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L'ippopotamo sulla nuvola
L'ippopotamo sulla nuvola
L'ippopotamo sulla nuvola
E-book360 pagine4 ore

L'ippopotamo sulla nuvola

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Info su questo ebook

Cosa pensereste se, un giorno qualsiasi, sollevando lo sguardo al cielo, scorgeste un ippopotamo adagiato su una nuvola? Come reagireste se, guardandovi allo specchio, non vedreste riflesso soltanto il vostro volto? Cosa fareste se rimarreste soli su un’immensa stazione spaziale o, addirittura, su un intero pianeta? Se, viaggiando di notte, percepiste di essere spiati, come vi comportereste? E se, invece, vi fosse concesso di diventare un cavaliere, nel mondo di oggi, accettereste la proposta prendendola sul serio? E se, inoltre, incontrando il vostro miglior amico dopo anni, questi non vi riconoscesse più: cosa riuscireste mai a dirgli? E infine: se tutto quello che conoscete avesse improvvisamente fine, come impieghereste la vostra vita rimanente, come arrivereste all'alba del giorno dopo? Queste sono solo alcune delle storie, raccolte in questo libro, raccontate in un connubio di realismo e spirito surreale. Come in un affascinante gioco di prestigio, spaziando da un argomento all’altro, l'autore assume sembianze sempre

diverse, rivelando la sua molteplice natura, estremamente complessa, al fine di spingere il lettore a riflettere senza mai annoiarlo.
LinguaItaliano
Data di uscita11 feb 2015
ISBN9788898017959
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    Anteprima del libro

    L'ippopotamo sulla nuvola - Luca Tescione

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    Collana Sentieri

    L'ippopotamo sulla nuvola

    di Luca Tescione

    Proprietà letteraria riservata

    ©2015 Edizioni DrawUp

    Latina, Italia

    Progetto editoriale: Edizioni DrawUp

    Direttore editoriale: Alessandro Vizzino

    Grafica di copertina: RDM per Edizioni DrawUp

    I diritti di riproduzione e traduzione sono riservati.

    Nessuna parte di questo eBook può essere utilizzata, riprodotta o diffusa, con qualsiasi mezzo, senza alcuna autorizzazione scritta.

    I nomi delle persone e le vicende narrate non hanno alcun riferimento con la realtà.

    ISBN 978-88-98017-95-9

    INDICE

    Prefazione dell’Ippopotamo

    L’ippopotamo sulla nuvola

    Bagliori nel buio

    Acqua

    Esterno

    La Torre

    Nello specchio

    Pendolari

    Guido degli spaventapasseri

    La signora del caffè

    La società STM

    La grande corsa

    Marilena

    Una nuova scienza

    Arrivo

    Samaria

    Quello che era

    L’agenda

    Superman

    L’alba

    Nessun riflesso

    Il mondo a parte

    I cavalieri della notte

    Spegnete la luce

    L’inizio

    Due giorni dopo

    Trent’anni dopo

    La ricognizione

    Fuga

    Spaceman

    Villa Cosentina

    1

    2

    3

    Phobos

    Il Progetto

    La partenza

    L’atterraggio

    La Terraformazione

    Il Quinto mese

    Il Ritorno

    Ringraziamenti

    Prefazione dell’Ippopotamo

    Esistono molti mondi o, meglio, ognuno di noi ha una sua personalissima visione di questo mondo, che osserva con i propri occhi.

    Pertanto, non sarebbe errato sostenere che esistono tanti mondi quanti sono gli occhi con cui li guardiamo e le parole che usiamo per descriverli.

    Alla luce di queste considerazioni, la domanda: «Con che occhi guardiamo il mondo?» è, quindi, ingannevole e mal formulata.

    L’ippopotamo ha una propria visione, personalissima e bizzarra, quanto autentica e sincera, di questa realtà che, decisamente, non gli piace e reputa sbagliata.

    Quale sia la natura dell’ippopotamo e l’origine della sua visione del mondo ce lo riveleranno le pagine successive.

    Forse, scopriremo che la sua concezione non è soltanto sua, ma potrebbe essere anche la nostra.

    Questo mondo in cui abbiamo a disposizione, per quanto finora accertato, solo una vita, è talmente ricco di misteri, di significati nascosti che sta a noi riscoprirlo, avendo nuovi occhi per guardarlo e nuovi sensi per percepirne pienamente qualsiasi sfumatura, bella o brutta che sia.

    Siamo talmente abituati a vivere immersi nella nostra quotidianità che diamo tutto per scontato. Basterebbe, invece, interrompere, all’improvviso, un po’ il corso delle nostre attività per comprendere che nulla è più importante di ciò che pensiamo e di ciò che ammiriamo.

    Avere nuovi occhi per guardare le persone che ci circondano ogni giorno: osservare le loro azioni e ascoltare le loro parole.

    Vivere gli eventi e rifletterci su per formulare opinioni. Tutti, nessuno escluso, perché nessuno è mai, realmente, banale.

    L’ippopotamo, quindi, ci racconta la sua visione, facendoci notare particolari che potrebbero sfuggirci perché li lasciamo passare inosservati, rivelandoci la loro bellezza e miseria. Narra di

    idee, di opinioni: condivide riflessioni, prova a farci rinascere con una mentalità nuova e uno sguardo sulla realtà completamente diverso.

    Vorrebbe realmente renderci partecipi del suo mondo, vorrebbe farci vedere come, a suo avviso, dovrebbe essere e ci mostra cosa non è.

    Ma, soprattutto, ci accompagna sulla sua nuvola, per condividere con noi la sua vita ricca di emozioni e di interessi, per poi lasciarci, alla fine, con più domande che risposte.

    Il suo intento, in fondo, non è fornire risposte. Perché di risposte, in realtà, non ne ha. Ma è insegnarci a porci domande, a riflettere su ciò che ci circonda, a non dare mai nulla per scontato, nemmeno ciò che, di primo acchito, potrebbe sembrarci fin troppo ovvio.

    Luca Tescione

    "…e guardando la televisione

    mi è venuta come l’impressione

    che mi stessero rubando il tempo

    e che tu

    che tu mi rubi l’amore,

    poi ho guardato tanto e fuori c’era un grande sole che non ho più pensato a tutte queste cose"

    Vasco Rossi, Senza parole

    L’ippopotamo sulla nuvola

    «Chiuso per gli Idioti».

    Il cartello era posto sul bordo della nuvola, in modo che tutti lo potessero leggere da giù, anche ad occhio nudo.

    S’era sdraiato sulla sua nuvola, con le braccia incrociate dietro la nuca, le gambe accavallate, gli occhi chiusi e un sorriso beffardo sul volto.

    Aveva portato con sé anche un po’ di musica e ora l’ascoltava a tutto volume, così si isolava meglio da quelli che lui chiamava «i rumori di fondo».

    Erano i rumori che provenivano dal mondo sottostante, il vociferare e l’affannarsi a vivere di tutta quella gente che, dalle strade, chilometri e chilometri più in basso, lo guardava passare tranquillo e indifferente.

    Il sole era bello tondo, forte, lucente come non lo aveva mai visto.

    Al di sopra delle altre nuvole, la sua fluttuava nell’aria lentamente, mentre, una volta in più, faceva il giro del mondo.

    Da quando era salito su quella nuvola non ne era più sceso. Non ne aveva sentito il bisogno, come non aveva sentito il bisogno di mangiare e di qualunque altra cosa.

    Nessuna necessità, meglio così!

    Laggiù aveva lasciato tutte le sue delusioni, le disillusioni, tanti dispiaceri e altre amarezze. In un punto preciso della sua vita, un giorno preciso, un anno, una data. Da allora la sua esistenza non era stata più la stessa. Era cambiata. Lui era diverso. Ora si trovava su quella nuvola. L’aveva vista, per caso, girare nel cielo, sopra la sua città.

    Passava a pochi metri da casa sua, faceva sempre il giro della Terra. Da quel giorno preciso aveva deciso di andarsene lontano, in qualche parte del mondo. Ma nessun luogo era troppo lontano.

    Ovunque andasse, c’era sempre troppa gente, troppe persone, tutte troppo stupide, banali nella loro idiozia. Ogni volta tornava a casa, per rinchiudersi nella sua camera. Poi, per un po’ di tempo, la sua vita riprendeva il suo corso normalmente, ma per poco.

    Altri viaggi, innumerevoli sensazioni di disagi, stati d’animo sempre confusi, mai chiari.

    Ovunque, le persone erano fatte allo stesso modo: ovunque andasse, non trovava mai pace. Il mondo, alla fine, era troppo piccolo per lui, troppo piccolo per viverci.

    Era stato allora che, alzando lo sguardo, aveva guardato il cielo.

    Gli occhi puntati sulla nuvola.

    Era passata di nuovo e, di nuovo, se n’era andata per un altro giro. Al suo prossimo ritorno si sarebbe trasferito definitivamente, in alto, fin là sopra, dove non c’era nessuno. Sarebbe stato da solo e, finalmente, sereno. Con sé non avrebbe portato alcuna valigia, non avrebbe avuto bisogno di nulla.

    La nuvola era soffice, comoda, poteva dormirci per ore, per giorni interi e svegliarsi, almeno, con un mezzo sorriso. Dopotutto, si sentiva cullato, si trovava a suo agio come nessun posto l’aveva mai fatto sentire prima. Da tempo, non parlava più e ne era felice.

    Rifletteva, senza limiti spazio-temporali. Aveva tutti i giorni a sua disposizione e a suo piacimento e nessuno a cui rendere conto. Non avvertiva la mancanza di nessuno.

    Spesso, venivano a trovarlo vari uccelli, di varie specie, lo osservavano perplessi, con i loro occhi furtivi, chiedendosi perché stesse lì sopra.

    Si tenevano compagnia e poi lui e la sua nuvola - oramai sua -

    erano diventati una sola entità, erano legati indissolubilmente.

    Lassù il tempo non passava davvero mai, tutto rallentava e anche i suoi alterni umori, sempre tumultuosi, sulla nuvola si placavano.

    Si sentiva rilassato e, finalmente, sereno. Solo i ricordi rimanevano incancellabili, indistruttibili. Molti penosi. Ma lassù, sulla nuvola, per fortuna, riusciva a nasconderli bene anche a se stesso, almeno questo.

    E così passarono i primi giorni, i primi mesi, viaggiando senza meta, sulla nuvola.

    Oramai era stato visto in tutto il mondo. Dalle prime testimonianze incredule, dalle prime foto, le prime riprese televisive e i primi articoli sui giornali, iniziò la sua notorietà.

    Se ne dissero di tutti i colori. C’erano mitomani che avevano giurato di essere già stati su quella nuvola. Chi aveva parlato con il passeggero, chi raccontava di avere le prove della sua origine extraterrestre, chi, invece, era convinto di essere in possesso della prova empirica che fosse solo ed esclusivamente un fenomeno fisico. Seguirono speculazioni di ogni genere e a vario titolo, tutte frutto di fantasiose, assurde e infondate.

    I telegiornali, i dibattiti televisivi, gli spettacoli di intrattenimento parlavano solo e soltanto della nuvola che faceva il giro del mondo e di qualcuno che stava lì sopra o di qualcosa di ancora non meglio identificato.

    Tutti avevano letto quel cartello: «Chi erano gli idioti?» «Perché solo i più intelligenti avrebbero avuto diritto a salirci su e, magari, a parlare con lui?» Parole, teorie, speculazioni della gente, di quei milioni di individui. Erano loro gli idioti, la massa stupida per definizione. I bambini erano quelli più divertiti e meno intimoriti dalla presenza della nuvola. Anche lui, da lassù, sorrideva ben volentieri quando guardava quei bimbi che agitavano le braccia.

    Piccolini!

    Il problema erano gli adulti, quelli sì che erano idioti e non meritavano la sua considerazione.

    Intanto, faceva il giro del mondo per l’ennesima volta. ormai aveva perso il conto di quante volte lo avesse fatto e di quanto tempo fosse passato da quando era salito lassù. Il suo animo s’era placato, ma non si sentiva ancora sufficientemente riposato. Ogni volta che la nuvola passava di nuovo per l’Italia e lui si trovava nel cielo di Bologna, una fitta lancinante allo stomaco lo assaliva istantaneamente. I suoi respiri si facevano rari e lenti. Anche gli occhi gli si inumidivano, ma non riusciva più a piangere. Allora, li chiudeva e cercava di colmare quel vuoto abissale dentro di lui. Non c’era mai riuscito. Quella voragine nel cuore non l’avrebbe mai riempita.

    La città era laggiù e lei si trovava da qualche parte, forse con qualcun altro. Per lei, soprattutto per lei, era fuggito su quella nuvola. E poi era stanco di affrontare gli altri, di scontrarsi con loro, di lottare contro tutti. Era inutile, non li avrebbe cambiati, non li avrebbe mai convinti.

    In così pochi anni, ne aveva accumulate troppe di delusioni.

    Troppe aspettative erano state disattese. Troppe parole, soprattutto, false e durevoli quanto uno sbuffo d’aria. Gliene avevano fatte di promesse, ma nessuna era stata mantenuta, sistematicamente. Erano solo parole, solo sbuffi. Ora era lì, a godersi la pace, spessissimo il silenzio. A guardare tutto dall’alto. Passava sopra le loro ipocrisie, le loro inutili faccende quotidiane. Si divertiva, adesso, ad osservare quante fossero le cose futili, banali di cui riempivano le loro vite e quanti, invece, i dettagli importanti che trascuravano.

    Dall’alto aveva una visione più completa e migliore di tutto.

    Capiva quanto fosse difficile vivere anche un solo giorno, per chiunque.

    «Secondo te, Adam, tu che sei un astronomo, cosa pensi possa essere quella nuvola?»

    «Beh, Flavio, sicuramente è naturale. Non è nulla di artificiale.

    Non so chi sia il passeggero. Qualcuno ha giurato di aver distinto un uomo, chi un alieno, chi nessuno e che la nuvola è vuota.»

    «E tu cosa pensi di aver visto?»

    «Io? Beh! Ho avuto forse un’illusione, ma sembrava un ippopotamo.»

    «Cosa? Un ippopotamo?»

    Il meteorologo appariva incredulo e cercava di assimilare quello strano concetto, forse il più strano e originale che avesse mai udito.

    «Sì, lui. Proprio l’animale! Ognuno ci ha visto qualcosa su quella nuvola.»

    «E tu cos’hai visto, esattamente?»

    «Ho visto poco con gli occhi. Ho sentito solo una gran pena, Flavio, credimi! Una tristezza sconfinata, al suo passaggio.»

    «Speriamo che lo lascino in pace!»

    «Non credo succederà. La curiosità è troppa: vedrai che saliranno fin lassù per parlargli e porgli delle domande.»

    «Perché dici che porta una gran pena?»

    «Non lo so, Flavio, ma sembra tutta così strana questa vicenda.

    Sembra un’illusione quella nuvola, come se non trasportasse nessun passeggero.»

    «Forse è così, sai? Chi potrebbe desiderare di andare su di una nuvola, così lontano?»

    «Forse qualcuno che fugge.»

    I due amici guardarono in alto e un freddo intenso invase i loro corpi, mentre avvertivano una tristezza muta, infinita quanto il cielo.

    Tutto era un’illusione giù e di illusioni aveva vissuto, tra la gente. Alla fine, era rimasto da solo, almeno aveva sempre se stesso e poco non era di certo.

    Aveva perso una donna, diversa dalle altre, migliore delle altre.

    Ma anche più vampira delle altre.

    S’era portata via tutto, l’aveva lasciato povero, senza più felicità.

    Quel poco che recava con sé da una vita. Ne rimanevano larghe e profonde ferite del tempo, degli eventi ormai passati. Un grosso squarcio gli attraversava il cuore in tutta la sua estensione. Era troppo acuto il dolore per respirare forte allora si nascondeva dietro piccoli respiri, brevi, non intensi. Come la sua vita, che andava piano. Ma ora era tutto diverso: ora era lassù, al di sopra di tutti e, soprattutto, lontano.

    Passò sopra un banco di nuvole grigie. Giù pioveva, mentre lui, in alto, vedeva costantemente il sole. Non sempre gli piaceva, molte volte preferiva nascondersi e confondersi con la pioggia e il grigiore delle nuvole. Ma il banco non era troppo grande, era pari a un nuvolone passeggero e se lo lasciò alle spalle ben presto. Tornò il sole, la volta celeste si fece limpida. C’erano le scie degli aerei, passati poco prima del suo arrivo, che si confondevano con le nuvole, gas di scarico bianchi che ingannavano la vista, simili a cirri, ma non l’olfatto. Presto o tardi, ne avrebbe incrociato qualcuno.

    Era troppo bello stare lassù, troppo bello stare su quella nuvola!

    Presto, sarebbero venuti a cercarlo, ma avrebbe mai pensato che sarebbe accaduto così presto.

    Un elicottero... Che ci faceva un elicottero così in alto, più in alto di lui?

    La domanda era retorica sapeva cosa volevano. Sarebbe potuta fuggire ancora più in alto, dove l’ossigeno era più scarso e l’aria più fredda. Tanto lui non aveva bisogno di nulla, ma era ormai troppo tardi per farlo. Una scala venne calata giù dall’elicottero fin sulla nuvola, solo per pochi metri, tanto era vicino il velivolo dal quale scese una donna.

    La donna tirò giù i lembi della giacca. Era ben vestita e sembrava sicura di sé. Raccolse i capelli castani, che le si erano sciolti durante la discesa e infilò la coda in un anello elastico. Per tutto il tempo aveva tenuto un taccuino in mano e ora si dirigeva, decisa, verso di lui.

    «Un po’ difficile camminare su questa nuvola! Sembra di immergere i piedi nella neve.»

    «Su tutte le nuvole è così.»

    «Ah!» rispose lei, sorridendogli in maniera dolce e femminile.

    Bella era bella, dotata di uno splendido sorriso. Ma era bella come tante altre giù, come lei ne aveva conosciute a migliaia.

    Perciò, al suo arrivo, non si era scomposto ed era rimasto sdraiato come sempre. I suoi occhi l’avevano solo spiata per un breve attimo, poi, indifferenti, erano tornati a perdersi nel cielo azzurro, soleggiato.

    «Beh! Non è sorpreso di vedermi qui? Credo di essere la sua prima visita.»

    «Spero anche l’ultima.»

    «Che accoglienza!»

    «Cosa crede ci sia salito a fare qui sopra? Per stare lontano da tutto quello che c’è giù e che lei ora rappresenta.»

    «Ehi ehi! Calma! Sono venuta solo a farle qualche domanda.

    Non sono della televisione. Perciò, non deve avere paura di essere ripreso e che la sua immagine faccia il giro del mondo. Non ho microfoni e microcamere addosso. La sua privacy verrà rispettata.

    Sono di un giornale e vorrei scrivere un articolo su di lei.»

    «Oh, che bello! Sono così famoso giù?»

    «E certo! Non è usuale vedere un passeggero su una nuvola girare per i cieli di tutto il mondo. Anche se nessuno ha saputo fornire prove sulla sua natura. Dicevano che era un ippopotamo.

    Capisce, un ippopotamo sulla nuvola!»

    La giornalista scosse la testa, incredula.

    «Ma io sono un ippopotamo»

    «Cosa?» scoppiò a ridere, «lei? Per essere un ippopotamo è davvero carino, però. Un bell’uomo lo ammetto e, come donna, voglio essere onesta.»

    «Grazie. Ma cosa vuole davvero da me?»

    «Gliel’ho detto voglio scrivere un articolo su di lei, ponendole qualche domanda.»

    «Solo questo?»

    «Sì»

    « E poi andrà via e non tornerà più?»

    «Sì» rispose un po’ intimorita.

    «Cominciamo e faccia presto!»

    «Ok. Prima domanda: cos’è quel cartello?»

    «Quello che legge!»

    «E chi sono gli idioti?»

    «Guardi giù e li troverà.»

    «Tutti loro?»

    «Tutti voi»

    «Ah! Così anch’io sarei un idiota? Bene! Allora quel cartello non serve. Visto che mi ci ha fatto salire il tempo necessario ad intervistarla.»

    «Solo perché oggi non mi va di cacciarla, ho altro a cui pensare, altrimenti l’avrei buttata giù subito.»

    «Mi avrebbe ucciso?»

    «Come vuole dirlo. Lei mi è indifferente. È stupida come tutti.»

    «E lei chi è per giudicare?»

    «Uno che non è stupido, né banale come voi. Uno che può giudicarvi tutti.»

    «Addirittura! E in base a cosa? Sentiamo!»

    «Secondo lei, perché sto qui?»

    «Lei fugge, sta scappando dal suo mondo, dalla sua gente.»

    «Brava! Non è così stupida, allora. Forse, vale la pena spiegarle qualcosa.»

    Quell’uomo che diceva di essere un ippopotamo era davvero irritante e insopportabile. Non sapeva quanto tempo sarebbe potuta resistere lassù! Ma, se ci fosse riuscita, quell’intervista le avrebbe procurato molta soddisfazione. Aveva avuto un gran colpo di fortuna a trovare la nuvola ed era stata brava a scenderci sopra, senza aver corso inutili rischi. Doveva solo essere paziente.

    «Prima di tutto quello non è il mio mondo e quella non è la mia gente.»

    «Li rinnega? E da dove viene, allora?»

    «Ci sono solo nato, ma quella non è la mia casa. C’ho vissuto, ci sono cresciuto, certo, ma la consapevolezza della mia vita, di quello che sono e di quello che voglio essere ce l’ho qui, su questa nuvola.

    Gli altri mi confondono, mi annoiano, è tutto rumore. Sono così tanti che non si accorgono che non hanno più una vita propria, indipendente. Si perdono, diventando tutti uguali. E io non potevo perdere me stesso! Così ho scelto di andare via.»

    «Fuggire.»

    «Fuggire!»

    La giornalista aveva memorizzato tutte quelle parole, pronunciate con impeto e, anche se non le aveva comprese, del tutto, fino in fondo, le trascrisse identiche sul suo taccuino.

    Guardare quella ragazza, che si affrettava a scrivere le sue parole con grande rapidità sul suo blocchetto, gli provocava un divertimento nascosto. Chissà cosa scriveva davvero. Le sue parole sarebbero state travisate, in parte o del tutto, non credeva che avrebbe potuto riportarle fedelmente. D’altronde, per farlo, avrebbe dovuto capire perfettamente, comprendere i suoi pensieri fino in fondo e lui non era facile da capire. Ma poco gli importava! In quel momento, contava solo che quella ragazza se ne andasse quanto prima.

    «Ed è fuggito qui sopra! Non è forse un po’ vigliacco? Non ha avuto il coraggio di affrontare la vita: ha avuto paura!»

    Gli venne in soccorso un’altra profonda risata, stavolta, non nascosta, ben visibile.

    «Quale vita? Laggiù si vive? Non è per me, è troppo poco!»

    «Poco? E qui cos’ha?»

    «Pace, signorina, pace e silenzio. Giù devo dar retta a troppe persone e non do mai retta a me, invece. Sbagliatissimo mi creda!»

    «Perché dice che sono idioti? Per lei sono stupidi, ma qual è il motivo?»

    «Calcolano! Tutta la loro vita è calcolata, loro esistono ma non vivono. Qualcuno, invece di esistere, addirittura, sopravvive ma non vive! Pochissimi di loro vivono davvero!»

    La giornalista senza nome lo guardò più accigliata, cercando di incrociare il suo sguardo, ma non ci riusciva. Lui era sempre sfuggente, anche quando parlava, la sua mente era altrove, i suoi pensieri erano altri.

    «Non ho afferrato bene il concetto! Esistere, sopravvivere, vivere. Che differenza c’è?»

    «La stessa domanda che avrebbero fatto tutti gli idioti! Non si accorge! Passa i suoi giorni senza capire ciò che sta facendo»

    L’offesa risultò indifferente alla ragazza.

    «Vede c’è chi esiste, che non ha sogni, né idee, né voglia e intenzione di fare qualcosa di nuovo, né di migliore. Piuttosto, trascorre la vita, facendo quello che fa la maggioranza: pensa a studiare e poi lavorare, fare soldi, divertirsi ma solo fino a una certa età, poi deve trovare moglie perché deve sposarsi, sennò si fa tardi, trovare una casa per viverci, fare dei figli perché l’età avanza, trascorrere un po’ di anni così e aspettare la pensione. Dopo cerca di passare gli ultimi anni in tranquillità, se possibile, limitando al minimo le sue attività e vivendo di ricordi, molti ricordi. Questa, in sintesi, la vita di coloro che esistono. Non fanno nulla di diverso da quello che fanno miliardi di altre persone, non è che mettano un po’

    di vitalità nelle loro esistenze. Non tentano di cambiare qualcosa, né di migliorarla, né di fare cose nuove. Non lasciano il certo per l’incerto, non rinunciano alle comodità e alle piccole sicurezze.

    Sono persone inutili: una in più, una in meno è la stessa cosa. Che ci siano o non ci siano, non servono!»

    «Li eliminerebbe?»

    «Sono parassiti che non portano beneficio alcuno all’umanità!»

    «Che violenza!»

    «No non dica così. La vita è enorme e ricca e loro la riducono a ben poca cosa. Non può essere vissuta così una vita: ne abbiamo una sola e non la si può sprecare! La vita non può essere solo questa traiettoria, questo percorso che seguono tutti, indifferentemente.

    Ogni giorno accade qualcosa, ogni giorno c’è da fare. Eppure tutti esistono e non vivono!»

    «Capisco, ma hai pensato che loro possano essere felici così, che ciò li renda soddisfatti?»

    «Sì, come no! La tua domanda l’ho già sentita molte volte. Beh certo! Ma anche la pecora sarà soddisfatta della propria vita. Che c’entra? Eppure noi sappiamo che c’è tanto di meglio! Quindi, nessuno dice che loro non siano felici, io sto solo dicendo che sono pecore!»

    «Uhm, capisco.»

    «Bene! Ha mai letto Flatlandia, di Abbott?»

    La ragazza rovistò nella propria mente per recuperare i ricordi di quel libro.

    «Quello che parla di un mondo bidimensionale abitato da linee, punti e poligoni. Poi arriva una sfera dal mondo tridimensionale e mostra ad un quadrato la terza dimensione, che c’è qualcos’altro oltre il suo mondo bidimensionale.»

    «Esatto! Bravissima! Ecco laggiù vivono nel loro mondo bidimensionale e credono sia tutto. Io mi sento la sfera, vedo che c’è dell’altro, ma non scendo giù a mostrarglielo. Non cambierebbero mai. Ormai, sono abituati alle loro sicurezze quotidiane, le loro piccole certezze.»

    «Ma adesso loro, le pecore, coloro che esistono soltanto, sono felici. Anche nella loro oggettiva ignoranza, ma sono felici. Lei, invece, che vede oltre, che sa di più, che non si accontenta come gli altri, che vuole di più, lei che vive, non è felice.»

    «È vero non sono felice.»

    «Da chi fugge?»

    La guardò negli occhi per la prima volta, stava per scoppiare.

    Era da tempo che voleva piangere. Aveva trattenuto quella tristezza dentro di sé, troppo a lungo.

    «Da chi fugge?»

    «Andrea Ranieri!»

    «Signor Ranieri... Andrea... da chi fuggi?»

    «Era la migliore. Ero felice con lei. Lei è stata la ciliegina sulla torta, la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Mi ha ucciso. Ho un cuore lacerato, tenuto alla meno peggio ancora insieme, cucito malamente. La ferita è grande quanto il cuore e mi taglia lo stomaco e l’esofago, un taglio lungo e netto. E fa male, fa tanto male.»

    Le palpebre si abbassarono per nascondere i suoi occhi.

    «Io sono Lisa Pandolfi.»

    «Fa sempre più male, Lisa.»

    «Ha un nome questa donna, Andrea?»

    «Si che ce l’ha, ma è meglio che lo tenga per me, non merita tutta questa considerazione.»

    «Beh! Almeno un’altra cosa la so.»

    «Cosa?»

    L’espressione di Andrea si accigliò, preoccupata del fiuto della ragazza, una persona niente affatto stupida.

    «Su Bologna. Quando ci passi sopra, corri più veloce, non vuoi soffermarti troppo a lungo, hai paura di guardare giù.»

    «Beh!» sorrise nervoso, «anche su Cipro scappo, se è per questo.»

    «Anche lì? Ricordi?»

    «Sì. Ricordi bellissimi, migliori di ogni realtà e, per questo, mi torturo perché sono finiti tutti nella mia mente. Non li vivo più.»

    «Nemmeno lei.»

    «Sì, neanche lei. Ma non so se ne soffre come me, quanto me.

    Non penso.»

    «La vita va avanti, però. C’era bisogno di scappare fin qui?»

    «Sì, Lisa. Non voglio più soffrire così. Ho sofferto in molti modi.

    E molte volte ho pianto. Ero distrutto, ogni volta, e mi sono ricostruito, di nuovo. Diventavo sempre migliore, più forte di prima.

    Ma non era abbastanza. Da Cipro a Bologna sono tanti i chilometri, la donna era sempre la stessa. Con lei ho perso tutto e ho dovuto ricostruirmi dal nulla. Ancora non avevo imparato. Adesso, invece, ho imparato che nessuno è degno di sapere chi sono fino in fondo, né di avere di me tutto fino in fondo. Non ho mai chiesto nulla, eppure mi è stato portato via tutto. Perciò sono qui. Perché sono rimasto solo, con me stesso. E questo me stesso lo tengo ben stretto.»

    «Ma così non vivrai più, né potrai essere mai felice!»

    «Non lo sarò mai, Lisa. La gente laggiù ha paura di me.»

    «Perché Andrea? Perché dovrebbe?»

    «Perché sono sincero, più limpido di uno specchio, più leggibile di un libro aperto. Non nascondo nulla, mostro tutto così com’è. E

    ne hanno paura. Nessuno è abituato ad avere così tanto. E, peraltro, senza che io chieda

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