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Un caso troppo complicato per l'ispettore Santoni
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E-book225 pagine3 ore

Un caso troppo complicato per l'ispettore Santoni

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L’ispettore più amato dagli italiani

Una nuova indagine per Lupo Bianco

È il 12 agosto e l’ispettore Marzio Santoni, detto Lupo Bianco, con il fido assistente Kristal Beretta si ritro­va a indagare sull’improvvisa morte di Ugo Franzelli, l’anziano medico condotto di Valdiluce. Cosa è ac­caduto in quella baita isolata tra le montagne? Nella sua vita intrecciata con strani personaggi, sostanze proi­bite, denaro e donne, Franzelli aveva curato i mali degli abitanti del paese ma ne aveva anche custodito i segreti: tra le sue carte c’è un dipinto incom­piuto dove in mezzo a una ghirlanda colorata spunta il volto di un giova­ne: potrebbe essere lui l’assassino? Il profumo di una pietanza che aleggia nella baita ossessiona l’ispettore, ma per la prima volta anche il suo infalli­bile olfatto sembra non riuscire più a individuare gli ingredienti. E a com­plicare il quadro è giunto a Valdiluce un gruppo di tosatori di pecore ma­ori, portando con sé un altro oscuro enigma: il loro capo Mikaere è riusci­to a insidiare il cuore di Ingrid Sting, la fidanzata di Santoni? L’indagine si disperde subito in decine di piste, perché tutti i testimoni hanno qual­cosa da nascondere. Tra rivelazioni incrociate e scambi di accuse, San­toni si trova a fronteggiare un caso terribilmente intricato, in cui ogni ricostruzione è un pasticcio, ogni in­grediente è un indizio.

Un autore bestseller in cima alle classifiche
Torna l’ispettore più amato dagli italiani

Hanno scritto dei suoi romanzi:

«Matteucci non delude. Ancora una volta riesce a sorprendere con una storia originale e appassionante.»

«Oserei definire magico il suo modo di riuscire a trasferire nella mente tutte le immagini dei luoghi che illustra nei suoi romanzi.»

«Un libro dai ritmi intensi e avvincenti del giallo intercalati a scorci di vita quotidiana, con spunti e rimandi continui alle questioni spinose della modernità e dei rapporti umani.»
Franco Matteucci
Autore e regista televisivo, vive e la­vora a Roma. Ha scritto, tra gli altri, i romanzi Il visionario (finalista al pre­mio Strega, premio Cesare Pavese e premio Scanno), Festa al blu di Prus­sia (premio Procida Isola di Arturo – Elsa Morante), Il profumo della neve (finalista al premio Strega). È autore della serie di gialli di grande successo che hanno per protagonista l’ispetto­re Marzio Santoni: Il suicidio perfetto, La mossa del cartomante, Tre cadaveri sotto la neve, Lo strano caso dell’orso ucciso nel bosco, Delitto con inganno, Giallo di mezzanotte, Il mistero del cadavere sul treno e Un caso troppo complicato per l’ispettore Santoni. I suoi libri sono stati tradotti in diversi Paesi, tra cui Stati Uniti, Inghilterra, Russia, Ca­nada e Australia e si sta lavorando al progetto di una serie TV.
LinguaItaliano
Data di uscita30 nov 2020
ISBN9788822753427
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    Anteprima del libro

    Un caso troppo complicato per l'ispettore Santoni - Franco Matteucci

    Capitolo primo

    La porta del casotto dei cronometristi era incastrata dalla ruggine. Ivan Perri si rincuorò, dopo di lui nessuno l’aveva aperta. Era il nascondiglio più sicuro, anche se quel giorno, domenica 12 agosto, doveva stare in guardia. Alzò gli occhi sull’ovovia, che transitava zeppa di turisti proprio sopra la sua testa. Un’invasione barbarica. Ivan avrebbe voluto afferrare un bazooka per colpire e abbattere gli ovetti colorati che dondolavano spensierati nel cielo azzurro. Soprattutto per incenerire la coppietta che passava in quel momento, con un cane, due figli e quattro cestini per la raccolta di funghi e mirtilli. Sporchi predatori: avrebbero massacrato il bosco e tutto ciò che non apparteneva loro. Creature sudaticce che venivano a Valdiluce solo per freddarsi il culo.

    Ivan non aveva più tempo a disposizione. Doveva infilarsi al più presto nel suo nido, scaricare l’energia che gli si era accumulata dentro e disinnescare quella bomba a mano che avrebbe potuto fargli commettere altre nefandezze. Dopo numerosi tentativi riuscì finalmente a sbloccare la porta. Prima di entrare lanciò un altro sguardo verso l’ovovia. Il suo era un eccesso di prudenza: chi si sarebbe mai soffermato su quell’anonima costruzione in legno, con il tetto di lamiera? Sembrava un banale deposito degli attrezzi. E pensare che durante l’inverno diventava il palcoscenico più importante di Valdiluce. Si animava di colori e di bandiere. Sotto lo striscione dell’arrivo si radunava una folla festante per seguire le gare di discesa libera. Un altoparlante enorme, collocato sul tetto, amplificava la voce dell’annunciatore che commentava i risultati. Ivan ebbe un punto di vuoto, precipitò nella memoria. Per lui la nostalgia era la peggiore nemica: le parole di Gaetano Coppi, lo speaker, risuonarono nella sua mente: «Un minuto, 47 secondi, 8 decimi: Ivan Perri ha realizzato il miglior tempo ed è il nuovo campione italiano allievi di discesa libera!».

    Sullo schermo gigante, accanto alle fotocellule dei cronometristi, brillava la sua immagine di giovanissimo discesista…

    Ivan sbatté la porta del casotto con violenza per scacciare da sé l’ombra dei ricordi.

    All’interno trovò un topo morto, puzza di marcio, un intreccio di ragnatele. Sistemò sul pavimento il grosso zaino. Poi camminò su e giù come fa un cane, per lasciare il suo odore ovunque. Squarciò le ragnatele sventagliando un braccio come una spada. Aprì uno spiraglio d’aria dalla finestra che buttava su una distesa di piante di lamponi maturi, calciò fuori il topo morto. Il sole filtrava da una fessura del tetto in un fascio di luce intenso, quasi fosse un faretto elettrico. Sotto ci posizionò l’unica vecchia e sgangherata sedia. Quella sarebbe stata la sua tana. Ogni gesto l’aveva immaginato mille volte nelle notti lucide e prive di sogni. Dal pavimento sollevò una stecca e tirò fuori una piccola bottiglia di acquavite che aveva nascosto da molto tempo. Senza etichetta: era un distillato fatto in casa, illegalmente. Ne bevve subito due sorsi. Uno schianto di energia lo invase. Quella pozione magica gli era costata molti soldi e compromessi, un lusso, ma oggi era la sua festa di compleanno: diciassette anni! Schiacciò sotto il carrarmato dei suoi scarponcini un ragno che gironzolava sperduto sul tavolato polveroso. Raggiunse un piccolo mobile attaccato alla parete, dove d’inverno venivano custodite le classifiche delle gare di sci. Con cura tolse dall’interno un involucro avvolto in un sacchetto di plastica. Lo aprì, spolverò con delicatezza quello che in realtà era un album fotografico. Il suo mondo stava raccolto tutto lì. Ivan non aveva mai amato guardare i video sullo smartphone,gli piaceva sentire tra le mani la carta. Non volle affrettarsi. Si gustò il piacere di essere solo con quel tesoro privato. Da almeno cinque anni l’album era il protagonista del suo compleanno solitario. Per sicurezza ogni anniversario lo aveva festeggiato sempre in nascondigli diversi: a tredici anni aveva scelto la grotta del monte Reniccione, trascorrendo la festa in compagnia dei pipistrelli; l’anno dopo si era rifugiato sul monte Renaio, nella cabina motore della seggiovia ferma da tempo immemorabile; a quindici anni aveva scelto la tavola calda Lo Yeti, locale semidistrutto da una valanga, e si era sistemato nella zona self-service, sedendosi sull’unica panca rimasta. L’anno scorso aveva preferito il capanno dei cacciatori vicino al Fosso dei Sambuchi tra cartucce sparate, penne di merli e carboni di un fuoco spento da mesi. Ma il casotto dei cronometristi era il rifugio che più gli piaceva. E lo avrebbe scelto anche per il prossimo anniversario.

    Prima di sedersi, Ivan pulì a fondo la sedia con il fazzoletto rosso che portava sempre al collo, sia d’estate che d’inverno. Prese la bottiglietta e ne bevve altri due sorsi. Sentì aprirsi qualcosa dentro di sé. Finalmente era al sicuro e senza che nessuno lo potesse vedere. I tanti lacci stretti nella sua mente si stavano slegando.

    Il giovane, con una lentezza esasperante, quasi che quel gesto avesse un significato rituale, aprì l’album, e si abbandonò alla prima foto. Quella di sua madre Miranda e lui piccolissimo che attraversavano la piazza di Valdiluce. La camicia bianca e i pantaloncini nuovi con le bretelle li aveva indossati solo per quella foto. Dietro l’obiettivo della camera si nascondeva il volto scarno del suo patrigno, Attilio Paciotti, morto giovane per cirrosi epatica. Da lui aveva imparato soltanto a ubriacarsi. Ci bevve sopra, ancora e poi ancora, e le immagini del suo piccolo passato iniziarono a muoversi, a intrecciarsi, a combinare uno strano effetto emotivo, e ciò che aveva cercato in quel rito solitario, accadde. Improvvisamente dal cuore partì un soffuso lamento, si ingigantì attraversando il petto, e smisurato deflagrò. Ivan Perri a diciassette anni si consentì quello che a diciassette anni non era più permesso. Pianse, sfogando tutte le forze nere che lo incastravano in una morsa. In ciascuna lacrima brillava una foto della sua vita. Si diluirono gli affanni e l’acquavite gli procurò uno stato di benessere. Allungò le gambe sulla sedia e finalmente si estasiò sull’immagine che lo perturbava più delle altre: lui, mascherato da Zorro, mentre abbracciava Miranda, vestita scollacciata con un miniabito di carnevale. Il petto rigoglioso della madre da sempre lo straniva e… Improvvisamente Ivan cadde dal sogno. Qualcuno stava entrando! La porta scricchiolò sulle tavole del pavimento: fu come se un pugnale lo centrasse sulla schiena. Il giovane scattò in piedi, pronto a difendersi, l’album fotografico scivolò a terra e centrò la bottiglia. Il liquore si rovesciò sulle foto. Senza riflettere Ivan si buttò in ginocchio per salvare il suo tesoro e per asciugare le immagini con il fazzoletto rosso. Trascurò l’uomo che lo raggiunse in un attimo, Ivan riconobbe il suo fiato dietro la schiena. La voce gli cadde addosso come un pugno.

    «Coglione, non ti vergogni di piangere ancora alla tua età?».

    Capitolo secondo

    «Il dottor Franzelli è in condizioni gravissime, ha chiesto di parlare con lei. Dice che è una questione di vita o di morte. Venga subito».

    L’ispettore Marzio Santoni detto Lupo Bianco, responsabile del posto di Polizia di Valdiluce, non perse tempo, mise il telefonino nello zaino, piazzò la sua Vespa bianca sul ciglio della strada e s’infilò come una furia nel bosco di faggi del Turchino. Lo aspettavano otto chilometri in salita. Corse con tutta la forza che aveva nelle gambe. Odiava competere con il tempo, ma in quel caso doveva battersi con una manciata di minuti o forse secondi. Tutto ciò che faceva riferimento a Franzelli, l’anziano medico condotto di Valdiluce, doveva essere considerato con la massima attenzione. Per circa quarant’anni era stato il Dottore, come veniva chiamato in paese, e non solo conosceva le malattie degli abitanti ma anche le loro vicende private. Non era il tipo che avrebbe scomodato l’ispettore per un pettegolezzo o per una fake news. Inoltre, l’esperienza acquisita come medico legale e consulente in tutte le indagini di Santoni lo aveva reso un affidabile interlocutore della Polizia. E le parole «è una questione di vita o di morte» non erano da prendere alla leggera, visto che, per l’appunto, Franzelli versava in condizioni gravissime.

    A tempo di record Lupo raggiunse la Valle delle Motte e dal bosco vide sbucare la baita che il medico condotto usava come residenza estiva. Ancora pochi metri e avrebbe saputo la verità. Gli ultimi passi Santoni li fece più lentamente, avvolto da uno strano silenzio. Gli abeti apparivano pietrificati, nessun uccello cantava, il frinire dei grilli era scomparso tra le piantine di ginepro. Solo un vento di scirocco tentava di smuovere l’inquietante fissità. La porta della baita era aperta. Lupo Bianco entrò. Lo stesso silenzio che aveva incontrato nel bosco regnava dentro lo chalet e non annunciava niente di buono. L’ispettore si ritrovò avvolto da un intenso odore. Lo riconobbe subito: acqua ragia. Proveniva da un barattolo pieno di pennelli. Era il profumo che spesso il Dottore si portava addosso. Santoni raccolse da terra il blocchetto di un ricettario medico che conteneva bozzetti disegnati con la biro. Lo appoggiò su un tavolo, vicino ad alcuni tubetti di colore schierati in fila come soldatini di piombo. Piuttosto che la casa di un medico sembrava quella di un pittore. Le pareti erano tappezzate di quadri, tutti rappresentavano lo stesso panorama: il monte Sassone coperto di neve, colto in varie ore della giornata. Il dottor Ugo Franzelli, pittore per diletto, aveva messo al centro delle sue opere la raffigurazione della neve: «Che non è solo bianca, ma cangiante come il cielo», diceva sempre.

    Lupo andò avanti e fu colpito da una scia di profumo sospesa nell’aria. Appena percettibile. Era una pietanza che doveva aver attraversato la stanza per pochi istanti, di passaggio, e come una cometa aveva lasciato dietro di sé una coda gassosa. Ne agguantò l’essenza, ma anche per il suo olfatto straordinario non fu facile separare i numerosi ingredienti. Riuscì a identificare soltanto un insieme di ortaggi freschi e secchi, annegati in venature che disorientavano, forse latte, farina di frumento, ragù. Il tutto doveva essere stato cotto in un forno o sul fuoco di legna: emanava un aroma compatto, ma inestricabile. Normalmente un odore gli evocava un ricordo. In quel caso gli sembrò legato a una vacanza, da bambino, forse al mare. Ma il film stentava a proporsi. L’unico indizio certo era la presenza di alluminio. Sicuramente proveniva dalla lega metallica di un tegame o di una teglia.

    Appena Lupo superò il soggiorno, la traccia fu assorbita da un’esalazione molesta, di una sostanza chimica mischiata all’alcol. Giungeva da una siringa abbandonata nel lavandino del bagno, accanto a un pezzo di cotone sporco di sangue. Più l’ispettore si avvicinava alla camera da letto e più un’altra presenza di fondo si faceva dominante. Nel suo lavoro di poliziotto l’aveva incontrato spesso, era qualcosa di imperscrutabile, quasi provenisse da un altro mondo: l’odore della morte.

    «Il Dottore è spirato pochi minuti fa…».

    Michele Fabiano, che da alcune settimane aveva sostituito Ugo Franzelli come medico di base a Valdiluce, accolse Santoni con un’aria sconsolata. Un destino beffardo aveva voluto che il primo decesso da quando aveva preso servizio in paese fosse proprio quello del vecchio collega. Il medico era esausto e accaldato. L’agonia di Franzelli doveva essere stata impegnativa. Aprì alcune finestre dello chalet per arieggiare l’ambiente. Forse anche lui avvertiva l’odore della morte. Disse all’ispettore: «Franzelli ha chiesto di lei fino all’ultimo… Voleva confidarle qualcosa di molto importante». Poi aggiunse, con aria di rimprovero: «Ma perché, ispettore, nonostante io l’avessi implorata di raggiungerci, lei ha indugiato così tanto…?».

    Santoni lo interruppe: «Quando ho ricevuto la sua telefonata mi trovavo a Pian delle Felci. La strada statale era interrotta per un incidente. Ho dovuto lasciare la Vespa e attraversare di corsa il bosco. Di più non potevo fare…».

    Lupo Bianco, come era nel suo stile, arrivò subito alla questione più urgente. «Franzelli le ha rivelato che cosa volesse dirmi di così importante? Ha lasciato qualcosa di scritto?»

    «No! Ha insistito che era una faccenda privata tra voi due. Nel frattempo la situazione è precipitata, si stava spengendo. Visto che lei non arrivava, gli ho proposto di riferire questa notizia riservata a una persona al di sopra delle parti, ho pensato a don Sergio, il parroco di Valdiluce che da alcuni giorni è accampato qui vicino con un gruppo di scout. Ma ha rifiutato: Quel prete userebbe l’informazione per sé e non la comunicherebbe mai a Lupo Bianco, ha detto».

    Santoni sorrise. «Il Dottore aveva un gran bel caratteraccio!».

    «Me ne sono accorto! Ha continuato a infuriarsi perché lei non arrivava. Prima di esalare l’ultimo respiro ha avuto un attimo di lucidità. A quel punto gli ho proposto di confidarsi con me, giurando che avrei riferito solo a lei il segreto, ma le sue ultime parole, accennate con un filo di voce, sono state: Mai! Se lo dico a tutti, che cazzo di segreto è?».

    Santoni restò sorpreso: recentemente si era incontrato spesso con Franzelli, perché non gliene aveva accennato prima? Forse era una notizia emersa all’improvviso, durante quelle ore di agonia.

    Il cellulare del medico squillò.

    «Mi scusi, ispettore, rispondo perché è un caso urgente, ma dopo le devo dire una cosa molto importante».

    Fabiano si appartò in giardino, dove intraprese una fitta conversazione, per lo più sussurrata.

    Nell’attesa, Santoni si accostò alla salma. Ugo indossava una vecchia maglietta Lacoste verde, corta, che lasciava scoperto l’ombelico. Il tessuto era imbrattato da numerose chiazze di pittura, difficile dire se qua e là ci fossero anche macchie di olio o di cibo. Aveva un paio di jeans consumati, i piedi erano nudi, da sotto il letto sbucavano due infradito. Di sicuro Franzelli – come faceva da quando era in pensione – aveva approfittato della giornata estiva per dipingere in giardino. In realtà non pareva che avesse sofferto. Anzi, aveva la solita espressione beffarda. Sembrava assopito. Con un gesto d’abitudine, da poliziotto, Lupo appoggiò il dito medio e l’anulare sul polso, per verificare i battiti del cuore. Il dottor Fabiano rientrò all’improvviso e reagì indispettito.

    «Ispettore, lavorando al pronto soccorso ho certificato numerosi decessi e le posso garantire che fino a oggi nessuno è mai resuscitato!».

    Santoni ritirò la mano dal polso del cadavere. Si scusò.

    Fabiano accennò un sorriso di circostanza. Si sentiva a disagio. Aveva aspettato troppo nel comunicare all’ispettore la notizia più importante, quella che era da prima pagina.

    «Quando Franzelli mi ha chiamato al telefono e mi ha riferito tutti i sintomi della malattia, ho capito che si trovava in condizioni disperate. Ma è stato lui ad anticiparmi la diagnosi. Mi ha detto: Collega, mi hanno avvelenato e sto morendo!».

    L’ispettore Santoni s’irrigidì, era una novità sconcertante. Esplose: «E solo adesso me lo dice? Quindi Franzelli non è deceduto per morte naturale?».

    Il dottor Fabiano rispose a tono: «No!».

    Lupo s’infuriò. «Perché non mi ha informato subito? Come le è venuto in mente di trascurare un elemento così importante? Le ricordo che ha di fronte un funzionario di Polizia».

    Il medico tentò di rimediare: «Sono stati momenti concitati… Sapevo che Franzelli era un suo amico e non volevo infierire subito con un’altra brutta notizia… In più sono stato chiamato al telefono…».

    Santoni trovò bizzarro il comportamento del dottor Fabiano, ma a quel punto non c’era tempo da perdere. Riprese in pieno il suo ruolo di ispettore. Sollecitò il medico a produrre un attestato formale. Solo così avrebbe potuto avviare un’indagine.

    «Come medico curante mi conferma che Ugo Franzelli è deceduto per avvelenamento?»

    «Senza alcun dubbio».

    «E lo avvalorerà per iscritto nel certificato di morte?»

    «Ovvio».

    Lupo restò sorpreso. Fabiano era fermamente convinto della sua diagnosi. In quel caso, in attesa dell’autopsia, Santoni doveva attenersi al suo responso.

    Lo incalzò: «Franzelli le ha comunicato in che modo è stato avvelenato?»

    «No, quando sono arrivato nella baita era già in preda al delirio. Nei pochi momenti di lucidità mi ha chiesto ossessivamente di vedere lei. Nient’altro».

    «E da quanto tempo era entrato in quello stato di semincoscienza?»

    «Almeno da un’ora».

    «Nel frattempo lei si è fatto un’idea di quale veleno possa avere causato la sua morte?»

    «Considerando la particolarità dei sintomi, l’ambiente e la stagione in cui ci troviamo, Franzelli potrebbe aver ingerito dei funghi velenosi, forse dell’Amanita muscaria».

    Santoni era perplesso. «Se la sua diagnosi dovesse risultare corretta e si rintracciasse nel corpo la presenza di muscarina, dobbiamo da subito escludere che Franzelli possa aver consumato dei funghi velenosi per sbaglio. Era un esperto, addirittura in qualità di micologo era

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