Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Vienimi a cercare
Vienimi a cercare
Vienimi a cercare
E-book261 pagine3 ore

Vienimi a cercare

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Un omicidio eclatante, un avvocato di grido trovato morto in circostanze misteriose. La città romantica per eccellenza fa da sfondo ad una intricata indagine del Commissario De Palma.
La stampa, la politica, le relazioni pericolose, in un turbine di loschi affari ed intrecci malavitosi. Un continuo gioco di maschere in un crescendo d’ombre in riva all’Adige.
“Vienimi a cercare”, apprezzato dalla critica, ha già riscosso consensi tra cui il premio della Giuria alla terza edizione del concorso letterario Città di Parole.
LinguaItaliano
Data di uscita12 mar 2015
ISBN9788868271183
Vienimi a cercare

Correlato a Vienimi a cercare

Ebook correlati

Thriller criminale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Vienimi a cercare

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Vienimi a cercare - Marco Zanoni

    Giulietta"

    Prologo

    Si muoveva veloce sotto una pioggia torrenziale, nascosto in uno spolverino nero lungo fin sotto le ginocchia. Portava Ray Ban scuri e un cappellino da baseball calato sulla fronte. L’umidità era insopportabile, si appiccicava alla pelle come colla. Nonostante il temporale, la temperatura restava stabile sopra i trenta gradi mantenendo il clima tropicale.

    Muoveva la testa ritmicamente, seguendo la musica sparata a tutto volume dalle cuffiette dell’iPod. Teneva lo sguardo basso, attento ad evitare le pozzanghere e gli sguardi dei pochi passanti che fino a quel momento aveva incrociato. Settembre era alle porte e molte persone si trovavano ancora nei luoghi di vacanza. Camminava su strade secondarie da qualche minuto e sentiva l’adrenalina montare ad ogni passo. Stormbringer dei Deep Purple pompava nelle vene e dava il ritmo giusto all’operazione che stava portando a termine.

    Passò vicino ai cantieri dell’Arsenale, attraversò il piccolo piazzale con i parcheggi mezzi vuoti e si addentrò nei giardini, riparandosi sotto uno degli alberi del parco. L’Adige scorreva grigio e tumultuoso sotto le arcate del Ponte di Castel Vecchio, la pioggia cadeva incessante.

    Si guardò intorno.

    Era solo.

    Si sfilò le cuffie e si scoprì sorridere sentendo il freddo metallo dell’arma infilata nei jeans, tra la schiena e la gamba destra.

    Le campane di San Zeno scandirono sette rintocchi: le sette della sera.

    Guardò al suo obiettivo.

    Ancora pochi minuti e poi tutto sarebbe stato sistemato.

    Avrebbe svolto il suo compito alla grande, come sempre.

    ***

    L’avvocato Rodolfo De Amicis controllò le lancette del suo orologio dagli inserti dorati.

    Gli uffici erano vuoti e anche l’ultima segretaria se n’era andata. Adorava quel momento: poteva starsene tranquillo nel suo ufficio all’ultimo piano di quell’elegante palazzo a ripensare agli affari portati a termine quel giorno, senza rotture, senza clienti e telefonate.

    Lo studio legale andava a gonfie vele ma c’erano anche altri interessi che in quel periodo lo vedevano impegnato in prima persona. Gli ultimi sondaggi lo davano come il candidato vincente alle prossime elezioni comunali. Se lo sentiva: sarebbe stato lui il futuro sindaco di quell’incantevole cittadina.

    La sua discesa in campo era stata una provocazione contro quei poteri forti che ben conosceva e di cui avrebbe voluto far parte ma che fin da subito lo avevano escluso senza appello. Non credeva particolarmente nella politica, voleva solo mettere i bastoni tra le ruote e, visto i risultati, ci stava riuscendo. Lo scopo della sua vita era lavorare duro per arricchirsi, fare la bella vita e godersi tutti i lussi che il mondo poteva offrirgli.

    «Che caldo infernale, non si respira!» mormorò, reimpostando sui ventidue gradi la temperatura dell’aria condizionata.

    Odiava sudare. Vestiva in maniera elegante e l’estate rappresentava una tortura, con punte di tre cambi di camicia in una sola giornata; odiava gli aloni di sudore che si formavano sotto le ascelle e sulla parte bassa della schiena.

    Verona, racchiusa tra i Monti Lessini, il Lago di Garda e la Pianura Padana, gode di una varietà di clima tra i più bizzarri della Penisola. D’estate è sempre tra le città più calde mentre in inverno una tra le più fredde.

    Si alzò dalla grande poltrona di pelle nera e si avvicinò alla madia di noce scuro alla sua sinistra, dove in bella mostra stavano diverse bottiglie di alcolici. Prese un bicchiere rotondeggiante e si versò quella che per lui era la giusta quantità di cognac, in pratica fino all’orlo, il suo goccetto distensivo.

    Si spostò dall’altro lato della stanza e aprì la busta arrivata quella mattina: un nuovo disco da aggiungere alla sua collezione di musica classica. Tolse l’involucro protettivo e dopo aver estratto il compact disc dalla custodia, lo inserì nello stereo Bang & Olufsen. Si riaccomodò dietro la grande scrivania di mogano scuro e rimase estasiato nell’ascoltare il glissare del primo clarinetto della Gewandhausorchester di Lipsia sulle note di Rapsody in Blue di George Gershwin.

    Era un fiero estimatore di Gershwin e un sicuro collezionista delle sue opere. Nella sua collezione personale poteva vantare una delle prime riproduzioni dal vivo di quell’opera con Gershwin al piano e Gorman al clarinetto.

    Rodolfo De Amicis era il socio fondatore di uno degli studi legali più importanti della città.

    Vide la sua immagine riflessa sulla vetrata rigata dalla pioggia e un ghigno compiaciuto, appena accennato, comparve veloce sulle sue labbra: era arrivato ai cinquanta in perfetta forma fisica, si sentiva attraente e pronto a scoparsi qualsiasi cosa gli fosse passata per le mani. Alto un metro e ottanta circa, senza un filo di grasso, capelli brizzolati tagliati corti con un ciuffetto accennato sul davanti, occhi penetranti, naso delle giuste proporzioni, bocca carnosa e Aston Martin in garage. Nessuno poteva resistergli.

    Manfredi, l’altro socio, lavorava nella stanza adiacente alla sua. I loro rapporti erano al minimo sindacale, accennavano al saluto la mattina e alla sera per poi riservare le vere conversazioni solamente a due giorni l’anno, in occasione dell’approvazione dei bilanci dello studio. Riunioni mai più lunghe di una mezzora, visto i brillanti risultati, in ascesa costante da almeno un decennio.

    La causa di questo imbarazzo era ben nota ai due avvocati: era successo qualcosa nel passato che aveva incrinato per sempre il loro rapporto. De Amicis con fatica era riuscito a seppellire quei brutti ricordi. Manfredi no.

    L’avvocato si tolse i mocassini di pelle scura e distese le gambe sotto la scrivania. Con gesti rapidi ed esperti, si sfilò la cravatta verde oliva, liberò il collo dagli ultimi due bottoni della camicia bianca e si tirò su le maniche.

    A tempo di musica fece roteare il cognac, osservandone i rivoli dorati scivolare lungo i bordi del bicchiere. Ne annusò l’odore e lo tenne a lungo in bocca prima di deglutirne una corposa sorsata. Si compiacque per aver scelto il meglio: un Gran Riserva importato direttamente dalla Francia settentrionale. Aprì un cassetto della scrivania e ne estrasse una piccola scatola di legno chiaro che riportava sul davanti la bandiera bianca, rossa e blu di quello stato caraibico famoso per le sue eccellenti produzioni. Aprendola sprigionava un intenso odore di tabacco di primissima qualità. Prese un sigaro e lo annusò rigirandolo tra le dita. Ripensò a quei fantastici momenti passati su quell’isola: il sole cocente, il mare trasparente, il contrasto delle luci e dei colori, i sapori e l’ospitalità della gente del posto. Con mano esperta lo accese e con fare divertito cominciò a gustarsi lo spettacolo che la città gli offriva da dietro la finestra.

    Il cielo plumbeo rovesciava secchiate d’acqua continue sui pochi impavidi passanti rimasti. Quelle figure in movimento, piegate, contorte, scure e imprecanti, con quegli ombrelli inutili portati quasi ironicamente sopra le loro teste, cercavano riparo dopo qualche temerario tentativo nei pochi bar ancora aperti, sotto qualche albero del parco o dentro qualche portico antico.

    Il vecchio fiume che era solito procedere stancamente al mare, rifletteva i colori del cielo scorrendo burrascoso e marrone sotto la miriade di ponti costruiti nel tempo da quegli uomini incivili.

    La pioggia batteva ritmicamente sui vetri mentre il vento spazzava ogni cosa tutto seguiva un impianto ben congegnato, a ritmo di musica.

    Da dove si trovava, la vista era incantevole. Quel vecchio palazzo fascista, restaurato poco tempo prima, era situato vicino al centro storico della città. Dalla finestra, abbassando lo sguardo, si poteva osservare il letto del fiume scorrere e svoltare a destra passando prima sotto il ponte di Castel Vecchio per proseguire poi verso Ponte Pietra e il Teatro Romano. Alzando lo sguardo si potevano contare gli innumerevoli campanili delle chiese cittadine stagliarsi contro il cielo come in segno di sfida. Sull’altra riva stavano i palazzi dai colori e dalle epoche diverse che davano un fascino particolare a quella cittadina, conosciuta in tutto il mondo come il teatro della tragedia shakespeariana più famosa di sempre.

    Rimase assorto nei suoi pensieri, alternando il Cognac al sigaro, muovendo energicamente testa e corpo durante il crescendo dell’opera diffusa dall’impianto stereo. Si sentiva come un direttore d’orchestra, sbuffava voluttuosamente il fumo creando grandi cerchi concentrici. Vuotò il bicchiere in un unico sorso sentendo in fondo agli intestini il tipico bruciore che il cognac rilasciava. Risistemò le scartoffie sparse sulla scrivania. L’indomani avrebbe tenuto una conferenza stampa per ribattere agli attacchi personali ricevuti dal sindaco in carica, suo rivale in quella campagna elettorale.

    «Sono alla frutta» commentò ironico controllando le nuove e-mail in entrata.

    Aprì quella del suo consulente finanziario che allegava la sua situazione degli investimenti borsistici. In quegli anni aveva messo da parte un bel gruzzoletto, molto vicino al milione, cifra che gli avrebbe consentito un buon ritiro in qualche isola dei Caraibi. Constatò felicemente che nonostante i mercati finanziari fossero in un periodo nerissimo anche in quel caso aveva fatto la scelta giusta, aveva trovato un professionista con le palle e già da qualche anno guadagnava cifre importanti mentre gli altri polli ci rimettevano vagonate di soldi.

    Spense sigaro e computer, controllò il cellulare, dove la spia rossa della batteria faceva capolino e si rimise le scarpe preparandosi a uscire. Sarebbe andato a mangiare nella solita osteria e poi se ne sarebbe andato a letto.

    Una serata tranquilla, almeno una ogni tanto.

    Il campanello suonò.

    «Strano» mormorò, «a quest’ora e con il temporale chi ci sarà mai in giro?

    Decise di non rispondere e di aspettare che lo scocciatore se ne andasse. Lo studio era chiuso a quell’ora, lo sapevano tutti.

    Il campanello suonò di nuovo.

    Dopo un attimo d’incertezza, controvoglia, decise di andare a vedere chi fosse. Il videocitofono si trovava sulla scrivania di Loretta, la sua segretaria. Dallo schermo vide una figura avvolta in un grande impermeabile, di quelli che si richiudono nel marsupio, informe. Dall’insistenza doveva essere assolutamente sicuro che qualcuno gli avrebbe aperto il portone.

    «Chi è? Lo studio è chiuso! Che cosa vuole a quest’ora?» domandò l’avvocato con il tono più cortese di cui era capace, mentre uno strano presentimento s’incuneava nella testa.

    «Lo sai cosa voglio» rispose dal voce dabbasso.

    Quella voce, quell’avvertimento che dal passato tornava crudele.

    Non sarò certo io il prossimo pensò De Amicis, mentre con mano sicura faceva scattare la serratura dell’ingresso.

    ***

    Ricontrollò i rendiconti finanziari dei suoi clienti. Seguiva un numero importante di depositi, frutto della sua bravura e di qualche aiutino dalla politica di amici conniventi.

    Faceva quel lavoro da molti anni e si riteneva molto furbo. Non resisti sul mercato per tanto tempo se non tieni le antenne alzate e se non sei veloce nel sistemare i problemi.

    Fino a quel momento le cose stavano filando lisce, nessuno si era accorto di nulla.

    Una sola cosa era importante: avere sempre più clienti danarosi.

    Solo così tutto poteva rimanere in piedi. Solo così poteva continuare a mantenere il suo stile di vita. Era sposato e aveva due figli ma quello per lui era solo una copertura. Una perfetta maschera che poteva sfoggiare con i suoi clienti e nell’ambiente finanziario in cui operava. Nessuno dà i suoi soldi in mano a chi non ha niente da perdere rifletté, rimescolando le carte sparpagliate sulla scrivania e aggiornando i grafici del suo portafoglio generale.

    In fondo però qualche preoccupazione cominciava ad avvertirla.

    Nonostante i risultati eccezionali che prometteva, qualcuno dei suoi clienti cominciava a manifestare la voglia di capitalizzare, di portare a casa i rendimenti conseguiti in quegli anni di false comunicazioni. I mercati finanziari dovevano dargli una mano, dovevano riprendersi velocemente, solo in quel modo avrebbe guadagnato tempo per dar corso ai rimborsi.

    Uno di questi clienti era l’avvocato Rodolfo De Amicis.

    Che avesse annusato qualcosa?

    Molto meglio il suo socio, Manfredi.

    Quello lo avrebbe raggirato tutta la vita.

    Era un emerito coglione.

    ***

    Tornò a casa sfruttando una breve pausa concessa dal temporale. Parcheggiò la moto nel garage e la coprì con un telo scuro. Poi si avviò su per le scale. Abitava con la compagna nel grande attico all’ultimo piano di quel bel palazzo antico, in pieno centro storico. Ansimante per i tre piani di scale fatti quasi correndo, aprì la porta e un intenso odore di minestrone lo accolse. Tutta la casa profumava di quell’aroma fantastico, di quella ricetta che Giovanna era solita preparare con grande maestria.

    La vide muovere mestoli, spostare pentole e piatti, cullata dal magico suono di Kind of Blue di Miles Davis. La guardò a lungo, senza disturbarla. Sorrise, ripensando a quanto quella donna gli avesse cambiato la vita. Da qualche anno infatti aveva ricominciato a respirare, con fatica stava uscendo da quel buco nero dove sua moglie, ormai ex, l’aveva incolpevolmente cacciato molto tempo prima.

    Un flashback velocissimo gli fece rivivere gli ultimi anni vissuti.

    Il pensiero e il cuore corsero a colpevolizzare quell’amore folle, giovane e spensierato che aveva travolto i due giovani. Erano poco più che ventenni, si conobbero in un College di San Diego, in California.

    Decisero che appena finiti gli studi sarebbero tornati in Italia per sposarsi e vivere d’amore tutta la vita.

    Per lui il trasferimento in Italia era stato una sorta di seconda andata e ritorno.

    Infatti, molto tempo prima, i suoi bisnonni emigranti, come molti loro coetanei dell’epoca, avevano cercato e trovato fortuna in America.

    In Italia lui ci era nato. Suo padre era militare di stanza in una delle tante basi NATO sparse nello stivale. Ebbe così diritto alla doppia cittadinanza, la sua nazionalità italiana era riportata su tutti i documenti ufficiali.

    Poi gli anni del College, ospite dei nonni in America e l’incontro con Sara: mora, procace, così tipicamente italiana, l’aveva attirato come una musa tra le sue braccia.

    Il ritorno in Italia, il loro folle amore. Il matrimonio, quasi subito e la spensieratezza della giovinezza. Gli anni di gavetta nella Polizia di Stato in una città a loro sconosciuta, le difficoltà superate grazie a un matrimonio che aveva entusiasmato tutti, soprattutto la sua povera mamma, contenta che un De Palma avesse fatto finalmente il tragitto inverso dei suoi avi, facendo carriera nel paese di origine.

    Poi la pazzia.

    Un demone che piano, inesorabilmente scava dentro la psiche di chi, prescelto da un destino beffardo, dovrà passare l’intera vita avvinghiato ad un letto di una casa di cura.

    Solo un altro modo di chiamare i moderni manicomi.

    Schizofrenia degenerativa aveva sentenziato il primario dopo i primi segnali d’allarme che l’ormai commissario De Palma aveva cominciato a segnalare. Potrebbero volerci mesi o forse anni ma una cosa è sicura: da un certo momento in poi potrebbe non ricordarsi più delle persone care.

    Un colpo allo stomaco, sere passate avvinghiato alla tazza del cesso vomitando rabbia e dolore.

    Il buco nero l’aveva afferrato.

    Avvenne quello che quel medico aveva previsto qualche anno prima. Era una domenica mattina, primavera inoltrata, i fiori sbocciavano nel giardino della casa di cura. Tutto profumava di rose e gerani mentre in cielo e sugli alberi svolazzavano piccoli passeri spensierati.

    Sara era in giardino, sulla sedia a rotelle, guardava lontano, troppo lontano, i suoi occhi assenti lasciavano ferite profonde nell’anima del commissario.

    Da quel giorno sua moglie non lo riconobbe più.

    Passarono cinque primavere.

    Un giorno Montresor, suo collega e amico, stanco di vederlo soffrire gli presentò Giovanna.

    Fu come con Sara: il cuore che perdeva colpi, la gola arsa, le parole che s’inceppavano rendendolo ridicolo. Il loro incontro ebbe lo stesso effetto su Giovanna e così, dopo intere serate passate a conteggiare le gaffe di uno e dell’altra, finirono a letto insieme.

    Fu in quel momento che De Palma ricominciò a respirare.

    Che bella che era Giovanna; l’aveva colpito al cuore con quei lunghi capelli biondi, il naso affusolato con le piccole lentiggini che si rincorrevano lungo le guance fin giù sul collo. Portava in grembo il loro bambino, incinta da cinque mesi si muoveva ancora con estrema rapidità e precisione nonostante la pancetta diventasse sempre più prominente.

    «Cara…» le mormorò avvicinandosi piano.

    «Eric!» rispose lei girandosi divertita «Non ti ho sentito arrivare…»

    Eric De Palma aveva quarantadue anni appena compiuti. Da circa sei era a capo della Sezione Omicidi della Polizia di Stato di Verona.

    Lo chiamavano tutti commissario, lui preferiva Eric, o Enrico visto che era un cittadino italiano a tutti gli effetti. Andava bene anche De Palma, come lo chiamava quel coglione del questore. Per lui quel commissario davanti ad ogni interlocuzione era qualcosa di troppo altisonante. Ci aveva provato, aveva cercato di far passare questo messaggio impegnandosi a lungo. Poi aveva gettato la spugna, in Italia era così, tutti ti chiamano come vogliono ed è inutile star lì a perderci tanto tempo.

    Verona si era rivelata fino a quel giorno una città tranquilla, con i suoi casi di omicidio che perlopiù riguardavano dispute famigliari o spacciatori di droga. Tutti

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1