…E misero le manette ai fiori
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Anteprima del libro
…E misero le manette ai fiori - Fernando Arrabal
3
FERNANDO ARRABAL
... E misero le manette ai fiori
Opera teatrale in un atto
IL CLUB DI MILANO-SPIRALI
Milano 2013
... E misero le manette ai fiori
Opera teatrale tratta da
Fernando Arrabal, Opere I (© Spirali 1992)
Foto: Fernando Arrabal ritratto a Milano, 2007 (© TSR)
Formato e-book
ISBN 978-88-97618-14-0
Copyright by
©
Il Club di Milano
2013
www.ilclubdimilano.org - e-mail: ilclubmilano@gmail.com
Questo spettacolo è stato realizzato con il concorso di libri, di racconti e di documenti autentici. S’ispira anche a confidenze raccolte nel carcere di Carabanchel.
Nei paesi in cui imperversa la dittatura, io autorizzo la rappresentazione di questa pièce da parte di troupe clandestine, senza le formalità d’uso.
Arrabal
... E misero le manette ai fiori
La pièce incomincia prima dell’inizio dell’azione, prima che lo spettatore prenda posto.
La hall del teatro comunicherà con la camera oscura
, che sarà a sua volta collegata per mezzo di una porta con il teatro propriamente detto, dove si svolgerà la pièce.
Si veda lo schizzo:
All’inizio dello spettacolo il teatro è immerso nella più completa oscurità; la camera si troverà nella penombra: riceve un po’ di luce soltanto attraverso la porta della hall. Questa sarà illuminata normalmente.
L’aria sarà carica di profumi orientali: incenso e mirra.
Gli spettatori passano a uno a uno dalla hall alla camera oscura. Bisognerà, dunque, separare le coppie o i gruppi.
Il maestro di cerimonia (il direttore di scena) li afferrerà per i polsi e dirà loro una frase all’orecchio.
Per esempio:
— Questa notte, un uomo verrà assassinato.
— Tu entri da solo nel penitenziario.
— Tu sei polvere e alla polvere ritornerai.
— Scivola nella notte della tua nascita.
— Tosan entra oggi nel penitenziario.
— Rivedi come in sogno l’esperienza della tua nascita.
Si sentono provenire dal teatro strani suoni vocalici, un flauto malinconico, musica pigmea, una donna che piange. Con una dolcezza infinita, il maestro di cerimonia consegna il nuovo arrivato, nella camera oscura, a un attore che sta sulla porta comunicante con il teatro.
Una volta penetrato nel teatro, lo spettatore si sente come cieco, nell’oscurità totale. L’attore guida lo spettatore fino al posto che ritiene di attribuirgli. (Non bisogna mai dimenticare che le coppie devono essere separate e i gruppi sparpagliati nello spazio teatrale.) Ciascun attore può condurre il proprio spettatore, sia tenendolo per mano sia spingendolo con una mano appoggiata sul sedere e con l’altra sul collo oppure portandolo in groppa come un asino.
Le attrici condurranno gli spettatori maschi con dolcezza e esprimeranno sussurrando la loro gioia, il loro timore d’incominciare la pièce.
Gli attori guideranno le spettatrici tenendole con la massima energia. Sussurreranno loro frasi quasi incomprensibili.
Gli spettatori sentiranno di essere stati immersi nell’oscurità.
Se, durante il tragitto, lo spettatore impaurito si aggrappa forte all’attore, questi dovrà accarezzarlo, rassicurarlo.
Gli spettatori — a uno a uno — si sono accomodati: seduti per terra, nei differenti piani che suddividono lo spazio teatrale (niente poltrone, niente sedie, niente cuscini). Da questo momento, è stabilito un principio fondamentale dello spettacolo: non c’è contrapposizione attore-spettatore.
Gli attori inventano un gioco, invitano lo spettatore a unirsi a loro.
Non si possono né prevedere né immaginare le reazioni del pubblico. Gli attori devono intuire, ogni sera, in quale disposizione d’animo esso si trovi per scegliere a grandi linee la condotta più adeguata. Cercheranno di adattarsi individualmente a ciascuno spettatore avuto in carico. Il locale, il teatro, è composto da una serie di assi o d’impalcature collocate a vari livelli. Ci saranno sette o otto piccole piattaforme sceniche disseminate tra il pubblico. Al centro (sotto), si svolgeranno le scene del carcere in uno spazio irregolare. Gli spettatori saranno seduti per terra... sulle assi, sulle impalcature. A causa del dislivello, vedranno bene la pièce. Gl’incantesimi si protraggono.
Flauto.
Quando tutto il pubblico (mai più di cento o di centoventi persone) è accomodato, si sente una voce.
VOCE Aprite il cancello, entra nel penitenziario il prigioniero Tosan.
Nell’oscurità, si sente un rumore di catene frammisto al pianto di una donna.
A poco a poco viene la luce.
Ci sono sette attori:
tre donne
FALIDIA
IMIS
LELIA
e quattro uomini
TOSAN
PRONOS
AMIEL
KATAR
Inoltre, il musicista è issato su una sedia a un metro e mezzo dal suolo: accompagnerà la pièce.
Il maestro di cerimonia, che riceveva gli spettatori nella camera oscura, adesso si occupa dell’illuminazione.
Tutti, attori e attrici, sono vestiti nella stessa maniera: indossano blue-jeans attillati e una T-shirt entrambi neri. Sulla T-shirt possono essere disegnate alcune linee. Tutti hanno uno zucchetto grigio.
Quando dovranno recitare la parte di un personaggio oppressore, gli attori si metteranno un cappuccio; quando si tratta di un uomo né prigioniero né oppressore, metteranno un cappello, per esempio un cappello a cilindro.
Quando devono interpretare un ruolo differente dal loro, ma dello stesso genere, indosseranno una maschera di plastica trasparente e deformante. Gli attori, quando non recitano
, stanno tra il pubblico, le attrici potranno anche appoggiare la testa a un ginocchio di uno spettatore.
Infine, viene la luce. Al centro, Amiel, Katar e Pronos.
AMIEL Dove siamo? Stiamo scalando una cordigliera?
KATAR No. Siamo fra quattro mura.
AMIEL Non credi, invece, che ci troviamo nell’utero di una donna, in cammino verso l’infinito, per mezzo della membrana interna?