cercò di urlare ma il coltello le penetrò nel collo, lacerò le cartilagini della trachea e si ritrasse senza alcuna esitazione. Laura sentì il suo sangue gorgogliare dai sifoni arteriosi non più in grado di trattenerlo. Alito malvagio a pochi centimetri dal suo orecchio. Sembrava volesse stamparle un bacio sul collo prima di lasciarla scivolare a terra, priva di vita. Le labbra si mossero appena, fiato dolciastro sulle palpebre già chiuse.

    – Sei una donna cattiva.

    Parole rimaste appese allo stupore della notte.

    Parte prima

    Capitolo primo

    Occhi spalancati di colpo, come quelli di un pupazzo meccanico. Silenzio irreale nell’appartamento, prima che i piccoli rumori quotidiani prendessero corpo nell’aria intrisa di fiati notturni. Testa sprofondata nel cuscino troppo molle. Ondata di pensieri nella voragine della mente ancora in balia delle fantasie notturne. Il capitano Freghieri restò immobile sotto le coperte. Ascoltò il sibilo del suo respiro attraverso le narici ostruite dal muco. Luce indecifrabile filtrata dalle tapparelle abbassate. Non rivelava nulla sul giorno appena iniziato. Occhiata alla sveglia appoggiata sul comodino. Allungò una mano e premette il pulsante di disattivazione prima che annunciasse la fine del riposo. Freghieri riusciva quasi sempre a svegliarsi prima che la sveglia entrasse in azione. Gettò via le coperte e si accorse che aveva tenuto i calzini ai piedi. Mutande spiegazzate sulle gambe sottili. Si mise seduto sul letto. Si passò una mano tra i folti capelli grigiastri. Palpebre strofinate fino a polverizzare gli ultimi brandelli di sonno. Restò a fissare il pavimento per diversi secondi. Poi si alzò. Piedi infilati in due ciabatte marroni. Si trascinò in bagno. Guardò la sua immagine riflessa sullo specchio sopra il lavabo. Si passò una mano sui moncherini di peli spuntati speranzosi dai follicoli. Freghieri agguantò il rasoio elettrico e li debellò in pochi minuti.

    Gorgoglio della caffettiera sulla carezza incandescente della fiammella azzurrina. Freghieri riempì la tazza di liquido nerastro. Aggiunse due cucchiai di zucchero. Bevve il caffè in piedi, nella luce artificiale della cucina. Pensieri inchiodati al mattino lavorativo che lo attendeva. Gli sarebbero saltati subito addosso, appena messo piede al comando, come al solito. Freghieri si lasciò cadere sul divano con ancora la tazza in mano. Guardò la divisa appoggiata sulla sedia del soggiorno. Non la riponeva mai nell’armadio, come se volesse farle prendere aria, in modo che le invisibili molecole di tensione si disperdessero durante la notte.

    Il suono del telefono lo fece sobbalzare. Numero del comando impresso sul piccolo schermo digitale.

    – Freghieri. – disse.

    Voce concitata, dall’altra parte. Il capitano fece alcuni cenni di assenso. Chiese se avevano mandato una macchina a prenderlo. Poi chiuse la comunicazione. Restò a fissare la divisa che doveva indossare in tutta fretta. Mano serrata intorno al telefono inerme. Lo scagliò con violenza contro il muro. Pezzi di plastica dispersi dovunque. Segno scuro impresso sull’intonaco chiaro. Freghieri ansimò in mutande, sprofondato nel divano del suo appartamento.

    Strade percorse con l’urlo della sirena conficcato nel cervello. Freghieri dovette quasi gridare per farsi sentire dagli agenti sballottati dalle sterzate improvvise, dalle accelerazioni imperiose. Macchine intimorite dalla furia delle gazzelle. Freghieri si tolse per un attimo il cappello d’ordinanza come se la testa stesse per prendergli fuoco. Superarono l’arco di San Lazzaro incuranti degli autobus incolonnati sulla via Emilia. Svoltarono in una traversa e rallentarono l’andatura. Un’altra gazzella era già ferma e alcuni carabinieri tenevano lontani i curiosi sbucati dalle case. Ambulanza con i portelloni spalancati. Paramedici immobili, come se la loro opera fosse ormai inutile. Medico del 118 accovacciato accanto a un corpo riverso per terra, vicino a un cassonetto. Si alzò, dimenticandosi di togliersi il fonendoscopio dalle orecchie. Tutti si girarono verso le gazzelle che si erano inchiodate all’asfalto. Freghieri fu il primo a scendere. Lo salutarono con brevi cenni delle mani in prossimità delle visiere. Agenti del RIS già intorno alla scena del crimine. Uno di loro sollevò il lenzuolo. Corpo di una ragazza riverso al suolo, ferite di arma bianca all’addome. Lago scuro rappreso sul cemento del marciapiede. Freghieri si avvicinò. Corti capelli biondi tagliati a caschetto. Labbra rosate dischiuse. Occhi azzurri spalancati nel vuoto. L’addome martoriato dalla lama era scoperto, il top di cotone nero era risalito oltre l’ombelico. Corta gonna bianca intrisa di sangue. Lunghe gambe scomposte, già irrigidite dalla morte. Freghieri rimuginò la sua rabbia.

    – Sapete già chi è?

    – Elisa Barocchi, anni ventisette, abita in questa via, al numero quindici.

    Gli mostrarono una carta d’identità estratta dalla borsetta della vittima.

    – Siete già saliti nel suo appartamento?

    – Aspettavamo lei, capitano.

    – Chi l’ha trovata?

    – Quella signora laggiù.

    Donna anziana, attorniata da due agenti e da altre persone in borghese. Teneva stretto un guinzaglio da cui si divincolava un piccolo cane di una razza impossibile da definire. I due carabinieri scattarono sull’attenti quando si avvicinò Freghieri. La donna anziana lo fissò con due occhi intorbiditi dallo sgomento.

    – Sono il capitano Freghieri, signora. Quando ha trovato il corpo della ragazza?

    – Questa mattina. Non erano neanche le sette. Io esco presto, a gettare l’immondizia e a portare in giro il cane.

    – Ci ha subito chiamati?

    – Subito.

    – Nessuno si è avvicinato al cadavere?

    – No, anche se mi sono allontanata di qualche passo. Mi faceva impressione vedere il corpo di quella povera ragazza.

    – La conosceva?

    – Mai vista, prima d’ora.

    – Lei dove abita?

    La donna indicò il condominio subito a ridosso dei cassonetti. Freghieri la lasciò nelle mani dei due agenti. Aveva visto il medico legale scendere da un’auto di servizio. Frettoloso cenno di saluto.

    – Cominciamo presto, questa mattina.

    – Non me ne parlare, per favore.

    Smorfia di disappunto del medico. Si inginocchiò accanto al cadavere. Freghieri si allontanò di alcuni passi e scrutò la gente intorno alla scena del crimine. Si avvicinò all’appuntato Baldacci.

    – Qualcuno ha avvertito la famiglia?

    – Non sappiamo ancora niente della famiglia.

    – D’accordo. Andiamo a vedere se troviamo qualcuno nel suo appartamento.

    Si diressero a passo di carica verso il numero civico quindici. Occhi incollati ai nomi stampati sui campanelli. Suonò a quello di Elisa Barocchi. Attesa di diversi secondi. Occhiata di disappunto scambiata con Baldacci. Rumore di un citofono che veniva sollevato dal suo supporto.

    – Chi è?

    – Capitano Freghieri del comando dei Carabinieri. Lei chi è?

    – Sono Vincenza Lodi. Cosa è successo?

    – Ci può aprire, per cortesia?

    Si infilarono come delle furie su per le scale. Rumore assordante dei passi. Vincenza Lodi li stava aspettando sul pianerottolo. Corta camicia da notte grigia. Capelli neri arruffati. Piedi sprofondati in due enormi ciabatte rosse. Sgranò gli immensi occhi azzurri sugli uomini in divisa. Freghieri le rivolse un rapido cenno di saluto.

    – Abita qui Elisa Barocchi?

    – Sì, certo… le è successo qualcosa?

    – Lei chi è? Un amica, una parente?

    – Un’amica. Sono qui di passaggio, sto da lei per alcuni giorni. Ma cosa è successo, me lo volete dire?

    – La sua amica Elisa è stata uccisa. L’abbiamo appena trovata, qui sotto. Mi dispiace.

    Singhiozzi immediati dagli occhi della ragazza. Si lasciò cadere sul divano, con le mani a coprirsi il volto. Carabinieri impietriti nel vano d’ingresso. Freghieri entrò e si andò a sedere accanto all’amica di Elisa.

    – Si calmi, ora, la prego.

    Cenni di assenso di Vincenza. Continuò a singhiozzare, cercando di tamponare il flusso di lacrime e muco dal naso. Freghieri si rovistò in tasca. Nessuna traccia di un fazzoletto. Fece cenno a Baldacci di cercare qualcosa in bagno. Tornò con un rotolo di carta igienica. Freghieri attese che la ragazza si soffiasse il naso. Singhiozzi in attenuazione. Vincenza guardò Freghieri.

    – Quando ha visto Elisa per l’ultima volta?

    – Ieri sera. Dovevamo uscire con degli amici ma io non mi sono sentita bene, ho vomitato fino a sera e sono restata chiusa in casa, a letto. Mi sono svegliata che erano le tre di notte per prepararmi un tè e mi sono accorta che Elisa non era ancora rientrata. Mi sono augurata che si stesse divertendo. Ho bevuto il tè, ho dato un’occhiata ai programmi televisivi notturni e me ne sono tornata a letto. Poi questa mattina mi ero appena svegliata quando avete

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