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Anteprima del libro
Leggi e...vai - Zagaria Valeria
Zagaria Valeria
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Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)
un prodotto di Simplicissimus Book Farm
INDICE
PREFAZIONE
L'AUTRICE
L'UOVO DI VIA CANNETO IL LUNGO
IRONIA DI UNA VENDETTA
LEI
IL BECCHINO
CAPPUCCINO E SIGARETTA
FERMATELO!
FERMO AL NASTRO DI PARTENZA
COME SOPRAVVIVERE IN CAMPEGGIO
A DARK
DUE MONDI, DUE STORIE, UN INTRECCIO
CORSA CONTRO IL RITARDO
ARCOBALENO NERO
RINGAZIAMENTI
COPYRIGHT
PREFAZIONE
Leggi e...vai è una raccolta di racconti brevi, gli stessi che mi hanno aiutata a esercitarmi e migliorarmi. Ho cercato di abbracciare tutti i generi letterari sperimentando la mia curiosità e la capacità di cimentarmi in qualcosa di nuovo.
Potrete, quindi, essere catapultati in una Torre genovese nei panni di una bambina che ha un rapporto particolare con un uovo (L'uovo di via Canneto il Lungo); vivere in prima persona la vendetta di un padre (Ironia di una vendetta); sentire sulla vostra pelle la paura di affrontare il passato (Lei); ritrovarvi in un paesino nei panni di un ragazzino voglioso di emarginarsi in un tipico contesto noir (Il becchino); assistere a un intrigante incontro in aereo (Cappuccino e sigaretta); sentir crescere la suspense di un horror (Fermatelo!); riflettere e analizzare il percorso della propria vita (Fermo al nastro di partenza); sorridere sulle avventure di una vacanza in campeggio (Come sopravvivere in campeggio); innamorarvi di una coniglietta (A Dark); vivere due avventure parallele conoscendo personaggi fantastici (Due mondi, due storie, un intreccio); correrete, correrete, correrete sempre più forte per sfuggire al tempo (Corsa contro il ritardo) e conoscerete Cristina, la protagonista del mio primo romanzo autopubblicato (Arcobaleno Nero), attraverso una ricca anteprima.
Una ricca anteprima, undici racconti brevi, di cui sei completamente INEDITI mai pubblicati né apparsi su fb, né sul mio sito o in altri spazi pubblici, per conoscermi come scrittrice e, se vi sembrerà il caso, anche per apprezzarmi.
Buona lettura.
Valeria
L'AUTRICE
Valeria Zagaria, nasce a Genova l'11 maggio 1980 e continua a vivere nella stessa città. Esercita la libera professione di geometra, ma coltiva, già da ragazzina, la voglia di raccontare storie di vita vissuta. Scrive e autopubblica Arcobaleno Nero, il primo romanzo che percorre la vita di Cristina, un'adolescente messa alla prova da scelte difficili e dall'amore per Loris.
L'UOVO DI VIA CANNETO IL LUNGO
Sentiva freddo, tanto freddo. La piccola Caterina si trovava all'angolo di via Canneto il Lungo e sentiva freddo nonostante indossasse il cappotto pesante e portasse la sciarpa fino a nascondere il naso.
Si guardò intorno senza ricordare da dove fosse arrivata, stava andando a casa a portare alla mamma la spesa per il pranzo e poi...il vuoto.
Non ricordava più nulla.
Mentre cercò il cestino di vimini sparito con la spesa notò un oggetto piccolo posato a terra vicino ai suoi piedi. Lo prese in mano e sorrise. Era un uovo di porcellana con una crepa sul davanti, lo rigirò fra le mani e poi con disinteresse lo mise in tasca.
Continuava ad avere freddo, tanto che dalla bocca le uscivano nuvole di fumo.
«Tornerò a casa così la mamma mi scalderà vicino alla stufa», disse a voce alta incamminandosi per lo stretto vicolo chiassoso. Caterina continuava a stringersi nel cappotto e a far aderire ancora di più la sciarpa al viso, ma gli altri passanti sembravano non patire lo stesso clima. Nessuno la guardò in modo strano, nessuno si accorse del suo stato infreddolito, in realtà nessuno la notò.
Il vicolo pulsava di vita, era circondata dal solito via vai, dalla solita donna che urlava in dialetto le specialità pescate in mattinata e dal solito commerciante che elencava gridando la mercanzia in vendita nella sua bottega. Salutò con la mano la vecchietta che le vendeva la frutta, ma lei non ricambiò; si avvicinò per farsi notare meglio, ma fu investita da un ragazzo che trasportava casse di legno vuote. Lui non si accorse di nulla, nessun urto, nessuna collisione.
Era invisibile.
Caterina si bloccò in mezzo al vicolo lasciandosi scontrare dai passanti senza che questi se ne accorgessero, senza vederla.
Stava forse sognando? E quell'uovo cos'era?
Lo cercò in tasca, lo tirò fuori, l'osservò e lo scrollò. Dalla crepa uscì un fascio luminoso, accecante e, senza darle il tempo di reagire, si ritrovò sospesa in aria girando ad alta velocità come catapultata nel vortice di una tromba d'aria. Chiuse gli occhi per la paura, ma, quando li riaprì, si ritrovò su un piccolo terrazzo che affacciava superbo su tutta Genova.
Era già stata lì parecchie altre volte.
Si trovava sul terrazzino della Torre medievale di via Canneto il Lungo, preda delle sue fughe giocose insieme all'amico Claudio prima di rientrare a casa da scuola. Spesso si arrampicavano su quei novantotto scalini di ardesia, alti e irregolari, spingevano con forza la pesante porta di ferro, ritrovandosi a dominare Genova dall'alto.
«Sto sognando di certo», disse.
Sentì delle voci provenire dalla Torre e, un attimo dopo, vide sua madre accompagnata da un uomo che non conosceva.
«Mamma!», gridò eccitata, «Mamma! Allora non è un sogno».
Nessuno dei due la sentì, sua madre non si voltò nemmeno nella sua direzione, ma continuò a piangere disperata. Lui l'accompagnò vicino alla ringhiera che affacciava su via Canneto il Lungo e lei, dopo aver guardato giù di sotto, affondò il viso nel petto dell'uomo singhiozzando.
«Mamma, perché piangi?», urlò Caterina disperata. Allungò una mano verso la giacca della madre senza riuscire a toccarla, come bloccata da una barriera invisibile, sbuffò di rabbia e l'aria si riempì delle nuvole che emise dalla bocca. D'improvviso sua madre si voltò e la guardò. Caterina sorrise, ma lei tornò a guardare l'uomo.
«Avete visto qualcosa?», chiese lui.
«No», scrollò la testa sua madre, «Mi era solo sembrato di sentire...».
«È stata una giornata faticosa», la interruppe, «Vi riaccompagno a casa».
Caterina li guardò andar via incapace di fermarli.
Prese l'uovo crepato dalla tasca e lo lanciò furiosa contro la Torre. Un tonfo sordo accompagnò l'oggetto a terra prima di scomparire nel nulla.
Tutto intorno girò velocemente, si portò le mani alla testa per fermarla, ma, quando tutto si normalizzò, vide una bambina. Indossava lo stesso suo cappotto, la stessa sciarpa e portava sotto braccio un cestino. Era felice e spensierata mentre giocava con un gatto randagio.
La chiamò, ma nemmeno lei la udì.
La bambina continuava a rincorrere il felino, ma quando scappò sul tetto della casa sottostante lei si sporse dalla bassa ringhiera seguendolo con lo sguardo notando, invece, sulla grondaia un nido di uccelli con un solo uovo al suo interno. Incuriosita si sporse un po' di più per afferrarlo, ma la ringhiera che la sosteneva cedette e precipitò giù dal terrazzino seguita dall'unico uovo. Caterina cercò di afferrarla, senza riuscirci, non potendo far altro che guardarla in viso mentre cadeva.
Era lei.
Era lei che cercò di prendere l'uovo da portare alla mamma ed era sempre lei che precipitò giù dalla Torre rimanendo distesa su via Canneto il Lungo. Era la scena del suo incidente che sua madre guardò poco prima, ed erano per lei le lacrime che versò incessantemente.
Era morta.
Non stava facendo nessun sogno, stava semplicemente accettando la sua nuova condizione e, ora che l'aveva capita, allentò la sciarpa e aprì il cappotto pesante, ora che: «Non fa più così freddo!».
IRONIA DI UNA VENDETTA
È serenamente a passeggio con Jack; e, come ogni sera intorno alle dieci, lascia moglie e figlia per dedicarsi all'amico fedele. Lui che continua ad avere una famiglia, ha distrutto la mia, ha spezzato l'adolescenza della mia bambina, infliggendole una violenza inaudita, lasciandola grondante di sangue ai margini della statale, vicino al cavalcavia.
L'ha adescata in internet, su quelle chat per ragazzine, l'ha fatta sentire importante, l'ha corteggiata, le ha dato un appuntamento e alla fine l'ha presa sotto il cavalcavia, nascosto dalla folta e incolta vegetazione, per poi abbandonarla sul ciglio come si fa con un oggetto consumato.
Non voglio più ascoltare avvocati e giudici annaspare nella torbida giurisprudenza, affaticarsi nel trovare un cavillo, un codice, una postilla alla legge per avere giustizia, quella giustizia che un padre è costretto a farsi da sè. Non sono Dio e non voglio sostituirmi al Suo volere, ma stasera lui smetterà di vivere.
È talmente convinto di farla franca che non si guarda mai le spalle. Lui è sereno mentre io sto per esplodere, nessuno placherà la mia ira e nessuno potrà fermarmi.
Mi tocco i baffi finti per farli aderire meglio alla pelle sudata, chiudo la zip del giubbotto sportivo smesso da mio nipote, mi guardo i piedi infilati in un paio di scarpe da ginnastica e indosso un cappello per ripararmi gli occhi dalla pioggia. Dall'interno della recinzione dei giardini pubblici, l'osservo camminare lungo il marciapiede. Infilo la mano nella tasca dei jeans, tiro fuori il coltello a serramanico, lo stringo forte e ripasso il piano mentalmente: aspettare che varchi il cancello, lasciare che faccia qualche passo e, quando si accuccia per slacciare il collare a Jack, assalirlo alle spalle e piantargli la lama nella giugulare.
«Ehi Jack», dice al cane, «Bella serata per la solita passeggiata, vero?», sorride e dà una pacca affettuosa sul manto scuro e bagnato dell'animale.
Quella voce. Quella cantilena...
«Non ti preoccupare amore, papà non ha fatto niente e presto tornerò a casa», disse alla figlia la sera che lo accusarono di violenza carnale su un minore.
Cerco di calmare l'ira, ma il volto di mia figlia, su quel letto di ospedale, è troppo vivo e troppo recente, come il vuoto nei suoi occhi.
Lui non è rimasto sul marciapiede. Non ha varcato il cancello dei giardini, ma ha attraversato la strada.
Ed eccolo lì.
Fermo davanti al distributore automatico di sigarette con Jack al suo fianco irrequieto. Ne accende una e aspira la prima boccata di fumo appoggiato alla facciata di un condominio, farfuglia qualcosa al cane, si china ad accarezzarlo e guarda nella mia direzione. Tornerà